NOLA (NA) - Castel Cicala (di Pio Stefanelli)
Col nome di "CastelCicala", oggi si indica una frazione del Comune di Nola, distante dalla Sede Comunale circa KM 2,5, con una popolazione di un centinaio di abitanti. In tempi andati con il nome di Cicala si indicava un Comune della "Terra di lavoro", sito sulla omonima collina, di cui il "Castello" costituiva completamento e coronamento (Cicala = dal greco Ghe-Kala (Terra Buona). Il Castello di Cicala (uno dei circa 600 Castra o Castelli d'Italia), è uno dei più antichi e famosi della Campania, se non altro, uno dei più ricchi di Storia, comunque uno dei meno danneggiati ed ancora recuperabile. Nel periodo compreso tra i secoli V e XIII la sua storia, quella del Casale dal quale trae il nome, si identifica con la storia della stessa Nola. L'antica Città, infatti, saccheggiata e distrutta reiterate volte, col ferro e col fuoco, dai barbari invasori, depopolata dalle acque perennemente stagnanti, e dalla peste, fatta bersaglio, inerte, dalle ricorrenti eruzioni Vesuviane e scossa da frequenti movimenti tellurici, rimase per circa nove secoli quasi deserta, essendosi le poche famiglie superstiti, rifugiate sulla prossima collina. Qui, costruite le prime, rudimentali difese, in seguito ampliate e consolidate, la misera gente resistette e sopravvisse in primitive dimore, spesso ricavate dalle grotte nella collina, perdipiù sempre a combattere questo o quel nemico invasore. Fin quando, mutati i tempi, per eventi favorevoli, e migliorate le condizioni di vita, questi cittadini fuggiaschi potettero scendere al piano e ridare vita alla città abbandonata dai loro avi. Cicala, dunque, assorbì Nola e ne conservò le tradizioni: ciò vuol dire che fare la Storia sia di Cicala che del suo Castello, significa fare la storia di Nola, nell'arco di tempo anzidetto. Il vuoto, infatti, che i diversi storici lamentano per tanti secoli nello scorrere della Storia Nolana, consiste precisamente in questo, poiché sarebbe un inutile lavoro, cercare di fare ricerche su Nola e per Nola, in quel periodo quando la Città era cessata di essere, sotto l'aspetto civile-politico-militare, mentre sotto quello ecclesiastico non esisteva affatto, in quanto la Diocesi, fin dal II e fino a tutto il Quindicesimo secolo, risiedeva in Coemeterium (Cimitile). Le fortificazioni della collina di Cicala sono organizzate in tre cinte murarie pressoché circolari e concentriche. La prima cinta muraria, posta sulla sommità della collina, racchiude il nucleo principale del castello; la seconda, chiamata dagli abitanti del luogo “di San Paolino“, ingloba le altre strutture del castello dislocate soprattutto a sud e ad est. La terza include le pendici della collina e parte dell’attuale abitato di Cicala situato ad est e nord-est. La prima cinta muraria è costituita da mura leggermente scarpate a forma di tronco di piramide che formano una piattaforma sulla quale si elevano le singole torri quadrangolari, di diverse dimensioni, che costituiscono il nucleo principale del castello. Esso si articola intorno ad un cortile di forma irregolare sul quale affacciano gli ambienti che lo costituiscono. Sul lato nord si trovano alcuni ambienti allo stato di rudere, trasformati nel corso dei secoli e con le volte crollate. Dalle tracce che queste hanno lasciato all'attacco dei muri, si evidenzia una tecnica costruttiva particolare, sicuramente attribuibile al periodo normanno. Strutture dello stesso tipo sono state trasformate nella moderna chiesa di Santa Lucia. Altri ambienti annessi alla chiesa, coperti a volte estradossate, chiudono il cortile sul lato sud e collegano gli ambienti del castello col donjon posto a sud-est. Al cortile si accedeva mediante una porta posta sul lato est, ai piedi del donjon. Questa porta è stata rimaneggiata diverse volte e fino a qualche tempo fa si potevano notare delle scanalature, ora murate, da relazionare alla discesa verticale della porta nei piedritti in pietra calcarea bianca. In alto, in corrispondenza della porta, si notano ancora i resti di 15 beccatelli che costituivano caditoie per la difesa piombante; essi si sviluppano su tutto il muro che va dal donjon alla prima torre del castello. Ad una attenta analisi si nota che i beccatelli, posti proprio sulla verticale della porta, presentano inclusioni di travi in legno e hanno una forma diversa dagli altri. Questo lascia supporre che, in un primo tempo, vi potesse essere un apprestamento per la difesa piombante in legno, sostituito poi da strutture in pietra. L’elemento caratteristico del primo circuito è il donjon. Di forma rettangolare di m 18x25 circa e alto m 12 circa, si eleva su una poderosa base scarpata a forma di tronco di piramide le cui dimensioni alla base sono di m 28x35 circa ed è alta m 5 circa, alla cui sommità si sviluppava la merlatura con feritoie di difesa, come si evince dal tratto superstite ed inglobato nella muratura della porta verso la corte. L’architettura di questa torre presenta tutti i caratteri tipici delle strutture fortificate normanne, anche se probabilmente eseguite da maestranze locali. Pur presentandosi allo stato di rudere e colmo fin quasi alla cima di materiale di crollo, si può notare che essa era divisa in diversi ambienti ed articolata probabilmente su due o tre livelli di cui il primo non ha nessuna apertura verso l’esterno, essendo utilizzato per ambienti di servizio, mentre i livelli superiori assolvevano ad una funzione abitativa. Dalle aperture, alcune delle quali murate, altre trasformate, altre ancora funzionali, si nota che la struttura di età normanna ha subìto varie trasformazioni e rimaneggiamenti nel corso dei secoli. L’aggiunta sul lato est di una fodera muraria per quasi tutta l’altezza testimonia una fase di consolidamento che non ne ha mutato l’aspetto architettonico. Le finestre tonde strombate con cornice in tufo grigio, poste alla sommità del lato est e del lato sud, insieme alle sporgenze sulla parete che affaccia verso la corte testimoniano un adattamento della struttura in epoca sveva, infatti assume l’andamento planimetrico simile a molte residenze imperiali fatte erigere da Federico II. La bifora sul lato nord, unica superstite di un apparato decorativo risalente probabilmente al XIV secolo, anch'essa in tufo grigio, testimonia ulteriori adattamenti e trasformazioni architettoniche del donjon in epoca angioina. Dalla lettura delle strutture soprattutto nel secondo livello interno, si nota che le finestre bifore erano aperte almeno sui tre lati liberi della torre. Sempre all'interno del secondo livello, in un muro divisorio si nota una porta con architrave curvo a punta, caratteristico dell’epoca aragonese, la cui tipologia è presente anche nella Reggia Orsini, che testimonia di ulteriori adattamenti subiti dalla torre sotto la dominazione degli Orsini conti di Nola. Altre strutture allo stato di rudere, sul lato ovest, probabilmente la cappella palatina ricavata unendo ambienti preesistenti, collegano il donjon, originariamente isolato, al resto del castello. Questi elementi architettonici, che hanno modificato l’originaria struttura, confermano che il castello, a partire dal periodo angioino, non risponde più ad un’esigenza esclusivamente militare, ma è trasformato in luogo di soggiorno e diporto per l’amenità del sito. Altre strutture che testimoniano le diverse fasi di trasformazione sono le merlature e le feritoie per la difesa, sopraelevate alla muratura normanna nell’angolo sud-ovest del castello. Infatti si notano le diverse tecniche murarie e gli adattamenti operati per adeguare la struttura preesistente alle nuove esigenze di difesa. Le strutture del castello hanno subìto vari danni dal terremoto del 1980. Gli interventi più significativi hanno riguardato la prima torre quadrangolare nella cinta del castello, come si nota dal confronto fotografico prima e dopo i lavori di consolidamento, che in parte hanno obliterato finestre esistenti e feritoie per la difesa. La seconda cinta muraria, costituita da un notevole muro costruito con materiale misto, soprattutto grossi blocchi di tufo e pietra calcarea, denominata dagli abitanti del posto “cinta di San Paolino”, pone diversi problemi interpretativi. La tecnica ed il materiale costruttivo usato, prevalentemente tufo, proveniente probabilmente da altro sito hanno fatto ipotizzare agli studiosi un recinto preesistente all’insediamento normanno. Analizzando attentamente le strutture delle diverse opere fortificate, si nota che tali grossi blocchi di tufo sono utilizzati generalmente in tutte le strutture murarie, soprattutto dove la pietra doveva essere adattata a forme particolari o doveva costituire gli elementi di maggiore resistenza, come gli angoli delle torri. Tutto questo fa ipotizzare una struttura preesistente, di notevoli dimensioni, distrutta e riutilizzata come materiale edilizio. Tra la prima e la seconda cinta muraria sono comprese diverse strutture, tutte allo stato di rudere, che testimoniano il notevole sviluppo edilizio del castello. Le maggiori consistenze architettoniche si notano nel lato sud, dove tra l’altro è ubicato il “mulino”, struttura circolare, che nella conformazione attuale si presenta di difficile classificazione. Probabilmente si tratta di una torre, costituita da un primo livello adibito a cisterna e diviso in tre ambienti da muri radiali, al cui interno si notano le tracce di una scala elicoidale che collegava il primo al secondo livello. La copertura di questo vano è a volta, poggiante sul muro costruito come rifoderatura della struttura esterna più ampia. Tale struttura è anch’essa molto rimaneggiata, come si vede dalle aperture e dalle integrazione murarie. Dall’analisi delle strutture si nota anche che ai piedi della torre si sviluppa un muro più ampio di circa 2 metri con andamento concentrico, che lascia pensare ad una base sulla quale è stata innalzata la torre o, molto più probabilmente, al perimetro della torre più antica, demolita per costruire una struttura più modesta che assolvesse a funzioni diverse. Poco lontano da questa torre, sempre all’interno della seconda cinta muraria, vi era l’antica chiesa di Santa Maria a Castello, demolita, e sulle tracce della quale è stata edificata una moderna abitazione. Le poche strutture superstiti testimoniano un impianto a navata unica absidata di m 12x24 circa con caratteristiche architettoniche riferibili al XII secolo. La terza cinta muraria si sviluppa maggiormente sul versante nord, dove racchiude un’area molto vasta ed abitata, come si nota dagli innumerevoli ruderi ancora riscontrabili sui fianchi della collina. Dal lato ovest, tale cinta si restringe fin quasi a ricongiungersi alla seconda sul lato nord per il forte strapiombo. Nel lato ovest della terza cinta, in molte parti demolita od obliterata, si nota una struttura rettangolare coperta a volta e adibita a cisterna: tale struttura costituiva probabilmente il primo livello di una delle torri di guardia, poste lungo il perimetro murario esterno. Sul lato sud-est era ubicato il portello o le tre porte, come ancora viene chiamato. Questa struttura è costituita da un lungo corridoio inclinato di m 3,5x35 circa racchiuso da due alti muri che collegano la seconda e la terza cinta muraria. Costruzione molto singolare, presenta nella parte terminale a valle tre aperture ben conservate. Queste aperture ad arco ogivale hanno gli stipiti in tufo e presentano nei muri tracce dell’alloggiamento del trave di chiusura ed anche parte delle soglie con alloggiamento degli stipiti. Le due porte più in alto sono di minori dimensioni, posizionate una di fronte all’altra, e permettevano l’accesso alle aree nord-est e sud-est racchiuse nella terza cerchia muraria altrimenti non accessibili da nessuna altra parte del castello. La porta inferiore, di dimensioni maggiori, metteva in comunicazione l’area fortificata col borgo esterno e con le strade di accesso alla collina. La configurazione di questa porta permetteva una difesa laterale molto efficace prestando gli assalitori il fianco scoperto ai difensori. Nelle strutture del portello si notano diverse fasi costruttive, che testimoniano i restauri e gli adattamenti nei secoli alle diverse tecniche militari. A completamento della descrizione delle strutture fortificate della collina, vanno evidenziate le diverse cisterne presenti nelle tre cinte murarie ed esterne ad esse. Tali cisterne, probabilmente collegate tra di loro in modo da formare un vero e proprio sistema idrico, erano in grado di soddisfare le esigenze di approvvigionamento di tutta la popolazione presente sulla collina. Tale sistema è rimasto in uso fino a pochi decenni orsono quando è stato sostituito dal moderno acquedotto comunale. Un’altra testimonianza dell’antica importanza del castello di Cicala è data dalla presenza, in epoca medievale, di numerose chiese situate nel vasto territorio ad esso assoggettato. Alcune di queste sono ubicate in territori costituenti oggi comuni autonomi, molte scomparse, alcune ancora presenti nelle adiacenze del castello. Immediatamente fuori la terza cinta muraria è situata la chiesa della SS. Trinità, appartenente all'omonima abbazia di Cava, ancora oggi officiata. Ridotta ad un rudere quasi irriconoscibile è la chiesa del SS. Salvatore, situata al margine del borgo sul lato nord, i ruderi testimoniano un impianto a vano unico absidato di circa metri 8x16. Da una ricognizione superficiale del sito del castello si riscontra immediatamente la presenza di numerosi reperti dilavati e defluiti lungo le pendici della collina. Tali reperti, soprattutto ceramiche, qualche volta monete ed altro materiale, testimoniano la notevole stratificazione archeologica del sito fin dall’epoca protostorica protrattasi nel corso dei secoli. Una ricostruzione scientifica attendibile delle varie fasi di frequentazione della collina è possibile solo attraverso una corretta indagine archeologica, al più presto auspicabile, tenendo presente le notevoli opere di trasformazione e devastazione che stanno avvenendo sui fianchi della collina per dar luogo a costruzioni, piantagioni e nuove strade di accesso alle singole proprietà. Gli Storici Nolani, trattando dell'origine del Castello, si sono espressi con incertezza ed approssimazione, ed altri addirittura in maniera errata. Scrive il Leone (Ambrogio): ".... bisogna ritenere che il Castello sia stato costruito dai Nolani sia per i bisogni di guerra, sia per la vita molto comoda su queste colline". Invece il Remondini: "...fu dai Nolani edificato questo Castello, per maggiore sicurezza della Città cui sovrasta e sebbene oggi se ne veggano poche mura, già fu nei secoli addietro, una delle più forti Rocche della Campania Felice"; ponendo poi, la costruzione al tempo di Ruggero il Normanno. Il Musco, infine, avvicinandosi di più alla verità storica scrive: "Castel Cicala risale all'Alto Evo e fu in origine un Castello Longobardo appartenente ai Principi di Benevento". Con molta verisimiglianza doveva essere una fortezza di confine di quel Principato, con la Liburia (Ducato di Napoli). Il primo documento, in ordine di tempo, di cui si ha notizia, circa l'esistenza del Castello, è una preziosa pergamena del Secolo X conservata nell'archivio dell'Abbazia di M.Vergine nella quale è scritto che Giovanni (Vescovo appunto dal 948), procede ad una permuta del Castello di Cicala, che era in condizioni pessime, essendo stato distrutto da un incendio anni prima, con altri terreni. Lo storico Nicola Barone, in un suo scritto pubblicato a Maddaloni, nel 1924, conferma il suddetto documento, anche per la data (948) ed aggiunge la descrizione dell'incendio, avvenuto nel 937, ad opera degli Ungheri o Ungari. Dopo il dominio Longobardo, si conosce il nome di uno dei Conti preposto a Cicala tra la fine del X, inizio XI secolo: Marino (Marinus comes Castello Nolano) figlio di Orso Monaco ed aveva un figlio a nome Giovanni. Egli tenne il Castello ed il Casale al tempo degli Imperatori Bizantini Basilio e Costantino, mentre nel Ducato di Napoli sedeva Sergio Quarto; fu poi il Castello dominio dei Normanni, subendo danni notevoli dalle eruzioni del Vesuvio (993/1036/1139). Nel XII secolo fu Feudo di Federico II e poi del figlio Manfredi. Nella Bolla del Papa Innocenzo IV inviata da Anagni il 7 ottobre 1254, vi era scritto che egli concesse a Tommaso d'Aquino Conte di Acerra, ed al fratello Giacomo, tra le altre città, anche i Castelli di Cicala e Montesarchio, facendo cambio con la Contea di Loreto. La Pontificia concessione dei Castelli di Cicala e Montesarchio, ammette che i medesimi Castelli costituivano patrimonio della Chiesa, e di conseguenza il Papa poteva disporne. Carlo d'Angiò, assegnò, in seguito, la concessione a Guido di Monfort, con altri beni, e città, il Castello di Cicala nel 1268/69. Fra i primi Castellani di Cicala, dopo l'avvento di Carlo d'Angiò, risultano i nomi di: Guidone de Vito, Girardo de Villario, Simon de la Forest. Fu poi per lungo tempo Feudo degli Orsini: infatti verso la fine dell'anno 1479, troviamo Raimondo Orsini con il titolo di Conte, poiché spettarono a lui oltre al Castello, altre Terre. Dopo oscure vicende Cicala passò, dopo la Congiura dei Baroni (nel 1485) ad altri Orsini, e cioé: a Nicola, Conte di Pitigliano, e, nel 1509, ad Enrico. Con la donazione di Carlo V nel 1529 e la morte di Enrico nel 1533, avvenuta prima che gli Imperiali del Principe di Oranges, entrati in Nola, lo potessero imprigionare, la città di Nola ed altre Terre, furono donate al Viceré Carlo de Lanoy (o de la Noy): Famiglia originaria delle Fiandre ed alla consorte (Vice/Regina) Isabella di Mombel. Nel 1534, la Terra di Cicala fu regalata da Carlo Quinto, a Dionigi Bellotto (dei Longobardi di Benevento). Nel 1546, la Principessa di Mombel, asserendo che Cicala era di sua pertinenza, la vendette a Luigi Dentice, di origine Amalfitana. Troviamo il Castello nel 1563, di proprietà di Laura Albertini, vedova di Troiano Albertini, che cedette il Castello ad Antonio, suo suocero, per 2320 ducati.Nel 1573, Pompeo Albertini, lo vendette a Marzia Albertini, moglie di Angelo Alberto, che a sua volta lo passò ad Annibale Loffredo, ma questi, per ristrettezze finanziarie, dovette cederlo al Generale Consiglio, che lo alienò per la cifra di 5520 ducati. Tra il 1597 ed il 1611, il Castello subì l'ultimo radicale restauro, ma il 26 marzo 1632, un'eruzione del Vesuvio lo danneggiò in parte. Ceduto dal Fisco nel 1640 a Ladislao di Polonia, fu poi concesso al Duca di Maddaloni, Diomede Carafa. Dopo alterne vicende Cicala con le sue terre passò, nel 1725, alla famiglia Ruffo di Bagnara, e precisamente a Paolo Ruffo, con il quale ebbe origine il ramo di Castelcicala: Paolo Ruffo fu il Primo Principe di C/Cicala, con diploma dell'imperatore Carlo VI, del 29 gennaio 1729. Da oltre due secoli il Castello ormai giace abbandonato ed inabitato, tranne alcuni recenti restauri (anni 1960/80), dovuti alla Sovrintendenza della BB.AA. di Napoli. Altri link consultabili: http://www.castcampania.it/nola.html, http://iluoghidelcuore.it/luoghi/7933
Fonti: testo preso da https://bellezzemandamentali.jimdo.com/napoli/nola/castel-cicala/ (dove trovate anche molte foto interessanti....)
Foto: la prima è di micgiovanni su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/12166, la seconda è di Arch Ubaldo Pezone su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/370818/view