Un caro augurio a tutti voi
Valentino
ebbene sì....anche io, in modo immaginario, voglio infilare un foglietto di carta con notizie sulla mia vita e i miei interessi in una bottiglia e gettarla nell'immenso mare della rete, dove chissà chi lo leggerà !!! PROVATE A DIGITARE LA LOCALITA' ITALIANA DEL CASTELLO CHE CERCATE NELLA FINESTRA IN ALTO A SINISTRA, FORSE NE HO GIA' PARLATO IN QUESTI ANNI....ALTRIMENTI SUGGERITEMELO PER I PROSSIMI POST :-)
MONTERIGGIONI (SI) - Castello in località Villa
Poche sono le informazioni che si hanno del Castello di Villa, che sorge a circa 8 chilometri da Monteriggioni. Posto di fronte al più famoso Castello della Chiocciola (https://castelliere.blogspot.com/2016/12/il-castello-di-sabato-10-dicembre.html), l'edificio medievale ebbe un importante ruolo essendo situato in prossimità della Via Francigena. Si tratta di un imponente fortilizio di epoca medievale, caratterizzato da una massiccia torre rettangolare in pietra, il mastio, con base a scarpa e coronamento merlato. La torre è composta da un piano con finestre ad architrave su mensole concave e chiusa da un piano leggermente aggettante su mensole di pietra. Al suo interno si conservano ancora decorazioni ad affresco, realizzate tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo. Attorno al mastio si sviluppa un recinto quadrangolare di mura coronate da merli, con addossato all'interno un fabbricato originario. Il complesso è circondato da un gruppo di edifici di chiara origine medievale: lo testimoniano portali, porte e finestre ad arco in conci di calcare della Montagnola.
Fonti: http://www.monteriggioniturismo.it/it/cosa-vedere/la-villa/, https://castellitoscani.com/castello-di-villa-monteriggioni/
Foto: la prima è presa da https://castellitoscani.com/castello-di-villa-monteriggioni/, la seconda è di Paulusburg su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pic-VF4-IT32_Monteriggioni-Siena_07_(castello_di_Villa).JPG
CANICATTI' (AG) - Castello Bonanno
Dopo la conquista della Sicilia da parte dei Normanni, il signore del luogo, probabilmente l'Emiro Melciabile Mulè, fu assediato e sconfitto dal barone Salvatore Palmeri (1087), che era al seguito del conte Ruggero e questi per ricompensa gli offrì la spada e il dominio del feudo. Sotto la signoria dei Palmeri, la fortezza araba venne ampliata e prese l'aspetto di un vero e proprio castello con una torre. Ai normanni successero i Francesi, cacciati poi dagli Aragonesi. Nel 1448 il feudo di Canicattì venne ceduto da Antonio Palmeri, che non aveva figli, al nipote Andrea De Crescenzio. Questi ottenne dal re Giovanni d'Aragona la "Licentia populandi", cioè la facoltà di ampliare i confini del feudo, di incrementare gli abitanti e di amministrare la giustizia. Sotto il De Crescenzio, Canicattì era una comunità rurale che contava da mille a millecinquecento abitanti, insediati nella parte alta della città. Ad Andrea succedette il figlio Giovanni, che non avendo figli maschi, lasciò la baronia al genero Francesco Calogero Bonanno, nel 1507. Con il casato Bonanno la città conobbe un considerevole incremento demografico; i feudatari, prima baroni, poi duchi e infine principi della Cattolica, fecero costruire splendidi edifici e fontane. La signoria dei Bonanno durò fino a tutto il Settecento, ma verso la fine del secolo iniziò il suo declino; la società feudale si avviava a scomparire. L'ultimo dei Bonanno, nel 1819, cedette la signoria di Canicattì al barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro. Quel che resta dell'antico castello oggi, non ci consente di tentare nemmeno una ideale ricostruzione. Probabilmente l'edificio venne costruito nel 1089 da Ruggero il Normanno, è anche probabile che nel luogo dove Ruggero I costruì il castello, vi fosse prima un fortilizio arabo. E' noto che gli arabi, durante la loro dominazione eressero fortilizi a guardia delle valli e delle strade più importanti dell'isola. Ruggero I non avrebbe fatto altro, quindi, che restaurare l'abbandonato "ribat" arabo di Canicattì per assegnarlo ad uno dei suoi amministratori, ad una delle famiglie più fidate tra quelle che avevano proceduto con lui alla conquista dell'isola. L'ingresso (unico) al castello era costituito da un imponente portone centrale, che oltre una corte coperta, introduceva in un ampio cortile nel quale si aprivano i magazzini, le stalle, i fienili, gli alloggi degli armigeri, e una piccola cappella. Le celle carcerarie (introdotte in seguito alla concessione del diritto d'Imperio ai Bonanno) erano al pianterreno del castello, attorno a un vasto cortile, al centro del quale si ergeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Nelle carceri passavano gli ultimi tre giorni di vita i condannati a morte assistiti dai confrati di M. SS. delle Grazie detti i Bianchi. Nel fortilizio alloggiavano - se forestieri - il Governatore Baronale e il Castellano. Infine vi si riunivano, prima della costruzione dell'antico «Archivio » (Municipio), la Corte Giurata e la Corte Capitaniale. Di fronte, in tre ampie sale, c'era esposta la famosa Armeria. Al piano superiore, a cui si accedeva da una larga e fastosa scala d'onore, c'erano gli appartamenti nobili del barone e della baronessa, con una grande camera d'angolo, strutturata come cappella per le cerimonie religiose. I due appartamenti erano riuniti da un salone centrale che corrispondeva sopra il portone ed era decorato con affreschi e ritratti di personaggi della Famiglia Bonanno. Altri appartamenti, meno importanti e non sufficientemente descritti, tra cui una camera detta «La Credenza» ed altre per l'Amministrazione, aprivano le finestre verso Nord, cioè verso la parte del castello più fredda e meno gradevole. Secondo la tradizione, fu il Conte Ruggero a rendere famoso in tutta la Sicilia il castello di Canicattì per avervi trasportato le armi sottratte agli Arabi nella battaglia di Monte Saraceno, per consacrarle all'Immacolata in segno di gratitudine per il miracolo concessogli ed esposte nel castello. L'Armeria del castello divenne ben presto famosa in tutta la Sicilia, per le armature militari di ogni sorta e dimensione, specie cavalleresche ma ancora di più per l'eccezionale spada e lo scudo del conte Ruggero. La raccolta venne dispersa nel 1827 quando il sindaco di Canicattì Leonardo Safonte La Lumia, per non pagare una piccola somma per la custodia dell'Armeria, regalò la collezione ai Borboni. Questi collocarono i reperti nel museo di Capodimonte, da dove, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, furono trasferiti all'Armeria Reale di Torino. Chi cercasse oggi a Torino le famose armi del castello di Canicattì resterebbe fortemente deluso. Nell’Armeria della città piemontese non se ne trova traccia alcuna. Che fine abbiano fatto nessuno finora è riuscito a saperlo. Secondo un inventario del 1784 (un altro del 1793, sostanzialmente identico, si trova presso la Comunale di Palermo), l'Armeria era formata da un numero impressionante di pezzi rari e curiosi, compresa la spada tarsiata in oro che era appartenuta - secondo la tradizione - al Conte Ruggero. Vi sì potevano ammirare circa 50 armature complete di Borgogna, uno scudo grande sbalzato con la storia degli Orazi e Curiazi, un altro tarsiato d'oro, l'armatura completa di un Duca di Savoia, numerose armi da torneo, elmi di diverse epoche, picche, alabarde, pugnali di Toledo, corazze e cosciali, due lanterne «alla turchesca», una spada detta «del Saraceno». Non mancavano numerosi finimenti per cavalcature, giacconi di pelle di daino, scudi di legno di fico e perfino una grande macchina da orologio. Le armi da fuoco, completate da numerose fiasche per polvere, erano rappresentate da un cannoncino di bronzo, da più di 200 archibugi, da un gran numero di pistole e carabine e da schioppi « alla calabrese ». Epoca di splendore fu per il castello di Canicattì la prima metà del Seicento, in cui barone della città era il duca Giacomo Bonanno Colonna. Un tempo completamente isolato essendo preesistente all'abitato attuale, oggi il castello risulta inglobato nel tessuto urbano del centro storico ma, malgrado la posizione preminente che esso occupa, risulta completamente estraneo al contesto. Il castello presentava pianta quasi rettangolare con il lato maggiore lungo circa 60 metri . Di fronte al prospetto principale, alla distanza di circa cento metri e in asse col portone, vi è la Torre dell'Orologio di origine antica ma incerta, rifatta nel 1933 più alta di qualche metro, dove sono state ricollocate le due campane del secolo XVII con iscrizioni in latino che già si trovavano in quella antica. Nel febbraio del 1837, approssimandosi il pericolo del colera, il Consiglio Civico decise di requisire alcuni ambienti del castello perché all'occorrenza, servissero da ospedale d'isolamento. Furono scelte alcune delle camere migliori, attrezzate alla meno peggio dopo acconci affrettati. Purtroppo, al principio dell'estate si sviluppò la tremenda epidemia e il Castello funzionò da Lazzaretto sino all'estinzione del colera, nell'ottobre del 1837. Nel 1857, alcuni ambienti del castello vennero destinati ad ospedale di isolamento. In seguito, anche le carceri, per ragioni di sicurezza, vi furono tolte nel 1866. Da quel momento si spense nel grande edificio l'ultimo soffio di vita, e si accelerò quel processo di rapida decadenza che fu il preludeio del disfacimento. Pur tuttavia, un dipinto su lastra di rame eseguito sul posto nel 1868 ci mostra il castello apparentemente intatto in quello che fu il suo ultimo aspetto quando, in seguito a rifacimenti antichi di cui s'è perduta notizia, non mostrava più la sua forma originaria di roccaforte medioevale. Venticinque anni dopo, nel 1893, il turista francese Castone Vuillier che visitò gran parte della Sicilia e pubblicò le memorie del suo viaggio, sostando per breve tempo alla stazione ferroviaria di Canicattì, osservava con senso di malinconia la desolazione del castello abbandonato e già in parte distrutto. Gli antichi magazzini baronali per la raccolta delle granaglie, dipendenze necessarie per un castello di tipo feudale e terriero, esistono tuttora e si aprono sulla Piazza Vespri (l'antico « Piano ») e, sebbene in cattive condizioni, oggi sono trasformati in deposito di legname. L'impianto visibile è limitato a resti di strutture verticali, realizzate con conci di pietra calcarea nel paramento murario della parete nord, dove è possibile leggere la presenza di aperture, e conci squadrati di calcarenite posti agli angoli. Il castello nel suo complesso oggi si presenta allo stato di rudere ed in totale abbandono. La proprietà è privata. Altri link suggeriti: http://www.solfano.it/canicatti/castellocanicatti.html, http://www.solfano.it/canicatti/castellolodato.html,
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Canicatt%C3%AC, http://www.comune.canicatti.ag.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/194, http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castello%20Bonanno-Canicatti-AG-1615, http://www.lionscanicatticastelbonanno.it/?page_id=2370 (da visitare per approfondimento)
Foto: la prima è di Franco Di Caro su http://www.solfano.it/canicatti/Castello_Bonanno_ruderi.jpg, la seconda è presa da http://www.comune.canicatti.ag.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/194
RAVENNA - Torri di Savarna
Il territorio alfonsinese dal Senio fino al Lamone fu per tutta la prima metà del ‘500 una vera e propria zona franca, terra di frontiera, dove i ladri, gli assassini, i banditi venivano mandati al confino in base agli statuti di Fusignano: "... che cadauno assassino, homicidiale et criminale debba avere sgombrato in termine a due giorni la terra e il territorio di Fusignano...". I CaIcagnini favorivano quindi l'insediamento in queste zone di tutti i "banditi" dal feudo di Fusignano: derelitti, criminali, assassini, vagabondi, zingari, ubriaconi... Qui vi era a quei tempi un grande bosco, e i Ravennati, nemici dei Calcagnini, chiamavano questa zona "... il bosco degli assassini...". Ma come si vedrà in seguito i Rasponi di Ravenna fecero di peggio. I Conti Calcagnini di Fusignano mandavano i fuorilegge proprio in queste terre impaludate che volevano conquistare. Prima ad Alfonsine e poi fino al Passetto, (tal nome deriva dal fatto che venne allestito un passaggio con barche tra una riva e l'altra del Po), furono costruiti alcuni magazzini per stoccare le merci alle quali i Calcagnini imposero una propria tassa per quel passaggio. In realtà l'impresa era redditizia per i Conti di Fusignano soprattutto perché così evitavano di pagare il dazio per le loro merci alla Sede Apostolica di Ravenna. Insomma al Passetto i Calcagnini facevano contrabbando di grano, fieno e altro, a discapito della Chiesa. Nacquero da qui numerose controversie tra i Calcagnini e i signori di Ravenna, i quali vantavano diritti su queste terre vallive: questi si appellarono più di una volta alla sede Apostolica di Ravenna per impedire l'avanzata dei nuovi padroni. “Il danno che per questo porta la Sede Apostolica – così protestavano i signori di Ravenna, con in testa i Rasponi - che si vede dovere avenire, è che quel territorio è fertile et produce grani e biade assai et ivi sta di continuo un nido di ladri, homicidiali, et banditi, da dimessi luoghi, tal che si può dire bosco d'assassini...". Ma proprio i Rasponi a Savarna fecero di peggio. Alla battaglia di Ravenna (1512) contro i Francesi parteciparono diversi esponenti della famiglia Rasponi. Dalla rappresaglia perpetrata dai francesi dopo la battaglia, vinta col sacrificio del loro comandante Gaston de Foix, la città ne uscì prostrata. Ne conseguì una carestia, alla quale fece seguito poi, una epidemia di peste: la popolazione fu letteralmente decimata. Tali avvenimenti ebbero una ovvia ricaduta sociale ed ebbero come effetto la presa violenta di potere da parte di alcune famiglie della città appoggiate dalla Chiesa, fra le quali dominava quella dei Rasponi. Nella disperata situazione si ipotizzò una soluzione ritenuta inizialmente valida: si decise di fare uscire tutti i galeotti, sperando che potessero essere utili a ripopolare la città, ma la scelta ebbe un effetto contrario; molti degli ex galeotti si legarono ai Rasponi, che avevano bisogno di persone prive di scrupoli per esercitare il potere con la violenza; i covi degli armati assoldati dai Rasponi furono stabiliti nelle campagne ormai completamente spopolate a nord-ovest della città, nelle zone di Savarna e Cotignola. Dopo aver assunto il potere in città, a Savarna Raffaele Rasponi creò un abitato per accogliervi quei malviventi, con cui attorno al 1516 i Rasponi furono autori delle numerose efferatezze perpetrate in quegli anni a Ravenna e dintorni. Il luogo di ritrovo degli sgherri, la cui erezione era stata promossa da Raffaele Rasponi e dove aveva creato il loro covo a Savarna, era una costruzione fortificata, dalle fonti descritta come una torre. Si ritiene che la torre si trovasse nel luogo in cui successivamente fu costruita la palazzina oggi denominata "Le torri di Savarna". Dopo due gravissimi fatti di sangue che videro coinvolti ancora i Rasponi, papa Gregorio XIII nel 1577 per punizione contro Girolamo Rasponi e i suoi sgherri che, arrivati da Savarna, avevano sterminato l’intera famiglia Diedi nella loro casa a Ravenna, per un’ingiuria, le proprietà dei Rasponi furono confiscate e varie loro costruzioni rase al suolo: così capitò alle Torri di Savarna. Poi alcune decine di anni dopo il nuovo papa Sisto V graziò il Girolamo e restituì le proprietà confiscate. Nel 1657 Leonora Rasponi chiese di poter rifabbricare un edificio sulle fondamenta di quello preesistente.Fonte: testo di Luciano Lucci su https://alfonsinemonamour.racine.ra.it/alfonsine/Alfonsine/torri%20savarna.htm
Foto: la prima è presa da https://www.travelemiliaromagna.it/in-bicicletta-lungo-il-fiume-lamone/, la seconda è presa da https://alfonsinemonamour.racine.ra.it/alfonsine/Alfonsine/immagini/rasponi/torri4-modifica.jpg
BORGONOVO VAL TIDONE (PC)- Castello di Mottaziana
Mota de Ziliano o Motta dei Ziliani, località che sorge sulla riva sinistra del torrente Tidone, prende il nome dagli antichi feudatari originari di Ziano Piacentino, antico sito distante pochi chilometri. Già ricordato nella cronaca medievale del Guarino, il castello pervenne a Galeazzo Visconti nel 1314 requisendolo a Nicolino Ziliani, che addirittura fu "arrestato" per essersi rifiutato di cederglielo. E il duca milanese non si peritò a cederlo poi ad Obizzo Landi. Curiosamente da una bolla papale emessa nel 1375 in Avignone dal papa in cattività, risulta che gli Ziliani ne erano per quella tornati in possesso: un ufficiale pontificio infatti l’aveva consegnato dalle sue mani a Gerardone Ziliani. Nel XV secolo Mottaziana si ritrovava in proprietà degli Arcelli Fontana e poi del condottiero Francesco Bussone, detto il Carmagnola, il quale lo aveva conquistato nel 1417 con la forza e la devastazione. Nel 1453 gli Ziliani, per aver ottenuto dal duca di Milano la licenza di rifortificare l’edificio, si ritrovarono proprietari definitivi. Il castello è proprio al centro del paese. La trasformazione in residenza nobiliare, avvenuta presumibilmente tra il XVII ed il XVIII, secolo ne ha cancellato quasi completamente i tratti medievali. Altro link consigliato: https://m.facebook.com/mikilaviaggiatrice/videos/castello-di-mottaziana-ed-un-appunto-di-storiadal-libro-castelli-piacentinicarme/367274558918098/ (video)