SOLOFRA (AV) – Castello longobardo
Attualmente l’agglomerato urbano è dominato dalle
rovine del castello feudale, visibile a 470 m di altezza sul lato meridionale
del monte Pergola-S.Marco. Dalla sua posizione il castello controllava
totalmente la valle solofrana. Durante la prima fase della loro conquista i
Longobardi non realizzarono nuovi siti fortificati ma si impegnarono a
rinforzare quelli già esistenti. Fu con la divisione del ducato di Benevento
che il confine tra i due Principati di Benevento e di Salerno fu interessato
dalla realizzazione di un fitto sistema difensivo. Infatti è a questo periodo
che si deve far risalire un primo nucleo del castello di Solofra, che fu
realizzato come rinforzo al già esistente castello di Serino. Il castello di
Solofra fece parte di un importante
complesso difensivo costituito dallo sperone roccioso di Castelluccia
ad ovest del complesso montuoso (che fu un’arx
sannita e un punto di controllo sulla romana via antiqua qui badit ad Sancte Agate), dal
castello di Serino, posto sul lato nord dello stesso e che controllava la valle
del Sabato e poi da un rinforzo di questo sul lato sud, appunto il fortilizio
di cui parliamo. Inizialmente dipese da Serino e appartenne al
casale di S.
Agata. L’insediamento di S. Agata, documentato fin dal periodo
romano e non ancora diviso in due casali, occupava le pendici dei due monti e si estendeva anche nel fondovalle. Nel
periodo normanno si formò, con i Sanseverino-Tricarico,
il feudo di Serino che comprendeva anche l’abitato di Solofra. Il castello di
Solofra appartenne a quei feudatari. Gli Angioini concessero
questo punto fortificato a Giordana Tricarico, moglie
di Alduino Filangieri e feudataria di Solofra che nel
frattempo si era staccata da Serino. In questo periodo (nel XIII secolo), per
meglio difendere la zona poiché si era nel pieno della guerra del Vespro,
furono aggiunti alla fortificazione dei corpi che le dettero l’aspetto che
conosciamo. Fu questa maggiore sicurezza che fece venire dal Cilento, uno dei
centri di quella guerra, diversi immigrati che si insediarono
nel fondovalle (si chiamerà Celentane).
Si può ipotizzare che il castello fosse abitato in
questo periodo e proprio da Giordana. Sicuramente degli
interventi di rifacimento si sono avuti durante il periodo svevo, 1230-1240
circa, soprattutto se si considera l’uso di torri quadrangolari sporgenti dalla
cortina muraria e l’andamento rettilineo da torre a torre. Certo è che dinanzi
all’evidenza di una fase riferibile per tipologia all’epoca sveva, esistono
evidenti differenze nella struttura, negli allineamenti, nello spessore e nei
parametri dei muri che testimoniano diversi momenti costruttivi. In occasione dello scontro tra Filippo, detto
il prete, pretendente al feudo dei Filangieri, e Francesco Zurlo, feudatario
di Montoro e poi quando fu in mano ad Antonio Bulcano,
il castello fu rinforzato col rivellino sul lato est
per far fronte agli attacchi che venivano da Turci. Nel
1495 il castello era in possesso di Ettore Zurlo, come si evince da documenti
del periodo aragonese. Nel XV secolo doveva
dunque già esistere il rivellino, ossia quell’elemento difensivo con forma
semicircolare situato intorno alla torre est, che era il punto maggiormente
esposto del fortilizio. Sicuramente più antico era, invece, il sistema di
approvvigionamento dell’acqua, raccolta nelle cisterne poste al di sotto delle
torri. Nei secoli XIV e XV il castello fu sottoposto ad ulteriori interventi di
restauro. Sono da attribuire all’epoca aragonese alcuni tratti di muratura e
parte dei vani di apertura del prospetto sud. Non è possibile pensare ad una
totale ricostruzione del complesso in tale periodo, data la presenza di una
stratificazione dovuta ai diversi interventi avvicendatisi nel tempo. Nel 1565,
quando la feudataria era Beatrice Ferrella Orsini, furono demolite parte delle mura
che circondavano il castello per ottenere il materiale per la costruzione del
Palazzo Ducale (di cui parleremo nel blog in un’altra occasione). Infatti,
ancora oggi, le pietre dell’antica cinta muraria sono visibili nel basamento
occidentale di Palazzo Orsini. Il castello, invece, continuò ad essere
utilizzato per accogliere le truppe e i detenuti. Prima della Rivoluzione napoletana del 1799 fu occupato da un corpo di
fucilieri, guidati dal tenente Trentacapilli ed
accolse i giacobini della zona tra cui Ferdinando Landolfi padre di Luigi
Landolfi. Dicono i documenti per alcune sue inquisizioni, in effetti per i legami con la famiglia della moglie, i Pepe
di Montoro, a cui apparteneva Vincenzo Galiani,
protomartire di quella rivoluzione. Fu poi occupato dalle truppe della
municipalità, infine da Ettore Carafa, mandato a
sedare la controrivoluzione. Per conoscere l’originaria struttura del
complesso fortificato bisogna osservare la pianta redatta nel 1736 da Marco
Papa e pubblicata da C. Megna e due fotografie databili tra la fine dell’800 e
l’inizio del ‘900 conservate nel Centro di Studi Locali di Solofra.
Probabilmente il castello fu utilizzato fino agli inizi del XX secolo come casa
colonica. Oggi la costruzione si presenta in un cattivo stato di conservazione
con elementi lapidei in equilibrio instabile e soffocato da una fitta
vegetazione, che rendono difficoltosa e, in alcuni punti, impossibile la
visita. Attualmente restano soltanto dei ruderi, che corrispondono al corpo di
fabbrica di forma rettangolare, posto sul lato settentrionale e suddiviso in
tre ambienti; alle due torri poste ai suoi angoli estremi, nord-est (o donjon)
e nord-ovest; alla torre di sud-ovest e a parte della cinta muraria. Elemento
caratteristico del castello è la torre mastio, cioè la torre nord-est di dimensioni
maggiori delle altre e discretamente conservatosi nel tempo. Nel livello
inferiore è la localizzata la cisterna, caratterizzata da intonaco idraulico
ancora in situ. Nel livello intermedio della torre mastio, al quale si poteva
accedere attraverso una scala lignea proveniente dagli ambienti della corte di
età successiva alla prima fase sveva della costruzione, è ubicato un vano
di passaggio, coperto con volte a crociera rette da archi gotici; da qui si accede ad
un secondo piccolo vano anch’esso con volte ed archi gotici e
rari intonaci del XIV secolo. Il livello superiore del mastio era utilizzato
come sala abitativa; vi si accedeva tramite una scala lignea o scalandrone. Annessa alla Torre
principale si trova uno dei tre ambienti che costituiscono il nucleo principale
abitativo del castello, di epoca successiva alla prima edificazione sveva. Sono
tre avanti su tre livelli: l’inferiore, cantinato con carceri, il medio con
sale abitate, camini e sala di rappresentanza; il superiore, con sale private e
stanze per dormire. L’ingresso del castro vero e proprio era situato
all’interno della corte fortificata dal primo circuito murario, provvisto da
camminamenti di ronda e feritoie arciere e merli di gronda. Nell’angolo
nord-ovest, collegato con il terzo ambiente abitativo era situata la seconda
torre quadrata-angolare con funzione di rinforzo e vedetta, provvista di
feritoie o saettiere, poi tompagnate nelle fasi posteriori con riutilizzo del
castello a residenza temporanea in età aragonese o posteriore. Una terza
torretta quadrata, di dimensioni minori, era posta nel vertice sud-ovest della
corte principale, con specifica funzione difensiva ed avvistamento. Di questa
struttura rimangono solo il livello inferiore della cisterna con intonaco
idraulico conservato, ed una parte del livello superiore. Il primo circuito
fortificato, merlato e con passaggi interni di ronda, si completava con una
quarta torre pentagonale di età angioina, rilevata dal Dr Guacci a seguito di
indagine archeo/strutturale della cinta muraria. Nel tratto più a nord
della seconda cinta muraria si conservano i resti del muro fortificato
racchiudente una modesta area trapezoidale ai piedi del mastio e costituiva il
rivellino strategico del castro. Esso era caratterizzato da merlature di ronda
e feritoie arciere per la difesa nord/est del castello. Il maniero
era circondato da una robustissima cinta muraria, oggi conservata solo in
parte. Infatti alcuni tratti sono visibili intorno all’area dove sorgono i
ruderi principali. Negli anni ’70 erano ancora visibili i resti delle due porte
di accesso all’antico feudo, l’una posta alle pendici della collina, e l’altra
all’estremità nord dell’area circostante le due torri. Oggi non ne resta alcuna
traccia. Probabilmente altre parti del complesso fortificato restano celate al
di sotto del folto manto vegetativo che ricopre e circonda l’intera area. Dato
lo stato di totale abbandono in cui riversa l’antico complesso edilizio, anche
ciò che oggi è ancora visibile rischia di essere completamente sommerso dalla
vegetazione spontanea. Al castello è stata dedicata una pagina su Facebook: https://it-it.facebook.com/IlCastelloDiSolofra.
Altri link consigliati: http://www.castellidirpinia.com/solofra_it.html,
http://www.irpinianews.it/solofra-castello-pronta-la-ricostruzione-virtuale/
Fonti: http://www.castcampania.it/solofra.html,
http://www.solofrastorica.it/CASTELLO.htm
(Da M. De Maio, Alle radici di Solofra, Avellino, 1997; Solofra nel Mezzogiorno angioino-aragonese , Solofra,
2000.), http://web.tiscali.it/archeologiasolofra/soletam.htm
(tratto dal testo in allestimento di F.Guacci “Il castello di Solofra, la
storia, l’archeologia”).
Foto: la prima è di gianniB su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/62235,
la seconda di Francesco Guacci su http://web.tiscali.it/archeologiasolofra/soletam.htm
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