MELAZZO (AL) – Castello di Moncrescente
Tra le colline impervie che dominano la valle dell'Erro è
posto un grande castello in rovina dalla pianta ottagonale seminascosto dalla
vegetazione, dalla forma simile ad un recipiente per il vino, che gli ha valso il
nome dialettale di "tinassa", cioè "tinozza". Avvicinandosi
a Moncrescente è inevitabile notare le sue imponenti torri che si stagliano
contro il cielo, le arcate e le alte mura che fanno pensare alla maestosità che
doveva possedere un tempo la costruzione, sita in un luogo strategico,
dominante il bacino dell'Erro e della Bormida. La prima caratteristica
interessante di questo edificio è certamente la pianta ottagonale, tipica delle costruzioni appartenenti ai Cavalieri Templari, il noto ordine di
monaci guerrieri che aveva documentati possedimenti nei dintorni, come la
mansione di Acqui Terme e di Ponzone. La costruzione del recinto di
Moncrescente, sulla base dell'evidenza architettonica e delle più precoci
attestazioni documentarie, risalirebbe alla prima metà del XIV secolo ma il
sito venne già occupato in precedenza da una fortificazione, testimoniata dalla
base in pietra di una torre quadrata databile al XII-XIII secolo. La
destinazione di Moncrescente era prevalentemente militare: essa doveva ospitare
un discreto contingente di armati, ma fu utilizzata per un breve periodo di
tempo, risultando già in disuso alla metà del Cinquecento. Il precoce abbandono
e la posizione isolata hanno permesso la conservazione della fortezza nelle sue
fasi originali trecentesche, non alterate da modificazioni successive: sono
ancora visibili vari dispositivi legati alle esigenze difensive del castello
(feritoie e sistemi di chiusura dell'ingresso), ma anche alcuni elementi legati
alla vita quotidiana di chi soggiornò in questo luogo (cisterne per l'acqua e
ben cinque latrine). Il maniero funge da scenario per l'opera "La Leonora,
ragionamento sulla vera bellezza", dell' umanista Giuseppe Betussi,
dialogo conviviale dedicato ad Eleonora Croce, moglie del Conte Falletti,
signore di Melazzo. Esso è ambientato nel 1552 tra i ruderi di Moncrescente e,
perciò, sappiamo che a quell'epoca il maniero era già in rovina ("…questi quasi deserti luoghi, i
quali mai più forse non si potranno gloriare di così aventurosa sorte…").
L'edificio, oggi in stato di abbandono, è comunque visitabile anche se a
proprio rischio e pericolo, in quanto le mura presentano profonde crepe che, se
non si provvederà presto ad un intervento di restauro e consolidamento, fanno
supporre che la costruzione possa crollare prossimamente. La crepa più
evidente, che taglia nettamente un'intera parete, però, non è dovuta al
decadimento, ma ad un fulmine che colpì la costruzione durante un terribile
temporale estivo. Dentro al recinto, il terreno è ancora più incolto: sterpaglie,
terriccio, vegetazione sparsa. Si sente come un senso di ovattamento. Accanto
al castello si trova una casa ora
diroccata e dall'aspetto piuttosto tenebroso che fino a non molti anni fa era
abitata da una famiglia di mezzadri. Alla forma del castello è legata questa
leggenda: "Tanto tanto
tempo fa gli uomini con uno sforzo immenso riuscirono a costruire un enorme
tino, un’opera grandiosa ideata per contenere una straordinaria quantità di
vino. Quest’opera, però, suscitò una grande rabbia da parte del Diavolo, che
adirato dall’imponenza del grande tino ed invidioso, come sempre degli uomini,
decise di distruggerlo, così lo capovolse, rendendolo inutilizzabile per la
raccolta dei grappoli d’uva e la successiva vinificazione. Gli uomini
delle nostre terre tuttavia continuarono, come ben sappiamo, a produrre il loro
vino altrove divenendo famosi per la loro maestria ed anche la
"Tinosa" o “Tinassa” continuò ad essere utilizzata: infatti, capovolta
e privata del suo fondo forniva un ’ ottima protezione e divenne un imponente
castello, conosciuto dai dotti come Moncrescente, ma ancora popolarmente noto
come "Tinosa" in ricordo della sua primitiva funzione di grosso tino.
Il diavolo, comunque, non rinunciò a ‘metterci la coda’: infatti, quando il
castello perse le sue funzioni militari e fu ridotto a rovina, tra le sue
antiche mura tornarono a riunirsi le adepte del diavolo, le streghe". Che
il maniero continui ad essere prediletto da sedicenti maghi e teatro per culti neopagani è stato
testimoniato da un ben informato e loquace signore del luogo: tempo fa ha
dovuto segnalare all'attuale proprietario del bosco in cui sorge la Tinassa la
presenza periodica e costante di parecchie persone, che non sembravano semplici
turisti, visto che le loro visite erano principalmente notturne. Così, una
notte, il proprietario ha deciso di andar a controllare che cosa stessero
facendo, a quanto pare non intimorito dal possibile incontro con seguaci del
diavolo. Ha così visto un gruppo di persone in cerchio che bruciavano un
fantoccio di paglia: un rito pagano in piena regola, che potrebbe proprio
essere ispirato a riti celtici: di purificazione, feste del Fuoco, come
Beltene, poi diventata Calendimaggio. Ecco un video recente riguardante il castello: https://www.youtube.com/watch?v=A6sur9rfS6U (di Claudio Arena)
Fonti: http://www.daltramontoallalba.it,
http://www.lancora.com, http://www.itisacqui.it,
http://arcanadei.com
Foto: entrambe dal sito http://www.itisacqui.it