TIVOLI (RM) – Rocca Pia
E’ una fortezza del XV secolo situata in quello che oggi è il cuore della
città di Tivoli. La costruzione della rocca nel 1461 metteva fine ad un periodo
caratterizzato da forti conflittualità di vario genere per la città di Tivoli;
lacerata dai contrasti tra partito guelfo e partito ghibellino, nonché dalle
lotte intestine tra i discendenti della casa Colonna e della casa Orsini, la
città si trovò costretta a metà del XV secolo a sopire le sue secolari
aspirazioni d’indipendenza comunale e ad assoggettarsi infine al potere papale.
Nel luglio 1461 papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini), per la prima volta in
visita alla città di Tivoli, per assicurarsene la fedeltà dava l’avvio alla
costruzione, affidandone probabilmente il progetto agli architetti Niccolò e
Varrone, entrambi allievi del Filarete. Soprastante della fabbrica fu Giovanni
Stefano da Landriano, lombardo; esecutori dei lavori mastro Manfredino e soci;
responsabile finanziario fra Giacomo da Gaeta. A perenne memoria della
capitolazione della “
Tibur Superbum” (Virgilio), sul portale d’ingresso
alla rocca campeggia ancora l’iscrizione: “
Grata bonis, invisa malis,
inimica superbis sum tibi Tibure: enim sic Pius instituit” (grata ai buoni,
invisa ai malvagi, nemica ai superbi, sono per te a Tivoli, poiché così volle Pio).
La posizione strategica scelta per la costruzione, suggerita forse dalle
preesistenze risalenti al periodo di papa Callisto III Borgia, poco fuori
l’abitato storico e la cinta muraria, ma prominente rispetto al resto della
città, garantiva la sicurezza dall’esterno, attraverso la stretta vigilanza cui
consentiva di sottoporre le vie d’accesso e la via Tiburtina, ma allo stesso
tempo scongiurava la possibilità di nuovi disordini interni. La Rocca inoltre
andava ad innestarsi in un’area urbanisticamente assai complessa: l’area ad est
(l’attuale piazzale Matteotti) accoglieva i resti di una necropoli dell’Età del
Ferro (IX – VI secolo a.C.), attribuibile alle prime popolazioni sabine che
s’insediarono nel territorio; l’area a Nord invece era dominata da un anfiteatro
di età romana (il cosiddetto Anfiteatro di Bleso), le cui eminenze furono
completamente rase al suolo, per impedire che potessero offrire riparo ai
nemici.
La realizzazione della fortezza
fu molto lenta, tant’è che i Lanzichenecchi (che qui vennero dopo il Sacco di
Roma, nel 1527) entrarono facilmente nel Castello non ancora completato.
La costruzione fu ultimata nel corso del secolo (1560 circa), con Sisto
IV della Rovere o più verosimilmente con Alessandro VI Borgia (i due torrioni
minori), mentre lievi modifiche furono apportate nei primi anni del Cinquecento
con Giulio II. L’edificio andò ad assolvere il ruolo strategico-militare con il
cui intento fu costruito parzialmente e comunque solo dopo la metà del XVI
secolo, ovvero con la nomina del cardinale Ippolito d’Este a governatore della
città, mentre con la conseguente realizzazione della Villa d’Este fu coinvolto
nel monumentale progetto residenziale che si profilava per la città. Nel
Settecento fu occupata dalle truppe francesi ed austriache, quindi divenne
prima caserma e poi fu adattata a carcere in età napoleonica, tramite
l’addossamento all’interno del cortile di un corpo di fabbrica, ruolo che andò
a ricoprire fino al 1960. Recentemente sono stati recuperati e aperti al
pubblico i resti dell’antico anfiteatro ai piedi del complesso, la Rocca invece
nonostante i restauri non ha ancora, incredibilmente, una precisa destinazione
d’uso, né è visitabile, ma conserva ancora intatta la sua imponente
monumentalità. L’edificio realizzato in tufo locale è costituito da: 4 torrioni
di forma circolare di diverse dimensioni, uniti da alti muraglioni, che
delimitano lo spazio di un cortile interno. Il torrione maggiore, che dava
verso l’esterno della città e fungeva da vero e proprio mastio, è alto 36,50 m
e contiene sei stanze sovrapposte; il secondo, alto 25,50 m, ne contiene 5,
mentre i due minori, collocati verso la città, ma aperti sul cortile, sono alti
18 m e contengono solo 3 stanze sovrapposte ciascuno. Il portale d’ingresso,
che reca le insegne della famiglia Piccolomini, era difeso da un avancorpo
d’ingresso con due torrioni di forma quadrata. Gli alti muraglioni e i torrioni
svettano sopra un’alta base a scarpa e sono coronati da profondi archetti
pensili di sapore medievaleggiante; le torri conservano ancora intatta
l’originale merlatura guelfa (persa nei muraglioni). Dal lato orientale è
ancora ben visibile, benché murata, l’apertura posta a mezza altezza cui era
associato il ponte levatoio. Le forme ancora molto medievali fanno da
contrappunto al tentativo di Pio II di realizzare uno strumento dotato della
più innovativa tecnologia dell’epoca; la diffusione delle armi da fuoco
comportò quindi un massiccio ispessimento delle mura, cosparse da numerose
aperture per le bocche di fuoco. Nonostante questi tentativi però ben presto la
fortezza risultò largamente inadeguata rispetto alle moderne teorie
architettoniche e così finì per assolvere funzioni estranee alla sua natura. La
Rocca Pia in costruzione viene rappresentata da Andrea Mantegna negli affreschi
della Camera degli Sposi del Castello di San Giorgio di Mantova (1465-1474).
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