mercoledì 30 novembre 2022

Il castello di mercoledì 30 novembre

 




GOTTASECCA (CN) - Castello dei Marchesi d'Incisa

Il Casalis afferma che, anticamente, prima del sec. X, Gottasecca era detta Lavaniola. Ed infatti, Arcangelo Ferro ci dice che Ottone III, nel 998 "diede le rendite delle sue pievi a Bernardo, Vescovo di Savona", nel cui diploma era scritto: seu Gauta sicca (Lauaniola quae dicitur Gauta sicca) (Gottasecca). Il feudo è appartenuto ad Aleramo che con diploma del 967 già si legge Lavagniola quae dicitur Gottasicca, donatogli dall'imperatore Ottone I per aver cacciato i Saraceni; si deve ricordare che Gottasecca aveva subito invasioni da parte di Goti, Longobardi, Franchi e Ungari. Nel 1142 Gottasecca passò al marchesato di Ceva, lasciato in eredità da Bonifacio, e poi ai Del Carretto (1268) e ai Guasco (1487). Passato quindi ai marchesi del Monferrato, pervenne al ducato di Mantova nel 1548 che lo diede in feudo a d'Incisa Boarello. Gottasecca venne annessa ai territori dei Casa Savoia nel 1631 da Vittorio Amedeo I con il Trattato di Cherasco. E' importante ricordare che nel 1608 Gottasecca era ducato sotto la diocesi di Alba. Del passato medievale è rimasta la torre del castello, purtroppo in rovina (il castello era dei marchesi d'Incisa). Di Gottasecca troviamo menzione nei "diplomi ottoniani del secolo X e dei primi anni dell' XI" (Giovanni Conterno, riferendosi alle pievi del Bormida). I diplomi accennati sono di Ottone III e di Enrico I. Altro link suggerito: https://langhe.net/town/gottasecca-piemonte/

Fonte: http://www.gottasecca.eu/Home/Guida-al-paese?IDPagina=36088&IDCat=5642,

Foto: la prima è di Xavas su https://it.wikiloc.com/percorsi-escursionismo/gottasecca-prunetto-30658535/photo-19650859, la seconda è di Enrica Pellerino su https://www.fotocommunity.it/photo/castello-di-gottasecca-cn-enrica-pellerino/17384044

martedì 29 novembre 2022

Il castello di martedì 29 novembre



CONVERSANO (BA) - Castello di Marchione

Chiamato anche villa Marchione, si trova a circa sei chilometri da Conversano: era, soprattutto nel secolo XVIII, una palazzina di caccia e residenza estiva dei conti di Conversano, gli Acquaviva d'Aragona, realizzata ad opera dell'architetto Vincenzo Ruffo. Una volta questa distanza era occupata interamente da un esteso bosco in cui si potevano trovare querce, lecci e tantissime altre specie di alberi. Oggi esso non esiste più ed il castello si trova ubicato in una zona agricola. L'edificio, recintato e circondato da un verdeggiante giardino, è soprattutto una villa fortificata, nonostante la frequente denominazione di castello; ha un impianto rettangolare con quattro torri mozze angolari balaustrate ed è formato da un pianterreno, uno sopraelevato e uno superiore. Le loggette delle finestre, alle estremità del prospetto principale, comunicano con eleganti terrazzini circolari ricavati dalla copertura delle torrette. Lo scalone d'accesso a doppia rampa che conduce ad una armoniosa loggia con trifora, le menzionate balaustre e le due facciate simmetriche e tripartite caratterizzano la costruzione per la leggiadria e la signorilità della sua architettura. Il piano terra, medievale, si distingue per un ampio salone ornato da quadri, blasoni gentilizi e simboli venatori. Gli ambienti sovrastanti, tardo barocchi, sono arredati con mobili d'epoca, ceramiche artistiche, i ritratti ad olio del conte di Conversano Giangirolamo II (1600-1665, detto il Guercio delle Puglie) e della moglie Isabella Filomarino, con un prezioso soffitto ligneo in cui campeggia lo stemma e l'albero genealogico degli Acquaviva d'Aragona. Interessante la cappella con un dipinto barocco raffigurante la Vergine con il Bambino. Non si conosce il significato del nome attribuito al piccolo castello che individua anche la borgata. I feudatari di Conversano risiedevano stabilmente nel poderoso castello della cittadina, ma dimoravano stagionalmente nel palazzetto di Alberobello e a Marchione, per le battute di caccia, attorniato da una boscaglia di alberi di querce e macchia mediterranea, con una superficie di 1260 ettari. Gli abitanti del luogo parlavano di un presunto sotterraneo che congiungeva la villa al castello comitale, a volte utilizzato dal famigerato Guercio, ma pure dai suoi eredi. Nel 1730 il conte Giulio Antonio III (1691-1746), attratto dalla bellezza della zona, volle trasformare il casino di caccia in una residenza gentilizia e affidò l'incarico all'architetto Vincenzo Ruffo, allievo di Luigi Vanvitelli, autore della Reggia di Caserta. Dopo la devoluzione della contea al regno di Napoli, nel 1806, la villa andò incontro ad una triste situazione di decadimento culturale ed ambientale: il bosco fu tagliato per rendere il terreno coltivabile ed il complesso dato in affitto a famiglie di contadini, assai laboriose ma un po' incuranti del suo patrimonio artistico e storico. Intorno al 1920, la principessa Giulia Acquaviva d'Aragona (1887-1972) riprese il possesso di Marchione e avviò un'intensa operazione di intelligente restauro, proseguita dal figlio, autentico gentiluomo ed appassionato d'arte, Fabio Tomacelli Filomarino (1920-2003), ultimo discendente della casa Acquaviva d'Aragona, morto senza eredi. Al piano superiore i soffitti, originariamente in legno e dipinti, furono sostituiti nel secolo XIX con volte in muratura, eccezion fatta per il salone centrale, sul cui soffitto ligneo (originale) è raffigurato lo stemma inquartato della casa Acquaviva d’Aragona; questo mostra lo stemma Acquaviva (leone rampante) e lo stemma, a sua volta inquartato, d’Aragona (pali, ecc.); fra gli altri figura lo stemma Filomarino. Nello stesso salone si osservano sulla parete sinistra (per chi entra) due alberi genealogici dipinti su tela: il primo è della casa Acquaviva d’Aragona, il secondo della casa Enriquez (casa reale di Castiglia, di cui un ramo si è estinto nella casa Filomarino); sulla parete opposta vi è un quadro ad olio raffigurante Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, detto “il Guercio delle Puglie”. Sulle stesse pareti, più in basso, vi sono dei “Medaglioni” (dipinti ad olio su rame) che raffigurano i vari duchi d’Atri di casa Acquaviva. In un’altra stanza vi è il quadro raffigurante la contessa Isabella Filomarino, moglie di Giangirolamo II, che resse la contea durante le varie assenze del consorte, ed alla cui pia volontà si deve la costruzione della chiesa del Carmine a Conversano (1652). Fra le opere contenute nel castello degna di nota è anche la "Caritas romana" di Artemisia Gentileschi, pertinente all'eredità di Giangirolamo II e già conservata presso il Castello di Conversano (https://castelliere.blogspot.com/2019/06/il-castello-di-lunedi-10-giugno.html). Nel 1976 il castello di Marchione è stato dichiarato monumento nazionale. Il castello appare in diversi film fra i quali "Casanova '70" di Monicelli. Dal 1993 è una prestigiosa location per ricevimenti, meeting e congressi. Ecco il suo sito web: https://www.castellomarchione.it/. La leggenda vuole che un passaggio sotterraneo collegasse Marchione con il Castello di Conversano. Altri link di approfondimento: https://www.barinedita.it/reportage/n3511-un-, http://www.itc.cnr.it/ba/sc/CNV/CNV0001.html, https://www.youtube.com/watch?v=CrapIeyzZHQ (video di webtvconversano), https://www.youtube.com/watch?v=Tob1gkdaY3Y (video con drone di Luigi Ulisse Iovane)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Marchione, https://www.castellomarchione.it/storia.php, https://www.paesionline.it/italia/monumenti-ed-edifici-storici-conversano/castello-di-marchione, https://viaggiareinpuglia.it/at/1/castellotorre/3654/it/Castello-di-Marchione

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è di Michele Forte su https://www.pinterest.it/pin/689050811712907317/

lunedì 28 novembre 2022

Il castello di lunedì 28 novembre



CAVASSO NUOVO (PN) - Castello di Mizza e Palazat

Castello di Mizza

Le sue origini sono poco chiare, secondo Francesco di Manzano fu fatto fabbricare da Ludovico di Polcenigo, secondo Alfredo Lazzarini sembra che qui in origine ci fosse la sede di un’abbazia, difatti con il nome di Abbazia di Fanna agli inizi del XIII secolo questa rocca fu data dal vescovo di Belluno in feudo ai Polcenigo. Nel 1186 una bolla papale di Urbano III menzionava "castellare in plebe de Fana", dove per castellare si intendeva una fortificazione. Nonostante l’infeudazione partisse dal vescovo di Belluno, nel 1218 quando quest’ultimo necessitava del loro aiuto, i Polcenigo rifiutarono. Costui mosse contro i ribelli e li rimosse dai loro castelli, tuttavia già nel 1222 i Polcenigo si divisero in due rami: i Varnerio restarono a Fanna, mentre Aldrigo rimase nel castello eponimo. Nel 1386 Nicolò di Fanna potenziò le difese del castello poiché avendo maneggiato contro i di Maniago si attendeva una loro risposta. I signori di Polcenigo ebbero la giurisdizione del territorio addirittura fino al 1895, anno ultimo in cui i resti del castello ancora erano di loro proprietà. Questi resti consistono oggi nelle rovine di due torri site sul colle Jouf, sopra Fanna, sulla sommità d'un rialzo in cima ad uno strapiombo, insieme ad alcuni residui di muro di cinta e ad una cisterna. Il castello di Mizza, già segnalato nelle mappe del Seicento, poteva vantare una posizione di alta valenza strategica, in quanto controllava il percorso pedemontano congiungente la pianura sacilese con il fiume Tagliamento. Ecco un interessante video dedicato a questo castello: https://www.youtube.com/watch?v=CeEqqCzSg64&t=151s (di Ecomuseo Lis Aganis). Altro link suggerito: https://nicelocal.it/friuli-venezia-giulia/shops/castel_mizza/ (foto)
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Palazat

Realizzato tra il 1562 ed il 1594, il palazzo dei Conti Polcenigo-Fanna, detto Palazat, ha ospitato nelle sue stanze, lungo il corso dei secoli, una scuola elementare, una scuola di disegno, un ambulatorio medico e persino una latteria. Gravemente danneggiato dal sisma del 1976, grazie all’intervento della Soprintendenza per i beni ambientali del Friuli Venezia Giulia si è giunti recentemente al recupero dell’edificio, di proprietà comunale, divenuto dal 2000 sede dell’amministrazione municipale e del Museo dell’Emigrazione, sezione della più ampia struttura museale Diogene Pensi, dedicata alla vita contadina, con sede a San Vito al Tagliamento. L’edificio, posto in Piazza Plebiscito, ha una struttura architettonica imponente, a metà strada tra palazzo e castello, con torrioni angolari e largo uso del bugnato a riquadrare portali e finestre. I recenti restauri hanno permesso il riutilizzo di alcune stanze, come il piccolo salone a pianoterra, ornato con fregi richiamanti temi mitologici, trofei, nature morte e una serie di affreschi mitologici del XVIII secolo.

Fonti: https://consorziocastelli.it/icastelli/pordenone/mizza, https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/cavasso-pn-castello-mizza/, http://www.pordenonewithlove.it/it/cosa-fare/centri-storici/palazat, https://www.itinerariesaporifvg.com/cavasso-nuovo.html

Foto: la prima (castello di Mizza) è presa da https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/cavasso-pn-castello-mizza/, la seconda (Palazat) è presa da https://www.itinerariesaporifvg.com/cavasso-nuovo.html

venerdì 25 novembre 2022

Il castello di venerdì 25 novembre

 



MONDRAGONE (CE) - Rocca Montis Dragonis

E' una rocca medievale costruita sul Monte Petrino e che si affaccia sulla città di Mondragone. Sulla sua sommità vi si recarono una parte dei superstiti della colonia di Sinuessa dove edificarono i primi insediamenti. All'inizio dell'XI secolo fecero la loro apparizione i Normanni che occuparono l'antico villaggio romano Petrinum e ampliarono la fortificazione della Rocca, che fu importante postazione militare sia sotto gli Svevi che con gli Angioini. In seguito subirà modifiche dagli Aragonesi. Il territorio passò nelle mani di vari signorotti locali, dai Marzano, Duchi di Sessa, ad Antonio Carafa di Stigliano, consigliere del Re Ferrante, e nel 1461 era stato elevato a Ducato. Alla morte di Nicola Gusman Carafa, Principe di Stigliano, il feudo fu messo in vendita ed acquistato, nel 1691, dal Marchese di Clarafuentes, Don Marcantonio Grillo, per la somma di circa 550.000 ducati. Il nipote di questi, Don Domenico Grillo, fu l'ultimo duca di Mondragone fino al 1806, anno in cui venne abolita la feudalità. La costruzione della rocca è avvenuta in epoche differenti poiché le torri, che ancora s'intravedono, hanno forme diverse: quadrate e circolari. Le più antiche notizie della Rocca Montis Dragonis sono più o meno certe, alcune ancora avvolte da dubbi e da misteri. La sua costruzione e tutta l’architettura risale sicuramente al periodo del Medioevo perché ha come caratteristica dell'epoca le cosiddette "bocche da fuoco" e i propugnacoli. La struttura dei cornicioni, delle volte e delle finestre, nonché i materiali usati, indicano, tuttavia, che l'ultima modifica strutturale della Rocca sia stata effettuata tra il 1400 e il 1500 (periodo aragonese, come si vedrà più avanti). Sulla sommità del Monte Petrino, si erge il maestoso palazzo: edificio di forma a "L", composto da due piani. Il secondo livello, attualmente, si intravede soltanto poiché oltre all'erosione di tempo e natura - anche con i bombardamenti delle guerre mondiali - ha subito ingenti danni strutturali. Lo stesso è circondato da piccole costruzioni che scendono verso nord e che sono nate dalle prime vere edificazioni (a sostituzione dei villaggi) fatte prima dai longobardi, ampliate dai normanni e completate dagli aragonesi. Al piano terra, poi, non vi sono vani di entrata, ma solo cinque bocche da fuoco larghe non più di 70 centimetri. Il piano superiore, per quel che resta, aveva cinque magnifiche finestre, larghe 1,80 e alte 3,10 con cimase a triangolo. Inoltre il palazzo era composto nel suo interno da cinque camere e tra queste un lungo e largo camerone. L’entrata, vista la difficoltà d'accesso nella parte frontale, doveva essere laterale o posteriore. Misteriosi, invece, sono gli indizi di ipotetici sotterranei. Alcuni affermano che essi conducano alla base del Monte e addirittura che vi fossero collegamenti con l'attuale Palazzo Ducale (https://castelliere.blogspot.com/2017/09/il-castello-di-venerdi-1-settembre.html). Ma tali testimonianze non risultano dimostrabili. Sulla cresta del monte, ad un centinaio di metri di distanza, nella parte occidentale, si erge una torre a forma rotonda, che si presume mettesse in comunicazione il castello con un passeggiatoio superiore dall'incredibile panorama. La zona abitata, invece, situata in prossimità del palazzo, era formata da una serie di strutture ad un solo livello ove si scorgono tuttora i fori per le travi delle soffitte, le quali furono agganciate in modo tale che il tetto fosse delle stesse dimensioni delle fondamenta. Vi sono, altresì, alcune cisterne, molte delle quali scoperte durante le campagne di scavo e che evidentemente avevano l'utilità di immagazzinare l'acqua piovana. Tra queste una vasca grandissima situata sulla sommità del monte, lunga e profonda circa 4 metri e larga 15, le cui pareti sono rivestite di un intonaco doppio e resistente. Gli scavi archeologici, finanziati dal Comune, dal 2003 al 2009 hanno permesso di ricreare le condizioni di vita di quel periodo e le strutture di quel complesso fortificato ubicato sul monte. L’insieme architettonico della Rocca costituisce un nucleo insediativo fortificato di notevole interesse e di particolare rilievo per le caratteristiche di occupazione del territorio. Le indagini svolte durante le campagne di scavo hanno permesso di dimostrare lo stato di conservazione di tutto l’insediamento che, pur presentandosi completamente abbandonato e con tutti i singoli edifici in stato di rudere, conserva ancora leggibile sul terreno la disposizione topografica dell’ultima fase di occupazione risalente al periodo tardo-medievale, non avendo subito rioccupazioni o rifacimenti successivi. Sono stati identificati tre insediamenti principali: un insieme di strutture realizzate sulla parte rocciosa che costituisce la piana sommitale del Monte Petrino, il quale comprende un edificio di grandi dimensioni, con forma ad “L”, una grande cisterna, alcune più piccole e altre strutture, costruite l'una attaccata all'altra su una prima cortina muraria. In particolar modo, nella parte sommitale, negli ultimi anni di scavi archeologici, è stata fatta una importante scoperta. È stata rinvenuta una fornace, a pianta circolare, probabilmente utilizzata per la produzione del vetro e ceramica, risalente al XII secolo e realizzata in pietre di calcare. Lo stato di conservazione è quasi integrale, rappresentando un unicum in Italia. Sul versante orientale ed in particolare sul crinale, si sviluppa un primo villaggio, racchiuso entro un'ulteriore cinta muraria, con due porte d’accesso ed un torrione pentagonale all’estremità occidentale. Il villaggio/borgo, che si sviluppa direttamente a ridosso del recinto fortificato superiore, verso ovest, è caratterizzato, altresì, dalla presenza di un piccolo edificio religioso, da alcuni edifici di grandi dimensioni con più ambienti e da un articolato sistema di approvvigionamento delle acque piovane che si può notare attraverso una serie di piccole cisterne comunicanti tra loro. La piccola chiesa scoperta è caratterizzata da un'unica navata, monoabsidata e, in epoca successiva, fu utilizzata come area cimiteriale. Difatti la pavimentazione è stata asportata in vaste porzioni per consentire la deposizione di sepolture. Sul versante sud dell’altura, ci si trova in un secondo villaggio caratterizzato da una serie di abitazioni a tre o quattro ambienti. Terza ed ultima cortina muraria racchiude ad est ed a ovest l’intero complesso con due tratti rettilinei disgiunti, orientati nord-sud. Ulteriori strutture difensive sono ubicate lungo il crinale che scende verso il mare: si tratta di un lungo antemurale di notevoli dimensioni, potenziato da due torrioni e conservato solo in fondazione, che doveva separare, con funzione di difesa, il versante nord dell’altura - unico sentiero di accesso all’insediamento fortificato - da quello sud, inaccessibile perché molto ripido e privo di vegetazione. Tra i numerosi edifici che compongono la Rocca (ad oggi ne sono stati identificati tredici) è stato portato alla luce, durante le campagne di scavo, un ambiente composto da varie stanze e dotato di ben due cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, ubicato alle spalle della chiesa. L’articolazione interna dell’edificio fa pensare a un uso del corpo di fabbrica diverso da quello semplicemente abitativo: molto probabilmente si trattava di un magazzino per la raccolta e la distribuzione di derrate, forse con il piano superiore adibito ad abitazione. L’abbandono del complesso, in base ai dati materiali e numismatici, avvenne alla fine del XV secolo d.C. Molti reperti rinvenuti a seguito delle campagne di scavi sono stati conservati all’interno del Museo Civico Archeologico di Mondragone. Da qualche anno, grazie all’impegno di alcune associazioni del territorio, il castello viene riccamente illuminato nei giorni della festa di San Michele Arcangelo. Altri link suggeriti: https://fondoambiente.it/luoghi/rocca-montis-dragonis?ldc, https://mondragonece.altervista.org/rocca-montis-dragonis-mondragone/, https://www.youtube.com/watch?v=37q3a_6HPjU (video con drone di Il Domitio), https://www.youtube.com/watch?v=HFKX1_Cuc6M (video di Gruppo BAD BOYS), https://m.facebook.com/watch/?v=6910772598965176&paipv=0&eav=AfYXt5M7a_xTj-1nNGqzJ6d7akDZNOSTdtRLfZ1xxW1N2qmmTH64bvIKJzWnXN4lNbU&_rdr (riprese aeree), https://www.youtube.com/watch?v=0tJCx1K7HsA (video di Pisano Music Eventi), https://www.youtube.com/watch?v=7b50ltWddfE (video di Valentina Gigli)

Fonti: https://www.comune.mondragone.ce.it/archivio2_aree-tematiche_0_83.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Montis_Dragonis, https://caserta.italiani.it/castello-di-mondragone/

Foto: entrambe prese da https://fondoambiente.it/luoghi/rocca-montis-dragonis?ldc

giovedì 24 novembre 2022

Il castello di giovedì 24 novembre



PERUGIA - Castello in frazione Sant'Egidio

Il Castello e la torre di Sant’Egidio furono edificati intorno al XV secolo. Si trattò di una fortificazione apportata ad una villa precedente che per la sua posizione il Comune di Perugia ritenne opportuno dotare di robuste mura. La fortificazione era importante infatti sia per essere posizionata su un vecchio asse viario che conduceva ad Assisi e costituiva al tempo un punto importante per le comunità del contado perugino e una sosta intermedia per i flussi di pellegrini diretti verso i santuari di Assisi e Loreto, sia per la sua posizione intermedia strategica in rapporto all’acerrimo nemico di Perugia cioè Assisi. La sua funzione principale infatti fu quella di costituire una prima linea difensiva contro un eventuale attacco da parte degli Assisani, linea costituita da una serie di altri castelli quali: Civitella d’Arna e Ripa, per citarne alcuni, i quali dovevano reggere l’impatto primario di una eventuale invasione. Ciò si verificò puntualmente il 12 luglio 1416 quando il Capitano di ventura Braccio Fortebraccio da Montone nella piana di Sant’Egidio sconfisse le truppe perugine di Malatesta Baglioni spianando la strada per la conquista di Perugia di cui divenne signore. Carlo Malatesta predispose un piano di battaglia molto semplice: dispose il suo esercito oltre il Tevere, schierato in un vasto semicerchio fra Ponte Valleceppi e Ponte S.Giovanni nella pianura delimitata dal Tevere e dal Chiascio, con il centro un po’ arretrato rispetto alle ali. Le truppe avrebbero dovuto mantenere un atteggiamento prettamente difensivo sperando di spingere i Bracceschi a caricare impetuosamente. Una volta che si fosse verificato questo attacco, le ali sarebbero dovute scattate per circondare i nemici. Il Malatesta era tanto sicuro di sé che secondo alcune fonti preferì restare nei suoi accampamenti distanti diversi chilometri dal luogo dello scontro in attesa degli eventi invece di prendere posto fra le sue truppe.
Braccio, che conosceva meglio dell’avversario il terreno e gli effetti del caldo estivo nella piana del Tevere, fece predisporre molti punti di approvvigionamento alle spalle del suo esercito prevedendo che sarebbe stata una lunga giornata di combattimenti. Braccio, sfruttando l’iniziativa che gli era stata lasciata dalla strategia del nemico, adottò una tattica ben precisa, già utilizzata altre volte, ma che a Sant’Egidio raggiunge probabilmente il suo culmine: invece di fare degli attacchi in massa, mandò avanti le squadre di cavalleria ad impegnare di continuo gli statici avversari con attacchi in settori ben definiti dello schieramento, utilizzando queste squadre di cavalieri in maniera flessibile, pronte a ritirarsi per riformarsi e riposarsi mentre venivano sostituite da altre squadre fresche in modo da tenere il nemico sempre impegnato e incerto su dove egli avrebbe scatenato l’attacco successivo.
La battaglia, iniziata con l’attacco delle schiere di Malatesta Baglioni contro l’avanguardia nemica condotta da Angelo della Pergola, andò avanti per sette ore con l’esercito del Malatesta che aspettava il momento giusto per colpire secondo il piano originario oppure semplicemente incapace di contrattaccare la mobile cavalleria nemica. Gruppi sempre più numerosi di soldati, dopo tutte quelle ore in armatura sotto il sole torturati dal caldo e dalla sete, iniziarono a staccarsi autonomamente dai propri reparti per dissetarsi al Tevere e poi tornare nei ranghi, creando grande confusione.
Braccio attese fino a quando non reputò che l’esercito perugino fosse abbastanza disorganizzato, quindi ordinò una carica generale con la sua cavalleria, tagliando in tre pezzi lo schieramento nemico. Dopo ore di schermaglie la battaglia fu decisa in pochi minuti da questo attacco. La rotta dei malatestiani fu completa; Angelo della Pergola con 400 cavalieri riuscì a fuggire verso Foligno, ma il resto dell’esercito malatestiano fu catturato compreso lo stesso Carlo Malatesta, pare nella sua tenda seduto a tavola. La battaglia non fu particolarmente cruenta: tra i bracceschi rimasero uccisi 180 uomini d’arme, mentre i morti perugini furono più di 300 e almeno 3000 cavalli vennero catturati; i membri della famiglia perugina dei Michelotti fatti prigionieri furono più tardi fatti giustiziare in carcere, pratica inusuale nelle battaglie tra condottieri, ma tipica delle lotte di fazioni cittadine.
Perugia, dopo la battaglia di Sant’Egidio, si vide costretta ad offrire a Braccio la signoria della città.
La pace fu conclusa il 16 luglio 1416 nel convento degli olivetani di Montemorcino. Un altro episodio bellico avvenne nel 1540 durante la cosiddetta “guerra del sale”, quando il borgo subì i saccheggi delle truppe di papa Paolo III Farnese. Il castello di Sant'Egidio era a forma rettangolare con dei bastioni circolari disposti sugli angoli, dei quali oggi ne restano due, oltre a due torri quadrate. L’interno è ben tenuto e sulla minuscola piazzetta interna, durante i lavori di restauro del 1998-99 è tornata alla luce una vecchia cisterna medievale proprio al centro della stessa. Il castello è confuso nelle case di nuova costruzione che lo hanno assorbito.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sant%27Egidio_(Perugia), https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-santegidio-santegidio-pg/, https://turismo.comune.perugia.it/poi/santegidio

Foto: la prima è presa da http://www.emozioninumbria.com/santegidio-quiete-e-storia-di-un-piccolo-borgo-perugia/, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-santegidio-santegidio-pg/

mercoledì 23 novembre 2022

Il castello di mercoledì 23 novembre

 



DERVIO (LC) - Castelvedro

La struttura, a 392 m s.l.m. in località Mai, era affacciata sul lago. Sulla base della tipologia costruttiva, si ipotizza che la costruzione originaria risalga al V o VI secolo. Era probabilmente un punto di comunicazione sul Lago di Como, da e per le fortificazioni di Bellagio, Menaggio, Santa Maria Rezzonico e Gravedona, contro le scorrerie dei barbari; inoltre era punto strategico di difesa di una strada, oggi non più esistente, che saliva a Casargo in Valsassina. Sono oggi presenti tratti delle murature in pietra, in alcuni punti alte fino a 4 metri. Si stima che il castello coprisse un area di 1500 metri quadrati. Verso sud sono presenti i resti di una torre. Quando, in epoca tardomedievale, la strada che passava attraverso Castelvedro fu sostituita da un'altra che passava sul versante opposto della valle, il castello di Mai perdette la sua importanza e fu sostituito dal Castello di Orezia (https://castelliere.blogspot.com/2013/07/il-castello-di-venerdi-5-luglio.html), perciò fu chiamato Castel-vedro; infatti, la parola vedro deriva da vetero che significa vecchio. Altri link suggeriti: http://web.tiscali.it/dervio/qd/luoghi/visite/vedro.htm, https://pietro.pensa.it/Il_Castelvedro_di_Dervio, https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/RL560-00143/, https://www.researchgate.net/figure/Dervio-LC-Castelvedro-Strutture-superstiti-del-castellum-altomedievale_fig2_29851578

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castelvedro, https://www.comoeilsuolago.it/castelvedro.htm

Foto: la prima è presa da https://prolocolario.it/wp-content/uploads/2011/11/castelvedro.png, la seconda è di Pro Loco Dervio su https://it.wikipedia.org/wiki/Castelvedro#/media/File:Dervio_-_Castelvedro.jpg

martedì 22 novembre 2022

Il castello di martedì 22 novembre

 


MATTIE (TO) - Casaforte di Menolzio (o Castello o Casaforte di Mattie)

La sua costruzione si fa risalire al Trecento, ma l´insediamento di una prima struttura fortificata sul poggio pare da assegnarsi agli Aschieri, vassalli dei Savoia, che sarebbero giunti in valle al seguito dei primi signori sabaudi già nel XII secolo. L'edificio sorge su un rilievo nei pressi dell'attuale frazione Menolzio (anticamente Villa Menosii). Da questa altura rocciosa si ha una splendida visuale sia della Valle sia dei territori retrostanti. I proprietari, la famiglia Farguili, furono investiti di parte del territorio di Mattie dall'Abbazia di San Giusto di Susa. L'edificio fortificato più che a un vero e proprio castello è riconducibile ad una massiccia torre recintata. La sua proprietà passò nel 1291 alla casata dei Bartolomei, dietro il pagamento di 310 lire segusine, e nel secolo XIV a questi subentrò la famiglia Barrali, che a poca distanza costruì la “turris Barralium”, oggi conosciuta come Torre della Giustizia. Tale costruzione, edificata sulla destra del Rio Corrente (il rio che passa per la Borgata di Menolzio) in posizione panoramica e a poche centinaia di metri dal Castello, non risulta avere una grande storia; infatti nel 1641 era già in rovina e venne soprannominata Torre o Castellazzo. Oggi i suoi ruderi sono conosciuti come Torre della Giustizia, toponimo “romantico” e quindi non proveniente da tradizioni locali consolidate. Nel dialetto locale invece tale luogo è indicato giustamente come “regione del Chatlar” ovvero Castellazzo. Tornando a parlare del castello, esso nel 1779 passò in mano agli Agnes Des Geneyes di Fenils (che ne detennero la proprietà fino alla fine dell´Ottocento), poi agli Ainardi ed è oggi degli Antonielli d'Oulx. Da un documento del 1607 si apprende che il castello era già a quel tempo in condizioni di avanzata rovina; tuttavia, fino a non molti anni addietro, vi si notavano ancora resti di stemmi gentilizi dipinti, con alcuni simboli vescovili. La comunicazione diretta avveniva con i presidi di Meana e Traduerivi. Il torrione superstite, poggiato direttamente sulla roccia, ha la forma massiccia di un parallelepipedo costruito interamente in pietra di piccola pezzatura. Si possono ancora apprezzare tratti del coronamento di merli guelfi, alcune eleganti monofore solo in parte murate, ed una bertesca su mensole degradanti in pietra posta a difesa della zona di ingresso. L´interno presenta segni di avanzato degrado, mentre le murature esterne, grazie anche alla robustezza della struttura lapidea, non hanno segni di lesioni importanti. Attualmente la costruzione non è utilizzata ma esiste un programma di restauro e di ridestinazione a struttura ricettiva. Altri link proposti: https://www.lagendanews.com/la-casaforte-di-menolzio-di-mattie-un-gioiello-medievale-immerso-nel-verde/, https://www.fctp.it/location_item.php?id=3810 (immagini), https://www.youtube.com/watch?v=WPkVSNX-CPw (video di Drone Fly)

Fonti: https://www.comune.mattie.to.it/turismo-e-sport/cosa-visitare/, https://it.wikipedia.org/wiki/Casaforte_di_Menolzio,http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/sit-cartografico/beni-culturali/beni/vsusamed/vsusamed-mattie1, http://archeocarta.org/mattie-to-castello-menolzio-ruderi-torre-giustizia/

Foto: la prima è di Franco Plantas su https://www.laboratorioaltevalli.it/storia-e-tradizione/casaforte-di-menolzio, la seconda è di Paolo Barosso su https://www.piemonteis.org/?p=5947

lunedì 21 novembre 2022

Il castello di lunedì 21 novembre

 



SANTA SOFIA (FC) - Castello di Pondo

Probabilmente di origine romana, è ricordato con certezza fin dal 1200 assieme ai vicini castelli di Civitella, Castelvecchio, Collina per essere stato ceduto a Guglielmo, Arcivescovo di Ravenna.
Passò poi nel 1364 agli Ubertini, alleati dei Conti Guidi. Oggetto di assedi da parte di Federico Barbarossa e di Uguccione della Faggiola, dagli Ubertini il castello passò ai Malatesta in epoca imprecisata, comunque in una pergamena di Camaldoli del 1496 è ricordato Lamberto Malatesta conte di Pondo. Il Cardinal Anglico, nel 1371, così descrive il fortilizio: "Il castello di Pondo è in una valle fra 2 fossi, sopra un monte fortissimo; ha una rocca bellissima e forte e 2 torri fortissime". Il castello fu distrutto nel 1404 dalla Repubblica Fiorentina. Il Duca di Borbone il 17 aprile 1527 passò per la valle di Pondo per recarsi a Corzano, di questo passaggio esistono due versioni contrastanti date dallo stesso Girolamo Naselli (oratore del duca di Ferrara). In una prima lettera scrisse che il castello fu distrutto, mentre in un'altra lettera scrisse:"Gli Spagnoli vollero pigliare per forze una bella fortezza chiamata Ponte [Pondo] alla quale furono morti di essi da cinque a sei e conoscendo la impresa difficile l'abbandonarono." Nel 1595 il castello era nella maggior parte distrutto. I suoi ruderi si trovano sulla sommità di una collinetta, invasi dalla vegetazione e seminascosti da un boschetto. Restano solo una parte delle mura ed alcuni vani seminterrati. Potente castello, si trovava sulla strada che da Galeata conduceva alla valle di Bagno. Secondo una leggenda il nome deriva da un castellano che costretto ad arrendersi e ad abbandonare la fortezza dopo un lungo assedio, ebbe la forza di portare sulle spalle la sua sposa, e a chi voleva alleviarlo di quella fatica, rispose che per lui era dolce quel peso (dulce pondo). Il castello di Pondo è stato inserito recentemente nel circuito 'Rocche e Castelli', curato dalla Comunità Montana Appennino Forlivese. Altri link per approfondimento:https://it.wikipedia.org/wiki/Mortano, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Emilia/forli/pondo.htm

Fonti: https://www.appenninoromagnolo.it/castelli/pondo.asp, http://www.turismoforlivese.it/servizi/menu/dinamica.aspx?ID=27902

Foto: entrambe prese da https://www.appenninoromagnolo.it/castelli/pondo.asp





giovedì 17 novembre 2022

Il castello di giovedì 17 novembre



ALA (TN) - Castel Sajori

E' un castello medievale ormai in rovina che si trova ad un'altezza di 669 m s.l.m. su un dosso roccioso sopra la frazione di Chizzola. Il suo nome deriva probabilmente da una contrazione del termine "San Giorgio" a cui era dedicata la cappella del castello. Il castello costituiva insieme al sottostante castel Chizzola (https://castelliere.blogspot.com/2016/06/il-castello-di-mercoledi-8-giugno.html) e al castello di Serravalle, una linea fortificata che sbarrava la valle dell'Adige. Fu costruito nel XII secolo dai Castelbarco (le prime fonti documentarie relative al castello risalgono al 1218) e circa un secolo dopo il castello risultava in comproprietà con la linea castrobarcense dei Rovione. Nel 1387, con l´estinzione di questo ramo della famiglia, le relative proprietà passarono parte in concessione al ramo castrobarcense di Avio e parte ai Castelbarco di Albano e di Gresta. Con la morte di Francesco, unico erede di Azzone, secondo la volontà testamentaria di quest´ultimo, il patrimonio, compreso il castello, venne lasciato alla Repubblica di Venezia. Nel 1440 il castello venne acquistato dalla famiglia dei Betta dal Toldo di Rovereto dopo che la Serenissima aveva alienato quasi tutti i diritti privati feudali delle ex signorie castrobarcensi in Vallagarina. Rimasto giuridicamente patrimonio inalienabile della Chiesa il castello fu rivendicato senza successo dal principe-vescovo Giorgio Hack. Le fonti non recano informazioni riguardo agli ultimi decenni del XV secolo, periodo nel quale il castello svolse forse la funzione di osservatorio del campo veneziano di Serravalle-Chizzola. Nel 1509 le posizioni venete vennero sgomberate a causa dell´offensiva delle truppe di Massimiliano I d'Asburgo, che occupò i castelli lagarini. Il Castello di San Giorgio in quel periodo risultava da tempo abbandonato, poiché anche il sistema viario che controllava aveva perso la sua importanza. Al tempo della guerra di successione per il trono di Spagna pare che il castello fosse minato dalle truppe francesi. Il castello fu dunque distrutto e mai più ricostruito. Il maniero si ergeva sull´estremo crinale delle terrazze rocciose che delimitano la conca di Brentonico; i suoi ruderi, tra cui tra cui i resti delle fondamenta del mastio e tratti delle mura disposti intorno alla sommità della vetta, indicano come la costruzione si adattasse rigorosamente alla morfologia della roccia. La vista sulla vallata sottostante ne faceva indubbiamente un punto privilegiato per il controllo capillare del territorio e del suo sistema fortificato. L´intera area su cui sorgeva il castello è stata soggetta a fortificazioni durante il primo conflitto mondiale, perciò le evidenze medievali si intrecciano a quelle belliche. La fortificazione presenta una pianta vagamente ellittica delimitata da una robusta cinta di mura; l´articolazione interna, piuttosto semplice, comprendeva il mastio (probabilmente quadrangolare) e altri tre ambienti di cui non è stato possibile individuare con certezza la funzione. Oggi è liberamente visitabile e raggiungibile con un sentiero dalla sottostante frazione di Chizzola. Altri link suggeriti: https://lovetrentino.it/castel-sajori/, https://www.youtube.com/watch?v=NuHcdnmN9KM (video di Matteo Crivellaro), https://www.youtube.com/watch?v=-jb38YtSnyA (video con drone di Emilio Fontanari)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Sajori, http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castel-Saiori-Castel-San-Giorgio,

Foto: la prima è presa da https://lovetrentino.it/castel-sajori/, la seconda è presa da https://www.ladigetto.it/Arte+e+Cultura/teatro/79453-%C2%ABla-siora-verda%C2%BB-domenica-9-settembre-a-castel-sajori.html

mercoledì 16 novembre 2022

Il castello di mercoledì 16 novembre

 



CALCINAIA (PI) - Torre degli Upezzinghi (o Torre Grande)

Fu fondata prima dell'anno 1000 in epoca medioevale sulla riva destra dell'Arno. Il suo nome originale era Vicus Vitri, che da alcuni storici locali è stato fatto derivare dalla presenza nel territorio di improbabili botteghe per la lavorazione di stoviglie vetrificate o da un nome di persona romano Vitrius. È assai più credibile ravvisare in "vitri" la corruzione della voce latina "veteri" ovverosia vecchio, appellativo dato alla primitiva Calcinaia per distinguerla dall'altro Vico presente nelle vicinanze (ovverosia l'attuale Vicopisano), evidentemente di fondazione più recente rispetto a Calcinaia. In seguito la cittadella cambiò il nome con l'attuale Calcinaia (attestato per la prima volta nel 1193) a causa delle numerose fornaci di calce che all'epoca furono edificate nel comune, assumendo come stemma due arselle (o telline) in attinenza con l'acqua, la sabbia e quindi il mare, forse a ricordo dei primi colonizzatori e fondatori arrivati probabilmente risalendo l'Arno. Durante l'alto Medioevo, a Calcinaia esercitavano i diritti di Signoria i Conti Cadolingi di Fucecchio; successe a loro la nobile famiglia ghibellina degli Upezzinghi di Pisa; il più noto di essi fu Gualtieri di Calcinaia che divenne Potestà di San Gimignano nel 1221, e di Arezzo nel 1243. In seguito la cittadina fu coinvolta nelle continue rivalità tra la Repubblica di Pisa e quella di Lucca, e proprio a Calcinaia si incontrarono nel 1138 il Papa Innocenzo II e l'Imperatore Lotario II, finché nel XV secolo la Repubblica fiorentina, entrata nelle lotte con Pisa per ottenere il controllo dello scalo marittimo più importante nella regione e delle vie di comunicazioni fluviali interne, la conquistò, la inglobò nei suoi possedimenti e nel 1555 il Granduca Cosimo I de' Medici, su studi di mappe disegnate da Leonardo da Vinci, fece costruire sul territorio fondamentali lavori idraulici per regolare le piene dell'Arno e impedire così le frequenti inondazioni che devastavano vaste zone del borgo. La Torre Grande è il monumento emblematico del centro storico di Calcinaia nonché la più antica testimonianza, oggi visibile, dell’antico insediamento castellano. L’edificio è databile alla prima metà del Duecento; tradizionalmente la sua proprietà si fa risalire agli Upezzinghi che furono dal X secolo alla fine del XIII secolo un’importante famiglia che esercitò i diritti di signoria sul paese e su di un vasto territorio tra l’Arno e l’Era, comprendente i pievanati di Calcinaia e di Travalda. Nacquero qui a Calcinaia alcuni dei figli più illustri del casato, tra questi: Uguccionella madre del Conte Ugolino di Donoratico-Della Gherardesca (citato da Dante nella Divina Commedia) e Gualtieri che fu podestà di Siena. La torre è la più antica testimonianza del primo insediamento castellano sorto nelle vicinanze dell’importante pieve di San Giovanni Battista che controllava l’attraversamento sul fiume Arno (in totale erano dieci torri). L’edificio ha una pianta rettangolare, costruito in blocchi di arenaria e pietra verrucana fino al secondo piano, presenta un paramento in laterizio per i livelli successivi. Si notano sulla facciata nove mensole scolpite che raffigurano uomini, animali e figure geometriche-floreali, analoghe a quelle di alcuni edifici coevi del vicino castello di Vicopisano. Le mensole, affacciate sulle rispettive buche pontali, avevano una funzione decorativa e statica al tempo stesso poiché servivano a sorreggere i tre ballatoi lignei sui quali si aprivano le tre finestre rettangolari della facciata; l’utilità di questi balconi, spesso collegati tra loro da scale esterne, era quella di dare ai piani della torre una maggiore superficie calpestabile. L’attuale porta d’ingresso, disassata rispetto al resto ed assai angusta, è stata ricavata in epoca successiva poiché si suppone che l’originario accesso dell’edificio si trovasse sul fronte meridionale. Dopo la costruzione della nuova cerchia muraria della “terra murata” di Calcinaia (1287) voluta dalla repubblica pisana, che impose anche l’allontamento degli Upezzinghi (1290), la cui fedeltà a Pisa era dubbia , la torre divenne di proprietà pubblica e vi venne stabilita la residenza del capitano, un ufficiale con giurisdizione civile e penale sul castello. La torre assieme alla casa affianco fu sede dei rappresentanti del potere fino alla metà del Quattrocento quando la Repubblica di Firenze che aveva conquistato Pisa ed i suoi territori nel 1406, dispose che l’edificio venisse privato delle sue funzioni non essendo più strategico, vista la crescente rilevanza che stava assumendo la vicina Pontedera, alla cui podesteria il paese di Calcinaia fu annesso. L’edificio venne così dato a censo dai Capitani di Parte Guelfa, nel 1541, alla famiglia fiorentina dei Giuntini che la tenne fra le sue proprietà in cambio di un esiguo tributo annuale da versare alla Signoria. Dopo i Giuntini, i proprietari furono i Barbieri che acquisirono la torre alla metà del Seicento, alla morte dell’ultimo discendente del casato, il monumento entrò a far parte di un beneficio ecclesiastico e a fine Settecento venne acquisito dalla famiglia Chiocchini per passare ai Puccetti nel 1879. I proprietari riscuotevano un affitto sulla torre che era abitata da una famiglia indigente; le precarie condizioni statiche, nel maggio 1920, spinsero il Comune a dichiararla inagibile disponendone l’evacuazione. Pochi mesi dopo, il terremoto del 7 settembre del 1920, inflisse gravi danni all’antico edificio; fu necessario provvedere ad un urgente consolidamento, il monumento venne a tal scopo acquistato dal Comune (1921) ed i lavori di restauro, terminati il 22 gennaio 1924, portarono alla sostituzione di alcuni solai interni, al consolidamento della struttura e all’aggiunta di una merlatura “in stile” che fece raggiungere alla torre l’attuale altezza di 18 metri. A seguito della riparazione di alcuni danni causati dalle schegge durante la Seconda Guerra Mondiale, la torre cadde in stato di abbandono fino al 1999 quando a cura dell’Amministrazione comunale di Calcinaia venne restaurata e adibita a sede di mostre di arte e pittura, nonché di incontri e presentazioni. Un’altra torre ancora esistente della cinta muraria del XIII secolo è la Torre di San Francesco, detta anche Torre Mozza, che rappresentava l’accesso al borgo da nord. La torre era in origine merlata, con doppio arco a tutto sesto chiuso da un portale in legno. La nuova fortificazione tardo trecentesca del castello determinò il rialzamento e l’apertura delle finestrelle. Una terza torre è la Torre della Fornace. Sui prospetti sono visibili ancora le feritoie con funzioni di controllo verso l’esterno e di attacco per la difesa interna. Attualmente è inglobata nell’edificio della famiglia Coccapani, che dal 1768 era utilizzato come bottega per la produzione della ceramica con la costruzione di una fornace. Altro link proposto: https://www.youtube.com/watch?v=DJ2aOSUSlgg (video di Fabrizio Borghini),

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Calcinaia, https://www.comune.calcinaia.pi.it/il-comune/calcinaia2c-ti-visito21/la-torre-grande-detta-degli-upezzinghi/2033, https://www.terredipisa.it/attrazione/calcinaia-torre-upezzinghi/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è di Mongolo1984 su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Torre_degli_Upezzinghi_(1).JPG

martedì 15 novembre 2022

Il castello di martedì 15 novembre

 



TEGGIANO (SA) - Castello Sanseverino (o Macchiaroli)

Sorto in epoca normanna in seguito al processo di incastellamento degli antichi abitati in atto in tutta Europa, il Castello di Teggiano è fra i più importanti dell'Italia meridionale. Le notizie più antiche del maniero a Teggiano, Diano fino al 1862, sono contenute in un privilegio del 27 maggio 1405. Con esso, il re Ladislao di Durazzo concesse ai dianesi – che avevano intrapreso, in ottemperanza a una disposizione regia, la ristrutturazione del castello con la costruzione di una grossa torre – sgravi fiscali e un contributo finanziario dovuto da città e casali del Vallo di Diano in ragione del numero degli abitanti. In quell’anno il feudo di Diano apparteneva al demanio regio, avendolo Ladislao confiscato ai Sanseverino conti di Marsico, insieme con altre città e terre di loro dominio, per punirli di essere stati suoi nemici, cioè fautori degli Angioini di Provenza. Un altro restauro è documentato nel 1417, disposto questa volta dai Sanseverino, ai quali si deve perciò l'ampliamento della costruzione che fece assumere al Castello quell'aspetto monumentale che notiamo ancora oggi. Un ulteriore importante restauro del castello fu eseguito nel 1487 per ordine del re Ferdinando I d’Aragona, condotto dell’architetto fiorentino Giuliano da Sangallo. In questo periodo Diano apparteneva al demanio regio, essendo stata confiscata al principe Antonello Sanseverino, dichiarato ribelle per aver capeggiato nel 1485 la Congiura dei Baroni, preparata nel Castello di Diano. Con i lavori del 1487, il castello vide confermato il suo ruolo strategico per la difesa del territorio circostante. Il complesso presentava un mastio coperto a coppa, al quale facevano corona cinque torrioni cilindrici, scoperti e fortemente scarpati. In uno di essi, detto Torre della Giammaruca, una scala a chiocciola dalla sommità scendeva verso un’uscita d’emergenza che, passando sotto i muri di cinta, portava fuori dal castello. I torrioni erano congiunti da robuste cortine merlate, nell’area centrale sorgeva l’edificio tetragono con vari ambienti che si affacciavano su una spaziosa corte che per tutta la sua ampiezza copre una cisterna capace di assicurare la riserva d’acqua necessaria per resistere a un lungo assedio. La fortezza era circondata da un profondo e largo fos­sato, sul quale potevano essere abbassati due ponti levatoi situati rispettivamente sul lato sud e sul lato ovest. Il maniero è stato sede di diversi avvenimenti storici importanti: l'assedio del 1433 ad opera delle truppe di Ladislao di Durazzo, la congiura dei baroni contro il Re Ferdinando I d'Aragona (sotto la guida del Principe Antonello Sanseverino, i Baroni della zona, stanchi di contribuire in maniera sempre crescente alle spese militari del Re, si ribellarono riunendosi a Diano) e l'assedio delle truppe di Carlo VIII (1497) di brevissima durata che si concluse con una blanda resistenza della città e del castello. Per le sue poderose difese, Anto­nello Sanseverino scelse il castello come ultimo baluardo. Nel 1497, rin­chiuso nell'edificio, sostenne l’assedio del re Federico d’Aragona, giunto col suo esercito a snidare il principe di Salerno, nuovamente ribellatosi. Per circa due mesi la rocca di Diano fu inespugnabile, anche grazie alla strenua difesa dei dianesi. Tuttavia, col sopraggiungere di un altro contingente militare al comando di Gonsalvo Fernandez de Cordoba, Antonello si arrese a onorevoli condizioni. Terminò così il periodo bellicoso del Castello di Diano. L’ultimo rampollo dei Sanseverino, l’inquieto Ferrante, venne travolto dalla politica antibaronale del viceré don Pietro di Toledo perdendo i suoi feudi e si estinse nel 1552. Col subentrare di nuovi feudatari, che si successero a breve distanza di tempo, il castello mutò il suo ruolo: passò da bellicosa fortezza sanseverinesca a tran­quilla residenza feudale, abitata quasi sempre da un gover­natore che curava gli interessi del barone, presiedeva il tribu­nale locale e sorvegliava l’ordine pubblico. Il restauro fatto eseguire da Giovanni Villano, terzo marchese di Polla e signore di Diano, certamente fu finalizzato al recupero della zona residenziale. Tale restauro è ricordato da una lapide posta all'ingresso principale. Al 1660 circa risale una descrizione fatta da uno storico teggianese, padre Luca Mannelli, il quale dice che la costruzione è circondata da "profondo e largo fosso sì che vi s'entra per due ponti, uno dei quali più vicino alla porta, nell'occorrenza si alza la notte. La fabbrica è molto larga e soda, con otto grandi torri, una delle quali è il maschio dell'antica fortezza di Ladislao, rinchiuso, mentre un'altra chiamata torre della lumaca, alta il doppio delle altre per iscoprire il nemico". Il Mannelli dice infine che il Castello di Diano è giudicato "inespugnabile". Dal 1652 il Castello passò ai Calà, duchi di Diano, i quali lo tennero fino al 1801, anno in cui donna Brigida Calà sposò Vincenzo Schipani e gli trasmise il feudo, il titolo e il castello. Poi, con l’abolizione del sistema feu­dale decretata il 2 agosto del 1806 da Giuseppe Buonaparte, il Castello assunse il nuovo e definitivo ruolo di re­sidenza privata. Nel 1857 la parte nord occidentale venne acquistata dal teggianese Pasquale De Honestis che iniziò la trasformazione definitiva in edificio per abitazioni civili e fece erigere all’ingresso il portale neorinascimentale che oggi si vede. La parte sud orientale venne acquistata dai Macchiaroli, anch’essi teggianesi. Dal 1900 il castello risultava proprietà di tre famiglie dianesi, Macchiaroli, de Honestis e Gallo. Successivamente dopo il 1920 è divenuto tutto di proprietà della famiglia Macchiaroli, oggi è definitivamente chiamato Castello Macchiaroli, in onore della famiglia tuttora proprietaria. Oggi il castello apre le sue sale a importati ricevimenti. Esso è una cornice architettonica spettacolare con i suoi ambienti eleganti, e una cornice naturale con i suoi spazi esterni: il teatro all’aperto, le torri e le corti interne. La struttura è oggi teatro di una splendida rievocazione storica, tra le più ricche ed accurate d’Italia: "Alla tavola della Principessa Costanza". Questa festa medievale, della durata di tre giorni, nacque nel 1994 grazie alla Pro Loco locale, che da allora, ogni anno, mette in piedi un vero e proprio viaggio nel tempo. I visitatori possono così rivivere gli antichi fasti dell’epoca medievale, tra percorsi gastronomici, concerti, cortei e ricostruzioni storiche di eventi realmente accaduti, come l’assedio di Teggiano del 1497 da parte degli Aragonesi, durante il quale 150 figuranti rievocano perfettamente, con tanto di armature, armi e spettacoli pirotecnici, la battaglia che alla fine vide confermata l'inespugnabilità della fortezza dei Sanseverino. Altra sfarzosa ricostruzione è quella del matrimonio tra il Principe Antonello Sanseverino e Costanza da Montefeltro, figlia del Duca di Urbino Federico, evento che sancì l'unione tra due delle più potenti famiglie nobiliari del tempo. Altri link suggeriti: https://www.castellomacchiaroli.it/ (sito web dedicato al castello), https://www.mondimedievali.net/Castelli/Campania/salerno/teggiano.htm, https://visitteggiano.it/destination-item/il-castello/ (con foto molto interessanti),https://www.youtube.com/watch?v=dpZKsCe_ZHI (video di italia due), https://www.youtube.com/watch?v=kbLE6mhlTk4 (video di Curiosando Channel)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Teggiano, http://www.prolocoteggiano.it/castello-macchiaroli.php, https://www.castellomacchiaroli.it/castello/storia/, http://insolitaitalia.databenc.it/storia/castello-macchiaroli-teggiano/,https://www.opencampania.it/en/artworks/artwork/Castello-Macchiaroli-a-Teggiano/

Foto: la prima è presa da https://www.destinazioneseletanagrovallodidiano.info/Musei-e-Architettura/cAstello-macchiaroli-teggiano.html, la seconda è una cartolina della mia collezione

lunedì 14 novembre 2022

Il castello di lunedì 14 novembre


TARQUINIA (VT) - Rocca di Corneto e cinta muraria

La città di Tarquinia, quella che oggi vediamo, percorrendo la Via Aurelia, protendersi, con le sue antiche torri, sulla pianura maremmana - in vista del Mar Tirreno – è sorta nell?Alto Medioevo sopra un sito etrusco di secondaria importanza. Infatti questa non era la potente Tarquinia degli Etruschi, fondamentale nella storia di quel popolo, la quale si trovava sul colle della Civita, a qualche chilometro a Est; di essa restano poche tracce: l’Ara della Regina, oltre alla Necropoli di Monterozzi, quella delle tombe dipinte. All’epoca della caduta dell’Impero Romano gli abitanti della etrusca Tarquinia (quella importante, quella del Colle della Civita) si trasferirono su questa collina ed il nuovo insediamento fu chiamato Cornietum, sembra in relazione alla presenza di piante di corniolo (nome modificato in "Corneto", che rimase fino al 1827, quando fu chiamata ufficialmente Corneto -Tarquinia per poi nel 1922 assumere l’attuale denominazione (Tarquinia). Cornietum divenne presto Sede Vescovile e, intorno al Mille, fu circondato da una possente cerchia di mura con ben 60 torri; sulla vicina costa fu ricostruito il porto (già etrusco-romano) di Gravisca, cosa che diede luogo ad un rifiorire dei commerci. La città era entrata nei possedimenti di Matilde di Canossa per poi diventare libero Comune. Dopo essere stato coinvolta nelle lotte fra nobili schierati ora con il Papa ora con l’Imperatore - finì alla famiglia dei De Vico. Questi furono cacciati dal Cardinale Albornoz nel 1355; una volta tornata nelle mani dello Stato della Chiesa, Corneto venne assegnata in feudo ai Vitelleschi rimanendo nuovamente coinvolta in altre importanti vicende che ebbero per protagonista questa famiglia in particolare il Cardinale Giovanni Vitelleschi (detto "il Cardinale di ferro"). Nel 1418, su decisione del Senato Romano, I Cornetani ebbero il titolo di cittadini romani. Da qui la storia di Corneto seguì le vicende dello Stato Pontificio. Al primitivo Castrum Cornetum del VII-VIII secolo si aggiunse, mano a mano fino ad arrivare all’epoca comunale, una cinta muraria fortificata molto ampia, in cui la città si è sviluppata fino al XIX secolo. La prima fase, caratterizzata da conci di macco rettangolari regolari, che si imposta sul banco roccioso a vista, si sviluppa intorno a zone di facile accesso; corrisponde all’ampliamento della città, oltre a castello, nei terzieri di Poggio e Valle (secc. IX- XII); la seconda fase corrisponde a castro novo. I conci sono di misura ridotta rispetto a quelli del periodo precedente e l’impianto difensivo si caratterizza come un sistema militare con fossato. Le torri incorporate, insieme con alcune all’interno della città (di castello, Cialdi) fungono da avvistamento. Numerose le postierle di servizio delle porte di accesso, alcune con struttura a baionetta, conservano. forma originale (porta castello), altre sono frutto di diversi interventi (porta Maddalena). L’impianto ha anche subito trasformazioni, dovute alle mutate esigenze urbane (barriera S. Giusto). Notevoli alcune torri extra moenia, non più esistenti (di Corneto), rimaneggiate o a rudere (degli appestati, Caciola, degli orti). Nell’affresco con la genealogia di Corito (Palazzo comunale; C. Donati ridipinto da M. Gherardini, 1734) il sistema difensivo di Corneto appare, nel complesso, quale è oggi.L’originale castello acquisì il titolo di civitas agli inizi del XI secolo integrandosi con le opere difensive e ben presto fu sostituito da una cittadella. Ancora oggi la zona del castrum originale presenta le caratteristiche di una corte chiusa e il collegamento con il resto dell’attuale città si attua attraverso una porta. Il percorso per arrivare alla cittadella è obbligato tra 2 mura e 2 porte in posizione non rettilinea (percorso a baionetta) in modo da poter meglio difendere e isolare la cittadella stessa ed impedire l’uso dell’ariete. Una torre quadrata sovrasta il corpo di guardia ed una rotonda, munita di beccatelli per la difesa piombante, è a controllo della porta. Documenti attestano che la volontà di costruire la “resecata di castello” (così si chiama il passaggio obbligato tra 2 alte mura e 2 torri di difesa) fu del Cardinale Giovanni Vitelleschi tra gli anni 1435 e 1439 per escludere il castello dalla città in fase di espansione e rinnovamento urbanistico.. La torre, attribuita così al XV secolo, presenta una merlatura sicuramente successiva ed è conosciuta come la Torre di Matilde di Canossa, per ricordare il luogo del preesistente castello che documenti ci confermano come luogo chiuso (“palatio intus castello”) in cui già nel 1080 la contessa Matilde dirimeva le più importanti controversie cittadine. Altri link per approfondimento: https://www.artestoriatarquinia.it/wp-content/uploads/bollettini/1979_Bollettino/2.pdf, https://www.youtube.com/watch?v=vi1ubmcRX9Y (video di Luigi Manfredi), https://www.youtube.com/watch?v=cYUC20LQM0k (video di Skylab Studios), https://www.artestoriatarquinia.it/wp-content/uploads/bollettini/1988_Bollettino/Mariani%20Miarelli%20Gaetano%20_%20Le%20mura%20di%20Tarquinia%20in%20un'inedita%20planimetria%20cinquecentesca.pdf

Fonti: testo di Tesori del Lazio su https://www.tesoridellazio.it/tesori/tarquinia-vt-rocca-di-corneto-e-torre-di-matilde-di-canossa/, https://tarquiniaturismo.com/porta-di-castello-torrione-matilde-canossa/,https://tarquiniaturismo.com/cinta-muraria-sistema-difensivo/, http://www.lazioturismo.it/asp/scheda_archeo.asp?id=116

Foto: la prima è una cartolina in vendita su Ebay (https://www.ebay.it/itm/384241434445?mkevt=1&mkcid=1&mkrid=724-53478-19255-0&campid=5338722076&customid=&toolid=10050), la seconda è una cartolina della mia collezione

venerdì 11 novembre 2022

Il castello di venerdì 11 novembre

 



SANT'ANGELO IN PONTANO (MC) - Rocca

Di questo paese e della sua storia si è già parlato nel blog (https://castelliere.blogspot.com/2015/10/il-castello-di-martedi-6-ottobre.html). In più c'è da sapere che nel punto più alto di Sant'Angelo in Pontano, in cima alla via del Castello, superato l’attuale convento delle Benedettine, uno scoglio sormontato da rovine è ciò che rimane dell’antica rocca. Il luogo è chiamato dagli abitanti lu Monderó, per i mucchi di macerie che erano detti appunto monterottij e monterones. Nei pressi delle rovine si trova il serbatoio dell’acqua che alimenta la rete idrica del paese e nelle immediate adiacenze, da non molti anni, è stato realizzato ed attrezzato un punto di sosta e d’osservazione per i viandanti turisti. Da qui lo sguardo può spaziare a 360° e si osserva un panorama meraviglioso. Certamente, proprio per la sua posizione, intorno al 1130 il conte Gerardo da Vignole, signore del territorio santangiolese, iniziò qui a edificare il suo palatium e quindi a costruire il castrum Sancti Angeli, che si sviluppò poi sull’altura distendendosi con ulteriori edifici sino all’attuale torre dell’orologio, e quindi, nel tempo, più in basso con espansione a semicerchio verso ovest. La rocca, adiacente ai palazzi residenziali della famiglia comitale, accoglieva la guarnigione degli uomini armati, o custodes, che provvedevano alla sua difesa ed avevano anche compiti ordinari di polizia. Quando Sant’Angelo divenne castello di Fermo, dalla città si inviava a risiedere nella rocca un castellanus, che comandava gli armati, e un vicario temporale che rappresentava lo stato ed aveva anche funzioni di giudice e notaio. La rocca santangiolese è citata nella Descriptio Marchiae dell’Albornoz dell’anno 1366 fra i dieci luoghi fortificati dello Stato di Fermo. Dopo la definitiva pacificazione dello Stato Pontificio, nei secoli successivi e fino a tutto il Settecento, la rocca aveva perso la sua importanza difensiva ed era rimasto in piedi il suo corpo principale che era detto Palazzo Vicariale, appunto perché residenza del vicario fermano. Si sa di certo che il palazzo era mal ridotto e pericolante nel 1776 a causa di cedimenti e distacchi della formazione tufacea a strapiombo su cui era fondato. Forse crollò intorno alla fine del secolo XVIII, o più verosimilmente fu demolito in quest’epoca, per non creare pericolo al sottostante convento agostiniano, risultando nel 1818 solo un ammasso di rovine.

Fonte: https://www.comune.santangeloinpontano.mc.it/wp-content/blogs.dir/55/FileStore/pubblicazioni/Guida.pdf (pag. 52)

Foto: la prima è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Marche/macerata/santangelkas02.jpg, la seconda è presa da https://www.facebook.com/raccontidimarche/photos/a.353956017989514/353964737988642/

giovedì 10 novembre 2022

Il catsello di giovedì 10 novembre

 



SAN NICANDRO GARGANICO (FG) - Castello normanno-aragonese

E' situato nel centro storico dell'abitato, su quella che anticamente doveva essere un'altura (224 m s.l.m.) strategica dal punto di vista logistico-militare. Si presenta a base trapezoidale, con i lati disposti pressappoco secondo i punti cardinali: sul lato Nord vi sono due torri a base quadrangolare, di cui una è quella originaria del primo periodo; sul lato sud le due torri aragonesi a base circolare che danno le spalle alla chiesa madre. A quanto desumibile dalle fonti storiche, il primo edificio doveva costituirsi di una torre di avvistamento e difesa, presso cui era stanziata una guarnigione di soldati già in epoca normanna. Il castello fu dimora dell’imperatore Federico II di Svevia, infatti era usato da quest'ultimo come base (appoggio) per le sue battute di caccia nel Gargano, del re Manfredi di Sicilia e fu anche rifugio segreto del papa Celestino V una volta fuggito in esilio. Nel periodo aragonese, probabilmente sotto i feudatari Della Marra, alla torre fu addossata la costruzione del castello nell'attuale perimetrazione, e fu attuata un'opera di "incastellamento" del primo nucleo abitativo che vi sorse nei dintorni: di tale poderoso intervento ci pervengono le torri circolari del versante Sud e quelle superstiti della muraglia occidentale. Per circa 150 anni il maniero è appartenuto ai Principi di San Nicandro, come erano chiamati i Cattaneo della Volta Paleologo, potente famiglia del Regno di Napoli. Al XVI secolo, invece, è attestabile l'abbellimento della porta di accesso Est con la costruzione di una loggetta che collegava il castello con un grande palazzo innalzato tra la porta e le mura Est del castellum (chiamata anche Corte di San Giorgio); nello stesso periodo fu costruito, come pertinenza, un palazzo ("Palazzo Fioritto") addossato alle mura Ovest, sede della Biblioteca Comunale "A. Petrucci" e del Museo Etnografico della Civiltà Contadina. Altri interventi, probabilmente a scopo difensivo o dovuti all'adeguamento a nuove esigenze logistiche, si ebbero nel periodo Barocco e infine verso la metà del Novecento, quando venne ristrutturato internamente al fine di divenire residenza privata: fu creato il nuovo ingresso sul lato Est del castello e, di conseguenza il ponte levatoio che sovrastava l'attuale piano stradale fu chiuso definitivamente. Il castello, dopo essere stato acquistato dagli Zaccagnino nell'Ottocento, è appartenuto alla famiglia Centulio e alla famiglia Tozzi: per impedire l'eccessivo degrado di alcune strutture, non era possibile visitarlo, se non tramite richiesta ai proprietari. Nel febbraio 2020 l'edificio è divenuto proprietà del Comune di San Nicandro Garganico. Altri link proposti: http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=520, https://www.civico93.it/sannicandro-garganico-fra-xv-e-xvi-secolo-il-castello/, http://www.mondimedievali.net/castelli/Puglia/foggia/sannicandro.htm, https://www.youtube.com/watch?v=dLRuFmky6JM (video di Marcello Berardi), https://www.rainews.it/tgr/puglia/video/2020/03/pug-San-Nicandro-garganico-castello-6ff08865-91cc-485c-8c38-bfefa925bbc6.html (video)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_normanno-aragonese_(San_Nicandro_Garganico), https://www.rainews.it/tgr/puglia/articoli/2020/02/pug-san-nicandro-garganico-castello-2e36d812-abc6-4bfb-8afe-85b25f10f355.html, https://fondoambiente.it/luoghi/castello-normanno-aragonese?ldc, https://viaggiareinpuglia.it/at/1/castellotorre/4576/it/Castello-normanno-aragonese,

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/foggia/sannicandro.htm

mercoledì 9 novembre 2022

Il castello di mercoledì 9 novembre



SAVONA - Fortezza del Priamar

A tutt'oggi la Fortezza di Savona sul Priamàr è l'opera fortificata più grande ed imponente dell' intera Liguria. La storia del Complesso monumentale del Priamàr è strettamente legata a quella del promontorio di cui occupa una posizione strategica per il controllo dell'alto Tirreno e dello sbocco a mare delle valli comprese tra Capo Vado e Capo Torre, presso Albisola. Questa favorevole posizione venne sfruttata già dai Liguri Sabazi che, tra l'età del Bronzo e l'età del Ferro, vi eressero il proprio oppidum (testimoniato da tracce di capanne) e intrattennero rapporti commerciali con gli Etruschi ed i Greci di Marsiglia e Magna Grecia. Dopo aver dato asilo nel 205 a.C. a Magone, fratello di Annibale, nella guerra punica contro Roma e Genova, il sito savonese riacquistò un ruolo chiave nel tardo impero, soppiantando Vada Sabatia che aveva conosciuto miglior fortuna tra II sec. a.C. e III sec. d.C. Dal IV sec., epoca a cui risale la necropoli tardo romana, in parte ancora visibile negli ambienti del Palazzo della Loggia, il nucleo del Priamàr accrebbe la propria importanza divenendo uno dei centri di controllo della Provincia Maritima Italorum: dalla sommità del colle l'abitato si espanse verso la sottostante piana, circondato da una cinta muraria. Durante l'alto medioevo, nella parte meridionale del colle venne edificata la Cattedrale e Savona, sotto re Berengario II, divenne capitale della Marca Aleramica. Nel corso dell'anno 1000, a seguito di trasformazioni politiche - l'affermazione del potere vescovile- ed economiche - la formazione di un ceto medio di homines maiores dediti al commercio e quindi più propensi ad un abitato in pianura, presso il mare- la città risultò articolata in castrum (Priamàr) , civitas e burgus. Così, il colle fu isolato progressivamente dalla vita attiva della città rimanendo piuttosto la sede dell'attività religiosa, con la cattedrale, e politica, con il Palazzo del Capitolo. A partire dal 1213 Genova impose, nella zona centrale del Priamàr, un primo apparato fortificato a controllo della città rivale, il Castello di S. Maria, poi Castello Nuovo, che con gli ampliamenti quattrocenteschi cancellò progressivamente le case private e le torri gentilizie. A sud, invece, perduravano la Cattedrale ed il Complesso vescovile, oggetto di restauri tra metà '400 e inizi '500 voluti dai papi Sisto IV e Giulio II. Nel 1528, con la definitiva sottomissione di Savona, Genova vi impose la costruzione di una fortezza imponente: dopo le rapide distruzioni avviate nel 1542, essa venne costruita in soli otto mesi. La struttura militare (su progetto di G.M. Olgiati), utilizzando il naturale dislivello tra l'area della Cattedrale e quella del Castello Nuovo, prevedeva due vere zone separate: la prima, il Maschio, più elevata ed internamente cinta di mura, dominava la seconda, la Cittadella, da cui era separata tramite la Cortina dello Stendardo ed il Fossato del Maschio. Esternamente la fortezza si presentava allora quasi come oggi, circondata però da un ampio fossato, a livello dell'attuale piazzale, racchiuso dal terrapieno degli spalti degradanti verso la città. Diversa era la configurazione interna, dove il fossato del Maschio era ben più largo dell'attuale e la Cittadella era semplicemente costituita da un ampio spazio degradante delimitato dai baluardi di S.Paolo, S.Caterina e S.Biagio. Altre importanti trasformazioni, dettate da esigenze militari, determinarono, tra il 1591 ed il 1610, la sistemazione dell'area della Cittadella e l'apertura del relativo fossato, ad opera di Tomaso Ponsello. che realizzò la "Ritirata", secondo un criterio di "ripiegamento interno" delle difese (attuale Baluardo S.Teresa e relativo fossato). Tra il 1683 e il 1686 vi fu la realizzazione di un complesso sistema difensivo a bastioni che proteggesse ad est, nord ed ovest, la fortezza cinquecentesca, ultimata da Domenico Sirena. Nel XVIII secolo si progettarono invece edifici per ospitare l'accresciuta guarnigione: Pietro Morettini eresse la Polveriera (1717-1730) e il Palazzo della Sibilla (1729-1730), mentre Gaetano Perucco innalzò i Palazzi del Commissario (1757) e degli Ufficiali (1759). Nel '700 la fortezza fu ancora teatro delle lotte con gli eserciti austro - piemontesi e napoleonici. Nel 1815, con l'annessione della Liguria al Piemonte, la fortezza venne destinata a bagno penale (1820) e reclusorio militare (1848). Dal 1830 al 1831 vi fu rinchiuso Giuseppe Mazzini, la cui cella è negli itinerari di visita della fortezza. Verso la fine del XIX sec., la riconversione di parte dell'area a scopi industriali portò allo spianamento di parte dei bastioni e degli spalti. La fortezza, invisa ai savonesi in quanto espressione del dominio genovese, è rimasta per un lungo periodo inutilizzata e considerata quasi un corpo estraneo alla città. Seguì un lungo dibattito su un possibile riutilizzo del complesso e, finalmente. a partire dagli anni '80 del XX secolo, gli interventi di restauro via via sempre più impegnativi e consistenti sono stati finalizzati ad una completa riconversione culturale e turistica del sito. Si accede alla Fortezza del Priamar dal ponte di San Giorgio (ricostruito nel 1774-75 da Gerolamo Gustavo). Da qui appare tutto il fronte bastionato di impianto cinquecentesco, opera del lombardo Giovanni Maria Olgiati. Sul lato nord-occidentale la Fortezza si articola in due bastioni: a ovest il Baluardo di Santa Caterina, a est il Baluardo di San Carlo, sormontato dal Torrione del Cavallo. I bastioni terminano con due fianchi rientrati, gli "Orecchioni", a difesa delle batterie dei "pezzi traditori", dove erano sistemati cannoni che sparavano a tiro incrociato per difendere la cortina e il fossato. Un suggestivo passaggio voltato porta alla Piazza d'Armi della Cittadella, dove, prima delle demolizioni cinquecentesche, sorgevano la Cattedrale di Santa Maria del Castello, il Palazzo vescovile e altri edifici religiosi. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce resti dell'antica cattedrale altomedievale. Sulla Piazza affaccia il palazzo della Sibilla (1729-30) destinato in origine a magazzini e quartiere per soldati. L'edificio è stato oggetto di un recente restauro ed è adibito a spazio congressuale ed espositivo. Dal ponte che varca il fossato del Maschio di Sant'Anna si accede alla piazza d' Armi del Maschio, su cui si affaccaino vari edifici. L'aspetto attuale della piazza si deve alla sistemazione del 1757-59, quando vennero eretti il palzzo del Commissario (a destra) e degli Ufficiali (a sinistra). Di fronte prospetta sulla piazza la loggia del Castello Nuovo (1417), unico edificio superstite della Savona medievale sulla rocca del Priamar. Oggi il Priamar, riconosciuto tra le più imponenti fortificazioni affacciate sul Mar Mediterraneo, è assurto a cittadella d'arte e di cultura. In particolare il Palazzo degli Ufficiali ospita il Civico Museo Archeologico e il Museo "Sandro Pertini e Renata Cuneo"; il Palazzo del Commissario è adibito a sede di rassegne, laboratori e performance artistiche così come il suggestivo ambiente delle Cellette. Il Palazzo della Sibilla, dotato di tecnologie d'avanguardia, è diventato un Centro Congressi di rilevanza internazionale. Nel Piazzale del Maschio viene allestito ogni estate un teatro all'aperto con oltre 600 posti numerati, per un cartellone ricco di eventi. Grazie alla valorizzazione degli spazi il Complesso del Priamar offre al pubblico un insieme di "contenitori culturali" di alto prestigio la cui vitalità pulsa in una cittadella di grande interesse paesaggistico che, con i suoi camminamenti, spalti e balconate offre al visitatore una passeggiata aperta su un panorama mozzafiato che abbraccia, in un colpo d'occhio, il mare e i monti, la città e il suo porto. Altri link per approfondimento: https://it.wikipedia.org/wiki/Fortezza_del_Priamar, https://www.icastelli.it/it/liguria/savona/savona/fortezza-del-priamar-di-savona, https://www.youtube.com/watch?v=uJPlCcK5iDI (video di Eats&Travels), https://turismo.savona.it/priamar-di-savona/, http://www.svdonline.it/1996/1996/, https://www.youtube.com/watch?v=3tWGQBbymu4 (video di WSavonaInArte), https://www.lastampa.it/savona/2019/09/25/video/savona_alla_scoperta_dei_passaggi_segreti_del_priamar_cosi_la_fortezza_si_difendeva_dagli_assalti_-109051/ (video), https://www.facebook.com/savonasegreta/videos/fortezza-priamar-savona-2-video-non-consigliata-la-visione/316343665982298/ (video),

Fonti: https://www.comune.savona.it/it/cultura,-turismo-e-tempo-libero/priamar/la-storia.html, testo su opuscolo informativo realizzato dal Comune di Savona con la collaborazione della Società savonese di Storia Patria e dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri, http://www.museoarcheosavona.it/priam%C3%A0r, http://musa.savona.it/priamar/

Foto: entrambe sono cartoline della mia collezione

martedì 8 novembre 2022

Il castello di martedì 8 novembre



PRATOVECCHIO STIA (AR) - Palagio Fiorentino

L'edificio visibile oggi, risale ai primi anni del XX secolo e vuole essere un'imitazione di quello che fu il palazzo medievale dei Guidi. Eravamo attorno al 1230 quando Bandino, figlio del Conte Guido Guerra dei Guidi del ramo di Porciano fece costruire su questa piccola altura a sinistra del torrente Staggia un elegante palazzo che doveva essere una sua residenza con vista diretta su quell'importante mercato e punto di transito davanti a una grande pieve qual era all'epoca Stia. Da questo castello ebbe luogo il ramo dei conti di Palagio, ai quali appartenne per molti anni. L’ultimo esponente del ramo dei conti di Palagio fu il Conte Antonio, che, nel 1381, liberò tutti i suoi sudditi da ogni vincolo di servitù e vassallaggio. Nel 1398 il Conte Antonio si alleò con Firenze, Bologna, Venezia, Padova, Ferrara e Mantova contro i Visconti di Milano, anche se successivamente si passò dalla parte dei Visconti. Nel 1402 il conte Antonio dovette cedere i territori alla Repubblica di Firenze, per evitare le conseguenze di alcune razzie di bestiame ai danni della Repubblica nelle terre del conte Piero di Porciano. Dopo questa capitolazione si sottomisero spontaneamente a Firenze anche Montemezzano, Lonnano, Papiano e Stia, tutti successivamente riuniti nella Comunità di Palagio Fiorentino. Anche il palazzo divenne proprietà di Firenze che vi fece la sede amministrativa di un territorio denominato, appunto, del Palagio Fiorentino. Ma la vita di quest'elegante edificio di origine guidinga non fu lunga. Nel 1440, infatti, le truppe del capitano di ventura Niccolò Piccinino, al soldo di Milano, di passaggio da qui nel loro avvicinamento ad Anghiari dove avrebbero combattuto la famosa battaglia contro Firenze, rasero completamente al suolo questo piccolo castello privo di cinta difensiva. Per oltre quattro secoli e mezzo dell'antico edificio non rimase che una massa di pietrame. Agli inizi del Novecento il terreno adiacente all'ex palazzo e tutte le macerie di questo furono acquistati dal notabile avvocato Carlo Beni, nativo di Stia, con l'intento di ridare al paese il suo Palagio Fiorentino. Coadiuvato dal noto architetto Giuseppe Castellucci, Carlo Beni inizio una meticolosa ricostruzione del castello che terminò nel 1911. Durante i lavori di ricostruzione, furono ritrovati reperti medievali, comprese monete e un sigillo con lo stemma dei Guidi. Beni (conosciuto per essere l'autore di una nota ed ancora oggi autorevole Guida del Casentino) vi fece la sua residenza privata. Inoltre sul terreno adiacente costruì anche una cappella, una limonaia e altri edifici tra cui uno destinato ad abitazione degli operai dei suoi terreni. Nel 1982 il nuovo Palagio Fiorentino e il relativo giardino sono divenuti proprietà del Comune. L’aspetto della struttura, più che rispettare l’originale impianto architettonico, richiama il gusto neo-gotico in voga negli anni della ristrutturazione. Il prospetto è caratterizzato dalla torre merlata, dai due ordini della facciata e con una scala di collegamento fra i piani che ricorda l’impostazione del castello di Poppi. All'interno del Palagio, sede di importanti mostre e convegni, è presente una preziosissima collezione di Arte Contemporanea.Il castello ospita anche il Centro Multimediale Dantesco. Altri link suggeriti: https://www.facebook.com/watch/?v=564952865329908 (video), https://www.youtube.com/watch?v=Dy_AHGWo-0k&t=2s (video con drone di Aldo Esteri)

Fonti: https://www.ilbelcasentino.it/stia-seq.php?idcat=&pag=53&idimg=7757, https://casentino.it/palagio-fiorentino/, https://www.arezzo24.net/attualita/34893-stia-al-palagio-fiorentino-riapre-il-centro-multimediale-dantesco.html

Foto: la prima è di Carlo Gabrielli su https://casentino.it/palagio-fiorentino/, la seconda è presa da https://cultura.gov.it/evento/il-castello-del-palagio-fiorentino-visite-guidate-e-aperture-straordinarie-per-un-dialogo-tra-arte-e-natura