sabato 30 aprile 2016

Il castello di sabato 30 aprile






ABRIOLA (PZ) – Palazzo Baronale Marsico in frazione Arioso

La contrada dell’Arioso è un piccolo borgo agricolo di circa un centinaio di abitanti per la maggior parte dediti alla pastorizia e all’agricoltura che dista 21 km dal centro di Potenza ed è situato a 980 m. s.l.m. in posizione di cerniera fra le zone turistiche della “Sellata”, della “Maddalena” e di ‘Pierfaone’. Il complesso si trova in posizione dominante rispetto all’edilizia minore del borgo agricolo. A pochi metri dall’edificio una fonte d’acqua silvestre citata dall’abate Faggella nelle sue memorie. Tra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI l’edificio risultava abitato e nell’età sveva subì numerosi saccheggi e distruzioni. In seguito il “Palazzo” venne occupato da una congregazione di frati trinitari provenienti da Venosa. Le altre notizie del nobile edificio si hanno nel 1712 quando, in occasione della costruzione della Chiesa intitolata alla Madonna del Carmine, San Nicola e Sant’Antonio, si stipulò un atto notarile. In esso si riferisce che Domenico Caracciolo, feudatario dell’epoca, volle che la stessa chiesa venisse costruita accanto al Palazzo baronale. In età borbonica il “Palazzo ,” tornò ad assolvere la funzione per la quale era stato progettato; con la cacciata dei frati da parte di un barone lombardo insediatosi nel “Castrum Gloriosum” (altro edificio fortificato situato sulle pendici scoscese di una collina a circa un chilometro a valle del Palazzo, oggi ridotto a pochi ruderi), esso tornò ad essere palazzo baronale. Da ricordare nella prima metà dell’Ottocento una lite fra i proprietari dell’edificio ed i baroni di Satriano che causò la parziale distruzione della parte sud del Palazzo. Da allora l’edificio conobbe una serie di interventi e di ulteriori espansioni: fino al 1910 circa. Il Palazzo dopo varie disavventure fu ceduto ai Marsico, i quali utilizzarono solo alcune stanze e concessero in fitto ai propri coloni le restanti stanze per uso abitativo. Fu cosi che quasi 50 famiglie trovarono ricovero in quel maniero ed ecco perché nel linguaggio comune l’intero feudo di Arioso venne indicato con l’appellativo de “Il Palazzo”. Nel primo Novecento le parti sud ed est dell’edificio vennero adibite ad alloggio della servitù, a piano terra, parte a stalle e parte a carceri. Dopo la seconda guerra mondiale, con l’intervento della diocesi di Acerenza, al borgo agricolo venne assegnato un parroco che consentì di riaprire al culto la chiesa. Dopo il sisma del 1980 il fabbricato venne completamente abbandonato. Il complesso è articolato in tre piani a valle (prospetto sud) e due a monte prospetto principale, molte parti dei solai lignei sono crollati. Al primo piano sono visibili le celle dei frati, collegate al cortile e al grande refettorio. La chiesa annessa al complesso conserva un affresco della “Vergine Ascendente” di Giacomo da Senise. Di particolare interesse architettonico è la scala interna che collega i vari piani, caratterizzata da una struttura a rampe poggianti su archi a tutto sesto. Tutti i balconi esterni sono caratterizzati da soglie in pietra lavorata, la loggia principale conserva quattro elementi in ferro battuto finemente lavorati. Gli interni del piano terra, meglio conservati hanno la struttura caratterizzata da volte a botte e alcuni da volte a crociera. Il complesso è in gravi condizioni statiche e se ne auspica un recupero strutturale che scongiuri la perdita di una importante testimonianza storica ed architettonica. Altre immagini dell’edificio sono visibili al seguente link: http://wikimapia.org/32110763/it/Palazzo-Arioso

Fonti: http://sit.parcoappenninolucano.it/?page_id=2081, http://castelglorioso.altervista.org/storiapalazzo.html


venerdì 29 aprile 2016

Il castello di venerdì 29 aprile






ABRIOLA (PZ) - Castello baronale

Non ci sono testimonianze certe sulle origini della città. Le uniche certezze di un insediamento si hanno intorno al IX secolo quando i Saraceni, dopo l'occupazione di Conza nell'872, si spinsero fino in Lucania e ad Abriola fondarono una munita cittadella fortificata a presidio della vallata della Fiumara di Anzi. Proprietario di Abriola divenne il saraceno Bomar, signore di Pietrapertosa, Nel 907, la città fu ceduta al longobardo Sirifo e in quest'epoca nacque il toponimo di Abriola, derivante da Briola, “luogo di caccia di un conte longobardo”. Questa interpretazione etimologica è confermata dall'arma, “rappresentata d'azzurro ad una quercia munita sulla vetta di mezzo di un monte di tre cime, attraversata da un cinghiale”. Nel XII secolo divenne feudo all'interno del Principato di Taranto. Nel corso dei secoli successivi il feudo appartenne a molti casati, tra cui quello dei D'Orange, dei Di Sangro, dei Caracciolo ed infine dei Federici. Il castello, costruito sulla più alta delle tre creste su cui si adagia il paese, fino al 1809, data del noto eccidio della famiglia Federici per mano della banda del brigante Scozzettino, è stato il centro della vita sociale e politica del paese. Purtroppo dell'edificio feudale oggi rimangono pochi resti, costituiti da un portale rinascimentale e da una torre quadrangolare. Nel castello arabo di Abriola c’era una famiglia assai devota alla madonna di Monteforte, ma era afflitta da povertà e disgrazie infinite che si era ridotta a due soli stretti parenti: il nonno e una nipote che si arrangiava da cucitrice. Il feudatario di quel paese, che aveva fama di essere assai capriccioso, un giorno volle che qualcuno gli indovinasse quanto valeva la sua barba. Ordinò pertanto alle guardie di far salire su al palazzo tutti coloro che fossero passati per quella via. Passò il primo cittadino, le guardie lo condussero davanti al sovrano il quale gli ordinò di sedere e gli impose: “Tu devi indovinare quanto vale la mia barba”. Il povero cristiano non seppe che rispondere e di conseguenza fu mandato in prigione. Passò il secondo, poi il terzo e poi il quarto e a ciascuno capitò la stessa sorte. Intanto il nonno e la nipote pativano sempre più freddo e fame; essi abitavano in un sottano nelle vicinanze del palazzo reale e per rimediare qualcosa dovevano transitare dove le guardie fermavano i passanti. Allora la nipote disse al vecchio: “Vai su alla fortezza e quando sei dinanzi al duca digli che nell’ora della morte la sua barba vale quanto la tua”. Il nonno, spinto dal bisogno, passò per quella via, le guardie lo chiamarono e gli ordinarono di salire dal duca. E il duca gli rivolse la stessa domanda. Il vecchio rispose: “Quando morirai, Maestà, la tua barba varrà quanto la mia”. “Bene! Chi ti ha suggerito la soluzione?”. “Nessuno”. “Bada, devi dirmi la verità se no ti mando in prigione”. Il vecchio, intimorito, rispose: “Perdonami la superbia. Mia nipote è stata a suggerirmi questa soluzione sfrontata”. “Oh, bravo! Conducimi qui tua nipote”, fece di rimando il duca. Il vecchio, mai immaginando come se la sarebbe cavata, andò a chiamarla e il sovrano, volendo premiare l’acume della fanciulla e assicurarsi un pò di giudizio a corte, pensò bene di darla in sposa a suo figlio.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Abriola, http://www.comune.abriola.pz.it/abriola/detail.jsp?otype=100068&id=101561, http://www.vacanzeinbasilicata.it/Basilicata/Potenza/Comuni/Abriola/Da-Visitare/Abriola-Castello.asp, http://www.initalytoday.com/it/basilicata/abriola/index.htm

Foto: entrambe sono di CaRo su http://lucania1.altervista.org/abriola/page1g.php?x=8&mini=a01gg.JPG&spg=pre e su http://lucania1.altervista.org/abriola/page1g.php?x=8&mini=a06gg.JPG

giovedì 28 aprile 2016

Il castello di giovedì 28 aprile






TORGIANO (PG) - Castello di Brufa

Brufa è una frazione del comune di Torgiano. Geograficamente situata al limite nord del territorio di Torgiano, si trova sulla sommità di una collina (291 mt s.l.m.) che funge da spartiacque tra i territori di Perugia ed Assisi e Foligno, dominando così la Media Valle del Tevere e la Valle Umbra. L'antico nome di Brufa era Castel Grifone e venne abitata all'inizio dagli umbri, poi dagli etruschi e dai romani. Qui nel 1387, il condottiero John Hawkwood (Giovanni Acuto), alla guida delle truppe papali di Urbano V, sconfisse le truppe di Perugia, che così perse il dominio dell'Umbria. Nel 1415, uno degli illustri prigionieri nelle carceri poste in una torre del castello di Brufa fu Giovanni da Capestrano, che ivi ebbe la visione di San Francesco che lo spinse sulla via della santità. Nella seconda metà del XVII secolo, Giovanni Andrea Angelini Bontempi (musicista, architetto, pittore, letterato, incisore di pietre preziose e fabbricante di orologi), uomo di cultura ed ingegno, acquistò fabbricati e terreni in zona. Morì nel 1705 e fu sepolto nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, edificata nel castello. Alla distruzione della chiesina, le spoglie sono state trasferite nella chiesa parrocchiale di Sant'Ermete. Il castello di Brufa ora non è più esistente nella sua interezza e non si conservano tracce visibili benchè le stesse si percepiscono nella struttura compatta e circolare del nucleo principale del borgo.

Fonti: http://castelli.qviaggi.it/italia/umbria/castello-di-brufa/, https://it.wikipedia.org/wiki/Brufa, http://www.brufa.net/storia.php, http://www.umbria.ws/content/brufa

Foto: la prima è presa da http://www.umbria.ws/sites/default/files/images/brufa.jpg, la seconda è di Cantalamessa su https://it.wikipedia.org/wiki/Brufa#/media/File:Brufa_castle.JPG  

mercoledì 27 aprile 2016

Il castello di mercoledì 27 aprile






SANFRE' (CN) - Castello

Posto sul colle, a dominio dell'abitato, si erge l'antico complesso a pianta irregolare, costruito sui ruderi di una precedente fortificazione. Oggi si presenta come palazzo nobiliare caratterizzato da una torre circolare ed una quadrata. Come spesso accade per edifici del genere, le notizie sulle sue origini sono molto vaghe: tracce di un "castrum sigifridi" nel sec. XI, la tradizione che il castello fosse distrutto dal Barbarossa in quanto proprietà del vescovo della guelfa Asti, l'acquisto verso la fine del XIII sec. da parte della famiglia Isnardi de Castello, nobili e banchieri astigiani. Nel sec. XVI un Isnardi di Sanfrè sposò una Savoia-Racconigi, così la famiglia unì la potenza economica con la potenza politica dovuta alla parentela con i Savoia. Questo permise loro grandi lavori edili con l'aggiunta al nucleo medioevale di nuove ali residenziali e di varie pertinenze come scuderie, alloggi per i dipendenti ed edifici rustici, grandi lavori di sterro con la copertura del borgo medioevale più antico allo scopo di ricavare un grande giardino a terrazzo sulla pianura e altri grandi lavori, come ad esempio lo scavo di una grande ghiacciaia sotterranea per accumularvi neve e ghiaccio durante l'inverno e conservarvi le derrate alimentari. La torre più alta (e più antica) del castello venne presa come punto trigonometrico dal matematico piemontese del sec. XVIII G.B. Beccaria, nel suo lavoro di triangolazione volto a misurare la lunghezza del grado di meridiano alla latitudine del Piemonte. Tuttora la torre, per la sua ampia visibilità, è Punto Trigonometrico di 1° ordine nella rete dell'Istituto Geografico Militare italiano. Nel 1630, mentre a Torino infuriava la peste, la duchessa di Savoia Maria Cristina, la futura Madama Reale, soggiornò per alcuni mesi al castello di Sanfrè, ospite del gran ciambellano marchese Isnardi di Caraglio. Alla fine del sec. XVIII, estinta la famiglia Isnardi, il castello passò in eredità alla famiglia portoghese De Souza dalla quale, per via femminile, discendono gli attuali proprietari. Purtroppo nel sec. XIX e soprattutto nei primi vent' anni del XX, per vari motivi, il castello subì un lento degrado e venne spogliato di tutti gli arredi originari. Tuttavia va ricordato che tra gli anni '20 e il 1960 il castello è stato noviziato delle suore Missionarie della Consolata che l'hanno adattato alle loro esigenze, per esempio trasformando in cappella l'antica scuderia. Gli attuali proprietari hanno iniziato grandi lavori di restauro, per il momento soprattutto alle coperture. La visita inizia con un giro del giardino, da cui si gode ampio panorama sulla pianura cuneese e sull'arco alpino, si valuta la grandiosità dell'edificio e vengono spiegate le varie fasi della sua costruzione; all'interno si vedono il salone dove gli Isnardi ospitavano i Duchi di Savoia con alcova, stucchi e affreschi di fine ‘500 in buono stato di conservazione, e alcuni saloni al pianterreno dell'ala cinquecentesca. Ecco un interessante video di Andrea Ricci, nel quale possiamo ammirare il monumento: https://www.youtube.com/watch?v=O8006W1rF4w. Il castello ha un suo sito web: http://www.castellosanfre.altervista.org/

Fonti: http://www.castelliaperti.it/pagine/ita/scheda.lasso?-id=116, scheda su pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)

Foto: la prima è presa da http://www.castelliaperti.it/filemanager/castelli/cuneo/sanfre/gallery/SANFRE%203.jpg, la seconda da https://castlesintheworld.files.wordpress.com/2015/07/castello-di-sanfrc3a83.jpg

martedì 26 aprile 2016

Il castello di martedì 26 aprile






PIMONTE (NA) - Castello di Pino


Le prime notizie documentarie del Paese si hanno a partire dal X secolo, epoca in cui le popolazioni della pianura, sconvolte da lotte ed incursioni saracene e longobarde, furono costrette a rifugiarsi sui monti e a costruire le prime strutture di avvistamento e difesa. Sorsero così le torri di Pimonte e di Pino, di Castellammare e di Lettere. Ma è con le fortune della Repubblica Amalfitana (siamo nel 987 circa) che Pimonte, Pino e i paesi circostanti, videro il loro periodo di maggiore importanza. La Repubblica, intuendo l’importanza strategico–militare della collinetta di Pino, fece fortificare il “Castrum Pini”, trasformandolo da semplice torre in castello inespugnabile a difesa del territorio. Ciò consentiva il controllo di tutta la Conca e si dimostrò valido centro di difesa, quando agli inizi dell’XI secolo schiere di Longobardi invasero il territorio rendendo incoltivabili le terre di pertinenza del castello. Solo successivamente con le incursioni saracene, sembra fu fatto erigere il castello di Gragnano per rafforzare la linea di difesa. Riparato nel 1241 su disposizione di Federico II, il castello di Pino fu infeudato nel 1283 e all' inizio del 1300 fu concesso alla moglie di re Roberto, la regina Sancia. Attorno al Castello di Pino, cinto di solide mura, guardiole e torricelle, costruirono le loro residenze numerose famiglie, in cerca di maggiore sicurezza, una di queste, la famiglia D’Angillano, edificò (su di una presistente cappella, alla quale si accedeva tramite una scala) nel 1317, la magnifica Chiesa di Santa Maria del Pino, un gotico a tre navi con astrico antico, gravemente danneggiata dal sisma del 1931 e, soprattutto dal quello del 1980. A causa della continua presenza di briganti nel corso del XIV secolo, alcune delle famiglie più in vista di Pino lasciarono la città: a decretare l'abbandono del villaggio la fine del ducato di Amalfi che nel 1398 re Ladislao concesse in feudo ai Senseverino. Da quel momento ebbe inizio il lento declino dell'insediamento, giunto allo stato di rudere fino a oggi. Solo la chiesa della Madonna di Pino sopravvisse e fu frequentata a fasi alterne. Recentemente restaurata, la chiesa di Pino viene riaperta una volta all' anno nel periodo pasquale. Su tutta la collinetta sono ancora oggi sparsi resti delle antiche costruzioni abbandonate, oltre a ruderi di chiese abbandonate da secoli un tempo mete di numerosissimi pellegrinaggi (quella di san Giacomo, di Santa Barbara, di Santa Margherita e più su quella del Salvatore a Lattara). La struttura difensiva del castello si componeva di una possente cinta muraria che proteggeva il nucleo abitato, di un fortilizio e annesso torrione. Le basse mura che scorgiamo sono quelle che, sia per la posizione addossata al pendio che per la fitta vegetazione che le ha in parte coperte si sono meglio conservate. Emergono, all’interno di quel che rimane del circuito murario, i resti di una possente muratura: il torrione, quello che intravediamo è l’angolo occidentale e parte del basamento perimetrale. Interessanti sono i resti di mura che individuano ambienti, cisterne e tratti di pavimento realizzato in cocciopesto. Grazie ad un finanziamento europeo veicolato dalla Regione Campania di 600.000,00 euro nell’ambito del PIRAP (progetto integrato rurale delle aree protette) del Parco dei Monti Lattari, e soprattutto all’impegno dell’Amministrazione comunale di Pimonte con il sindaco Michele Palummo e l’assessore Anna Ospizio, che hanno creduto in questo progetto, è stato avviato il restauro del castello di Pino. Nel settembre del 2015 è avvenuta l’inaugurazione ed il castello ha riaperto le sue porte per accogliere i visitatori e per farsi ammirare nel rinnovato aspetto e nella ambiziosa sua nuova funzione. Ad accompagnare l’evento la processione della madonna di Pino, balli e canti della tradizione popolare ed una degustazione di prodotti e piatti locali con vino e dolci.


Fonti:http://www.comune.pimonte.na.it/index.php?action=index&p=76, http://www.mondimedievali.net/Castelli/Campania/napoli/provincia000.htm#pimontk, articolo di Antonio Ferrara su http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/05/09/pino-ha-mille-anni-vivra-ancora.html, http://sport.ilmediano.it/rubriche/eventi/24979/il-castello-di-pino-riapre-le-sue-porte-dopo-700-anni-di-abbandono


Foto: la prima è una cartolina trovata sul web (www.delcampe.net), mentre la seconda è presa da http://lnx.collesalario.it/agerola/images/stories/agerolamedievale/castellodipimonte.jpg

lunedì 25 aprile 2016

Il castello di lunedì 25 aprile






MODICA (RG) – Castello dei Conti

Si trova nell'omonimo abitato, alla testata nord della "Fiumara di Scicli", nel punto di confluenza di tre profondi solchi d'erosione, le cave Ianni Mauro (San Francesco), pozzo dei Pruni (Santa Maria) e il vallone San Liberale (dial. "Santa Libranti"), che interrompono il profilo tabulare dell'altipiano isolando quattro placche collinari che fanno da cornice all'abitato. II massiccio sperone roccioso del castello (449 metri s.l.m.) risulta modellato dalla confluenza delle cave Ianni Mauro e pozzo dei Pruni. Il castello di Modica rappresentò per secoli la sede del potere politico e amministrativo della contea storica di Modica. Era infatti presidio fortificato militare e carcerario, residenza dei Conti prima, del Governatore della contea in nome del Conte, dopo. Carlo I d’Angiò fece redigere due elenchi dei castelli demaniali siciliani: gli Statuta Castrorum Siciliae, emanati nel 1268 e nel 1272. È nel secondo elenco che troviamo citato il castello di Modica. Oltre che nello Statutum Castrorum Siciliae del 1272, il castello di Modica compare inserito in una Bolla papale datata Anagni 21 agosto 1255, indirizzata a fra Ruffino de' Minori, cappellano e penitenziere del Papa. Fu in questo castello che il conte Matteo Chiaramonte ospitò, nel 1366 il re Federico IV d’Aragona, e nel 1401 il conte Bernardo Cabrera vi accolse il re di Sicilia Martino I. Ivi si amministrava anche la Giustizia, essendo sede, dal 1361, della Gran Corte, cui si aggiunse nel 1392 la Corte delle I e II Appellazioni, per divenire poi dal 2 giugno 1862 Tribunale civile e penale di I grado e Corte d’Assise. La città divenne Capoluogo di Distretto della Intendenza di Siracusa, e la sede di tutti gli uffici rimase nel castello fino al 1865. Con l'Unità d’Italia, furono cacciati dai loro conventi e monasteri gli Ordini religiosi, ed il Castello dei Conti fu definitivamente abbandonato, andandosi a trasferire il Carcere, il Tribunale e gli Uffici Circondariali pressi i vari conventi resisi disponibili. Dal punto di vista monumentale, il Castello, o ciò che di esso rimane, nato come fortificazione rupestre che si sovrappone ad un'emergenza funeraria del tipo di Pantalica, venne modificato in varie epoche tra l'VIII e il XIX secolo, e si ergeva su un promontorio roccioso difficilmente attaccabile, con due lati su tre costituiti da pareti a strapiombo. Oggi del castello rimangono un torrione poligonale (detto di Anselmo, del XIV sec.), nei pressi di piazza San Giuseppe, un tratto di terrapieno e una bifora inglobata in una struttura ottocentesca. La descrizione piu antica dei resti si deve a Carrafa, il quale conosce del castello quattro torri angolari, un ponte levatoio, un cortile, un giardino, un vivaio, tre chiese, gruppi di fabbricati a doppia fila, con volte a crociera, un cosiddetto “Tempio del Sole”, una porta centrale d'ingresso, sul lato nord, poi occlusa nel XV secolo con un grande terrapieno sostenuto, in parte, dalla superstite torre Anselmo. Nel cortile interno sono visitabili le carceri medievali, civili e "criminali", una serie di stanze squadrate ricavate dalla roccia, ognuna riservata ad una specifica categoria di carcerati: donne, condannati comuni, galantuomini, persone in attesa di giudizio. Per i briganti più pericolosi c'erano (una è ancor oggi visibile) due grandi fosse profonde circa sette metri, chiuse in alto da una possente grata di ferro, dalla quale entravano la luce e l'aria. Nello stesso cortile poi è presente la più recente chiesa della Madonna del Medagliere (sorta nel 1930 sui ruderi della chiesa di San Leonardo, a conforto dei carcerati fino al 1865), inoltre è visibile ciò che resta della chiesa di San Cataldo, che era la cappella privata del Conte e del Governatore, e infine tre nicchie campanarie oggi murate all'esterno, il suono delle cui campane indicava alla città le ore, ed i momenti che si vivevano all'interno del Castello. Fino al sisma del 1693 il castello costituiva una poderosa cittadella fortificata, isolata a nord da "un immense muraglione" di sbarramento. Del sistema difensivo faceva parte anche un percorso sotterraneo con diramazioni che dal castello portava nel fondovalle, detto "grotta dei Parrini". Crollate a causa del suddetto terremoto, o demolite perché di intralcio allo sviluppo urbanistico moderno della zona, quasi nulla più resta delle 5 torri, delle 4 porte e della cinta muraria dell'antico maniero. Recentemente è venuto alla luce, e reso fruibile, un suggestivo cunicolo sotterraneo scavato nella roccia, che trapassa lo sperone roccioso su cui sorge il Castello: era un passaggio di ronda militare. Recentissimi scavi archeologici nell'area del castello, che vanno di pari passo coi lavori di un grande progetto per un riuso moderno della parte nuova dell’edificio stesso come centro congressi, stanno portando alla luce suppellettili varie, arredi funerari, ceramiche, monete bronzee, vasellame, pavimentazioni, fondamenta di grosse mura portanti, nascosti sotto carichi secolari di materiali di risulta, e risalenti dal bronzo antico, passando per il periodo ellenistico, quello romano, poi tracce del periodo arabo, per arrivare a coprire tutto il periodo dell'uso amministrativo, militare e carcerario del castello, fino a tutto l'Ottocento. Altro link consigliato: http://www.modica.it/turismo_castello_dei_conti.htm.



domenica 24 aprile 2016

Il castello di domenica 24 aprile






GONZAGA (MN) – Torre Gonzaga

Nel 1215 Gonzaga fu assediata invano dai reggiani e dai loro alleati cremonesi. Cinque anni dopo il comune di Reggio tentò di nuovo la sua conquista ma i mantovani chiamarono in loro aiuto i modenesi che accorsero a presidiare il castello di Bondeno. La guerra terminò nel 1225 con il seguente accordo: Gonzaga ai mantovani, Bondeno ai reggiani e giurisdizione comune su Pegognaga. La torre civica è quanto rimane dell'antico maniero di origine medievale situato a Gonzaga, nel Mantovano. Il castello venne edificato nel XIII secolo dai conti Casalodi per proteggere la popolazione dalle scorrerie degli Ungari e passò quindi ai Gonzaga che lo dotarono di sette torri e di contrafforti. La struttura venne col tempo smantellata ed utilizzata per la costruzione delle chiese di Polesine, Bondeno e di alcune case coloniche. Durante la dominazione austriaca le due torri rimaste vennero adibite a carceri. Su quella oggi superstite, al di sotto dell'orologio, campeggia lo stemma della famiglia Gonzaga del 1608, utilizzato dal duca Vincenzo I Gonzaga. Dal 2010 la torre ospita la Pro Loco “G. Boschesi”.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Gonzaga

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MN360-00620/

venerdì 22 aprile 2016

Il castello di sabato 23 aprile






ORICOLA (AQ) – Castello

Il suo nome deriva molto probabilmente da "coriculum", ovvero monte sassoso. Le prime notizie certe risalgono all'XI secolo: Berardino, discendente dei conti Marsi, verso il 1016, con l'aiuto di Riccardo il Normanno riuscì a strappare il Feudo di Carsoli ai propri fratelli Siginulfo, Rinaldo e Pometta. Uno di questi, Rinaldo, rifugiatosi ad Oricola, ne divenne il barone. Qualche decennio dopo, nel 1096, la vedova Aldegrina fece dono del "castello" di Oricola, insieme con quelli di Fossaceca, Camerata e Pereto, ai monaci di Montecassino. Nel XII secolo, sotto i Normanni, una metà della terra di Oricola passò sotto il dominio di Todino da Ponte, figlio di Oderisio, e l'altra metà fu concessa al fratello Rainaldo. Divenne poi feudo degli Orsini e, successivamente, dei Colonna, seguendo in ciò il destino di tutta la contea di Tagliacozzo. Su un colle, il caratteristico paese, è dominato dall'imponente rocca costruita con ogni probabilità nel IX secolo. I conti dei Marsi vollero una fortezza quadrata, con mura possenti e con bastioni e punti di osservazione nei quattro torrioni. Fu costruito, infatti, per difendere gli abitanti del luogo dalle invasioni saracene ed ungare del periodo. Il maniero ha subito una profonda opera di restauro intorno alla metà del Quattrocento e si presenta con una pianta triangolare con 3 torri, due delle quali, quelle che sorgono sul fianco orientale, sono state completamente ristrutturate a differenza di quella ovest che ancora oggi conserva caratteri originari. In alcune sue parti l’edificio ospita il municipio. Altro link consigliati: http://foto.inabruzzo.it/provincia%20l'Aquila/N-Q/Oricola/, http://www.oricola.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=46. Qui è possibile visitarlo “virtualmente”: http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=98041



Il castello di venerdì 22 aprile





CARSOLI (AQ) – Castello di Sant’Angelo
L'antica Carseoli (o Carsioli) era situata sulla via Tiburtina Valeria a circa 63 km da Roma, 3 km ad ovest rispetto all'attuale centro urbano di Carsoli, probabilmente in località "Civita", dove sono stati rinvenuti numerosi resti dell'antica città. Carseoli fu sottomessa dai Romani alla fine del IV secolo a.C. e rappresentò, insieme ad Alba Fucens, un importante avamposto fortificato, in area equa, contro gli attacchi degli italici Marsi. All'inizio del II secolo d.C., con la divisione dell'Italia in 17 province e la riorganizzazione amministrativa voluta da Adriano, Carseoli entrò a far parte della provincia dei Marsi nella Samnium regio. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente portò Carseoli, con tutta l'area della Valeria, sotto il controllo dei Longobardi: le loro continue incursioni, anche qui, provocarono devastazioni e distruzioni. Nonostante ciò ancora nel VII secolo, Paolo Diacono nell'opera “Historia Langobardorum”, parla del paese di "Carseoli" come di una delle città principali della provincia Valeria, zona annessa al Ducato di Spoleto. La successiva comparsa dei Franchi sul territorio italiano causò una forte riduzione dei possedimenti dei Longobardi; in particolare il Ducato di Spoleto fu notevolmente ridimensionato. Si costituì così la Contea dei Marsi, tra la fine del IX e l'inizio del X secolo. Tra il X e l'XI secolo Carseoli venne indicata anche con il nome di "Sala", per concessione fatta dalla allora potente abbazia Sublacense di Subiaco. Nel 993 quando il conte dei Marsi Rainaldo scelse di risiedere a Carseoli, con il figlio Berardo ed il fratello Gualtiero, donò al monastero di Subiaco notevoli territori carseolani fra cui la chiesa di S.Maria, più tardi detta "in Cellis". Molto probabilmente è al Conte dei MArsi che si deve un rafforzamento ed un più forte impulso alla costruzione del castello di S. Angelo, che domina il colle sopra l'attuale Carsoli. Il toponimo Cellis, rimasto solo alla chiesa di Santa Maria, nella forma di Celle Carsolarum o più semplicemente, Celle, è riportato dai documenti più antichi che riguardano l'aggregato urbano che si andava formando sulle pendici di Colle Sant'Angelo intorno al castello-recinto. Il colle più tardi avrebbe definitivamente preso il nome di Carsoli. I successori di Berardo e Odorisio si spartirono il territorio, abitando uno nel castello di Oricola, un altro a Colli di Monte Bove, il terzo nel castello di S.Angelo alle Celle. Pian piano molte terre vennero donate, dagli stessi conti, ai principali monasteri del centro-Italia, in particolare Farfa, Subiaco e Montecassino. I monaci si sostituirono così ai legittimi feudatari, almeno fino all'epoca sveva, quando, sotto il Barbarossa, Celle venne assediata e di nuovo occupata militarmente. Nel XII secolo Carsoli, secondo una tradizione del luogo, ospitò San Francesco. Verso la fine del secolo, il paese vide il passaggio di Corradino di Svevia e di Carlo I d’Angiò. A quest'ultimo sarebbe da attribuirsi, secondo alcuni studiosi, la costruzione della chiesa di Santa Vittoria (che, però, secondo altri, sarebbe più antica). Passata sotto la contea di Albe e Tagliacozzo, anche Carsoli divenne feudo prima degli Orsini e poi dei Colonna. Fu sede di baronia e rimase a loro soggetta fino al 1806, anno dell'abolizione dei feudi. L’antica fortezza del castello angioino di Colle Sant'Angelo di Carsoli fu costruita, con ogni probabilità, intorno all'anno mille dai Conti dei Marsi. Nel XIV secolo passò prima sotto il dominio degli Orsini e poi fu dei Colonna. Posta in posizione strategica su tutta l'area della Piana del Cavaliere e del Turano e in comunicazione con il castello di Oricola, rappresenta bene il sistema difensivo attuato in zona dagli Angioni nel XIII secolo. Si possono ammirare i resti dell'antico castello nel cuore del borgo di Colle Sant'Angelo, la parte più antica di Carsoli. E' ancora riconoscibile il tracciato di pianta del castello-recinto, la cui conformazione ad L risulta essere piuttosto inconsueta. L'elemento architettonico più antico è, probabilmente, l'alta torre cimata posta all'angolo tra le due mura di cinta, attorno alla quale si è poi sviluppato il resto del complesso difensivo con le altre torri quadrangolari. Oggi non sono più visibili le mura del versante sud-orientale e parte di quelle del versante nord-orientale, fiancheggiato dalla rampa d'accesso. I ruderi del castello sono facilmente visitabili data la vicinanza al borgo. Un'epigrafe, risalente al XIV secolo, ricorda il restauro condotto da Rainaldo Orsini prima di essere costretto a cedere Carsoli ai Colonna. Altre notizie certe del castello si hanno solo nel 1678 quando il Febonio lo descrive già allo stadio di rudere. Un ultimo intervento conservativo di una qualche rilevanza fu compiuto nel 1906-1910 dal proprietario, Giovanni Battista De Leoni; una targa in marmo, posta al di sopra di un ingresso del castello, ricorda tale intervento. In data 15 maggio 2013 la comunità di Carsoli ha acquisito al proprio patrimonio l’immobile della Fortezza. Gli eredi di Antonio De Leoni hanno infatti stipulato davanti al notaio la donazione della Fortezza, simbolo storico di Carsoli.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Carsoli, http://www.regione.abruzzo.it/xcultura/index.asp?modello=castelloaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuCast2151&tom=151, http://www.vacanzeitinerari.it/schede/visita_al_centro_storico_di_carsoli_sc_2538.htm, http://www.carsoliturismo.it/archivio2_notizie-ed-eventi_0_365_3_1.html

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.marsicalive.it/wp-content/uploads/2014/04/castello-carsoli-001.jpg

giovedì 21 aprile 2016

Il castello di giovedì 21 aprile





VILLA MINOZZO (RE) - Rocca

Un diploma dell'imperatore Ottone I, del 963 e un altro di Ottone II nel 980, confermano il possesso della cortem de' Melocio cum plebe alla Chiesa di Reggio Emilia. Intorno all'anno 1000 è attestato un archpresbyter Melocii e successivamente un parroco chiamato Antonio de Menotio. Nel 1070 ritroviamo Minozzo menzionato in un documento in cui il vescovo Gandolfo di Reggio Emilia che riconfermò tutta una serie beni a Beatrice e Matilde di Canossa, ma contrariamente a quanto si può pensare egli mantenne propri soldati a presidio di Minozzo, il che ci fa pensare che il vescovo attribuisse a questa località qualche particolare importanza strategica. Va inoltre ricordato che negli anni successivi Gandolfo si dimostrò uno dei più acerrimi nemici della contessa Matilde schierandosi apertamente con l'Imperatore Enrico V contro il Papa Gregorio VII; Gandolfo insieme con altri vescovi del nord Italia partecipò all'elezione dell'antipapa Guiberto di Ravenna con il nome di Clemente III in carica dal 1080 fino al 1110, e fu sconfitto dalla stessa Matilde di Canossa nella battaglia di Sorbara nel 1084 (come ci racconta il monaco Donizone di Canossa nella "Vita Mathildis"). Tutto ciò fa ipotizzare che Minozzo sotto il vescovo Gandolfo sia stata una roccaforte isolata e ostile alla potentissima Contessa Matilde, nel cuore dei suoi domini e soprattutto alle spalle del poderoso sistema difensivo costituito dai castelli di Canossa e Carpineti. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui la Contessa Matilde per motivi strategici si riprese Poiano (dotandolo di castello) che in precedenza aveva donato al Monastero di Frassinoro dandovi in cambio il territorio di Ligonchio e altri territori in Garfagnana nel 1076. A conferma che Minozzo non orbitasse fra i territori controllati dalla potentissima Contessa Matilde vi è anche il fatto che il suo nome compare anche in un documento nel 1092 dell'antipapa Clemente III e che questo ha esercitato la sua giurisdizione solo su territori di provata fede Imperiale. Questo spiega anche la merlatura ghibellina che è riportata sullo stemma comunale raffigurante la Rocca di Minozzo, conservata in antiche carte della corte Estense di Modena. E' probabilmente in ricordo di queste vicende che gli uomini del comune di Minozzo nello “Statuta Castellantiae ac totius Praetoria Minotii” vollero fieramente che fosse ricordato in primo luogo che “gli uomini della Castellanza di Minozzo sono del vescovo di Reggio” (Homines Castellantiae Minotii sunt Episcupatus Regii). La contessa Matilde nel 1102 cita un ricovero per poveri sito in Campo Camelasio e nel 1106, fa riferimento ad un eremo situato in San Veneri nell'attuale frazione di Carù. Nel 1240 il Comune di Reggio ingrandì il suo contado sottomettendo diverse località della Montagna, nel territorio di Villa Minozzo fecero atto di sottomissione tra le altre Coriano, Costabona e Febbio. Nel 1268 i reggiani completarono le conquiste sottomettendo Minozzo. Tra le famiglie che esercitarono autorità nella zona vanno ricordati i Dalli, provenienti dalla Garfagnana e filo-estensi, i Fogliani, i Malvasia, oltre a casate fiorentine (gli Arnaldi) e modenesi (i Rocchi). Nel XV secolo si ebbero dispute coi pastori garfagnini di Soraggio per l'uso di pascoli nei dintorni di Civago; della questione fu investito il duca, che, dopo ricorsi e controricorsi, diede ragione ai toscani, i quali ottennero i pascoli in cambio di un orso vivo all'anno da portare al duca stesso, dopo qualche anno mutato in un cinghiale. Gli studiosi hanno in passato formulato diverse ipotesi sulle origini della rocca: secondo il Milani, per le tipologie costruttive utilizzate sarebbe un'opera tardo-imperiale; la datazione romana sembra tuttavia poco probabile. Secondo lo storico Andreotti l'origine della "Rocca di Minozzo" deriverebbe dal passaggio di un'antica strada per la Garfagnana, che utilizzava il passo di Pradarena, probabilmente ricalcata sulla strada romana tra Parma e Lucca. Lungo questa strada si trovano numerose rocche e castelli, che indicano la sua importanza in epoca medioevale e vi sono state rinvenute, nella località "Gatta"-"San Bartolomeo", tombe romane interpretate come indizio dell'esistenza di un piccolo insediamento; qui esisteva inoltre un "ospitale", posto lungo la Secchia, tra le valli dei torrenti Secchiello e Luccola. Un secondo tracciato che si staccava da questo, saliva sul Monte Prampa e scendeva quindi fino a Montecagno, Casalino e Piolo, dove si ricongiungeva con la strada per Ligonchio. La struttura difensiva si trovava al confine naturale, costituito dal fiume Secchia, tra i territori bizantini, dell'esarcato di Ravenna, e quelli longobardi: parte del territorio dell'alto e medio Appennino Reggiano, con la caduta del Castrum Bismanto nella prima metà del VII secolo era passato in mano ai Longobardi, mentre il resto rimaneva in mano bizantina tra cui i territori dei comuni di Toano, Villa Minozzo e Ligonchio, che vi restarono fino al 728. Il territorio, insieme all'antica via romana detta Bibulca o "via Imperiale", che metteva in comunicazione i territori bizantini nel modenese con la Garfagnana, era difesa da un Castrum Verabulum, identificato con San Vitale dei Carpineti, oppure con una località presso Bologna nei pressi dell'odierna Crespellano. Si trattava di un'opera importante, con muri alti tra i 20 e 30 metri e protetta alle spalle dal “monte Prampa”. Alle difese si aggiungevano due torri di guardia tuttora esistenti in direzione di Bismantova (nelle località di “Castellino” e di “Triglia”), altri due torrioni o rocche (nelle località "Sorogno" e "Carniana"), traccia di antichi castelli di datazione incerta nelle località di Piolo, di Toano, che conserva inoltre una chiesa romanica di epoca successiva, e di un altro, di epoca longobarda, sul torrente Dolo, presso la località di Quara. Lo stemma della Rocca, una torre che svetta sulla base di un solido muro che nasce dallo sperone roccioso sottostante, doveva essere il concio di volta dell'arco di ingresso che portava verso un castello inespugnabile, di cui oggi rimangono solo le antiche vestigia. Vestigia che conservano ancora il ricordo di quello che fu, e si svelano agli occhi dei visitatori ancora rivestite di in atavico fascino che il tempo non è riuscito a vincere. Eretta in epoca matildica, ma recante tracce risalenti addirittura all'età del bronzo, la Rocca sorgeva su un pianoro rivolto a occidente circondato da una doppia cinta muraria. Era costituita da un dongione, torre di difesa che si allungava in un quadrilatero recante gli appartamenti del podestà, e dai quartieri sottostanti dove alloggiavano il massaro e il notaio. All'interno di quelle mura si svolgeva la vita del Borgo, dove tra le abitazioni doveva esserci anche l'antica cappella, Chiesa primitiva oggi distrutta. La torre si elevava negli ambienti sommitari, e doveva essere alta 10 metri, 25 dalla base. I terremoti del 1832 e del 1920 furono un duro colpo per la già malmessa torre, ed è visibile un disassamento del muro nella "prigione degli uomini", in seguito ricovero attrezzi. Solenne e inespugnabile, la Rocca dominava le valli sottostanti, visivamente allineata con gli altri castelli del comprensorio, quali Carpineti e Bismantova. Gli scavi hanno portato alla luce ambienti, reperti ceramici che rivelano la vita dei signori Estensi, e ci regalano frammenti di storia e di tradizioni unici nel loro genere. Dagli studi recenti emerge il quadro di un tempo che fu, un tempo andato ma ancora capace di manifestarsi con foga, insinuandosi tra mura in rovina e colpendo l'occhio, suscitando ancora curiosità e fascino. Essendo proprietà ecclesiastica, la rocca venne adibita, nell'XI secolo, a residenza del preposto alla corte e del presidio di soldati stanziati dal vescovo di Reggio. Durante il governo estense, protrattosi fino alla Rivoluzione Francese, la rocca venne eletta a sede del podestà e del notaio. La fortificazione, occupata nella parte inferiore dalle carceri, era vigilata da due guardiole: una sul monte Castellino e l'altra in fondo alla borgata di Triglia. Nel 1521 la fortezza resistette all'assalto del brigante Domenico Amorotto, dando prova di grande potenza. Quando, nel 1796, gli Este vennero spodestati, il podestà non fu più ospitato a Minozzo e, nel 1815, la sede del comune venne trasferita a Villa. Lo stato di estremo degrado in cui versa la rocca, divenuta pericolosa per gli abitanti che ne denunciano i frequenti crolli, spinge il comune a decretarne l'abbattimento. Il mancato accordo sulle spese di distruzione ha annullato tale decisione, consentendo ai resti del fortilizio di sopravvivere. Altri link suggeriti: http://reggioemiliaturismo.provincia.re.it/page.asp?IDCategoria=2949&IDSezione=21416&ID=375571, http://www.parcoappennino.it/pun_dettaglio.php?id_pun=1149

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Villa_Minozzo, http://www.comune.villa-minozzo.re.it/turismo/pagina.php?id_sezione=2&id_pagina=115, http://www.appenninoreggiano.it/schede.asp?lang=it&d=rocca-di-minozzo

Foto: la prima è presa da http://reggioemiliaturismo.provincia.re.it/page.asp?IDCategoria=2949&IDSezione=21416&ID=375571, mentre la seconda è presa da http://www.redacon.it/wp-content/uploads/Rocca-di-Minozzo-archivio-fotografico-Provincia-di-Reggio-Emilia.jpg

mercoledì 20 aprile 2016

Il castello di mercoledì 20 aprile






PERUGIA - Castello di Ramazzano

Il nome della frazione Ramazzano deriva da quello dell'omonimo castello, risalente al XII secolo e costruito dalla famiglia dei Ramazzani, a cui appartenne dal 1097 fino alla fine del Cinquecento. Nel 1258 appare come castrum Ramaçani nell'elenco dei castelli perugini. I Ramazzani occuparono per secoli cariche importanti: Giacomo divenne podestà di Foligno nel 1206 e di Todi nel 1211; Guido assunse la carica di podestà di Todi nel 1229; Ugone Boncorntis funse da testimone in Gubbio in un atto notarile del 24 aprile 1279 in merito al castello delle Portole; Ceccolo conbatté a Montecatini, erdendovi la vita nel 1315, contro Uguccione della Faggiuola. Nel 1415 il comune di Perugia chiese la demolizione del castello, poichè era diventato motivo di violente contese tra i Degli Oddi (a fianco dei Montemelini) e i Baglioni (a fianco dei Vincioli), che si fronteggiavano politicamente in città, ospitandone i relativi fuoriusciti. Le sanguinose rivalità tra le due famiglie iniziarono nel 1303 quando i Baglioni si schierarono dalla parte dei Raspanti e i Degli Oddi dalla parte dei Becherini, ma il dissidio divenne odio ininterrotto nel 1331 a causa dell’uccisione di Oddo Degli Oddi “cittadino insigne per imprese di guerra e ambascerie di pace” da parte di Filippuccio e Carluccio Baglioni. Nel 1482 le due famiglie, con i relativi sostenitori, si fronteggiarono armate nelle vie di Perugia lasciando sul terreno ben 130 morti. Nel 1433, un Sinibaldo di Pietro Ramazzani partecipò ad un consiglio presso il palazzo dei Priori di Perugia, nel quale venne decretata la distruzione del castello di Casa Castalda per vendicare l’uccisione di ser Africano commessa da nove massari del luogo. Nel 1444, come risulta dagli archivi catastali, nelle vicinanze si trovavano i poderi (oltre 44 ettari) cum domo et palatio di Agamennone I di Giacomo Arcipreti di porta Sant’Angelo, all’epoca il cittadino perugino con il più consistente patrimonio fondiario esteso in 42 località comprendenti 256 vocaboli. Agamennone I, avviato alla carriera militare sin dal 1424, fu creato cavaliere nel 1433 dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo (1368-1437) e nel 1443 assunse la carica di governatore di Città di Castello per volere pontificio. Ramazzano nel 1594 passò al conte Giulio Cesare Degli Oddi il quale, essendosi arrogato poteri comunali, fu condannato a pagare una somma cospicua nonostante un’appassionata difesa dell’avvocato eugubino Antonio Ondedei, gonfaloniere nel 1611. La chiesa parrocchiale, dedicata a San Tommaso, fu costruita nel 1610 su un terreno donato dai conti Degli Oddi. Nel 1633 Antonio Ramazzani sposò Settimia Degli Oddi e le loro nozze  furono immortalate in un sonetto da Luca Antonio Erolani. Nel 1637 morì Alessandro Ramazzani e così la dinastia si estinse. Nei secoli seguenti vari proprietari si sono succeduti: i marchesi Coppoli (già feudatari dal 1618 del castello di Montefollonico, vicino a Torrita di Siena; l’ultimo discendente Raniero morì scapolo nel 1877, a 76 anni, dopo un passato di eroe risorgimentale ed animatore della mondanità perugina); nel 1710 il marchese Orazio Coppoli di Ramazzano discendente della beata Cecilia Coppoli fece istanza al monastero di Santa Lucia in Foligno affinché le sue reliquie fossero esposte a pubblica venerazione e lasciò per testamento 50 scudi annui al monastero. Altri proprietari furono: Camillo Pecci, nipote di Leone XIII ( 1878-1903), i Presutti, il conte Bennicelli, che nel 1931 ospitò il re Vittorio Emanuele III, e i conti Attolico di Roma. Il castello, che sovrasta una fertile estensione agricola, sebbene sia stato più volte rimaneggiato e adattato ai gusti abitativi, si presenta ancora in discreto stato di conservazione. La torre quadrata si eleva sulle alte mura merlate alla guelfa; nel cortile interno si trova  un pozzo profondo 40 metri che comunica con le segrete e i sotterranei. Il palazzo signorile ospita sale affrescate e la cappella castellana, in cui sin dal 1113 venivano officiate le messe dai monaci cistercensi della vicina abbazia di Montelabate. Oggi custodito quale tesoro riconosciuto dai Beni Culturali, il castello è emblema della tradizione vitivinicola del territorio, perpetuata e impreziosita dalle Cantine Aliani. Ecco la pagina Facebook del monumento: https://www.facebook.com/pages/Castello-Di-Ramazzano/710071389009394

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Ramazzano-Le_Pulci, http://www.medioevoinumbria.it/edifici-storici/castelli-e-fortezze/castello-di-ramazzano/, http://www.cantinealiani.com/?page_id=28

Foto: la prima è presa da http://www.overplace.com/cantine-aliani-perugia, la seconda da http://saperefood.it/wp-content/uploads/2014/11/ramazzano.jpg

martedì 19 aprile 2016

Il castello di martedì 19 aprile






BENE VAGIENNA (CN) - Castello dei Conti Costa

Il primo documento scritto in cui viene menzionato il castello di Bene risale al 18 giugno 901 quando l'Imperatore Ludovico III cedette il territorio di Bene, provvisto di Curtis imperiale,di pieve e di una superficie di 7500 ettari, al vescovo di Asti Eilulfo. Il dominio vescovile di Bene durò per circa cinque secoli, con varie interruzioni tra le quali merita di essere ricordato il periodo di reggimento a libero Comune nella prima metà del XIII secolo. All'epoca, Bene fece sia alleanze che guerre, e fu trattata alla pari dei maggiori comuni e principati dell'Alto Piemonte. Nel 1387, Amedeo di Savoia, principe di Acaia, dopo aspra lotta e dopo aver distrutto e rovinato le mura cittadine e il castello, s'impadronì dell'intero territorio; iniziò così la dominazione sabauda che fu, compatibilmente coi tempi, apportatrice di pace e di prosperità. Nel XV secolo fu sotto dominio feudale dei Costa di Chieri (documento del 23 agosto 1413) con l'infeudazione, da parte dell'ultimo degli Acaja, anche dei vicini paesi di Trinità e Carrù a Lodovico Costa, un patrizio di Chieri e suo fedele vassallo. Della stessa famiglia fece parte anche sua moglie, la Beata contessa Paola Gambara da Brescia, morta nel 1515 e di cui si conserva tuttora, nella Chiesa di San Francesco, la salma. Sotto il dominio dei Costa vennero compiuti importanti lavori di dissodamento e di irrigazione e la città prese, nelle sue vie e nei suoi edifici, l'aspetto che conserva ancora oggi. Il potere dei conti di Bene si infiacchì però negli ultimi tempi (verso il 1550-1560) a causa dell'alleanza con i Francesi nella guerra contro gli Spagnoli. Con l'aiuto di Francesco I re di Francia, Giovanni Lodovico Costa, conte di Bene, fece fortificare la città sui disegni di Francesco Horologi da Vicenza, nel decennio di tregua stabilitasi a Nizza nel 1538 tra il re di Francia e l'imperatore Carlo V. Bene venne cinta di fortificazioni con l'abbattimento dei borghi esterni (è di questo periodo l'abbattimento della Chiesa della Rocchetta) e fatta sede di un forte presidio forestiero. Quando Emanuele Filiberto, dopo la Pace di Cateau Cambrésis del 1559, rientrò nei suoi possessi, anche Bene venne reintegrata nello stesso ducato sabaudo. Costa fu costretto a conglobare i contadi di Pont di Vesle e di Castiglione d'Ombres, e il 12 agosto 1561 i delegati di Bene pagarono al Re ben 12000 scudi d'oro per liberarsi sia dalla signoria dei Costa, sia per non essere più infeudati ad alcuno, qual non fosse principe di Piemonte (dalle carte conservate nell'archivio del Comune). Nel 1607, le fortificazioni erette nel precedente secolo (e delle quali molte sono ancora presenti) fecero di Bene una piazzaforte importante che ebbe peso nelle lotte del tempo. Qualche anno più tardi, il castello fu anche visitato dal capitano Ascanio Vittozzi, ingegnere alla corte di Carlo Emanuele I di Savoia, e su suo parere, venne 'ristorato' nel 1615-1616 a spese di Bene e dei Comuni di Clavesana, Farigliano, Piozzo, Carrù, Trinità e Salmour. L'esercito francese del conte di Harcourt assediò quindi il paese nel 1641, conquistandolo dopo un'accanita resistenza della guarnigione e della popolazione; quest'ultima ne soffrì molto, furono date in fiamme molte case. L'antico maniero è circondato da alte mura che proseguono lungo i bastioni chiamati "baluardo di levante" e "baluardo di ponente", a ricordare la parte delle fortificazioni realizzate nella prima metà del 1500. L’aspetto odierno del castello è in buona approssimazione simile a quello che doveva avere all’inizio del XV secolo. La fortificazione si presenta a pianta pentagonale, con cortina laterizia sormontata da merlatura bifida, ora tamponata. All'edificio si lega la figura della beata Paola Gambara Costa (Brescia, 1463 – Bene Vagienna, 1515), moglie di Ludovico Costa, ancora oggi venerata per le sue doti di generosità verso i poveri e i sofferenti. Poco oltre il cancello di ingresso, un affresco ritrae la Beata Paola in abito di terziaria francescana, con il manto colmo di rose. Questo affresco ci riporta agli inizi del 1500 quando la signora di Bene aveva qui la sua dimora e usciva dalle mura per recarsi al convento della Rocchetta posto al di là del torrente Mondalavia. Nel 1800 il castello fu trasformato in ospedale di carità e oggi ospita una casa di riposo. Dal castello partono romantiche passeggiate che si snodano tra il Viale dei Platani ed i resti dei bastioni, cioè il baluardo di levante e il baluardo di ponente, e raggiungono  la rotonda degli innamorati e la ghiacciaia.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Bene_Vagienna#Medioevo, http://www.visitterredeisavoia.it/it/guida/?IDR=1406, http://www.comune.benevagienna.cn.it/modules.php?name=Steli_Bene#, testo tratto dalla pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)  

Foto: la prima è presa da http://www.visitterredeisavoia.it/images/Guida/Castelli_Torri/Castello_dei_conti_Costa_Bene_Vagienna/Castello_dei_Conti_Costa.jpg, la seconda è presa da http://www.infermeria-casadiriposo.it/entrata.jpg

lunedì 18 aprile 2016

Il castello di lunedì 18 aprile






FELITTO (SA) - Castello

Il paese è un borgo medievale che conserva ancora numerose torri di guardia e mura di cinta, tipiche dell'anno 1000. L'origine di Felitto è da ricondurre a qualche secolo prima dell'anno 1000. Strategicamente la posizione era straordinaria: sopraelevata, inaccessibile o accessibile con molta difficoltà dai quattro lati con la possibilità di controllare con facilità tutta la valle del Calore. Facile difesa naturale del posto, possibilità di avvistare con molto anticipo eventuali pericoli, presenza abbondante sul posto di ottima pietra da costruzione e da calce, nonché di sabbia in zona relativamente vicina (Casale), possibilità di rifornirsi d'acqua sia per la vicinanza del fiume Calore e sia per la presenza nel raggio di pochi chilometri di diverse piccole sorgenti, rendevano il posto ideale per un insediamento stabile e sicuro. Felitto era dotato di un notevole complesso murario fortificato, precisamente da 13 torrioni di cui tre di forma quadrata. Nel centro storico è ancora oggi conservato un antichissimo castello. Purtroppo la cinta muraria risulta intatta solo parzialmente, poiché demolita in alcune parti. Notizie successive e frammentate si riferiscono a coloro che ne furono signori e padroni. Dopo vari passaggi di mano tra personaggi più o meno ignoti, pervenne agli inizi del Cinquecento a due tra le famiglie più in vista del Regno di Napoli i Sanseverino e poi i Carafa, che ne esercitarono la supremazia fino ai primi dell’Ottocento. Dal 1811 al 1860 ha fatto parte del circondario di Roccadaspide, appartenente al Distretto di Campagna del Regno delle Due Sicilie. Il simbolo che maggiormente racconta i trascorsi medievali di Felitto, è sicuramente il castello feudale. Un esemplare perfetto di antico maniero, edificato probabilmente nel periodo angioino. Sviluppato su due livelli per un’altezza di circa 9 metri, il castello sorge nel punto più alto del paese. Per questo motivo, veniva utilizzato dalle guardie, come punto di osservazione per proteggere i cittadini in caso di attacco. Nell’area sud del palazzo aveva inizio la cinta muraria, che terminava con la Torre dei Pagani costruita subito dopo la porta occidentale, quest’ultima ancora oggi visibile. La cinta muraria non conosceva interruzioni ed era costituita da dieci torri di forma rotonda e tre di forma quadrata tutte dotate delle migliori armi da difesa. . In piazza De Augustinis era collocata la pietra chiatta, sulla quale era costretto col sedere nudo chi non pagava i debiti. Del castello feudale restano il Maschio, imponente torrione di 25 metri, i ruderi di altre torri, e alcuni curiosi sistemi di difesa e di tortura. Numerose sono le storie sul borgo di Felitto che negli anni si sono tramandate, una di esse è legata proprio al castello medievale. Si racconta che nel castello di Felitto vivesse un Barone che tranquillizzato dall’avere ai suoi ordini un corpo di guardia numeroso abusasse del suo potere comportandosi da vero e proprio tiranno. Tra le prerogative del suo potere c’era anche quella di esercitare lo IUS PRIMAE NOCTIS vale a dire il diritto di trascorrere la prima notte di nozze con ogni nuova sposa. La pena per chi si opponeva era un bel volo dal trabucco, un apertura che dal castello permetteva al barone di scaraventare i suoi oppositori direttamente nella profonda gola retrostante l’abitato di Felitto, dove tumultuose scorre il Calore. Molte furono le giovani coppie che dovettero sottostare a questa ignobile pratica finché un giorno lo sposo di turno decise che era arrivato il momento di porre fine a quest’ingiustizia. Il matrimonio venne celebrato con le guardie che aspettavano fuori dalla chiesa per prendere in consegna la giovane ed accompagnarla al castello. Dopo la benedizione finale il sacerdote, come al solito diede l’ordine al sagrestano di suonare le campane e si fece accompagnare dai novelli sposi in sagrestia per sistemare gli oggetti del cerimoniale. A questo punto il giovane diede un colpo in testa al sacerdote, si infilò in tutta fretta il velo ed il mantello della moglie, si calò sul volto il cappuccio e piegò un po’ le ginocchia per camuffare la sua effettiva statura, quindi raccomandò alla moglie di stare nascosta e uscì dalla chiesa. Durante il tragitto non proferì parola limitandosi a scuotere il capo con fare pauroso alle domande o agli scherzi della sua scorta. Giunto al castello fu portato direttamente nelle stanze del barone che attendeva con impazienza. Ma il sorriso di compiacimento del Barone si trasformò presto in stupore e paura. Accadde tutto talmente in fretta che il signorotto non fece in tempo neanche a gridare aiuto perché il giovane appena l’uomo si era avvicinato aveva estratto il pugnale per colpirlo al cuore. Dopodiché si caricò il cadavere sulle spalle e gli fece fare un bel volo fino nel fiume. A quel punto le guardie si accorsero dell’inganno ma ormai era troppo tardi perché la popolazione incitata dalla giovane sposa preoccupata per il suo amore riuscì facilmente a penetrare nel castello e a bloccare le guardie che si arresero senza colpo ferire. A quel punto grande fu la gioia dei felittesi che festeggiarono l’avvenimento e la riconquistata indipendenza con canti, balli, musiche e canzoni, qualcuno compose addirittura una ballata per ricordare l’avvenimento. Altra pagina consigliata: http://www.felitto.net/it_iti_paecast1.html

Fonti: http://www.prolocofelitto.it/leggenda-sul-castello/, https://it.wikipedia.org/wiki/Felitto, http://www.visitcilento.com/it/scheda_localita/103-felitto.html, http://www.ecampania.it/salerno/itinerari/felitto-e-leggenda-suo-castello, http://alvicolodelcilento.it/felitto/

Foto: la prima è presa da http://www.felitto.net/img/involo/volo_cast02.jpg, mentre la seconda è presa dahttp://www.comune.felitto.sa.it/UserFiles/Image/Felitto/Castello.jpg

sabato 16 aprile 2016

Il castello di domenica 17 aprile





MONTEIASI (TA) – Palazzo Ducale Antoglietta

Il popolamento del casale denominato "Montijasum" ebbe luogo nel XVI secolo, su disposizione della nobile famiglia degli Antoglietta, originariamente Natoli o de Nanteuil. Costoro, di origine normanna, devono il nome al castello di Nantouillet (anticamente Nantoletium), ubicato nelle vicinanze di Parigi, assegnato loro dai primi sovrani capetingi nel IX secolo. Nel 1280 i cavalieri reali Natoli presero parte alla campagna condotta da Carlo I d’Angiò, con il quale erano imparentati, per la conquista del regno che fu di Federico II di Svevia. Provenienti da una secolare stirpe di condottieri, tutti cavalieri milites, si distinsero in battaglia, e per meriti militari, ricevettero vasti possedimenti in varie parti d'Italia direttamente da Re Carlo I d'Angiò, tra cui Sicilia, Campania e Toscana ma anche in Puglia dove si trasferirà un ramo della famiglia. La famiglia nel corso del tempo modificò il proprio cognome da de Nanteuil (di Natoli) a Landoglia fino a dell'Antoglietta. In Particolare, a Enrico Landoglia vennero assegnate alcune aree dell'attuale Salento, nello specifico il versante orientale dell'odierna provincia di Taranto. Erardo (Erard de Nanteuil) fu il primo della stirpe dei Landoglia ad essere elevato barone di Fragagnano, nella cui giurisdizione ricadeva un Parcus Tabernae di epoca tardoantica, una stazione di rifornimento gestita dai Cavalieri di San Giovanni. A precisare il ruolo dei Landoglia-Antoglietta fu l'arcivescovo di Taranto Lelio Brancaccio, che fra il 27 aprile e il 13 maggio 1578 compì una visita pastorale in cui indicò la baronessa Geronima Delli Monti, vedova dell'ottavo barone Francesco Antonio Landoglia (il primo della sua famiglia a farsi chiamare "dell'Antoglietta"), l'iniziatrice della costruzione del casale. Il barone Francesco Antonio aveva lasciato a Diofebo, figlio di primo letto, l'area degli attuali comuni di Fragagnano, San Marzano di San Giuseppe, Monteparano, Carosino, Roccaforzata, e a Giovan Tomaso, figlio della baronessa Delli Monti, il casale di Montijasum. In tal veste, Giovan Tomaso compare nella relazione di Lelio Brancaccio, che indica anche una popolazione di ottanta anime. Nel XVII secolo i Landoglia-dell'Antoglietta dominarono i propri casali lasciando che potessero stabilirsi albanesi, cristiani di rito greco, costretti ad emigrare a causa delle guerre. A Giovan Tomaso dell'Antoglietta succedette Pompeo. Livia, figlia di quest'ultimo, andò in sposa al nobile di Taranto, Carlo Ungaro. Con tale unione si estinse questo ramo della famiglia. L'anello di congiunzione con il Medioevo è attestato da un alto muro portante, ben conservato nella parte posteriore del Palazzo Ducale, in pieno centro storico, un tempo detta masseria di Monteiasi, nel XV secolo già di proprietà della famiglia Antoglietta e la esistente masseria della Taverna; ed è proprio dalla fine del 1400 che la storia di Monteiasi diventa più leggibile e documentata. Agli inizi del 1500 la Masseria della Taverna per mezzo secolo circa divenne Stazione del Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni, chiamati Cavalieri di Malta. Si può sostenere che questo edificio insieme all'altra masseria divenuta poi Casale e successivamente Palazzo Ducale rappresentano i riferimenti più certi da cui si può far data per i primi nuclei abitativi che diedero vita al paese e alla comunità di Monteiasi.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Monteiasi, scheda di Ciro Carretta su http://www.monteiasi.it/mioweb7/CENNIstorici.htm

Foto: è presa dalla pagina Facebook “Monteiasi” (https://www.facebook.com/pages/Monteiasi/118853424808885)