sabato 20 dicembre 2014

Il castello di sabato 20 dicembre






SIRACUSA – Castello Svevo o Maniace (di Mimmo Ciurlia)

Il Castello Maniace sorge sulla punta estrema di Ortigia, a controllo del porto e della città di Siracusa. Nel sito in cui sorge il castello dovettero quasi certamente esistere delle fortificazioni sin dai tempi dei Greci in quanto è strategicamente importante per la difesa del Porto Grande. Il nome “Maniace” deriva da Giorgio Maniace, un generale bizantino che nel 1038 d.C. riconquistò per un breve periodo la città dagli Arabi e portò in dono due arieti bronzei ellenistici, che poi vennero posti all’entrata del Castello stesso. Qualche anno dopo, gli arabi si impadronirono nuovamente di Siracusa e del maniero che tennero fino al 1087 quando furono sconfitti e cacciati dai Normanni. Per tal motivo il castello ha impropriamente conservato il nome del condottiero, resta comunque il fatto che la costruzione sia di origine sveva. Fu infatti costruito per volontà di Federico II, tra il 1232 e il 1240, che ne affidò la realizzazione all'architetto Riccardo da Lentini, in osservanza a precise regole di razionalità, geometria, simmetria. I primi documenti sulla sua fondazione sono le lettere di Federico inviate il 17 novembre 1239 da Lodi a suoi sottoposti collegati alla costruzione del Castello, nelle quali l'imperatore si compiace per la diligenza con la quale Riccardo da Lentini “prepositus aedificiorum segue il castrum nostrum Syracusie” e lo rassicura che la sua richiesta “pro munitione castroum nostrorum Syracusie et Lentiní quam etiam pro Serracenis et servis nostris necessarium frumentum, ordeum, vinum, caseum, companagium, scarpas et indumenta” è stata girata al tesoriere di Messina, il quale provvederà al più presto a fornirlo di tutto l'occorrente. Passato agli angioini nel 1266, venne assaltato ed espugnato dalla popolazione siracusana in rivolta l'11 aprile del 1282. Nel 1302 Federico d'Aragona vi siglò l'armistizio con gli angioini. Nel 1321 ospitò la seduta del Parlamento siciliano convocato per sancire l'eredità del figlio di Alfonso III d'Aragona, Federico III di Aragona. Nel 1325 Pietro II d'Aragona fece riattare i fossati e costruire due forti a supporto del castello. L'attuale pianta della fortificazione presenta una serie di aggiunte successive, tali da stravolgere del tutto quello che doveva essere l'assetto originario. Si giunge al castello attraverso un ponte di pietra che sostituisce l’antico ponte levatoio posto su di un fossato di acqua di mare a difesa tutto intorno alla costruzione. L’edificio è a pianta quadrata, chiuso da un possente muro perimetrale con quattro torri cilindriche agli angoli. All’esterno era visibile un grandioso basamento a scarpa, che è poi andato interrato. L’ingresso al castello è segnato da un portale marmoreo a struttura ogivale, con strombatura. Sopra l’arco domina lo stemma spagnolo, che fu posto nel 1614. Ai lati del portale vi sono le due nicchie, destinate a contenere, su mensole aggettanti, i due arieti di bronzo che ebbero complesse vicende e di cui uno solo superstite è oggi visibile al Museo Salinas di Palermo. Recentemente è stata eseguita una copia dell’originale palermitano, donata dal Rotary Club di Siracusa e che, ultimati i lavori di restauro, verrà ricollocata sulla mensola originaria. Oltrepassata  la porta si entra in un cortile che è il risultato di distruzioni e riedificazioni varie, successive alla costruzione sveva. Le due navate superstiti coperte da volte a crociera, lungo il lato meridionale, sono quello che sopravvive della costruzione originaria. All’interno l’ambiente doveva apparire come un’unica sala scandita da 16 colonne libere, 4 semicolonne angolari e 16 semicolonne perimetrali, che sorreggevano 25 campate, coperte da volte a crociera costolonate, quattro monumentali camini segnavano gli angoli delle pareti. La campata centrale è stata interpretata come cortile a cielo aperto, con vasca centrale. Il carattere strutturale diverso delle colonne della campata centrale, costituite da colonne monolitiche di granito accostate, darebbe credito all’ipotesi scaturita in seguito a recenti esplorazioni, di una campata centrale coperta come le altre, ma più enfatizzata. Agli angoli della sala, i tre gruppi di scale superstiti -  torri sud, nord ed est - sono preceduti e separati dai vani per i servizi da un vestibolo, con volta a botte ripartita in due crociere impostate su peducci a goccia;  nel vano servizio invece, i costoloni della crociera scaricano su peducci con la parte terminale a rilievo, arricchita da figure scultoree varie (leoni affrontati, un telamone, testa raffigurante forse Federico giovane). Le scale sono composte da blocchi monolitici da cui è ricavato il gradino e la porzione di cilindro, la sovrapposizione dei quali determina lo sviluppo del pilastro centrale, elemento portante della scala, e la successione dei gradini con andamento radiale. Le colonne, di forma cilindrica, sono realizzate in pietra calcarea, poggiano su piedistalli poligonali e terminano in capitelli con due, tre e quattro ordini di foglie che, larghe alla base, si richiudono in cima a crochet, dove sono rappresentate scene agresti, figure umane, serpenti. Sopra l’abaco del capitello s’innalzano i costoloni a sezione quadrata ed angoli smussati, elementi caratterizzanti delle crociere della sala: le volte sono ottenute da conci in calcarenite e pietra pomice lavica disposti a spina-pesce e messi in opera con malta. Le pareti mostrano una tessitura muraria a conci sfalsati; anche le semicolonne dei muri perimetrali mantengono inalterato questo tratto, in modo da garantire la connessione e la continuità del paramento murario. In corrispondenza al portale d’ingresso si trova l’uscita posteriore che conduce sulla punta del promontorio. Da questa parte, oltre l’edificio federiciano, nel XVI secolo s’impiantarono le batterie di cannoni, per collegarlo al resto delle fortificazioni cittadine. Nel XVII secolo il Grunemberg dotò l’estremità del promontorio di una difesa a punta di diamante e costruì due semibaluardi nella parte antistante l’ingresso al castello. Infine, in età borbonica, fu costruita la casamatta, recentemente restaurata. E’ noto che l’architetto medioevale usava i numeri pitagorici e i numeri musicali con la stessa confidenza con la quale usava le regole geometriche. Ogni numero era inscindibile dal proprio significato simbolico. A Siracusa è stato usato con insistenza il numero 5 (le crociere) ed il 4 (i lati), ma il 5 non è altro che la somma del 2+3, di due numeri primi della serie di Leonardo Fibonacci. E' la serie di numeri (1,2,3,4,5) che dà ordine all'universo ed alle arti applicate. Federico II stesso ebbe diversi contatti con il Fibonacci, sommo matematico medioevale. La serie di Fibonacci è 1,2,3,5, numeri in cui ognuno è la somma dei due che lo precedono. La scelta delle figure geometriche non è certo casuale. Il quadrato, il 4, nel Medioevo era il numero della terra, della Chiesa rivelata attraverso le 4 virtù teologiche; per gli Orientali 4 erano le sembianze della divinità; per i Greci i famosi 4 elementi primordiali facevano capo alla scuola presocratica. Il cerchio è il simbolo della perfezione che ha inizio e fine in sé, per gli Orientali è il sole e la vita, presso i Greci è il cosmo. Nella pianta del Castello Maniace, leggendo i numeri come simboli, il quadrato rappresenta la terra ed il cerchio il sole. Sotto gli Angioini il maniero divenne patrimonio regio, censito nel 1273 da una commissione di inchiesta che parlava di un Castrum Siragusie. La guerra fra gli Angioini e gli Aragonesi per il dominio del Regno vide il castello opposto a difesa della città. Per quasi tutto il XV secolo il Castello fu una prigione. Nel 1448, dopo uno splendido banchetto tenuto nelle sue sale, il capitano Giovanni Ventimiglia, fece uccidere tutti i convitati, accusati di tradimento. Per questo prode gesto ottenne dal re Alfonso di Castiglia in dono i due arieti bronzei che ornavano sino a quel giorno il prospetto del castello. Alla fine del XVI secolo, nel piano più generale di fortificazione della città, Castello Maniace divenne un punto nodale della cinta muraria, progettata dall’ingegnere militare spagnolo Ferramolino. Nella metà del XVII secolo ulteriori opere fortificate compresero lavori nel castello, di non nota entità. Il 5 novembre 1704, una furibonda esplosione avvenuta nella polveriera sconvolee l'edificio. Brani di crociere e blocchi di calcare vennero lanciati nel raggio di diversi chilometri. Negli anni successivi si apprestò la ricostruzione, che lasciò intatte le parti rovinate dall'esplosione, mentre si crearono tamponature per la realizzazione di magazzini. In età napoleonica il castello rivisse con funzioni militari e venne munito di bocche da cannone. Nel 1838, a salvaguardia dei moti che stavano scatenadosi in tutto il regno, i borbonici di Ferdinando vi innalzarono una casamatta. Il castello venne poi consegnato al Regno di Savoia ed utilizzato fino alla seconda guerra mondiale come deposito di materiale militare. In seguito alla smilitarizzazione dell'area si sono succeduti numerosi lavori di restauro (l'ultimo terminato nel 2010) che hanno riportato la fortificazione agli antichi splendori, diventando oggi uno dei castelli siciliani più suggestivi dell'isola, un vero e proprio simbolo del potere e della genialità dell'imperatore Federico II. L'apertura al pubblico ha permesso lo svolgimento di spettacoli dell'Ortigia Festival ma anche di ospitare il cosiddetto G8 ambientale che ha visto la presenza dei ministri dell'ambiente dei paesi industrializzati.



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