domenica 28 febbraio 2021

Il castello di domenica 28 febbraio


ROMETTA (ME) - Palatium Federiciano

Durante la conquista araba della Sicilia, a Rometta si concentrò l'ultima difesa bizantina contro l'invasione araba. In particolare, dal 963 al 965, Rometta sostenne un durissimo assedio e i suoi abitanti si contraddistinsero per un atto estremo di eroismo. Tra il 24 e il 25 ottobre 964, fra la spiaggia e la roccaforte assediata, avvenne una sanguinosa battaglia. L'armata bizantina, forte di 30.000 uomini, inviata nell'isola da Costantinopoli per spezzare l'assedio arabo su Rometta e riconquistare all'impero la Sicilia, impegnò l'esercito assediante con impeto e con cariche di cavalleria. Ma gli Arabi, sebbene inferiori di numero, riuscirono a fermare l'avanzata degli avversari e, incitati dal proprio condottiero, Ibn ʿAmmār, costrinsero i bizantini alla fuga. Al termine della battaglia, oltre diecimila soldati di Bisanzio giacevano morti sul campo mentre il resto fu tratto prigioniero. Si narra che sul campo fu trovata una spada appartenuta al profeta dell'Islam, Maometto, che era stata catturata dai Bizantini in una precedente battaglia. L'assedio a Rometta continuò sino al maggio successivo, quando, ormai, i difensori, senza alcuna speranza di ulteriori aiuti da Costantinopoli, stremati dalla fame e dai continui assalti portati dagli assedianti, inviarono fuori dalle mura le donne, i bambini e gli anziani superstiti che furono accolti nel campo nemico. All'alba del 5 maggio 965, gli Arabi, dopo aver offerto ripetutamente la resa ai guerrieri romettesi e ricevutone da questi il rifiuto, sferrarono l'attacco decisivo alle mura di Rometta con tutte le loro forze. I pochi difensori li accolsero con le armi in pugno: caddero tutti, ad uno ad uno, combattendo. Rometta fu saccheggiata e data alle fiamme. Rometta fu riconquistata dai bizantini nel 1038, grazie alla spedizione imperiale di Giorgio Maniace, principe e Vicario dell'Imperatore di Costantinopoli, discendente dalla famiglia Imperiale di Bisanzio, che riconquistò parte della Sicilia, ma il dominio fu breve, tanto che la Sicilia, Rometta compresa, caddero di nuovo nelle mani degli Arabi nel 1043. Sempre nell'XI secolo Rometta con tutta la Sicilia fu conquistata dai Normanni, per l'esattezza nel 1061, sotto la guida dei fratelli d’Altavilla, Ruggero e Roberto il Guiscardo. L'importanza storica di Rometta deriva soprattutto dal sito su cui sorge, simile ad un baluardo naturale isolato circondato da precipizi e impervie vallate. In tal modo la natura, con opere d'integrazione suggerite dall'accorgimento umano, contribuì a rendere Rometta uno dei centri più formidabili di resistenza dell'intera Sicilia. Per tutto il medioevo, Rometta esercitò la funzione di nodo fortificato con un preciso ruolo strategico poiché dall'alto delle sue mura e delle sue torri controllava un buon tratto dell'antica strada montana che da Messina conduceva a Palermo. Un sistema di controllo e di vigilanza che si poggiava sulle numerose torri o torrette fortificate sparse su tutto il suo antico distretto e che trovavano la loro base nella stessa città-castello: chi possedeva il controllo militare di questa potente città-roccaforte, possedeva la chiave per prendere Messina. Rometta era l’ultima fortezza che poteva fermare o rendere più difficile l’avanzata di un esercito invasore verso Messina. Ancora oggi sono visibili le antiche fortificazioni o torrette (loc. Scalone e Torretta) dislocate lungo i nodi delle regie trazzere. Sotto Federico II di Svevia, Rometta fu ulteriormente potenziata nelle strutture difensive con la ristrutturazione delle mura di cinta e del Palatium e fu inclusa, nel 1239, nei "Castra Exempta", la rete di castelli demaniali per la difesa del Regno. All'indomani dei Vespri Siciliani, Rometta appoggiò la candidatura alla corona di Sicilia di Pietro d’Aragona contro Carlo d'Angiò. Per questo, Federico III, il 13 ottobre 1323, concesse alla città gli stessi diritti e privilegi che già godevano i Messinesi. La concessione, la cui Pergamena originale è conservata nell'Archivio di Stato di Messina, riguardava alcune agevolazioni in campo fiscale e giudiziario, nonché ribadiva l'ascrizione della città nel Demanio Regio e l'esercizio per i cittadini romettesi degli Usi Civici nei terreni di proprietà della corte regia. Rametta, così come venne chiamata a partire dal XI secolo, nominava un proprio rappresentante al Parlamento del Regno di Sicilia, sezione demaniale, con diritto di voto. Nel 1532, Papa Clemente VII con bolla papale elevò la Grancia di S. Leone ad Abbazia concedendo al Priore ed Abate l'uso della mitra e dei pontificali. Il priore ricopriva anche la carica di Arciprete della vasta Arcipretura di Rametta che abbracciava (lo farà sino ai primi del 1900) le parrocchie dei centri abitati di Bauso, Calvaruso, Saponara, San Martino, Venetico, Valdina, Rocca e Torregrotta. A partire dal XVI sec., la città mutò il nome in quello attuale di Rometta. Nel 1648 le venne riconosciuto da Filippo IV di Spagna il titolo di Città e nel 1816 divenne capoluogo di Circondario (Mandamento dall’Unità d’Italia) con sede di Pretura e Ufficio del Registro e Bollo con giurisdizione sui Comuni limitrofi. Infine, un Monte di Prestanza, fondato nel 1846, e un Ospedale Civico completavano la lista delle istituzioni civiche presenti, un tempo, a Rometta. Sul Poggio Torre, il punto più alto (m. 563 s.l.m.) del centro storico, si può ammirare quel che rimane del castello svevo. Attualmente il complesso monumentale, che occupa una balza montana lunga 200 metri e larga 20, consta di pochi ruderi, sebbene i resti continuino a presentarsi imponenti nella loro mole. Esso fu costruito in diverse epoche, a partire da quella bizantina per poi assumere, in età sveva-aragonese la compattezza di un organismo costruttivo unico. Non si conosce con certezza la data della costruzione del Palatium, ma molti studiosi concordano nel porre la sua edificazione non oltre il tredicesimo secolo. L'imponente struttura, pensata sia come residenza che come luogo fortificato, per tutto il medioevo rappresentò il cuore della città-castello di Rometta. I ruderi più cospicui sono ad oriente; qui trova posto presumibilmente il mastio, nominato tradizionalmente "Palatium". Il "palatium" si compone di due corpi quadrangolari adiacenti e dei due, il maggiore si presenta suddiviso in due ambienti da un muro di spina, ancora oggi esistente. La torre occidentale si presenta manifestamente più piccola (metri 7,50 per 6,50) nelle proporzioni e dimensioni, sebbene anch'essa presenti una tecnica edilizia pressoché identica, composta da pietrame di calcare leggermente o non sbozzato, inzeppato da laterizi, nonché cantonali, per quel che rimane, rinforzati e composti di bei conci squadrati. In ultima analisi tra i due grandi corpi di fabbrica si possono ancora osservare gli ultimi resti della cinta muraria del castello, nella forma di un basso muro di cinta, che collega le due grandi torri sia a nord, che a sud. La torre costituiva la parte estrema del gruppo fortificato con funzioni di vedetta ed è anche chiamata "Carceraria" in quanto in seguito fu destinata a luogo detentivo per i condannati a morte. Il palazzo abbandonato nel corso degli anni a se stesso cadde sempre più in rovina, l'ultima grande arcata crollò nel 1935. Si possono ancora apprezzare sia le mure merlate nonché la cisterna ancora quasi del tutto intatta. Altri link consigliati per approfondire: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/messina/rometta.htm, https://www.typicalsicily.it/sicilia/Elenco/area-archeologica-a-rometta-palatium-federiciano/, https://www.youtube.com/watch?v=AwEHpnxz5hc (video di GR PROD_EDIT by G. Repici), https://www.youtube.com/watch?v=fwEFsDpAxG8 (video di Angy venuto)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rometta, file:///C:/Users/micheletti/Downloads/Itinerario-Turistico-Rometta-IT.pdf, https://www.icastelli.it/it/sicilia/messina/rometta/castello-di-rometta, http://prolocorometta.it/index.php/k2/il-palatium-federiciano, http://www.rometta.net/archeoclub/palatium.htm

Foto: la prima è presa da file:///C:/Users/micheletti/Downloads/Itinerario-Turistico-Rometta-IT.pdf, la seconda è presa da https://www.icastelli.it/it/sicilia/messina/rometta/castello-di-rometta

sabato 27 febbraio 2021

Il castello di sabato 27 febbraio



CASTROLIBERO (CS) - Torre

Dopo una serie di infeudazioni minori, Castelfranco finì nel patrimonio della potente famiglia Sanseverino di Bisignano (sec. XV). Nel 1487, a seguito di quella che sarebbe passata alla storia come la congiura dei baroni, cui parteciparono anche i Sanseverino, re Ferdinando ordinò che venissero abbattute le mura di cinta e le case di Castelfranco, poiché quella fortezza aveva creato notevoli problemi agli Aragonesi di Cosenza. Correva l'anno 1550 quando Pietro Antonio Sanseverino concesse in dote alla figlia Eleonora, convolata a nozze col marchese della vicina Rende, le cittadine di Castelfranco e Cerisano, compresi, ovviamente, i diritti e addirittura i vassalli di ogni rango. Tra il 1562 e il 1566 il feudo di Castelfranco (Castrolibero) venne acquistato da Valerio Telesio, fratello del celebre filosofo Bernardino. Vessati in vario modo dal nuovo feudatario, i vassalli castelfranchesi non sopportarono a lungo il "giogo" del barone. Dopo un tentativo contro il figlio Roberto, il 10 agosto del 1579, in circostanze ancora misteriose, gli abitanti di Castelfranco diedero luogo a una rivolta popolare che si concluse con l'uccisione del Telesio nella chiesa di San Giovanni. Castelfranco passò successivamente ai Sersale, discendenti di un vecchio proprietario del feudo, che lo possedettero sino alla fine del XIX secolo. Su un promontorio del paese si trova una zona archeologica denominata “Palazzotto” nella quale esistono ruderi di una cinta muraria e parte di una torre circolare, nota come “La Guardiola”. Potrebbe trattarsi dei resti di un accampamento dei Franchi, popolo germanico che fondò la Francia, giunti qui intorno all’868 d.C., guidati da Ottone di Bergamo, per combattere i Saraceni di Amantea (CS). E’ per questo motivo che in passato Castrolibero ebbe il nome di “Castelfranco” o “Castel Franco” o “ Castrum de Franco” o “Castra Francorum”. Prese il nome di Castrolibero nel 1863 quando il sindaco propose tale nome per due motivi: l’orizzonte “libero” che si gode dal colle su cui si trova l’abitato e in memoria delle libere istituzioni introdotte dal re Vittorio Emanuele II. Il Palazzotto non era però l’unica zona in cui si trovava una fortezza. Nella piazza di ingresso al paese esisteva, nell’XI secolo, un castello normanno costruito da Roberto il Guiscardo, raso al suolo nel 1487 dal re Ferdinando d’Aragona, come già scritto. Nel 1994, a seguito degli scavi effettuati da un'équipe dell'Università della Calabria, si è scoperto che il "quarto" di torre visibile era solo la punta di un iceberg sotterraneo. Dagli scavi è emersa l'intera circonferenza, con enormi mura, della torre. Ad una certa altezza della stessa è venuta alla luce una feritoia (finestrella) che punta, verso le località di Marano-Rende, su quella che un tempo fu una porta di accesso alla fortezza. Altre mura (databili al XVI sec.) sono venute alla luce in vari punti dei saggi effettuati dagli esperti. Altro link di approfondimento: https://digilander.libero.it/castrolibero/pag7Palazzotto.html

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castrolibero, testo di Silvana Franco su https://www.facebook.com/media/set/?set=a.860648144110164&type=3, testo di Alberto Anelli su https://digilander.libero.it/castrolibero/pag6bis.html

Foto: entrambe di Silvana Franco su https://www.facebook.com/media/set/?set=a.860648144110164&type=3

venerdì 26 febbraio 2021

Il castello di venerdì 26 febbraio



POZZUOLI (NA) - Palazzo Toledo

Il palazzo Toledo era un grosso complesso edilizio costituito, dalla dimora del Viceré, da una torre di avvistamento, e dalla cavallerizza, un edificio basso e lungo, parallelo all'attuale via Pergolesi, che ospitava gli alloggiamenti per i soldati e le stalle, e sul cui portale d'ingresso è ancora visibile lo stemma del Vicerè. La torre, costruita contestualmente al palazzo tra il 1539 e il 1541, aveva il compito di difesa, ma anche di controllo dell'ingresso del porto, ed era parte di un sistema difensivo, che faceva capo al castello di Baia (https://castelliere.blogspot.com/2019/10/il-castello-di-martedi-1-ottobre.html), per l'avvistamento delle navi dei pirati saraceni. Essa si compone di 3 piani e uno seminterrato. Ogni piano è costituito da un unico ambiente. In età borbonica alla torre venne affiancata una nuova struttura adibita a carcere così come la stessa torre e il passaggio Toledo. Nel corso del 1900, a seguito dello sviluppo demografico dovuto all'apertura del cantiere Armstrong verso la fine del 1800 che comportò un aumento migratorio che non aveva avuto eguali nella storia puteolana, sia la torre che il passaggio Toledo furono utilizzati come abitazioni di fortuna per 149 persone con un unico bagno per espletare i propri bisogni fisiologici. A seguito della legge del 9 Agosto 1954 per l'eliminazioni delle abitazioni malsane, il passaggio Toledo e la torre furono sgomberati. A seguito delle crisi bradisismiche del 1970 e 1983 la torre rimase in uno stato di degrado. Recenti sono le ristrutturazioni che nel piano generale prevedono la torre come struttura per ospitare un museo. Tutto il complesso del Palazzo Toledo venne edificato in una posizione estremamente panoramica, di fronte al golfo e al porto, ed era circondato da un rigoglioso e vasto giardino che, dall'osservazione dell'iconografia antica, appare evidente si estendesse dall'ingresso del palazzo in direzione nord, cioè verso l'attuale via Follieri e le ex Terme Lopez. La dimora era costituita da numerose stanze, tutte magnificamente arredate, addobbate con arazzi ed affrescate, pare, dall'artista aretino Giorgio Vasari, e abbellita con numerose decorazioni marmoree, colonne e statue di epoca romana rinvenute sul posto nel corso dei lavori di costruzione del palazzo. Il complesso edilizio, finanziato dallo stesso Don Pedro fu, con tutta probabilità, progettato da Ferrante Manlio (conosciuto anche come Ferdinando Maglione), regio architetto che godeva della fiducia del Toledo anche per i problemi di urbanistica della capitale. Un'ipotesi è che il palazzo del viceré fu costruito proprio dove prima insisteva la residenza di Alfonso Secondo d'Aragona, l'ipotesi è di Raimondo Annecchino realizzata a seguito del rinvenimento di un atto notarile del 1391 che citava la chiesa del convento dei Benedettini, Sant'Andrea de Palatio, dove per palatio ovvero palazzo si poteva intendere una residenza prestigiosa, probabilmente per quel periodo angioina prima e aragonese poi. Don Pedro, per molti mesi all'anno, soggiornava nel suo palazzo puteolano, non solo per i suoi momenti di riposo, di svago o per motivi di salute, ma anche per attendere ai suoi uffici politici e amministrativi di Viceré, com'è dimostrato dai numerosi documenti firmati e datati da Pozzuoli recanti la dicitura Datum Putheolis o Civitate Putheolis. Dopo la morte del Vicerè il palazzo, almeno per tutto il Seicento è appartenuto alla famiglia Toledo ed ha continuato ad avere la magnificenza di un tempo. Quando i Toledo lasciarono Pozzuoli per tornare in Spagna, la dimora del Vicerè conobbe un primo momento di abbandono fino al 1872 quando, su progetto dell'arch. Ernesto Villari, vennero aggiunti altri due piani diventando l'ospedale di Pozzuoli, funzione che mantenne fino al 1970 quando venne sgomberato in conseguenza del bradisisma. Per un breve periodo ospitò la Biblioteca Civica ma, viene definitivamente abbandonato dopo il bradisisma degli anni 1983-1985. Nel 2005 il Comune di Pozzuoli ha ottenuto un finanziamento europeo per un progetto che destinava Palazzo Toledo a Biblioteca e Archivio Storico. In questa nuova veste la dimora di Don Pedro de Toledo, è stata riaperta al pubblico nel marzo del 2009 e dall'aprile 2011 ha ospitato l'Archivio Storico, la Biblioteca Civica, l'Ufficio Beni Culturali e l'Ufficio Attività Multimediali, diventando così il Polo Culturale del Comune di Pozzuoli. La ristrutturazione e la restituzione di Palazzo Toledo alla cittadinanza puteolana, è un giusto riconoscimento all'opera svolta dal Viceré in favore della città. Pozzuoli e i Puteolani devono, infatti, tantissimo a Don Pedro de Toledo in quanto non è azzardato affermare che senza il suo intervento oggi, forse, la città non esisterebbe. Altri link: http://www.campiflegrei.it/desktop/Palazzo%20e%20Torre%20Toledo%20Pozzuoli.html, https://www.ulixes.it/italiano/i_pg01.html?https://www.ulixes.it/italiano/Torre_Toledo.html

Fonti:http://www.palazzotoledo.comune.pozzuoli.na.it/index.php/palazzo-toledo?start=1, https://www.totemgo.com/place/it/italia/pozzuoli/storia/palazzo-toledo/, https://www.totemgo.com/place/it/italia/pozzuoli/storia/palazzo-toledo-la-torre/

Foto: la prima è presa da https://www.totemgo.com/place/it/italia/pozzuoli/storia/palazzo-toledo-la-torre/, la seconda è presa da https://www.pozzuolinews24.it/da-lunedi-il-polo-culturale-di-pozzuoli-torna-a-tempo-pieno/

giovedì 25 febbraio 2021

Il castello di giovedì 25 febbraio



CASTIGLIONE IN TEVERINA (VT) - Rocca Monaldeschi

L’attuale abitato è sorto intorno all’Anno Mille attorno ad una Rocca e nel 1351 vi furono trasferiti gli abitanti della distrutta Paterno. Nel Medioevo fu feudo dei Monaldeschi della Cervara e dei Savelli. Ceduto ai Farnese nel 1539, fece parte del ducato di Castro fino al 1637, quando i castiglionesi, stanchi di passare da un padrone all’altro, "si riscattarono" contraendo un censo di 20.000 scudi. Castiglione visse rilevanti avvenimenti nel Risorgimento, particolarmente dopo il 1860, quando facendo ancora parte dello Stato pontificio venne a trovarsi a meno di un chilometro dal confine dal Regno d'Italia, nel quale fu annesso il 18 settembre 1870, due giorni prima della Breccia di Porta Pia. La prima notizia certa della rocca risale all’inizio del XIV secolo (1323), quando venne, per la prima volta, menzionata nella Carta del Popolo di Orvieto. Ampliata successivamente a difesa del nucleo abitativo sviluppato dalla famiglia Monaldeschi dopo la distruzione della vicina Paterno (utilizzando proprio i materiali provenienti dalla limitrofa città limitrofa da loro rasa al suolo). Originariamente la Rocca era ben difesa a Nord da un fossato artificiale ed a Sud dal naturale degradare del pianoro. Passata di mano nel corso dei secoli tra lo Stato Pontificio e le potenti famiglie dell’epoca (Monaldeschi, Savelli, Farnese, Ravizzi) oggi la Rocca, benchè si denotano le trasformazioni subite dall’edificio nel corso dei secoli, conserva ancora numerose testimonianze architettoniche di fortezza del periodo medievale. L'edificio si presenta a pianta qua­drata con resti di torri angola­ri. Altri link per approfondimento: http://www.vasanellovt.it/I%20COMUNI%20DELLA%20PROVINCIA%20DI%20VITERBO/Castiglione%20in%20Teverina.html, https://youtu.be/yzzkHPuYr18 (video di ACNMVIDEO), https://www.youtube.com/watch?v=bMX61IUba8U (video di Mirco Luzi)

Fonti: http://halleyweb.com/c056018/zf/index.php/storia-comune, http://www.lagodibolsena.org/le-localita/castiglione-in-teverina-18.html, https://muvis.it/la-rocca-monaldeschi/, https://digilander.libero.it/viterboeprovincia/paesi/castiglione_in_teverina.htm

Foto: entrambe del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini

mercoledì 24 febbraio 2021

Il castello di mercoledì 24 febbraio



GENZANO DI ROMA (RM) - Castello di San Gennaro

Le strutture affioranti presso S.Gennaro hanno evidenziato almeno tre fasi edilizie, che sottolineano come questa zona sia stata oggetto di frequentazioni in età romana e medievale: IV-III secolo a.C.: età medio-repubblicana (testimoniata da blocchi di tufo in opera quadrata). I sec. a.C.-inizi I sec. d. C.: venne edificata una villa di cui si conservano i resti di una cisterna e dell’impianto termale. Particolarmente evidenti sono 3 ambienti paralleli, che fino in epoca recente sono stati utilizzati dai pastori come ricovero per il gregge. XII sec. d.C.: è la fase del Castello medievale di S. Gennaro, di cui si conservano le mura di cinta e resti dei torrioni. Anche se in rovina da secoli, il castello è tuttora chiaramente identificabile per la permanenza di cospicui tratti di mura di epoca medioevale in blocchetti di tufo, che racchiudono una spianata di circa 7000 mq. La costruzione della cinta fortificata va probabilmente attribuita alla famiglia degli Annibaldi nel XIII sec. d.C. Nel 1270 il luogo era già abitato come sembrerebbe testimoniare la notizia relativa al Prosenatore di Roma, Pietro de Sumoroso, che ordinò di raccogliere armate da luoghi diversi, tra cui “De sancto Iennaro”, per marciare contro Rocca di Papa e Cisterna. Il castello venne in parte distrutto nel 1303 dai Veliterni in una rappresaglia contro gli Annibaldi; i danni non furono riparati e il castello fu abbandonato. La zona di San Gennaro ha evidentemente suscitato, fin da tempi remoti, un certo interesse per la sua storia e ancor più per la presenza di resti antichi, come testimonia una concessione di scavo per ricerche di antichità del 10 ottobre 1563 e rinnovata il 2 marzo del 1575 a tal Andrea di Velletri. Sono stati rinvenuti molti oggetti all’interno del Castello e, soprattutto, nei terreni circostanti: frammenti in marmo di colonne, capitelli, lesene, sculture, fregi, piastrini scanalati ecc. Nel 1952 il crollo di una parte delle fondazioni del castello di S. Gennaro ha riportato alla luce i resti di una cinta di mura in opera quadrata di tufo del IV secolo a.C. Presso la torre medievale Nord venne così alla luce un tratto costituito da cinque filari alti circa 60 cm con blocchi alternati a testa e taglio, oggi ricoperto da un fitto roveto, il quale venne riutilizzato come fondazione per il castello medievale. Presso la porta d’ingresso del castello si conservano invece due blocchi in pietra arenaria, che poggiano direttamente sulla roccia naturale, adiacenti ai quali compaiono altri tre blocchi in tufo lionato alti 45 cm. Altri blocchi di tufo si scorgono ai piedi della torre Sud-Ovest, parzialmente rivestiti dalla muratura medievale. Tutto intorno al colle inoltre si scorgono dei tagli artificiali nella roccia realizzati per migliorarne il carattere difensivo.
Questa fortificazione corrisponde all’antica città di Maecium, presso la quale ebbe luogo la celebre vittoria dei Romani di Furio Camillo contro i Volsci nel 389 a.C. (Plutarco, Vita di Camillo, 34 e Diodoro, XIV, 117). Nel Medioevo le mura di cinta di Maecium e del Sublanuvium vennero riutilizzate come fondazioni per il castello di S. Gennaro, il quale ne ricalcò grossomodo anche la pianta. La muratura del castello è costituita da tufelli regolari del XIII secolo, corrispondenti all’epoca in cui risale l’erezione del castrum medievale..

Fonti: https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-di-san-gennaro, testo dell'Archeologo Dott. Christian Mauri su https://archive.fo/9vYEI#selection-429.0-445.11, https://keebboo.com/it/genzano-di-roma/castello-di-san-gennaro-e-via-appia-antica.html

Foto: la prima è di Deblu68 su https://it.wikipedia.org/wiki/File:Genzano_di_Roma_-_ruderi_castello_San_Gennaro.JPG, la seconda è presa da https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-di-san-gennaro?ldc

martedì 23 febbraio 2021

Il castello di martedì 23 febbraio



SAN MARZANO DI SAN GIUSEPPE (TA) - Palazzo Marchesale

È noto che nel Medioevo l’area di San Marzano di San Giuseppe era abitata; ma non vi era un insediamento concentrato in un unico posto, infatti, a causa delle continue incursioni dei saraceni che durarono dal secolo VIII secolo fino all’anno 1000 circa, la gente viveva nelle grotte sparse nelle vicinanze o si spostava nell’entroterra, dove poteva vivere con più tranquillità. Nei secoli successivi e sino al 1300 non c’è quasi nessuna informazione sulla zona. Nel 1304 il proprietario del “Tenimentum Sancti Marzani” era Egidio de Fallosa, menzionato in un documento della cancelleria angioina perché sollecitato a pagare le decime al clero di Oria. Nel 1329, il casale venne infeudato a Giovanni Nicola De Tremblaio; mentre da un documento degli archivi di Napoli del 1378, si evince che il feudatario del “Tenimentum Sancti Marzani” era Guglielmo de Vicecomite. Più tardi, il casale entrò a fare parte del Principato di Taranto e si trovava proprio vicino ai suoi confini. Poiché era abbandonato, il Principe Giovanni Antonio Orsini del Balzo lo diede in feudo a Ruggero di Taurisano, affinché lo ripopolasse. Ma il casale rimase ancora spopolato quando passò a Delizia, figlia ed erede di Ruggero di Taurisano, la quale andò in sposa a Roberto da Monterone e, il 31 gennaio 1461, donò il casale a suo figlio Raffaele da Monterone. Solo Roberto, figlio di Raffaele da Monterone, si prese cura del ripopolamento del casale, fino a che, per le tristi condizioni del tempo in cui viveva, si trovò impigliato nella congiura dei baroni locali (1459-1462), attizzato dagli Angiò francesi contro il Re spagnolo di Napoli, Ferdinando I, per cui fu accusato di fellonia e il feudo gli venne tolto. Nel 1465, il feudo, insieme al Principato di Taranto fu inglobato nel Regno di Napoli, da parte di Giovanna d'Aragona, vedova di Ferdinando I ed erede del Principato e parzialmente assegnato in piccoli feudi a famiglie di provata fede aragonese. All'inizio del '500, il feudo del “Tenimentum Sancti Marzani” apparteneva a Stefano di Mayra di Nardò, Signore del casale di Sava che, nel 1504, vendette il feudo disabitato a Francesco Antoglietta, 8º barone di Fragagnano. Alcuni documenti dell’epoca ci dimostrano che, intorno al 1508, nella parte bassa di San Marzano vi abitavano alcune famiglie corfiote ed epirote che si erano trasferite dal vicino villaggio di Fragagnano a causa della incompatibilità con la popolazione autoctona. Con disposizione del 24 aprile 1530, il re di Napoli, Carlo IV, incaricò il viceré di Napoli, Filiberto de Chalôns di mettere all'asta i beni appartenenti al regio demanio e quei feudi devoluti alla corona, per raggiungere la somma di 40.000 ducati d'oro. A sua volta, il principe de Chalôns delegò per tale operazione il luogotenente Pompeo Colonna, futuro viceré. Con dispaccio personale del 1º maggio di quell'anno dispose la delega al Colonna di vendere città, terre, luoghi, castelli ecc. Si avviò una serie di negoziati che videro interessato anche il feudo di San Marzano in Terra d'Otranto, situato tra il confine della città di Taranto e quella della città di Oria, per il quale fece richiesta di acquisto il fedele "caballero de armadura ligera" Demetrio Capuzzimati (il cui cognome è stato italianizzato, in quanto letteralmente in lingua albanese significa “scarpa grande”) che lo ebbe per 700 ducati insieme al titolo di barone con atto di compravendita, datata 27 luglio 1530. All'inizio del '500, i Capuzzimati vivevano a San Pietro Vernotico e a Squinzano nel Salento. Il Palazzo Marchesale sorge dove un tempo esisteva una costruzione andata distrutta a causa di scorrerie e saccheggi (secondo il Farella, in origine era il Castrum Carrellum - tesi però non condivisa da altri storici - abbandonato e divenuto in seguito la Masseria delli Rizzi, distrutta anch’essa dalle varie scorrerie e abbandonata). Venne costruito per volere del Barone Demetrio Capuzzimati, nel 1530, sulla linea di confine dei due feudi Li Rizzi e San Marzano, da lui acquistati. L'edificio ha subito nel corso del tempo, vari rifacimenti, ma ha comunque conservato la sua struttura principale voluta dai Marchesi Lopez che sono stati proprietari dal 1639 al 1699. Fu con la famiglia Castriota e in particolare con la marchesa Elena Castriota, dal 1700 al 1744 che il Castello ha ricevuto un poderoso impulso e la struttura è come oggi la vediamo. Alla Marchesa si deve il completamento della piccola chiesa di San Gennaro, posta all’esterno, che assieme al Palazzo Marchesale rappresenta un elegante ed imponente opera di stile rinascimentale tipica del XVI-XVII secolo. I due edifici sono collegati tra loro tramite un corridoio che partendo dal portone del Castello giunge alla chiesetta di San Gennaro, dove i feudatari amavano assistere alle celebrazioni religiose. Imboccando il portone si accede ad un cortile interno. Al piano terra ci sono le stanze adibite alla stalla, agli alloggi del personale e al deposito delle scorte ad uso alimentare. Tramite una scalinata in pietra si accede al piano superiore dove sono ubicate le stanze della nobiltà. Sull’ampia volta vi è dipinto lo stemma dell’ultimo marchese di San Marzano. Nel suo insieme il Palazzo Marchesale ha uno stile sobrio, elegante ma imponente. Ben strutturato ed armonico, con un loggiato grazioso e una fuga di arcate eleganti. Sono state diverse le famiglie che si sono succedute nel Palazzo dal 1530 ad oggi: i Capuzzimati ( 1530-1638)-i Lopez ( 1639-1699)- i Castriota ( 1700- 1744)- i Galluccio ( 1745-1755), i Capece-Castriota ( 1765-1806)- i Bonelli ( 1806-1929)-i Casalini ( 1930- a tutt’ oggi). Ci giungono tracce del Castello, tramite un documento del 5 dicembre 1630 redatto dal tavolaro S. Pinto, incaricato dalla Regia Camera della Sommaria, di valutare i beni in possesso del barone Demetrio Capuzzimati junior in merito all’ordinanza di esproprio del feudo per i debiti che aveva contratto. In un altro documento del 1633, redatto dal tavolaro Scipione Paterno, si ha notizia anche di un “ ponte a levatore”, oggi non più esistente, e quindi, si presume, ci dovesse essere anche un fossato. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=FnAcEQ1RVa4 (video di sammarzanesi), https://www.famedisud.it/a-san-marzano-di-s-giuseppe-si-e-rinnovato-il-rito-dellabbondanza-della-solidarieta-e-del-fuoco-propiziatore-photo-gallery/ (una foto del cortile interno del palazzo)

Fonti: http://www.mondoarberesh.altervista.org/038.html, https://www.iltarantino.it/turismo/san-marzano-di-san-giuseppe-palazzo-marchesale/, http://www.prolocomarciana.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=83:palazzo-casalini&Itemid=148

Foto: la prima è di Asia su https://it.wikipedia.org/wiki/File:San_Marzano_di_San_Giuseppe_-_Palazzo_Capuzzimati.jpg, la seconda è presa da http://www.sanmarzano-ta.gov.it/

lunedì 22 febbraio 2021

Il castello di lunedì 22 febbraio



MORIONDO TORINESE (TO) - Castello

Il nome di Moriondo deriva da "Mons Rutundus Cherientum" che nel 1216 alludeva alla formazione del rilievo collinare, comprendente le rispettive frazioni di Bausone e Lovencito. La storia del comune di Moriondo Torinese è legata ai Marchesi del Monferrato poi di Asti, successivamente fu territorio di Chieri. Nel 1418 divenne dominio sabaudo, mentre nei primi anni del 1700 divenne feudo di Moriondo e Lovencito. In quegli anni vennero effettuate importanti ristrutturazioni al al Castello che venne trasformato da fortezza cinta di mura e bastioni a dimora signorile. Il castello, oggi proprietà privata di una famiglia di industriali di Castelnuovo Don Bosco, domina dall'alto l'abitato del paese. Fu fatto costruire tra il 1010 e il 1039 dal vescovo Landolfo di Torino a scopo difensivo. Esso, assieme a quello di Cinzano, costituiva una posizione strategica al confine del territorio del Marchese del Monferrato. Si trattava di fortificazioni poste a semicerchio intorno al territorio dell'allora vescovo di Torino. Vi si accede da una torre in mattoni, con coronamento di merli ghibellini, nella quale si apre un arco. L'edificio fu molto modificato soprattutto verso la metà dell'ottocento per volere di Gioacchino Faussone. A tutt'oggi un accurato lavoro di manutenzione dell'edificio ne conserva intatto tutto il suo fascino. Annesso al maniero vi è un parco ricco di piante d'alto fusto. Del castello è stato proprietario l'industriale Virginio Bruni Tedeschi, nonno dell'ex topmodel Carla Bruni, che fu anche sindaco del comune per quasi un trentennio (1946-1974). Altri link suggeriti: https://www.facebook.com/PiemonteDaScoprir.PaginaUfficiale/videos/2030070130628877/ (video con foto di Silvana Bertalotto), https://www.youtube.com/watch?v=OAfUZvXwqtg (video di Città metropolitana di Torino)

Fonti: http://www.comune.moriondo.to.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=29506, https://it.wikipedia.org/wiki/File:Moriondo_Torinese.JPG, http://www.comune.moriondo.to.it/Home/Guida-al-paese?IDDettaglio=29509, https://www.prolocomoriondotse.eu/moriondo-un-po-di-storia/

Foto: la prima è di maxaimone su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/246292, la seconda è di SIMONA LOVEinAvoid su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/206296/view

domenica 21 febbraio 2021

Il castello di domenica 21 febbraio



ORTOVERO (SV) - Castello Clavesana

Nel medioevo il borgo di Ortovero e il suo castello furono un importante caposaldo dei marchesi di Clavesana contro il sempre più crescente potere del vicino Comune di Albenga. Tuttavia, già nel 1242 gli abitanti ortoveresi, secondo quanto scritto in un documento dell'epoca, tentarono un primo distacco dalla pressione dei marchesi organizzandosi in Universitas ed in Comunitas. Un risultato, però, invano e che andò invece ad inasprire i rapporti e gli obblighi feudali da parte della comunità di Ortovero verso i signori. Anche Albenga cercò di limitare un possibile dominio dei Clavesana nella piana albenganese erigendo, nel corso del 1288 e a monte di Ortovero, un nuovo borgo fortificato e in ottima posizione strategica lungo la strada della valle Arroscia: Polium, l'odierna frazione ortoverese di Pogli. Il passaggio di proprietà del castello, del feudo e del territorio di Ortovero dai Clavesana al Comune di Albenga avvenne nel corso del 1341 e seguendone le sorti albenganesi - e parallelamente della Repubblica di Genova - fino alla dominazione napoleonica di fine XVIII secolo. Dal 1349 è Vescovo di Albenga Giovanni dei marchesi di Ceva e consignore di Priero e Sale quando nacquero delle dispute sulle decime tra l'arciprete e la comunità di Ortovero, il vescovo Giovanni con atto del 10 settembre 1360 a rogito del notaio Antonio Ceva, le acquietò. Con la successiva dominazione francese venne istituita la municipalità di Ortovero (che inglobò anche la comunità di Pogli) che rientrò dal 2 dicembre 1797 nel Dipartimento del Letimbro, con capoluogo Savona, all'interno della Repubblica Ligure. Dal 28 aprile del 1798 fece parte del I cantone, con capoluogo Albenga, della Giurisdizione di Centa e dal 1803 centro principale del IV cantone della Centa nella Giurisdizione degli Ulivi. Annesso al Primo Impero francese, dal 13 giugno 1805 al 1814 venne inserito nel Dipartimento di Montenotte. Sito in località Pozzo, il castello fu eretto nel XIII secolo dai Clavesana. Ad oggi esistono soltanto alcuni resti del castello, ruderi di una precedente torre e tracce di un villaggio abbandonato. Altri link suggeriti: https://www.sardegnareporter.it/2020/11/alle-origini-della-nostra-civilta-il-castello-di-ortovero/358928/ (con sequenza fotografica), https://www.rivieradeifiori.tv/it/rubriche-it/mete-turistiche/951-ortovero-il-castello-dei-clavesana

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Ortovero, https://www.24orenews.it/home/turismonews/82583-alle-origini-della-nostra-civilta-il-castello-di-ortovero

Foto: entrambe di Christian Flammia su https://www.24orenews.it/home/turismonews/82583-alle-origini-della-nostra-civilta-il-castello-di-ortovero e su https://www.sardegnareporter.it/2020/11/alle-origini-della-nostra-civilta-il-castello-di-ortovero/358928/

sabato 20 febbraio 2021

Il castello di sabato 20 febbraio



LACES (BZ) - Castello

Fu costruito probabilmente nel 1297 dal conte di Tirolo Mainardo II che lo diede in feudo a Otto di Laces che da qui amministrava la giustizia locale. Nel 1313 la sede di giustizia fu spostata a Silandro e il castello passò a Enrico di Parcines. Alla sua morte, nel 1364, i tre figli si divisero l'eredità e il castello andò a Heinrich von Annenberg, che già possedeva il castel Monte Sant'Anna. Durante il XV secolo il castello fu ristrutturato con la costruzione, tra l'altro, di una cappella dedicata nel 1472 alla Vergine Maria. Il maniero rimase nelle mani della famiglia von Annenberg fino alla sua estinzione nel 1695. In seguito passò ai conti di Hendl già proprietari di Castel Coldrano. Nel 1770 scoppiò un furioso incendio che distrusse completamente l'edificio: non fu più ricostruito e le sue rovine furono concesse dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria al conte di Mohr proprietario del castel Montani di Sopra e di Sotto. Nel 1813 venne addirittura utilizzato come cava per la nuova chiesa del paese. Nel 1826 le rovine furono acquistate da Juliana von Martin che nel 1842 ne incominciò la ricostruzione, stravolgendone però l'impianto originale con nuovi edifici e il rimaneggiamento di quelli vecchi. In seguito il castello passò al Dottor Franz von Breitenberg, la cui famiglia lo vendette nel 1950 agli Oberhofer attuali proprietari. Tra il 2002 e il 2007 fu oggetto di un profondo restauro. A causa dei numerosi interventi nel corso del tempo, il nucleo originale del castello è ormai difficilmente riconoscibile. Si doveva trattare comunque di una casatorre merlata di cinque piani circondata da un fossato, cosa molto rara in Val Venosta. Oggi il mastio misura 21 metri di altezza e 8 metri di lato. L'entrata si trova al primo piano e resti murari fanno pensare che sul muro a nord si trovasse un gabinetto a sbalzo. Sul portone di ingresso troneggia uno stemma degli Annenberg del XV secolo. Essendo una dimora privata il castello non è visitabile. Da oltre 20 anni il maso del castello di Laces è gestito in modo biologico, ora anche secondo le regole dell’agricoltura biodinamica. Qui vengono prodotti succhi biologici "EVA": dal fruttato Golden Delicious alle gustose cuvée con barbabietola, mela cotogna o albicocca.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Laces, https://www.suedtirolerland.it/it/sport-e-tempo-libero/mangiare-e-bere/i-sapori-del-maso/produttori/castello-di-laces/

Foto: la prima è presa da https://map.gallorosso.it/it/castello-di-laces-a-laces--1-1739.html, la seconda è di ManfredK su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Laces#/media/File:Latsch_Burg.jpg

venerdì 19 febbraio 2021

Il castello di venerdì 19 febbraio



CASTELSILANO (KR) - Castello dei Rota

La fondazione di Castelsilano risale ad un'epoca relativamente recente. Gli annali raccontano, infatti, che correva l'anno 1685 allorchè Scipione Rota, Principe di Acheroentia decise la costruzione di una struttura fortificata dove appoggiarsi durante le sue lunghe battute di caccia e dove dimorare durante i mesi estivi. Attorno a questa struttura fortificata sorsero gradatamente le abitazioni. Chiamato col nome Castrum Casini nell'accezione originaria, divenne Comune autonomo col nome di Casino il 14 agosto del 1811 con decreto di Gioacchino Murat. L'attuale denominazione Castelsilano risale al 13 maggio 1950, quando il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi concesse alla popolazione locale un cambio della precedente dicitura di Casino di Calabria, motivo di scherno degli abitanti per via dell'ambiguo significato del termine "casino". Secondo una leggenda, il toponimo "Casino" sarebbe invece legato a un casino di caccia eretto da Scipione Rota, principe di Cerenzia, al termine di una contesa fra due feudatari confinanti, Nicola Cortese, duca di Verzino, e Franco Cavalcanti, duca di Caccuri. Stando a questa leggenda, il Rota si sarebbe posto come intermediario tra i due litiganti e li avrebbe invitati nel proprio feudo per una battuta di caccia che, conclusasi con un cospicuo bottino e con un abbondante banchetto, portò alla riappacificazione dei litiganti, con il Rota che maturò la decisione di costruire un "casino" di caccia dove i tre si sarebbero potuti di nuovo riunire per ulteriori battute. A prescindere dalle motivazioni dietro alla costruzione dell'edificio, il casino di caccia del Rota fu effettivamente costruito nel 1650. Nel corso del ‘900 il Castello non fu più valorizzato e venne dato ad alcune famiglie che ci andarono a vivere. La struttura è a pianta quadrata, e intorno vennero costruiti dei casolari per il personale addetto e poi altri per ospitare contadini e pastori. Il castello, una volta maestoso e dominante la valle, è ancora esistente, ma completamente assediato dal moderno abitato. Altro link suggerito: https://youtu.be/3ZnBMRC5H30 (video di Raffaele Testa)

Fonti: file:///C:/Users/micheletti/Downloads/depliant.pdf, https://it.wikipedia.org/wiki/Castelsilano, http://www.silaonline.it/savelli-caccuri-castelsilano/, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Calabria/crotone/provincia000.htm#castelsilano

Foto: la prima è presa da https://www.keebboo.com/it/castelsilano/castello-di-castelsilano.html, la seconda è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Calabria/crotone/castelsilan02.jpg

giovedì 18 febbraio 2021

Il castello di giovedì 18 febbraio



MELDOLA (FC) - Castello di Castelnuovo

A pochi chilometri da Meldola, non lontano dalla strada statale bidentina, che conduce in Toscana, si trovano i resti del castello di Castelnuovo. In quest’area sorgevano, oltre al castello, anche una pieve ed un borgo, sviluppatosi attorno alla fortificazione. Ad oggi non rimane traccia della pieve e del suo campanile, che è crollato negli anni ’70. Le pochissime indagini storico- archeologiche finora svolte sembrano collocare Castelnuovo in quella serie di castelli eretti nel X-XIII secolo, detti di seconda generazione perché edificati con lo scopo di difendere l’insediamento rurale, e spesso con prerogative di cittadine o quasi cittadine, a differenza dei castelli di prima generazione, nati nel tardo mondo antico come strumenti di difesa militare. Documentato fin dal 900, appartenne ai Calboli ed era conosciuto con il nome di Castrum novi. Passò poi in proprietà ai signori di Castrocaro e nel 1141 alla Chiesa Ravennate, per ritornare poi dopo alterne vicissitudini ai Calboli e ai Malatesta di Giaggiolo (In questo periodo si ritiene che il il Castello di Castelnuovo possa essere stato teatro del celebre episodio di Paolo e Francesca, gli amanti di cui ci racconta Dante nel V Canto dell’Inferno: questo perché Paolo era il capostipite della dinastia dei Malatesta della vicina Rocca di Giaggiolo). Riacquistato dalla chiesa di Ravenna nel 1234 passò poi nel 1350 agli Ordelaffi che fortificarono il sito e vi fecero costruire la torre. Di forma quadrata di ben 7 mt di lato ed alta 15 mt, con alla base mura di spessore superiori al 1,7 mt., la torre, a cui si accede tramite un breve sentiero in salita, si erge, maestosa, al centro della spianata del castello, oggi rivestita da un manto di prato verde: anche se della struttura mancano parti importanti, crollate nei secoli, è evidente il richiamo alla possenza del Medioevo e all’importante storia che tanti secoli fa ha interessato questi territori. La chiesa riuscì a reimpossessarsi del castello nel 1362 ad opera del cardinale Egidio Albornoz. I secoli successivi videro la dominazione dei Malatesta, dei Manfredi, degli Iseo, di Caterina Sforza e dei Veneziani che lo detennero fino al 1509. Tornato alla Santa Sede, venne infine concesso in feudo agli Iseo, agli Aldobrandini e per ultimi ai Doria Pamphilj. Dell'antico nucleo restano imponenti ruderi della torre, posta in posizione dominante in cima al colle, un agglomerato di case che probabilmente comprendevano il comune e l'ospedale di Sant'Antonio, e ad un centinaio di metri verso la valle i resti del campanile della pieve risalente al XV secolo. Dalla sommità del colle sul quale svetta la torre è possibile controllare le valli del Bidente e del Voltre con lo sguardo che spazia fino al mare. Ben visibili i vicini castelli di Teodorano, Meldola e Rocca delle Caminate. Grazie a questo video di Bacco (https://www.youtube.com/watch?v=N17XTWWteb0), possiamo osservare dall'alto attraverso le riprese di un drone, quel che resta di Castelnuovo di Meldola

Fonti: https://www.appenninoromagnolo.it/castelli/castelnuovo.asp, http://www.spaziindecisi.it/space/castello-di-castelnuovo/, http://www.castelnuovo.net/visita-a-castelnuovo/, https://www.giuseppevitagliano.it/2020/03/24/castelnuovo-rocca-abbandonata-di-paolo-e-francesca-urbex-italia/

Foto: la prima è presa da https://www.forlitoday.it/cronaca/undici-secoli-di-vita-per-castelnuovo-di-meldola-si-cercano-i-fondi-per-salvare-il-castello.html, la seconda è di Giuseppe Vitagliano su https://www.giuseppevitagliano.it/2020/03/24/castelnuovo-rocca-abbandonata-di-paolo-e-francesca-urbex-italia/

mercoledì 17 febbraio 2021

Il castello di mercoledì 17 febbraio



TRESANA (MS) - Castello di Giovagallo

E' un castello poco conosciuto, fuori dalle usuali mete turistiche, a causa della sua collocazione e dello stato di abbandono in cui si trova. Giovagallo è una frazione del comune di Tresana che comprende Pietrasalta, Agneda, Vigonzola, Tavella e lo stesso paese di Giovagallo. Il paese si trova a destra del torrente Penolo, e confina con la Liguria. Nel 1202, in un documento tra i Malaspina ed i Vescovi-Conti di Luni, Giovagallo è rappresentato da "domini et populus". Nel 1266 Manfredo Malaspina divenne il padrone del feudo di Giovagallo. Successe a lui il figlio Moroello, uno dei più grandi capitani del suo tempo, che sposò Alagia Fieschi. Entrambi sono ricordati da Dante nella Divina Commedia, come probabile segno di riconoscenza per l’ospitalità goduta dall'Alighieri nel castello di Giovagallo. E' triste vedere che un castello di tale importanza storica, sia in totale abbandono alla mercè del tempo. Se è vero che versa in stato di degrado da secoli, è pur vero che un briciolo di intervento conservativo lo meriterebbe, specie la torre e qualche stanza ancora visibili, ma inaccessibilI a causa dei crolli. Per arrivare a queste rovine, si percorre la strada che da Barbarasco conduce a Tresana. Appena passato il paese di Barbarasco, si segue la strada sulla sinistra, in direzione Giovagallo e la si percorre passando per lo stesso Giovagallo, fino alla frazione di Tavella. Quì è visibile il sentiero che sale sulla destra, marcato con il classico segnavia rosso e bianco. Proseguendo si attraversa il ponte sul torrente Penolo e si passa alla sua sinistra in una zona fredda, del tutto coperta dal sole. Si afferma che al castello di Giovagallo si battesse moneta, tuttavia sembra una notizia poco credibile in quanto, il privilegio di battere monete era concesso a Guglielmo I nel vicino castello di Tresana e non in quello di Giovagallo. Il castello, lesionato dal tempo, di cui oggi non restano che i ruderi, era uno snodo strategico per le caratteristiche logistiche e strutturali: posto su un colle orientale del Monte Corneviglia, era circondato sia a est sia a ovest da due gole profonde e raggiungibile via strada dal lato nord. Una posizione favorevole, utile alla difesa, ma poco adatta all’abitazione: la leggenda vuole che, in periodo di pace, il castello venisse abbandonato. L'edificio con le sue costruzioni accessorie, doveva essere fortissimo in relazione alle tecniche belliche del tempo. Dalla torre principale il maniero consentiva la vista di un ampio territorio feudale: la struttura ospitava i marchesi, gli armigeri e naturalmente gli inservienti, una cisterna convogliava l’acqua in un condotto in muratura, rendendo il castello indipendente e autonomo anche in caso d’attacco e un oratorio ospitava Alagia Fieschi in preghiera. Tra le rovine vi sono resti di mura di difesa (riconoscibili da qualche feritoia) o mura di contenimento di terrazze. Mano a mano che si sale si incontrano sassi ovunque, testimonianza di crolli, e pezzi di mura di antiche abitazioni. Sul vertice dell'altura c'è quel che resta della torre, in gran parte crollata. Sul versante est della torre è visibile una fessura, all'interno della quale, si intravede una stanza. Nello stesso versante, ma quasi ai piedi di essa, c'è un apertura causata da un crollo, dove si scorge una stanza sotteranea. Sul lato ovest, ridiscendendo per un pezzo il ripido versante, si nota un muro che presenta degli incavi simili a mensole. Altri link suggeriti: http://www.comune.tresana.ms.it/gallerie/castello-di-giovagallo/,https://www.terredilunigiana.com/cas, http://www.paesifantasma.it/Luoghi/castello-di-giovagallo.htmltelli/castegiovagallo.php, https://www.istitutovalorizzazionecastelli.it/castello-di-giovagallo/

Fonti: testo su http://www.lunigianainsolita.com/articolo/il-castello-di-giovagallo, https://www.toscanaovunquebella.it/it/tresana/dante-al-castello-di-giovagallo, https://it.wikipedia.org/wiki/Giovagallo

Foto: la prima è presa da https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-di-giovagallo?ldc, la seconda è presa da http://www.comune.tresana.ms.it/gallerie/castello-di-giovagallo/

martedì 16 febbraio 2021

Il castello di martedì 16 febbraio



LASA (BZ) - Castelletto di Cengles (Fuschsburg)

Il castello era la sede dei signori di Cengles, ministeriali dei vescovi di Coira, e fu costruito verso il XIII secolo. Nel 1421 divenne di proprietà dei Lichtenstein e nel XVI secolo fu ingrandito e ristrutturato. Nel 1764 i Lichtenstein si estinsero e il castello passò ai conti Fuchs von Fuchsberg, che lo rivendettero nel 1817 all'avvocato meranese Putz. In seguito passò alla famiglia Tscholl. Nel 2011 al suo interno è stato aperto un ristorante. Il castello, che è stato recentemente ristrutturato, è una struttura compatta con mura perimetrali di cinta originariamente merlate. Oggi sono ancora visibili tre merli a coda di rondine in corrispondenza del portale d'ingresso. Il complesso consiste di due torri, una piccola e una grande, collegate da un edificio con merli a coda di rondine. All'ingresso un portale costituito da grossi blocchi di marmo bianco, risalente all'anno 1000, reca nella chiave di volta gli stemmi dei signori di Cengles. Nel versante rivolto verso il monte sono visibili i resti della cinta muraria che circondava il castello. In una delle torri vi sono cinque camini in pietra. Sono nettamente visibili, inoltre, alle finestre, le tracce di pitture ornamentali di periodo rinascimentale. È invece ad arco acuto l'ingresso che porta alla residenza, dove è posto lo stemma dei conti Fuchs, risalente all'inizio del XIX secolo. L'interno ospita la mostra permanente di figure lignee di Roland Veith.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castelletto_di_Cengles, https://www.venosta.net/it/silandro-e-lasa/cultura-arte/attrattive/rocche-e-castelli/10511686-castello-cengles.html, scheda di Stefano Favero su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Trentino/bolzano/cengles.htm

Foto: la prima è di L'empereur Charles su https://it.wikipedia.org/wiki/Castelletto_di_Cengles#/media/File:Tschenglsburg_(1).JPG, la seconda è presa da http://www.trafoi.net/Dintorni2/Cengles_15674.html

lunedì 15 febbraio 2021

Il castello di lunedì 15 febbraio



LASA (BZ) - Castello di Cengles (Burg Tschenglsberg)

Il castello fu costruito dai Cavalieri di Cengles, che vengono nominati per la prima volta in documenti scritti nel 1192 e si estinsero nel 1421. In seguito il castello passò ai Lebenberg, ai Fuchs e ai Lichtenstein. Questi ultimi, considerandolo scomodo, lo abbandonarono e si spostarono nel castelletto di Cengles, più vicino al paese. Nel 1809, per nove mesi, vi si nascose il padre cappuccino Haspinger, sostenitore della causa tirolese nell'insurrezione del Tirolo e in fuga dopo la sconfitta nella battaglia del Bergisel. Oggi è di proprietà del principe Von Rachewitz, a cui appartiene anche castel Fontana (https://castelliere.blogspot.com/2019/10/il-castello-di-lunedi-14-ottobre.html). Nonostante sia in rovina e abbandonato, il castello ha ancora un aspetto imponente. È composto da un mastio rotondo di circa una ventina di metri di altezza con un porta d'entrata a qualche metro dal suolo. La torre è circondata da mura alte una decina di metri. Il castello è stato sempre usato per fini bellici e quindi non presenta palazzi o edifici residenziali. È raggiungibile dalla frazione di Cengles in circa un'ora di cammino.

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Cengles,

Foto: la prima è di L'empereur Charles su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Cengles#/media/File:Tschenglsberg_(3).JPG; la seconda, proveniente dall' © archivio fotografico dell'Ufficio Beni architettonici ed artistici, è presa da http://www.provincia.bz.it/arte-cultura/beni-culturali/che-cosa-e-un-monumento.asp#accept-cookies

domenica 14 febbraio 2021

Il castello di domenica 14 febbraio



DAVOLI (CZ) - Castello Felluso

Nel IX secolo d.C. si stabilirono a Davoli i monaci basiliani, fondando eremi e cenobi. Con le incursioni saracene agli inizi del XIV secolo, la popolazione si rifugiò in collina insediandosi nelle località di S. Michele, S. Caterina e S. Nicola. Il nucleo urbano si sviluppò intorno al 1500 sotto il potere dei principi di Satriano. Nel XVI secolo la zona fu meta di molti dotti e clero, i quali, con i diritti i privilegi della loro condizione arricchirono Davoli di palazzi maestosi e la Marina di sontuose dimore di villeggiatura, punto di incontro per i giovani dell’epoca che frequentavano scuole di medicina, di giurisprudenza e di fisica. Tra gli sfarzosi edifici primeggiava quello in località Felluso, appartenuto alla famiglia Filangieri - Fieschi. I primi di origine napoletana mentre i Fieschi genovese. Il castello fu edificato da Filippo Filangieri nel 1750. Costruito in cima ad una collina, rigogliosa per la vegetazione di ulivi con una visuale aperta a 360 gradi che offre una delle vedute più ampie, su questa parte della Calabria, dal mare ai monti, da sud a nord. Nella sua struttura architettonica, il castello è una costruzione rettangolare con cortile interno, che si sviluppa su un piano terra e un primo piano. Sui quattro angoli si innalzano quattro torri quadrangolari, su ciascuna delle quali si aprono 3 feritoie di avvistamento e di difesa. Nel 1571 il suo castellano era il caporale Jacopo Antonio Magalli, cui succedette il caporale Vincenzo Romeo. Segnalo questo link, importante per approfondire l'argomento: https://www.slideshare.net/RobertaSantoro1/gruppo-2-3b

Fonti: https://www.calabriacontatto.it/davoli/, http://www.parcodelleserre.it/index.php?option=com_content&view=article&id=261:davoli&catid=126:beni-culturali&Itemid=537&lang=it,

Foto: entrambe prese da https://www.slideshare.net/RobertaSantoro1/gruppo-2-3b

sabato 13 febbraio 2021

Il castello di sabato 13 febbraio



CALASCIBETTA (EN) - Torre normanna

Frequentata in epoca bizantina come attestano documenti ottocenteschi relativi a grotte basiliane affrescate, si ritiene che una vera e propria fondazione di Calascibetta sia avvenuta con la conquista normanna dell'isola, dove appare menzionata nel 1062, quando fu fortificata da Ruggero I, che fece costruire il castello denominato “Marco”, la prima cinta muraria, il primo borgo, durante l'assedio di Castrogiovanni, e il grande duomo dedicandolo alla Vergine Maria e all'Apostolo San Pietro. In seguito rimasta città demaniale, conobbe un periodo di ineguagliato splendore, favorita e preferita come fu dai re aragonesi, tra cui Pietro II che durante un soggiorno vi spirò, che la dotarono, sull'esempio dei normanni di templi e monumenti. La Torre Normanna è un bellissimo monumento a Calascibetta che risale al 1079 e funge da campanile alla Chiesa di San Pietro. Era una delle torri dell’antico castello fatto costruire dal Conte Ruggero D’Altavilla in occasione del lungo assedio della città di Enna, fortezza della quale non restano che pochi resti, molti dei quali sono stati inglobati da costruzioni postume, come la già citata chiesetta di San Pietro. La Torre ha una pianta rettangolare e vi si accede mediante un portale a sesto acuto che conduce fino alla cella campanaria. L'ingresso è situato sul prospetto nord: questa parete ha un fronte di circa 7 m ed un'altezza, dalla quota della piazza, di circa 19 m. Il portale, a sesto acuto, si apre in uno spessore murario di m 1,85 e da accesso ad un ambiente rettangolare delle dimensioni approssimative di m 4 x 2 dal quale, attraverso una scala metallica si accede alla cella campanaria. Quest'ultima è costituita da un unico ambiente di m 3,15 x 4,35; ciascuna delle pareti maggiori (nord e sud) presenta due finestre con arco a tutto sesto; su ognuna delle altre due pareti si apre una finestra anch'essa con arco a tutto sesto Sulla parete ovest e parte della parete sud si trova un robusto contrafforte che si eleva per circa m 10,50 dal livello della piazzetta e scende al disotto di questa per circa m 12 raggiungendo la quota di via dei Longobardi; parte del contrafforte è occultata da un'abitazione. La cella ospita sette campane; ciascuna di esse porta inciso il nome e la data di fusione. La più antica delle campane e denominata "U Priu di San Pitru " (la Preghiera di San Pietro) riporta la scritta: " Opus Iorgii D'exarbatu" nonchè la data aprile 1561. I paramenti murari sono costituiti da blocchetti irregolari in pietrame sui fronti est e sud e da conci di arenaria squadrati in quelli nord ed ovest. Nel corso degli anni "80 sono stati operati lavori di restauro e consolidamento e le condizioni generali di conservazione sono buone. Il restauro del 1590 le diede l'attuale forma, restringendola oltre il contrafforte, nella parte sommitale, in tal modo passò da torre medievale merlata a torre campanaria. I lavori di ristrutturazione della torre furono ordinati da Pietro Belhomo procuratore delle Chiese Matrici di Calascibetta. In omaggio a papa Niccolò II, morto a Firenze il 27 Agosto del 1061, Ruggero dedicò, la chiesa fortezza appena ultimata nel 1079 a S. Pietro Apostolo. Maestosa ed adagiata sull'altura più alta del monte Xibet troneggiava sulle vallati circostanti. La Chiesa-Fortezza di San Pietro, fu voluta dal condottiero normanno per magnificare la fede cristiana e nello stesso tempo per essere osservata con invidia e timore dagli abitanti di Castrogiovanni, poco Distanti da Calascibetta, che fino al 1091, (anno della conquista della città da parte Normanna), professarono la fede musulmana. Altri link suggeriti: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/enna/calascibetta.htm, http://www.comunecalascibetta.gov.it/StoriaeTurismo/CenniStorici.aspx, https://youtu.be/ezXJvhwxumE (video di IP Motive - dal minuto 3,22 al 3,47 è ripresa la torre di Calascibetta), https://youtu.be/71rOTaM0QVQ (video di PiccolaGrandeItalia.tv)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Calascibetta, https://www.typicalsicily.it/sicilia/Elenco/monumento-a-calascibetta-torre-normanna/, https://infocalascibetta.it/9-chiese/4-torre-normanna.htmli, http://www.sicilie.it/sicilia/Calascibetta_-_Torre_Normanna

Foto: la prima è di Davide Mauro su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Torre_Normanna_di_Calascibetta.jpg, la seconda è presa da https://www.vivienna.it/2020/04/14/calascibetta-corona-di-fiori-davanti-cimitero-il-tricolore-che-sventola-sullantica-torre-e-campane-a-festa/

venerdì 12 febbraio 2021

Il castello di venerdì 12 febbraio



LORANZE' (TO) - Castello Rosso

Durante il periodo medievale, nonostante facesse parte dei possedimenti terrieri del vescovo eporediese dell’abbazia di Santo Stefano, fu governata da alcune famiglie nobili, quali i Griva e i Soleiro di Ivrea. I conti di Rivarolo, nel 1260, vendettero alcuni possedimenti del feudo al conte Umberto di Castelnuovo; questo spiega la presenza di tre rami genealogici: i San Martino di Parella, quelli di Loranzè e quelli di Castelnuovo. I San Martino di Loranzè parteciparono alla guerra contro i marchesi di Monferrato, ma al termine di essa furono assoggettati al potere dei Savoia. La popolazione del luogo partecipò anche alla ribellione dei tuchini, con la speranza di liberarsi dal potere feudale. Il castello è la costruzione più antica di Loranzè, di cui rimangono parti importanti risale all'XI secolo, sulle rovine di un edificio circolare, forse une torre di guardia. Dello stesso periodo è il più antico documento in cui esso è menzionato (carta di fondazione del Monastero di S. Stefano d'Ivrea del 1041). A questo periodo appartengono alcuni muri inglobati poi nelle successive costruzioni, tuttora riconoscibili, e la torre quadrata. Nei primi decenni del XIV secolo i San Martino, coinvolti nelle lotte tra Impero e Papato si schierarono con il Vescovo di Ivrea a favore degli Angioini; il Castello fu attaccato dalle truppe dei Valperga, ma resistette agli assalti senza subire distruzioni. Gravi danni subì invece durante la rivolta popolare dei Tuchini del 1386/87, nella quale venne invaso, depredato ed in parte distrutto. La ricostruzione immediatamente successiva, fatta a nord-ovest della parte distrutta, (probabilmente tra un muro rimasto in piedi e l'antico muro di cinta) è caratteristica di quegli anni con le sue torrette d'angolo, piombatoie e saracinesca al portone d'entrata, e il largo oso del mattone Nel XVI secolo Carlo di Loranzè iniziò la costruzione ex novo dell'ala a Sud-est, sopra all'antico accesso per i cavalli. I grandi mutamenti avvenuti in campo politico e sociale condizionarono la forma della nuova costruzione, che non ebbe più strutture difensive, ma assunse l'aspetto di abitazione. L' intonaco rosato che ricopre quest'ala spicca nel verde circostante e rende il Castello visibile per un largo raggio dando origine alla denominazione Castel Rosso. Nei secoli seguenti altre demolizioni, aggiunte, ricostruzioni con incorporazione di vecchie murature nelle nuove si susseguirono, rendendo difficile l'individuazione delle forme originarie. Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=1SRxhJ1pxQk (video con drone di LightbeamVideo)

Fonti: http://www.italiapedia.it/comune-di-loranz_Storia-001-137, https://www.comune.loranze.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-rosso-2217-1-e93c219b7fb97c0603c0be0a41ba011f,

Foto: la prima è di halzy su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/42198/view, la seconda è di Laurom su https://it.wikipedia.org/wiki/Loranz%C3%A8#/media/File:Loranz%C3%A8_Castello_Rosso_01.jpg

giovedì 11 febbraio 2021

Il castello di giovedì 11 febbraio



LUGAGNANO VAL D'ARDA (PC) - Castello in frazione Prato Ottesola

La monumentale struttura che fu dei conti Mancassola Pusterla è una delle più prestigiose testimonianze di architettura fortificata in val d’Arda. Il Castello, di cui vi sono tracce risalenti al 1000, è situato in posizione dominante su un’altura a pane di zucchero che denota l’antica presenza del mare, confermata dalla presenza nel terreno di conchiglie e di vari resti marini. La posizione amena di questo antichissimo insediamento, oggi proprietà del nobile Agostino Fioruzzi, erede dei Mancassola Pusterla, è resa particolarmente suggestiva dagli ampi quadri panoramici che si colgono dalla sommità della collina, oggi coltivata a vigneto, e che determinano le mutevoli, naturali, scenografie dell’intorno. Nella parte medievale si notano costruzioni di epoche diverse, tutte comunque precedenti al XIV secolo mentre la parte antistante è stata destinata ad abitazione civile nel corso del XVIII secolo, pur mantenendo importanti presenze medievali. Il castello faceva parte di un importante sistema di castelli e torri di segnalazione, i più vicini dei quali si trovano a Monte Zago (ruderi) e a Magnano, ancora in buono stato. La monumentale residenza fortificata e il suo giardino, emergenti in un contesto paesaggistico pressoché intatto, assumono i connotati di invariante del paesaggio e punto di riferimento percettivo e orientativo, che si colgono progressivamente, percorrendo in salita la strada che si stacca dalla comunale. Questa sobria, eppure sfarzosa residenza fortificata, che assume anche aspetti di compenetrata ruralità, è il risultato di una serie di interventi aggregativi, scalati nel tempo, promossi dai conti Mancassola Pusterla e che la ricca documentazione dell’archivio privato della famiglia consente di ricostruire. I lavori, compiuti nel Seicento, comportarono radicali trasformazioni alla “casa chiamata il castello”, come veniva denominato all’epoca il maniero, riqualificato negli ambienti interni tuttora esistenti e ancora parzialmente identificabili nella loro configurazione originaria. Inoltre, le carte d’archivio restituiscono in modo inappuntabile l’alto livello di raffinatezza degli interni, la presenza degli arazzi, immancabili complementi di arredo delle dimore dell’aristocrazia, e testimoniano altresì la presenza di un oratorio, intitolato a S. Giustina, compatrona di Piacenza, posto nel primo cortile. L’apertura straordinaria del giardino e degli ambienti dell’antichissimo complesso di Prato Ottesola, di recente restaurato, ha consentito di potere entrare negli spazi privati di questa aristocratica architettura del passato e di cogliere lo stretto rapporto creatosi nel tempo fra la residenza, il giardino e il contesto paesaggistico.Attraverso l'ampio portone ad arco si accede alla corte interna con doppio loggiato a tre luci con pilastrini in cotto sul lato corto, e con ambienti abitativi e funzionali sviluppati sui lati lunghi. L'edificio che conclude a nord la quinta di fondo della corte è la rocca vera e propria, circondata da un fossato superabile tramite un ponte, in origine levatoio, con una torre posta all'angolo nord-est, recentemente recuperata a un rovinoso degrado. Molti ambienti della rocca furono modificati nel corso dei secoli, ed è difficile se non aleatorio arrivare a fondate letture. E' tuttavia sostenibile che la torre nord, denominata il "torrone" nei documenti settecenteschi e da poco restituita a una forma assai vicina a quella originaria, sia la costruzione più antica, esempio dell'architettura castrense che nel Basso Medioevo proliferava in tutto il territorio piacentino, legata a logiche militari, di difesa, di controllo, economiche, "inizialmente solo torre di avvistamento a molti piani, fortificata e massiccia, poi torre casa e castello, posto in un angolo o al centro o a cavaliere del recinto", scrive Carmen Artocchini, quasi a paradigma della storia di Prato Ottesola. Nell'inventario del 1716 per la prima volta si registra l'esistenza di un'iscrizione lapidea collocata tra gli incastri del ponte levatoio della rocca, tuttora esistente. Il documento testualmente recita "nel Maschio del Torrone una campana, che si sona per la giusticia con sotto una pietra con il millesimo 953 alli 4 giugno con l'arma Mancassola", parole che, con minime varianti, si ritrovano nei successivi inventari del 1748 del 1792.

Fonti: http://www.altavaltrebbia.net/castelli/val-darda/2208-castello-di-prato-ottesola.html, https://www.turismopiacenza.it/2020/12/31/il-castello-di-prato-ottesola/, alcuni testi di Letizia Scherini Rota Candiani su https://www.academia.edu/42060380/IL_CASTELLO_DI_PRATO_OTTESOLA (una pubblicazione dedicata proprio al castello, che invito a leggere nella sua interezza!)

Foto: la prima è presa da http://www.turismoapiacenza.it/castello_di_prato_ottesola.html, la seconda è di Sergio Efosi Valtolla su https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/88237184_3334512429899328_6858885346613002240_o.jpg?_nc_cat=105&ccb=3&_nc_sid=730e14&_nc_ohc=rzrQZGRUgG8AX-Um-d8&_nc_ht=scontent-mxp1-1.xx&oh=81c2d36704d7dd2e6f408f89441484fb&oe=604AC8C8

mercoledì 10 febbraio 2021

Il castello di mercoledì 10 febbraio



MONTALCINO (SI) - Castelletto Accarigi in località San Giovanni d'Asso

Castelletto Accarigi è situato lungo la strada a sterro che unisce Monterongriffoli con la strada provinciale  14 Traversa dei Monti, su un poggio lungo la riva destra del torrente Asso. Già di proprietà della famiglia Piccolomini, successivamente venne acquisito dai Marsili per poi passare agli Accarigi di Venezia, loro parenti, dai quali attualmente prende il nome. Giulio Accarigi priore di Venezia, uno degli appartenenti a questa stirpe, nel 1639, fece dipingere da Astolfo Petrazzi il quadro di S. Girolamo per l'omonima cappella esistente ai piedi del castello, costruita tra il 1629 e il 1639, a navata unica di due campate con volta a crociera. Il complesso è strutturalmente costituito da due grandi fabbricati, uno risalente alla fine del XIII secolo, come testimoniato dalla base a scarpa e dai resti degli antichi piombatoi, l'altro di epoca più recente e più volte rimaneggiato. Pur essendo di proprietà privata, è possibile visitare il castello esternamente percorrendo a piedi il vialetto che lo circonda.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Monterongriffoli, http://www.cretesenesi.com/castelletto-accarigi-p-3_vis_9_167.html, http://www.ursea.it/walking/932/percorso.htm, https://www.pacellarealestatemontalcino.com/le-nostre-proposte/castelletto/

Foto: sono entrambe del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini su https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10158283415625345/10155377077120345

martedì 9 febbraio 2021

Il castello di martedì 9 febbraio

 


ALAGNA (PV) - Castello Malaspina

Il paese appare come Allagna nell'elenco delle terre soggette al dominio di Pavia nel 1250. Apparteneva allora al territorio della Lomellina, di cui seguì sempre le sorti. Dal 1466 fece parte del feudo di Sannazzaro de' Burgondi, ceduto dagli Sforza ai Malaspina. Da questi ultimi passò poi ai nobili Caimi e quindi ai D'Adda. Nel 1713 con la Lomellina entrò a far parte dei domini dei Savoia, e nel 1859 fu unito alla provincia di Pavia . Il castello, innalzato nel 1534 dai Malaspina, oggi appare molto trasformato. E' un edificio con pianta a U e basamento a scarpa, situato nel centro abitato. Presenta una torre sul lato settentrionale e un cortile pensile aperto verso mezzogiorno.
Sulla facciata di levante è presente un sottile fregio in cotto, recante lo stemma della famiglia D'Adda. Qui visse Ciro Pollini, famoso botanico, medico e letterato. Nato nel 1782, morì a Verona nel 1845. Oggi il castello ospita al suo interno delle abitazioni. Altri link suggeriti: https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Alagna.htm, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00115/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Alagna, https://www.comune.alagna.pv.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-alagna-28888-1-2c07f837e63820d706ef152916db73dd, https://www.localidautore.it/paesi/alagna-lomellina-2327, https://www.ecomuseopaesaggiolomellino.it/comune-di-alagna-lomellina/

Foto: la prima è di Solaxart 2013 su https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Alagna.htm, la seconda è presa da https://www.vivivigevano.com/luoghi-e-itinerari/castello-di-alagna/

lunedì 8 febbraio 2021

Il castello di lunedì 8 febbraio


AGIRA (EN) - Castello

L'antica città ritorna nella documentazione storica fin dalla prima età normanna con il toponimo Mons Argirium o Sanctus Philippus de Monte Argyri, dovuto alla presenza di una chiesa e di un monastero eretti in onore di San Filippo siriaco almeno fin da età bizantina. Nel 1094 fu signore di San Filippo il comes de Auceto Guglielmo detto Malospatarius o Maloseporarius che, secondo quanto testimonia Pirri, concesse all'abate Ambrogio di Lipari «ecclesiam Sancti Philippi in Monte Argyrio cum terris et quinque villanis et etiam partem omnium decimarum terrarum suarum quas habet in territorio Montis Argyri». A detto abate nel 1095 il signore di San Filippo, Roberto, figlio di Guglielmo, donò dieci villani. A partire dal 1187 la signoria di San Filippo finì nelle mani dei de Parisio, fino al 1274, quando il borgo diventò terra demaniale. Nell'età di Federico III vi si stanziarono gli Spatafora, partigiani degli Alagona e dei Chiaromonte, assediando il castello. Quando più tardi i sovrani Martino e Maria concessero San Filippo ad un loro fedele, Pedro de Sanchez de Calatayub, la cittadina, istigata da Artale II Alagona, si ribellò. Nel 1415 il castrum e la terra di Agira entrarono a far parte dei beni dotali delle regine di Sicilia. Nel periodo sicano forse esisteva già il Palazzo sulla cima del monte Teja (poi divenuto Castello), nel quale abitavano i Capi dei primi Agiri e nel quale abitarono successivamente i principi-tiranni siculi. Oltre al Castello si narra esistesse una fortificazione muraria munita di porta ciclopica. Durante il periodo greco, romano e bizantino, il Castello rivestì soltanto un ruolo di rappresentanza ad uso delle varie autorità della città. Con gli arabi, invece, riacquistò il ruolo originario, tornando nuovamente fortezza e costruzione di interesse primario. La fortificazione della città era formata da tre cinte murarie: la prima girava ad anello attorno al monte subito sotto il castello; la seconda circoscriveva una quota più bassa del monte; la terza, molto irregolare perché seguiva l'andamento delle rocce, si sviluppava all'altezza delle Rocche di S. Pietro. La porta, detta Eraclea, doveva trovarsi in prossimità di via Adamo. Nel 1354 il Castello ospitò Ludovico d'Aragona. Nei secoli XVI e XVII, perduta la propria funzione militare, cominciò a decadere sino a diventare una rovina già nel secolo XVIII. Durante il terremoto del 1693 il mastio del castello crollò e la torre centrale ottagonale fu gravemente danneggiata. Nel 1778 Vivant-Denon annotava che sulle fondamenta delle antiche mura erano state costruite le nuove case. Quanto oggi rimane del Castello di Agira può suddividersi agevolmente in due parti, poste a livelli altimetrici differenti. La prima è costituita dalla cinta muraria inferiore che cingeva con un perimetro irregolare di ca. 350 m la sommità del monte. I resti più cospicui si trovano, come già accennato, sul lato ovest, e sono costituiti da parti della cortina intervallate da tre torri di pianta e dimensioni diverse. La prima torre, posta sull'angolo sud-ovest della cinta (e denominata da Giuseppe Agnello 'torre C') ha pianta di trapezio rettangolo. Essa presenta all'esterno paramento regolare in blocchetti, totalmente differente dall'apparecchiatura incerta che caratterizza il tratto di muraglia che dalla torre prosegue in direzione nord. La torre si è conservata per una sola elevazione oltre al piano terra. I lati lunghi misurano rispettivamente m 12 e 10; quelli brevi m 8 e 6. Gli spessori murari variano leggermente, non superando comunque m 1,75. All'interno, il piano terreno era separato dal primo mediante un solaio ligneo testimoniato dai fori per le testate delle travi; il primo piano è coperto da una volta leggermente ogivale. Il tratto di muro che dalla torre si dirige verso nord è lungo m 29,50 e spesso m 1,70. Sulla parte interna si addossava un edificio di cui esistono le fondamenta. A questo segmento di muraglia seguiva probabilmente l'accesso principale del castello, guardato da una torre a pianta ottagonale ('torre B' di Agnello) di cui sono rimaste, parzialmente interrate, solo le mura perimetrali del piano inferiore coperto da una volta emisferica. Anche questa torre, come la prima, non aggetta dal muro. Del primo piano sussiste solo un avanzo sui lati nord e nord/nord-est, ornato da una bella finestra strombata. La tecnica muraria del paramento della torre ottagonale riconduce a quella della torre trapezoidale. A questa seconda torre segue una lacuna nel muro di cinta per la lunghezza di ca. m 26,50. Si incontra quindi una terza torre che la distruzione del muro di cinta ha lasciato completamente isolata. Si tratta della 'torre A' della ricostruzione di Agnello e presenta pianta quasi quadrata (m 8,70 x 8), spessori murari di m 1, 70. La torre sorge a cavallo di una scarpata naturale e pertanto il livello di base all'interno e quello all'esterno differiscono di ca. 5 m. La torre presenta un solo vano coperto da volta a botte spezzata ed illuminato, oltre che dalla porta, da due feritoie strombate. Alla terza torre segue un'altra lacuna muraria lunga ca. 15 m, quindi alcuni ruderi relativi probabilmente ad una quarta torre posta sull'angolo nord-ovest della cinta esterna. Delle altre parti di quest'ultima, sui lati nord, est e sud-est sussistono solo pochi avanzi. Lo stesso può dirsi per la cinta interna che racchiudeva una sorta di mammellone posto al centro della spianata difesa dalla cinta esterna. Dentro la cinta interna, oltre a scarsi avanzi di altre costruzioni, si conserva la chiesetta di San Filippo che nella sua facies attuale appare piuttosto recente, ed un vasto ambiente semi sotterraneo coperto da volta a botte con arco centrale di sostegno, quasi certamente una cisterna. La tradizione parla di un sotterraneo che si apriva all'interno del castello e che doveva arrivare fino a valle. Gli storici e gli eruditi locali hanno a lungo affermato che le origini del castello risalgono ad epoca islamica; in realtà, anche se l’esistenza di un complesso fortificato in età musulmana non può essere esclusa, non sussiste però a tal proposito alcuna testimonianza certa. Giuseppe Agnello, il grande pioniere della castellologia siciliana, non si pronunciò in maniera definitiva circa la datazione del castello di Agira, pur mettendo in evidenza le caratteristiche assimilabili alle architetture sveve meglio databili. Bruschi e Miarelli Mariani pur includendo il castello nel loro repertorio dei monumenti svevi, si limitarono a "non escludere la partecipazione del sovrano svevo alle sue vicende costruttive". Piuttosto prudente è anche il recente intervento di Alberti, secondo il quale la cinta interna ed i suoi edifici sarebbero da ascriversi al XIV secolo, mentre le tre torri del lato ovest e la cisterna sotterranea dovrebbero ascriversi ad una fase costruttiva precedente. Una forte impronta sveva nell’architettura delle tre torri superstiti del castello appare in realtà innegabile. Difficile rimane però valutare quanto a lungo sia potuta durare anche in età angioina e nella prima età aragonese l’influenza delle grandi fabbriche castrali realizzate per ordine dell’imperatore. L’esame delle strutture superstiti del castello di Agira portò già Giuseppe Agnello ad escludere l’esistenza di importanti interventi costruttivi o anche solo di adeguamento in epoca moderna. Il castello era già in rovina alla metà del XVIII secolo, come testimonia Vito Amico. Nel triennio dal 2008 al 2010, quando la Soprintendenza di Enna e l’Associazione Regionale SiciliAntica hanno fatto confluire le forze in un progetto teso a indagare questo che è tra i più importanti siti archeologici dell’antica Agyrion, attraverso tre importanti campagne di scavo. Il primo, scavo Agyrion 2008, è stato organizzato dalla Presidenza regionale di SiciliAntica sotto la direzione scientifica di Beatrice Basile, con il finanziamento di un’amministrazione comunale che si è dimostrata sensibile al recupero di tracce del passato della propria comunità: così sono state individuate nell’area del castello medievale, coincidente con l’acropoli della città greca, “diversi ambienti della zecca greca che hanno restituito una notevole quantità di reperti metallici (tondelli non battuti, scarti di fusione) afferenti all’attività della zecca nella seconda metà del IV sec. a.C.”. Altri link suggeriti: https://youtu.be/YV1PknIfko0 (video di Storie Enogastronomiche), https://www.vivienna.it/2015/11/22/castello-di-agira/, https://www.youtube.com/watch?v=oBKAV75-M1M (video di salvorussoct), https://www.youtube.com/watch?v=yF0TCLo_wVc, (video con drone di Gaetano Barbarino)

Fonti: http://www.comuneagira.gov.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-37100-1-9df4f5cd5eb159c27fe15f49f6aa2d0c, http://www.storienogastronomiche.it/il-castello-medioevale-di-agira-enna-testimone-della-sicilia-antica/, https://www.icastelli.it/it/sicilia/enna/agira/castello-di-agira-o-san-filippo-d-argiro, testo di Vita Russo su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/enna/agira.htm, http://iccdold.beniculturali.it/medioevosiciliano/index.php?it/112/catalogo-generale/9/, https://digilander.libero.it/agira1/castello.htm

Foto: la prima è presa da http://camminosanfilippo.com/cosa-vedere/castello-di-agira#/, la seconda è una cartolina della mia collezione