venerdì 28 aprile 2023

Il castello di venerdì 28 aprile



SALERNO - Castello di Arechi

Il castello si eleva in cima al monte Bonadies, ad un'altezza di circa 300 metri sul livello del mare, dominando la città ed il golfo di Salerno. Il nome "Bonadies" ("buongiorno") deriverebbe dal fatto che all'alba, essendo la parte più alta della città, il sole che sorgeva da est ne illuminava per primo il vertice. Il maniero, nel corso dei secoli, è stato più volte chiamato in maniera differente: "il castello" semplicemente, "il castellaccio", "il castello principale" (per distinguerlo dalle altre fortificazioni "secondarie"), "la torre maggiore" o "torre", "la rocca". Il toponimo più ricorrente è "Castello di Arechi II" o, più semplicemente "Castello di Arechi" perché la costruzione di questa fortificazione si associa, tradizionalmente al duca longobardo Arechi II. Grazie alla sua collocazione impervia il castello non è mai stato espugnato. Attualmente boscosa, nel Medioevo la collina era completamente priva di alberi, onde facilitare l'avvistamento di chi ne tentasse l'ascensione. Durante gli assedi, dal castello venivano lanciate, o lasciate semplicemente rotolare, grosse pietre con delle possenti macchine. Anche se rinvenimenti monetari attestano la frequentazione della collina già nel III-II sec. a.C., il primo impianto costruttivo risale al VI sec. d.C., nel corso della guerra greco-gotica, quando ad opera del generale greco Narsete fu fatto edificare un castrum. Resti della fortificazione bizantina sono riconoscibili in alcuni tratti di muratura in opera quadrata realizzata con grandi blocchi di tufo e nell'impianto primitivo della turris maior. A pianta rettangolare, la torre era costruita su cinque o sei livelli, con funzione di controllo del porto sottostante e dei percorsi che avrebbero potuto facilmente condurre a Nuceria Alfaterna, nodo vitale per l'economia della pianura vesuviana. Nell'VIII secolo Arechi II fece del castello il vertice nord di un sistema difensivo triangolare, le cui mura calavano lungo i pendii del colle Bonadies cingendo tutta l'antica Salernum fino al mare: il circuito murario fu rinforzato dal principe longobardo, il cui intervento sul castello fu praticamente inesistente. La posizione sul monte Bonadies offriva buone possibilità difensive; il castello e la cinta resero Salerno "per natura e per arte imprendibile, non essendo in Italia una rocca più munita di essa", come testimonia Paolo Diacono nella sua "Historia Longobardorum": il castello, infatti, non capitolò mai e durante l'assedio di Roberto il Guiscardo, nel 1077, solo per fame gli occupanti patteggiarono la resa. I Normanni non apportarono modifiche alla turris maior, ma sopraelevarono i salienti murari e realizzarono un ampliamento verso sud con la costruzione di un loggiato di cui rimangono alcuni piloni inglobati nella massa muraria realizzata più tardi per la sistemazione della cannoniere del XVI secolo. A loro si deve la costruzione della torre detta "La Bastiglia" su di uno sperone roccioso a nord del castello: la sua edificazione risponde alla necessità di controllare i movimenti non direttamente visibili dal castello. Nonostante Federico II di Svevia avesse incluso la turris maior fra le fortificazioni da riparare, il periodo svevo è poco documentato archeologicamente. Maggiori modifiche apportarono gli Angioini, che aggiunsero corpi di fabbrica e cisterne; costruirono alcune cortine, munite di saettiere (sottili feritoie verticali da cui i difensori potevano scoccare frecce) al di sotto delle quali vennero successivamente installate delle fuciliere ancora visibili: agli stessi si deve la costruzione di un balneum e di un sistema termale che utilizzava le numerose cisterne individuate. Le vicende che hanno caratterizzato il dominio angioino sono documentate da carte d'archivio della cancelleria angioina e aragonese. Nel 1274 vengono segnalate urgenti opere di riparazione. I rinvenimenti in ceramica e vetro sono numerosi e di elevata qualità a testimonianza che il castello aveva anche funzione abitativa. Le ultime ristrutturazioni della fase angioina risalgono al 1299. Con gli Aragonesi il castello raggiunse il massimo sviluppo. Vennero costruiti grandi corpi di fabbrica visibili oggi a est della cosiddetta piazza d'Armi. Maioliche napoletane, fiorentine e terraglie prodotte nella vicina Vietri sul Mare attestano che il complesso non fu lasciato solo ai soldati di guardia, ma che vi soggiornarono signori di un certo rango. Gli ambienti sulla destra dell'ingresso appartengono all'età moderna quando ormai il castello aveva perduto la funzione difensiva ed era utilizzato come residenza temporanea dai principi Sanseverino, feudatari di Salerno. Tra il 1547 e il 1564 un viaggiatore inglese, Thomas Hoby, fu accolto dai principi che vi soggiornavano d'estate. Nella descrizione della sua venuta da Cava, Hoby specifica di aver raggiunto il castello solo arrampicandosi lungo le rocce: non era stata infatti ancora costruita la strada che oggi unisce Vietri a Salerno. Nel 1820 nel castello ebbe luogo una congiura carbonara con l'intento di causare un'insurrezione popolare; ma a causa del tradimento di un affiliato, tutto fallì. Dopo un lungo periodo di abbandono in seguito all'Unità d'Italia, gli ultimi proprietari del castello, i Conti Quaranta Signori di Fossalopara, il 19 dicembre 1960 vendettero il castello alla Provincia di Salerno che ne cominciò i lavori di restauro. Il 1º marzo 1992 le Poste Italiane gli hanno dedicato un francobollo da 850 lire, facente parte della raccolta nota come "Castelli d’Italia". Dopo i primi, parziali interventi di restauro, nel 1982 è stata aperta al pubblico l'area interessata dall'ampliamento aragonese. Dal 1991 la Direzione dei Musei Provinciali del Salernitano e il Centro "Nicola Cilento" per l'Archeologia Medievale dell'Università degli Studi di Salerno hanno realizzato una serie di campagne di scavo per definire l'evoluzione del complesso monumentale. Nel 2000 è stato avviato un più ampio progetto volto al recupero funzionale del castello, con il restauro completo delle componenti architettoniche e la riqualificazione dell'intero complesso. Nel volume di una preesistente cisterna è stato realizzato l'ascensore che conduce ai livelli intermedi rendendo accessibile anche ai disabili gran parte del plesso. Tra gli interventi eseguiti, la pavimentazione del livello di calpestio del fossato, il restauro delle fuciliere e dei vani arcuati delle cannoniere, il recupero dei paramenti murari della zona antistante la turris maior, compromessi dall'azione erosiva degli agenti atmosferici. I restauri hanno interessato anche la Bastiglia, che presentava solai crollati e una grave lesione lungo tamburo semicircolare di rafforzamento, alla cui sommità si inseriscono tre cannoniere. Alcuni vani, inoltre, sono stati resi adeguati alla realizzazione del Museo; in questi stessi ambienti son visibili i resti di una merlatura inglobata nello spessore murario. Il restauro ha reso completamente visitabile la zona sottostante il livello di copertura del terrazzo antistante la turris maior denominata "ipogeo". Gli spazi hanno avuto funzioni diverse nel tempo e lo sviluppo della volta indica una suddivisione, mediante setti murari, di uno spazio inizialmente concepito come unico. L'esplorazione precedente il restauro ha evidenziato la presenza di canalizzazioni che fanno pensare a una parziale utilizzazione del vano come cisterna, in un periodo non precisamente definibile. Lo stesso ambiente fu utilizzato per la detenzione di prigionieri e nemici. Sul fondo sono visibili gli affreschi che ritraggono Santa Caterina Alessandrina e San Leonardo, protettore dei carcerati. Nel Museo del castello sono esposti reperti provenienti dagli scavi eseguiti sul sito: si tratta di ceramiche, vetri, oggetti metallici e monete. Tale museo è dotato di altoparlanti e schermi, che illustrano la geografia del castello e danno nozioni storiche del tale,dando un senso logico e culturale al visitatore. Una tragedia di Ugo Foscolo, la Ricciarda, è ambientata nel Castello di Arechi. L'autore ne fu ispirato durante una breve visita a Salerno nel 1812. Come in tutte le leggende romantiche riguardanti i vecchi castelli, una tradizione vuole che esistano uno o più passaggi segreti che collegano il castello con le antiche torri d'avvistamento delle mura, soprattutto, col Forte La Carnale. Non mancano, poi, storie di fantasmi. Il castello di Arechi è oggi una location d'epoca perfetta per festeggiare eventi e matrimoni eleganti e di lusso con panorami mozzafiato da ammirare mentre si pranza nel ristorante allestito all'interno della struttura. Altri link consigliati per approfondire l'argomento: https://www.ilcastellodiarechi.it/, https://cultura.comune.salerno.it/it/luogo/Castello-di-Arechi, https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1500060990, https://www.youtube.com/watch?v=JPN7BJCB3Mw&t=19s (video di Drone Service), https://www.youtube.com/watch?v=SZlvJPQo97c (video di LaTVdeiViaggi), https://www.youtube.com/watch?v=FSB1iCx9DLY (video di G-DronEX), https://www.youtube.com/watch?v=XhdQF8EXDes (video di Passione Drone)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Arechi, https://www.livesalerno.com/it/castello-arechi

Foto: la prima è di Jack45 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Arechi#/media/File:Castello_salerno_dal_drone.jpg, la seconda è presa da https://www.ildenaro.it/premio-sichelgaita-lunedi-al-castello-arechi-salerno-la-consegna-dei-riconoscimenti/

giovedì 27 aprile 2023

Il castello di giovedì 27 aprile



GUARDEA (TR) - Castello di Guardea Vecchia

Su un colle situato proprio alle spalle del paese, ad una quota di 572 m. s.l.m., in uno dei luoghi più panoramici dell’Amerino, si stagliano i ruderi castello di Guardea Vecchia, uno dei più antichi dell'Umbria. Il toponimo Guardea, che deriva dal germanico “warda“, sta a significare guardia, posto di vedetta. Guardea fu feudo dei conti Uffreduzzi che vi avrebbero eretto il castello fin dal X secolo. La famiglia si estinse presto nella linea maschile e il castello passò agli Alviano, già signori dell’omonimo paese. A Guardea gli Alviano avevano una fortezza e riscuotevano tributi e pedaggi. Il castello fu sempre conteso tra Todi ed Orvieto. Nel 1235 fece atto di sottomissione a Todi ma, poiché questa era ghibellina, papa Gregorio IX ordinò al castello di staccarsi dal dominio; così, nel 1308, gli Alviano si sottomisero al comune guelfo di Orvieto. Tra il 1450 e il 1465 Guardea divenne possesso del conte Everso Dell’Anguillara, che la sottrasse, così, al dominio della Chiesa. La Santa Sede ne riprese possesso nel 1465 e papa Paolo II colmò la comunità di favori, condonando debiti e confermando statuti e possessi. Nel 1488 Francesco d’Alviano diede a Guardea la libertà di reggersi a comunità e il godimento di tutti i diritti civili ai sudditi. Il piccolo comune fu retto da quattro priori, che in seguito divennero quaranta. Verso la fine del XV secolo il vecchio castello fu abbandonato e la comunità costruì nuove abitazioni nella piana sottostante. Tale scelta fu dettata da diversi fattori: i motivi di difesa dalle invasioni dei barbari e dalle incursioni di nemici e banditi erano venuti meno, i campi da coltivare si trovavano in pianura, per cui era molto scomodo scendere in basso al mattino e tornare di sera sul colle, soprattutto quando si dovevano condurre al pascolo le mandrie di pecore e buoi. Questo trasferimento a valle avvenne non solo per volontà popolare, ma anche perché i conti di Marsciano, con atto pubblico del 4 maggio 1684, diedero il consenso alla costruzione di nuove abitazioni all’esterno delle mura del castello. Con l’estinzione della linea maschile degli Alviano, il territorio di Guardea passò direttamente alla Camera apostolica che lo governò attraverso suoi commissari, i Monaldeschi prima, quindi i conti di Marsciano e, infine, i Clementini. Nel 1592, con la condanna a morte di Cornelio Clementini per violenze ed abusi, le terre passarono ad affittuari. La vera distruzione del castello di Guardea Vecchia avvenne durante l’edificazione del nuovo centro abitato. Le pietre che costituivano gran parte delle abitazioni e delle mura vennero asportate per essere reimpiegate nella costruzione delle abitazioni giù all’attuale paese. Ancora visibili sono la torre principale ormai consolidata (grazie ad Alessandro Ranucci), alcuni tratti di mura esterne, alcune parti delle torri esterne, la parte interna alle mura dove c’era la chiesa, traccia della torre verso nord, le prigioni, le mura delle abitazioni, le cisterne e poco altro. Nel bosco verso nord vi sono le fornaci di calce che, si dice, servirono per edificare il castello stesso. I discendenti di Ludovico dei conti di Marsciano tennero il Castello di Guardea Vecchia fino ai primi anni del ‘900, quando il Comune, avvalendosi di una legge promulgata dal Parlamento italiano il 24 giugno 1888, dopo anni di lotte legali con i Marsciano, riuscì ad affrancare tutte le terre per un canone annuo di £. 2728,55. Questo canone di lì a breve fu estinto mediante il versamento della somma di £ 54.571. Il complesso si estende su una superficie di circa 8000 metri quadrati, con un perimetro murario conservato nell’alzato per circa 1/3, ma rintracciabile integralmente nel suo sviluppo perimetrale. La cortina muraria presenta molte lacune, ma sono ancora visibili in gran parte il sistema delle otto torri (sei quadrangolari e due semicircolari) oltre al grande mastio centrale. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=7RagEtaCYVo (video di Lorenzo Mazzi), https://www.andreabovo.it/guardea-vecchia/

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-guardea-vecchia-guardea-tr/, https://www.trekkingmontiamerini.com/caterina-monaldeschi-della-cervara-e-la-storia-di-guardea-vecchia/, http://www.turismoguardea.it/ita/6/arte-storia-e-cultura/6/guardea-vecchia/?ss=4

Foto: la prima è presa da https://www.umbriatourism.it/it/-/guardea-vecchia, la seconda è presa da https://www.trekkingmontiamerini.com/caterina-monaldeschi-della-cervara-e-la-storia-di-guardea-vecchia/

giovedì 20 aprile 2023

Il castello di giovedì 20 aprile



SETTIMO VITTONE (TO) - Castello di Cesnola

Del castello di Cesnola, risalente verosimilmente all'XI secolo, si hanno poche notizie storiche. I primi riferimenti a “Cisnolis” (probabile diminutivo di Cesinola da Cesina che significa “bosco tagliato”) si trovano in un documento datato 1042, la dote dell’abbazia di Santo Stefano di Ivrea, in cui si fa menzione di un “massaritium unum cum sedimine, casis, cascinis, campis, vineis, pratis, boschis, buscaleis, cum omne onore et integritate in Cisnolis”. Questo territorio fu sottoposto ai signori di Settimo Vittone. Nel 1180 Vercelli infeudò Roberto di San Martino del cosiddetto Castelletto, con l’obiettivo di evitare la tassa sulle macine da mulino che imponeva Ivrea, facendo passare quelle destinate al suo territorio attraverso questo castello e poi direttamente a Bollengo, dove si trovava un altro castello di proprietà dei vercellesi. Ma l’espediente non ebbe fortuna per molto tempo e la questione delle “molarie” ritornò a pesare negativamente sui rapporti dei due comuni. La parte più antica della struttura è il grande torrione di pietra (dongione), risalente all’XI secolo circa. Attorno a questa torre si formò il primo nucleo del castello, che poi venne ampliato e fortificato durante i tre secoli successivi, sino a raggiungere un perimetro di 175 metri. A quell'epoca ne erano feudatari i signori di Castelletto. Di essi si ricorda tale Pantalone di Castelletto, canonico di Ivrea nel 1439. Nel XIV secolo, la discendenza dei Castelletto si confuse, per il tramite di Battistina di Castelletto andata in sposa, con quella dei signori di Settimo Vittone gli (H)Enrico divenuti conti di Cesnola. I feudatari del castello avevano diritto di esigere il pedaggio da chi transitava per le loro terre, diritto che venne revocato da un editto imperiale nel XIII secolo. Questo fatto potrebbe aver costretto i signori del luogo ad estorcere denaro in modo meno legale; la rapina divenne poi nuovamente diritto, quando nel 1313 una commissione inviata dai Savoia – che avevano allargato il loro dominio fino alla Marca d’Ivrea – appurò lo stato di bisogno del feudo e la conseguente necessità di esigere pedaggio. Il castello andò parzialmente distrutto all'inizio del XVI secolo, quando il duca Carlo III di Savoia ne ordinò la demolizione. Rimaneggiato più volte, a partire dal 1789 appartenne alla illustre famiglia dei Palma di Cesnola, la quale venne infeudata da Vittorio Amedeo III di Savoia del feudo di Cesnola. Tra i Palma spicca il conte Luigi (1832-1904) che fu console statunitense a Cipro, archeologo e direttore del Metropolitan Museum of Art di New York. Infine le rovine passarono di proprietà del beneficio parrocchiale della pievania di Settimo Vittone. Nel XXI secolo il fortilizio risultava in stato di abbandono. A novembre 2012, come già i castelli di Mazzè e di Parella, anche il castello di Cesnola è stato proposto in vendita, con una base d'asta per il castello e i terreni circostanti di 130.000 euro. Il comune si è dichiarato non interessato all'acquisto del rudere. Il Castello consiste in una torre, in due cinte murarie «merlate a coda di rondine a filo muro», una cappella e alcuni resti di edifici di servizio. «Tutte le costruzioni del castello sono fatte di scapoli di pietra, con gli angoli e gli stipiti delle aperture meglio lavorati». La torre (o dongione) presenta muri spessi oltre 1 metro e una pianta quadrata dai lati di 5 metri. L'accesso, coronato da un arco a tutto sesto, si trova in una posizione elevata di alcuni metri rispetto al suolo, come è tipico in questo tipo di costruzioni, ed era accessibile tramite una scala rimovibile all'occorrenza, ad esempio in caso di attacco dei nemici. La cinta muraria interna, della stessa epoca della torre secondo il Nigra, si addossa alla torre ed è di forma quadrilatera. La cinta muraria esterna, più estesa, corre lungo il ciglio dello sperone roccioso per 175 metri: potrebbe esser stata aggiunta al castello insieme alla cappella e agli altri fabbricati, come rivelerebbero gli affreschi della cappella. Si nota ancora la trasformazione dei merli da ghibellini a guelfi, mediante il riempimento della "coda di rondine" con sassi che appaiono disposti in modo meno preciso, almeno a paragone del resto dell’opera. Per arrivare al castello si percorre un sentiero che si imbocca dalla piazzetta con la fontana e che, in circa 20 minuti di cammino, conduce alle rovine. Altri link suggeriti per approfondimento: https://www.youtube.com/watch?v=ko71zMmrTD0 (video di DronAld), https://www.youtube.com/watch?v=yoJ9Ww2TSDA (video di m15alien), https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_TO_Settimo_Vittone-Castello_Cesnola.htm, https://atlas.landscapefor.eu/category/1200-1300/poi/17633-castello-di-cesnola/

Fonti: http://archeocarta.org/settimo-vittone-to-ruderi-castello-cesnola/, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Cesnola,

Foto: la prima è di silvana su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/60101/view, la seconda è presa da https://www.gulliver.it/itinerari/guarda-monteda-settimo-vittone-anello-per-cesnola-chiaverina-valcauda/

mercoledì 19 aprile 2023

Il castello di mercoledì 19 aprile



PESCIA (PT) - Torre di Collodi

E' posta alla sommità del vecchio borgo fortificato della frazione del Comune di Pescia, al confine tra le province di Pistoia e Lucca. Dell'antica fortificazione del Borgo, detta anche “Castello di Collodi”, restano pochi elementi, tra cui la torre, oggi parzialmente diruta. Le prime notizie di cui si dispone sul territorio di Collodi risalgono al VI secolo A.C. quando sopra il sito dove attualmente si trova il castello, sorse un insediamento di fondazione etrusca, che serviva da posto di guardia lungo l'itinerario che dalla pianura, attraverso i passi appenninici, portava a Nord. Nel XIV secolo Collodi assunse il ruolo di importante caposaldo della frontiera lucchese verso il territorio fiorentino, un ruolo che gli rimase sino alla metà dell’Ottocento. Il paese di Collodi in questo periodo storico non era principalmente un centro abitato, ma costituiva un "castrum", un paese cinto di mura guarnite di torri e porte e dominato in alto dalla rocca, che lo rendeva particolarmente importante dal punto di vista militare. Dall’inventario dei beni della Rocca del 1392, risulta che questa disponesse di locali per l’abitazione del castellano e di una guarnigione di una decina di persone. E' documentato che la rocca non era destinata alla difesa dell’abitato, ma era importante per la possibilità di controllare e segnalare i movimenti nella piana a ridosso del confine con Firenze. Sulla torre di vedetta si trovavano infatti le attrezzature per le segnalazioni visive e sonore agli altri punti di avvistamento del territorio, fino alla città di Lucca. Con la costruzione della Villa Garzoni l'attenzione nei confronti del borgo, almeno dal punto di vista iconografico, si spostò verso la nuova e monumentale architettura e verso il suo Giardino conosciuto in tutta Europa. Dalla verifica dei documenti si può desumere che il crollo della torre sia avvenuto nella seconda metà del XIX secolo, tra il 1836 e il 1884. A partire da questa data, essa rimase inutilizzata allo stato di rudere. Sulla torre grava il vincolo paesaggistico (ex-L.1497/1939). Oggi è proprietà privata, essendo stata acquistata recentemente da una famiglia Svizzera. La torre è attualmente in precarie condizioni di conservazione. Dal punto di vista architettonico essa conserva ancora l'impianto planimetrico originario quadrato, caratterizzato da una muratura in pietrame che si diversifica nei cantonali, dove i blocchi sono squadrati. Sul lato prospettante l'interno della rocca è presente l'ammorsatura di quella che doveva essere parte delle mura difensive originarie. Delle sei aperture “medievali” (tre sul prospetto a valle e tre su quello a monte) ne rimane integra solo una, sul prospetto a monte. Per mezzo di una campagna fotografica eseguita con un drone, si sono potute acquisire immagini ravvicinate della sommità della torre dalle quali si riescono a leggere in modo definito e chiaro le antiche tessiture murarie. Al momento un progetto di restauro, che ha già ricevuto le approvazioni della Soprintendenza e l'autorizzazione paesaggistica comunale, è nella fase di approvazione di un Piano di Recupero presso il Comune di Pescia. Se tutto andrà liscio, la torre tornerà alla sua altezza originaria (attorno ai 20 metri) ed ospiterà nei suoi cinque livelli una abitazione privata. Altro link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=KaqRElF6W_Y (video di Parco di Pinocchio Collodi)

Fonti: https://www.gurrieriassociati.it/it/restauri/60-torre-di-collodi-pescia-pt, https://www.linealibera.info/collodi-castello-riavra-la-sua-torre/

Foto: la prima è del mio amico(e inviato speciale del web) Claudio Vagaggini, la seconda è presa da https://www.linealibera.info/wp-content/uploads/2015/01/torre-vista-dallalto.jpg

lunedì 17 aprile 2023

Il castello di lunedì 17 aprile



SAN VINCENZO VALLE ROVETO (AQ) - Torre in frazione Roccavivi

Il nucleo primordiale di Roccavivi si formò gradualmente con l'unione degli abitanti che vivevano nei casali situati presso le chiese di Santo Stefano e di San Paolo. Una chiesa che alcuni storici locali hanno ricondotto al borgo rovetano è quella di Santo Stefano in Valle Sorana donata nel 745 dal duca longobardo di Benevento, Gisulfo II, al monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno. Di sicuro il borgo originario fortificato di Roccavivi, l'incastellamento detto di Roccavecchia, fu fondato intorno alla torre medievale tra l'XI e il XII secolo. Incluso originariamente nella contea dei Marsi, dall'anno 1208, per circa un secolo, fece parte della contea di Sora, concessa al fratello Riccardo, dei conti di Segni, da Papa Innocenzo III. Nel 1218 Papa Onorio III ordinò ad Adenolfo di Alvito e a Ruggero di Aquino di restituire a Riccardo la terra di Rocca, che essi avevano violentemente saccheggiato. Appare da questo ordine pontificio che i due potenti signori la usurparono e la devastarono. Ma già prima di questo anno, l'11 ottobre del 1215, l'imperatore Federico II riconfermò a Riccardo tutti i diritti di cui egli godeva a Rocca de' Vivo dal tempo della nomina fatta in suo favore da Innocenzo III. Il borgo subì diverse modifiche del toponimo; infatti lo storico ed archivista Erasmo Gattola riportò la donazione che Gentile, figlio del conte dei Marsi Balduino, fece nel 1089 al monastero benedettino di Santa Maria in Luco delle chiese di San Nicola in Valle Sorana (Balsorano), di Santo Stefano in "Rivo Vivo", di Santa Restituta, di Santa Maria in Morrei (Morrea) e di Santa Maria in Collelongo. La donazione è contenuta nel Registrum pergamenaceo del benedettino Pietro Diacono. Il documento riporta che Gentile, con i due nipoti Trasmondo e Berardo e con la matrigna Altruda, abitanti di Valle Sorana (la contemporanea Balsorano), concedeva nel maggio del 1089 al monastero di Santa Maria di Luco, soggetto all'abbazia di Montecassino, tra le altre chiese anche la chiesa di Santo Stefano, posta nel territorio denominato in questo caso "Castro Rio Vivo". Che i nomi "Castro Rio Vivo" o "Rivo Vivo" siano riferiti a Roccavivi è dimostrato dal fatto che col passare del tempo, quando nacquero contestazioni tra il monastero di Luco e le chiese della donazione del 1089, non si parlava più di "Santo Stefano Rivo Vivi" o di "Castro Rio Vivo", ma di Santo Stefano in "Rocca de' Vivo". Il Castro Rio Vivo o la località Rivo Vivo non sono altro che "Rocca Rivi Vivi", nome modificato successivamente prima in "Rocca de' Vivo" e in seguito in "Rocca Vivorum", toponimo che si trasformò linguisticamente in Roccavivi. La denominazione "Santi Stephani in Rivo Vivo" si trova anche nel diploma del 22 settembre 1137 di Lotario III, imperatore del Sacro Romano Impero. Quando si trattò di restaurare Rocca de' Vivo saccheggiata e distrutta nel 1218, gli abitanti del paese, assieme a quelli di San Paolo e di San Giovanni de Collibus, furono obbligati a ricostruire il borgo per disposizione imperiale. Questo ha fatto dedurre che attorno alla chiesa di San Paolo si trovava anche un piccolo villaggio. Nel 1272, era di stanza nella dogana del passo di "Vado di Rocca de' Vivo", istituita come in altre località da Carlo I d'Angiò, un regio custode per l'esazione delle gabelle fuori del regno. Roccavivi, come Capistrello e qualche volta anche Civitella Roveto, Pescocanale e Canistro, fu scelto come un posto di controllo per coloro che dal Regno di Napoli passavano allo Stato Pontificio. La località era nota per questo motivo come "Vado di Rocca de' Vivi" o semplicemente "Vado di Rocca". La torre venne edificata con ogni probabilità nel 998 da Rainaldo, conte dei Marsi o da suo figlio Oderisio, a 895 metri s.l.m. in comunicazione visiva con le primordiali strutture militari del castello-recinto di Morrea e del castello di Balsorano. Intorno ad essa e leggermente più in basso tra l'XI e il XII secolo fu fondato il borgo originario fortificato di Roccavivi, l'incastellamento detto di Roccavecchia, che era dotato di mura difensive. Nei primi anni del XIII secolo, in seguito al saccheggio di Adenolfo di Alvito e di Ruggero di Aquino, la torre venne gravemente danneggiata. Poco dopo fu prontamente restaurata insieme al borgo antico dagli abitanti del casale di San Paolo e di San Giovanni in Collibus acquisì importanza strategica con l'istituzione a Roccavivi della dogana, organismo che ebbe il compito di controllare merci e persone in transito dal Regno di Sicilia allo Stato Pontificio. La torre subì gravissimi danni in seguito alla frana causata da agenti atmosferici che nel 1616 distrusse completamente il vecchio borgo. Abbandonata perse gradualmente la sua funzione strategica di controllo del "Vado di Rocca". La torre subì ulteriori danni a causa del terremoto del 1654. Per approfondimento suggerisco i seguenti link: https://www.webmarsica.it/torre-di-roccavivi/, https://www.youtube.com/watch?v=_OhQreIzF0o&t=3s (video di Eliseo Romano).

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Roccavivi

Foto: la prima è presa da http://www.civitellaroveto.org/history-valley.html, la seconda è un fermoimmagine del video di Eliseo Romano citato in precedenza

giovedì 13 aprile 2023

Il castello di giovedì 13 aprile



BARBARANO ROMANO (VT) - Cinta muraria

Fino al XV secolo si susseguirono lotte tra le signorie dei Farolfo di Viterbo e dei Di Vico, Prefetti di Roma, per il possesso del feudo. Dal 1283 al XIX secolo, il paese rimase assoggettato al diritto feudale di Roma, motivo per cui ancor oggi conserva l’epiteto “Romano”. Feudo degli Anguillara nel secolo XIV, passò poi agli Orsini e infine ai Borgia nel secolo XV. Barbarano si caratterizza per la presenza di una triplice cinta muraria: la più antica del XI sec. proteggeva il nucleo del “Castello”, la seconda (XIII-XIV sec.) è testimoniata dalle torri a pianta quadrata, l’ultima (XV sec.) si evidenzia con le torri cilindriche tra cui Porta Romana che segna il confine tra il borgo antico e quello nuovo. Della cinta più antica restano poche tracce (visibili all'interno del palazzo municipale), soprattutto per i crolli degli anni trenta, che hanno portato alla scomparsa della porta merlata d'Ognissanti e della torre pentagonale detta di re Desiderio (avanzo di una rocca longobarda). Della cinta più esterna restano ancora importanti tratti, in cui è inserito il torrione di Porta Romana, edificato a forma cilindrica per opporre maggior resistenza agli attacchi delle armi da fuoco, dotato dal 1863 di un orologio che conserva tuttora. Torri e mura, vicoli e piazzette, portici, case realizzate in blocchi di tufo ed impreziosite da decorazioni su portali e finestre sono tutti elementi che fanno del paese un piccolo gioiello ben conservato di architettura medievale. Altri link proposti: https://www.youtube.com/watch?v=WiH4ZJhuh7s (video di Borghi d'Italia), https://www.youtube.com/watch?v=fCSe4ODIBws (video di Marco Fabio Cossu), https://www.raiplay.it/video/2019/11/geo-barbarano-romano-3c79f7db-cb76-4d77-99dd-75f088d9269e.html (video)

Fonti: https://www.mytuscia.com/barbarano-romano.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Barbarano_Romano, https://www.visititaly.it/info/952939-torre-porta-orologio-barbarano-romano.aspx, http://www.halleyegov.it/c056004/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/24, https://www.wetuscia.it/i-comuni/barbarano-romano/, https://www.ansa.it/viaggiart/it/city-506-barbarano-romano.html

Foto: la prima è presa da https://www.romatoday.it/eventi/cultura/barbarano-romano-visitare-mangiare-dormire.html, la seconda è di Giuseppe Cesareo su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/257807/view

mercoledì 12 aprile 2023

Il castello di mercoledì 12 aprile



FARA NOVARESE (NO) - Castellone (o Castrum Vetus)

Il castello è menzionato per la prima volta nel 1156, tra i castelli confermati da Federico Barbarossa al conte di Biandrate, insieme ad altri castelli che precedentemente erano stati occupati dai Milanesi capeggiati dal Cazzaguerra. Nel 1251 è nuovamente nominato in documenti di Biandrate, come ceduto dalla popolazione di Fara al conte Umberto. Il castello rimase coinvolto nelle lotte tra le fazioni guelfa e ghibellina di Novara, quest'ultima detta anche "dei Rotondi" o "dei Tornielli". I guelfi, che si erano asserragliati nella campagna circostante Novara, occupando anche il castello, chiamati malefactores negli statuti novaresi, vennero cacciati dai Rotondi nel 1275. Nel 1328 il castello venne ristrutturato da Calcino Tornielli di Novara, che vi aggiunse anche una torre. Nel 1356, assieme ad altri castelli della zona, fu saccheggiato ed incendiato dal comandante di Galeazzo II Visconti, Bertolotto Confalonieri, durante le vicende belliche contro il marchese di Monferrato Giovanni II. Un documento del 1366 attesta che l'edificio era ancora in possesso dei conti di Biandrate. Nel 1450, dopo l'insediamento di Francesco Sforza come duca di Milano, in una relazione sul territorio di Fara per la prima volta vengono nominati due castelli: il Castrum Vetus e il Castrum Novum. Nel XVII secolo il castello era caduto in rovina. Oggi è di proprietà privata ed è attualmente in fase di restauro. Analizzando una foto relativa ai primi del Novecento, in possesso degli attuali proprietari, vediamo un torrione centrale e i tetti ricoperti a coppi prima che fossero ridotti a civettuole terrazze dalle balconate di cemento. Analizzando poi la conformazione muraria degli edifici, che a nord si estendono quasi a ellisse, è verificabile che il “castrum vetus” era formato da un’austera torre quadrata munita di fortificazione, circuite all’interno da robusto muraglione protettivo. I muri dell’alto e quadrato torrione mostrano ancora oggi l’impasto a spina pesce, visibile solo parzialmente anche nel muraglione di cinta. Agli occhi del visitatore, l’antica dimora dimostra un fascino discreto, tranquillo, romantico, come una bella villa di campagna sa emanare grazie anche al grazioso e panoramico giardino, ricco di rose inglesi. Il fascino aumenta ancor di più se si raggiunge il Castellone a piedi (parcheggiare il proprio mezzo nelle piazze centrali del paese): si percorre la storica strada acciottolata Sottoronchi, che si snoda tra antichi vigneti, e in un batter d’occhio ci si ritrova davanti al portone d’ingresso, con uno stemma sovrastante, ancor oggi protetto dall’austera casa della guardia. All'interno della torre è presente un affresco raffigurante una Madonna con Bambino in trono, databile al primo Rinascimento. Il portale d'ingresso, orientato verso nord, era sormontato da una torretta di guardia, demolita nel Novecento perché pericolante. I lavori di ristrutturazione hanno distrutto anche parte del muro di cinta che proteggeva ad anello l'intero complesso. Altri link suggeriti: https://www.icastelli.it/it/piemonte/novara/fara-novarese/castello-di-fara-novarese-o-castellone, https://www.facebook.com/people/Castello-di-Fara-Novarese-Castrum-Vetus/100066721235668/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castrum_Vetus_(Fara_Novarese), https://www.turismonovara.it/it/ArteStoriaScheda?Id=70

Foto: la prima è di Vincenzo Desiderio su https://it.wikipedia.org/wiki/Castrum_Vetus_%28Fara_Novarese%29#/media/File:Castrum_Vetus_Castellone_Fara_Novarese_ingresso.jpg, la seconda è presa da https://www.comune.faranovarese.no.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castrum-vetus-o-castellone-sec-xi-23119-1-034a786541b95a17a025ea90b84e3fce

martedì 11 aprile 2023

Il castello di martedì 11 aprile



CASTELL'ARQUATO (PC) - Torrione Farnese (o del Duca)

La costruzione della torre iniziò nel 1527 per volere di Bosio II Sforza di Santa Fiora, all'epoca signore di Castell'Arquato, da parte di un architetto ignoto basandosi su un progetto di gusto michelangiolesco, continuando fino al 1535, quando venne interrotta; la causa di questa interruzione, secondo un documento risalente al XVIII secolo, sarebbe stata la morte di Bosio. I lavori per la sua costruzione vennero successivamente ripresi nel 1545 grazie all'interessamento di Sforza I Sforza, figlio di Bosio, venendo definitivamente completati nel 1575. Nonostante la mole della torre, l'edificio venne praticamente ignorato da gran parte dei documenti dell'epoca: ad esempio esso non compare su di una pianta risalente al 1613. Secondo alcune ipotesi, originariamente la costruzione era stata concepita come magazzino per la conservazione delle derrate alimentari, mentre altre teorie identificano la ragione della costruzione come testimonianza della potenza e del potere dei duchi oppure con fini prettamente residenziali. Tuttavia, il torrione fu quasi sicuramente impiegato a scopi militari come parte del sistema difensivo arquatese, anche con lo scopo di avvistare eventuali attacchi nemici. Nel secondo dopoguerra, a partire dal 1947, divenne sede degli studi portati avanti dall'intellettuale Aldo Braibanti, che lo adibì a laboratorio artistico e studio ceramistico. Durante questa fase, durata sei anni, il torrione fu frequentato da vari artisti e intellettuali tra cui Renzo e Sylvano Bussotti, Roberto Salvadori e Fiorenzo Giorgi. Tra il 1961 e il 1990 la torre ospitò anche temporaneamente il museo geologico G. Cortesi. Dopo essere rimasto chiuso e in stato di abbandono per molti anni, a partire dal 2009 è stato adibito a sede della scuola d'Arme Gens Innominabis che si dedica allo studio e alla pratica delle tecniche di combattimento medievali. Il torrione rinascimentale, alto 24 metri e caratterizzato da una base quadrata, è stato costruito totalmente in mattoni di laterizio ed è composto da quattro baluardi sporgenti inclinati a forma di trapezio posti in posizione angolare; su tutti i baluardi si apre una serie di finestre rettangolari di piccole dimensioni. Tra i baluardi sono presenti pareti nude sormontate da archi a tutto sesto. Sulla sommità della costruzione si trova, invece, un loggiato composto da 16 pilastri al di sopra del quale è presente il tetto. In origine doveva essere presente all'altezza del primo piano una passerella lignea che permetteva il passaggio tra il torrione e il limitrofo palazzo del Duca. All'interno sono presenti 5 piani, quattro dei quali formati da un ambiente centrale di grandi dimensioni da cui si accede a stanze di forma ottagonale poste in corrispondenza di tre dei quattro baluardi; nell'ultimo baluardo, quello posto sul lato ovest della costruzione si trova una piccola stanza a pianta centrale dove è presente una scala a chiocciola elicoidale. La forma e il disegno dei baluardi sono, con tutta probabilità, derivati dal “criterio di fiancheggiamento nell’offesa e nella difesa”, necessari dall’introduzione delle nuove armi da fuoco. Al secondo piano, arredato come una sala riunioni-conviviale dei cavalieri, si trova un camino di fattura cinquecentesca. Il torrione è detto Farnesiano per le analogie con le torri bastionate che nel XVI secolo i Farnese costruivano nel Lazio. Resta una delle costruzioni più attraenti e “misteriose”, con i suoi presunti passaggi segreti che lo collegherebbero con altri edifici del borgo. Ecco un video (di Debora Spalazzi) che lo riguarda:https://www.youtube.com/watch?v=u5xhyGS-tHE&t=3s

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torrione_Farnese, https://www.castellarquato.com/turismo/monumenti/torrione/, https://scopripiacenza.it/it/punti-di-interesse/architettura-civile-palazzo-del-duca-torrione-farnesiano

Foto: la prima è di Marco Cassola su https://www.tourer.it/scheda?torrione-farnese-castellarquato, la seconda è di Parma1983 su https://it.wikipedia.org/wiki/Torrione_Farnese#/media/File:Torrione_Farnese_(Castell'Arquato)_-_lati_nord-ovest_e_nord-est_2022-07-16.jpg

giovedì 6 aprile 2023

Il castello di giovedì 6 aprile



VALFABBRICA (PG) - Castello di Coccorano

A nord di Valfabbrica, presso un’ansa del fiume, è situato il castello feudale di Coccorano, di proprietà della famiglia Bigazzini di Gubbio, amica di Francesco dai tempi delle sue ricchezze terrene. Soprattutto Jacopo dei Bigazzini è un suo discepolo e più volte lo ospitò nelle proprie terre, donandogli Caprignone, posto sull’alture che sovrastano il Chiascio. Se è vera l’ipotesi dell’incontro di Francesco con i briganti lungo il torrente Rio Grande, nei pressi di Valfabbrica, “Coccoranaccio” può mostrarsi al frate come un rifugio tranquillo dopo essere stato insultato, malmenato e gettato in una fossa piena di neve, particolare che rafforza l’idea del viaggio intrapreso in inverno. L’origine del nome non si conosce. Coccorano non ha un agglomerato di case, è non è stato mai totalmente dipendente o collegato ad Assisi. Il castello risalirebbe agli inizi del feudalesimo in Italia, al tempo delle calate degli imperatori germanici. Fa fede dell’antichità del castello il testo di una iscrizione posta a fianco dell’altare maggiore dell’attuale Chiesa di Coccorano. La fondazione del castello risale da un tale Ranaldo, capostipite di una antichissima famiglia eugubina che partecipò alle crociate sotto le insegne di Goffredo di Buglione. Nell’anno 1257, Ugolino un discendente di Ranaldo, venuto in discordia con i reggitori del governo di Gubbio, andò esule a Perugia dove poi i Conti di Coccorano assunsero il cognome di Bigazzini. Alcuni storici francesi hanno avanzato l’ipotesi che Favarone Di Offreduccio di Bernardino, padre di Santa Chiara di Assisi, abbia abitato a Coccorano in occasione della congiura dei Raspanti, trovarono protezione e rifugio presso il Castello di Coccorano molti perugini scampati alla carneficina scatenata in Perugia nell’anno 1393 dalla fazione popolare. La torre di Coccorano molto ambita per la sua favorevole posizione di controllo della valle, venne molto contesa. Collocato al confine del ducato di Spoleto, in una lettera del 1342 Clemente VI lo cita come “… chiave, da quel lato, del Ducato…” , il castello era parte di un vasto feudo della stessa famiglia, che vi dimorò per quasi cinque secoli. Ma si rivelarono domini difficili questi di confine, soggetti alle mutevoli vicende di varie alleanze, furono i primi a subire gli effetti delle battaglie che ne conseguirono. E non è un caso che il primo documento di Coccorano di cui abbiamo conoscenza, con il quale si accerta l’esistenza della rocca nel 1217, riguardi proprio questioni di ostilità tra Gubbio e Perugia. Lo stato attuale di rudere nel quale il complesso versa, non impedisce di intuirne la struttura originaria di fortilizio a corte quasi schiacciato dalla mole della torre, che si staglia sulla valle del Chiascio e ne diventa un riferimento visivo. Il castello infatti sorge su un’altura che scopre e domina un ampio tratto della pianura sottostante, aperta verso nord fino alle colline di Biscina. L'edificio primitivo è del sec. .XI, i suoi resti fanno supporre che in epoca non precisata, fu ampliato, aggiornato nei modi di difesa e questo alla fine del sec. XIV o inizio del XV, avvenne sia per la torre che per le mura di cinta.
Altri link per approfondimento: http://www.ilsentierodifrancesco.it/Index.aspx?idmenu=17, https://www.youtube.com/watch?v=QxKf00ZqycY&t=7s (video de Il Sentiero di Francesco), https://www.facebook.com/castellodigiomici/videos/il-castello-di-coccorano/535741527573341/ (video), https://www.youtube.com/watch?v=MG7yhKRy444&t=2s (video di FLYPINSULA), https://www.perugiatoday.it/cronaca/viaggio-umbria-nascosta-castello-coccorano-valfabbrica.html

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-coccorano-barcaccia-di-valfabbrica-pg/, http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/02_alto_tevere/00009/index.htm

Foto: la prima è presa da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/02_alto_tevere/00009/index.htm, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-coccorano-barcaccia-di-valfabbrica-pg/

mercoledì 5 aprile 2023

Il castello di mercoledì 5 aprile



ORBETELLO (GR) - Torre di San Biagio

Si trova sul promontorio di Ansedonia, in una posizione a picco sul mare all'interno di un complesso privato, non lontano dal caratteristico Spacco della Regina. La torre venne costruita in epoca medievale dai Senesi con funzioni di avvistamento lungo il tratto costiero a sud del promontorio. Nella seconda metà del Cinquecento la struttura passò agli Spagnoli che la integrarono nel sistema difensivo costiero dello Stato dei Presidii; nello stesso periodo furono fatti lavori di ampliamento e di ulteriore fortificazione del complesso per renderlo più funzionale. Tuttavia, nei secoli successivi ci fu una graduale dismissione della torre, ritenuta meno strategica rispetto a quelle vicine; fu l'inizio del lento ed inesorabile declino della fortificazione costiera. Nel secolo scorso, il suo inglobamento all'interno di un complesso privato ha permesso di salvare e conservare dignitosamente le imponenti rovine rimaste in piedi. La Torre di San Biagio si presenta sotto forma di rudere ben recuperato e conservato, addossato sul lato che guarda verso il mare ad una costruzione più recente. La fortificazione conserva benissimo l'altissimo e imponente basamento a scarpa, cordonato nella parte sommitale, che si presenta a forma di piramide tronca a sezione quadrangolare. Le pareti esterne, rivestite in pietra, presentano alcune finestre ad arco ribassato che si aprono in coppia, disponendosi su tre distinti livelli; esse sono il frutto di interventi di epoca successiva a quella della torre. Al di sopra del grosso basamento a scarpa, risultano appena abbozzate le strutture murarie che costituivano le pareti esterne della torre, con gli evidenti segni del lungo periodo di degrado dei secoli passati. Tutto ciò lascia immaginare che la torre fosse, in passato, una delle più alte e imponenti dell'intera costa maremmana. Visita virtuale della torre con questo video di Davidrone Ventriglia:https://www.youtube.com/watch?v=SllLTXoa8fg

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_San_Biagio_(Ansedonia), https://www.tuttomaremma.com/torriansedonia.htm

Foto: la prima è una cartolina ella mia collezione, la seconda è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini, scattata pochi giorni fa

martedì 4 aprile 2023

Il castello di martedì 4 aprile



AIDONE (EN) - Castello di Pietratagliata (o di Gresti)

Si trova in territorio di Aidone, appunto in contrada Gresti, quasi al centro del triangolo che unisce Aidone, Valguarnera e Raddusa. La sua condizione attuale è quella di rudere se pur ben leggibile nelle forme, che sono costituite principalmente di una poderosa torre piena e di una serie di stanze ingrottate. Allo stato attuale il complesso, integro almeno sino all’inizio del secondo conflitto mondiale, non è agevolmente visitabile in quanto versa in condizioni di degrado tale da rendere pericoloso l'accesso. La sua origine non è ben definita, le prime notizie storiche documentabili risalgono al XIV secolo. I ruderi del castello sono tuttora di proprietà privata e da molti decenni lasciati all'incuria e all'abbandono. Il nome di Pietratagliata proviene dalla enorme rupe quarzarenitica che taglia la valle in modo perpendicolare all'asta del fiume Gresti, dando l'impressione di una sola, gigantesca pietra tagliata da una mano sovrannaturale. La struttura esistente è certamente di epoca arabo-normanna, ma nei documenti appare per la prima volta nel 1374, quando il feudo ed il fortilizio di Pietratagliata venne assegnato da Federico III di Sicilia, con un privilegio, a Perronus de Iuenio (Gioeni). Fino al 1512 Giovanni Luca Barberi, nei suoi Capibrevi ne confermò l'appartenenza alla famiglia Gioeni, già concessionaria della terra di Aidone e dei feudi circostanti. In seguito passò a vari proprietari tra cui il barone Caprini che nel 1668 fece incidere sull'architrave di una finestra ogivale, su una lastra di marmo, un'epigrafe in latino, di cui oggi non vi è traccia ma di cui è conosciuto il testo: una dedica del Caprini ad un suo giovane successore, forse il figlio, a cui lasciava questi terreni fertili e ricchi, ma arsi dal sole e privi delle delizie del giardino delle Esperidi. Tale epigrafe era posta molto in alto e la posizione solitaria del castello ne ha fatto l'oggetto di una leggendaria "truvatura": il cavaliere che, mentre lo superava al galoppo, fosse riuscito a leggere e ad interpretare l'epigrafe, avrebbe trovato un ingente tesoro. La lapide, la cui iscrizione è riportata in vari testi di storia locale, oggi non esiste più, probabilmente fu trascinata nel crollo del prospetto settentrionale. Ma secondo alcuni studiosi sulla collina sovrastante alla fine dell'Ottocento furono ritrovate parecchie monete d'argento e di elettro coniate da una zecca al seguito di un esercito punico (Ippocrate?) ed alcune d'argento di Morgantina serie SIKELIOTAN che raffiguravano un cavaliere al galoppo nel R/ mentre nel D/ Zeus e forse per questi reperti è nata la leggenda. Nell'intero complesso del Castello di Gresti sono individuabili 3 tipi di strutture architettoniche:
- I) un insieme di ambienti ipogei localizzati alla base della parete orientale della costa rocciosa ed in alto sul versante occidentale della rupe;
- II) gli spazi del fortilizio medievale che, con la torre ed altri ambienti in muratura, inglobava inoltre anche le strutture ipogee;
- III) un complesso di magazzini e altri vani destinati all'utilizzo della fabbrica quale masseria risalenti al XVII secolo.
Una chiara descrizione degli ambienti di cui si compone il castello è stata fornita dall'Ing. Tomarchio, che ha inoltre elaborato una planimetria del complesso. Al castello si accede attraverso uno stretto sentiero tagliato nella roccia, delimitato a destra dal massiccio roccioso e a sinistra da un muretto. Al terreno di questo percorso si giunge dinanzi a due accessi: un portale ed una scala di cui oggi resta solo un cenno di traccia nella muratura. Superato il portale si attraversa un piccolo corridoio che conduce ad una loggia aperta, scavata nella rupe che guarda verso il burrone sottostante in direzione est. Da qui si passa a un grande ipogeo artificiale a pianta rettangolare con soffitto piano che presenta tracce evidenti di scalpellatura; sulla parete occidentale di questo ambiente si apre una finestra ricavata nella roccia da cui si domina il sottostante vallone. Ritornando al portale, accanto ad esso si vedono le tracce di una ripida scala che conduceva ad un livello superiore della rupe su cui si poggiano le strutture in muratura del complesso. Queste ultime constano di un grande ed elevato torrione a pianta quadrata e di un corpo edilizio a due piani con due ambienti per piano. La torre, alta circa 36 metri, poggia direttamente sulla roccia che sul versante sud ha subito una imponente opera di taglio, formando così una sorta di scarpatura naturale grazie alla quale la torre scarica il suo peso sul basamento roccioso. La torre ha struttura piena, priva di spazi interni; una scala elicoidale esterna, alloggiata in un vano cilindrico nell'angolo sud orientale, permetteva l'accesso al terrazzo sommitale. Gli ambienti costruiti alla base della torre sul lato settentrionale erano verosimilmente gli spazi residenziali del piccolo fortilizio e costituiscono elemento di raccordo tra la struttura difensiva e gli ambienti ipogei. La parte del complesso scavata nella roccia è quasi certamente antecedente alla prima documentazione storica del castello, risalente al XIV secolo. Oggi dell’insediamento classico ed alto medievale non rimane alcunché se non la testimonianza diffusa dei ritrovamenti di diverse monete e resti ceramici sino alla denominazione dialettale di "A Munita" data al colle dirimpettaio la lunga cresta rocciosa che fa da base alla fortificazione. La torre a pianta quadrata, risalente probabilmente all’epoca normanna e costruita per funzioni di avvistamento e segnalazione, ha perso oramai da tempo la bellissima scalinata elicoidale che portava sin sulla cima a 36 metri di altezza dal fondovalle. Le fabbriche medievali e barocche, ricostruite in seguito al sisma che colpì la Sicilia orientale l’11 gennaio 1693, comprendenti l’entrata con un arco a sesto acuto, la scala per il vano di ingresso e tutta la complessa area a più piani dedicata alla abitazione feudale ed agli ampi magazzini ricavati nel pieno della roccia quarzarenitica, hanno subito diversi crolli, l’ultimo dei quali risale al sisma del 13 dicembre 1990. Oggi, le condizioni della parte medievale e barocca sono tali che è del tutto impossibile entrare nelle parti padronali. Anche la cappella familiare, posta sulle rocce antistanti l’entrata del castello, in una stupenda posizione panoramica, ha subito crolli e spoliazioni sino a mantenere intatti solo i muri perimetrali ed il semplice ma affascinante portalino in pietra locale. Alle fabbriche più antiche, tra le cui mura spicca un bel portale in pietra che dava accesso ad una camera padronale oggi priva di solai e soffitto, si affiancano poi una serie di costruzioni moderne che venivano adibite a scopi agricoli produttivi. Queste costruzioni, in pietra locale, probabilmente sottratta alle strutture castellate, hanno subito un gravissimo crollo nel 1998. Tutta la contrada è poi interessata da resti di diverse età che testimoniano la lunga e complessa frequentazione di questa parte dell'ennese. Sulla collina della moneta, dirimpettaia al castello, sono attestati (ed il toponimo è chiaro segnale) resti di un insediamento ellenistico romano continuato sino all'età tardo romana. Attorno le case Gresti, poste sul fianco di nord ovest della collina dei Gresti, sono stati ritrovati resti che vanno dall'età greca arcaica, a testimonianza della precoce influenza calcidese verso Morgantina, e resti di età tardo romana e bizantina. Altri link di approfondimento:https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/enna/gresti.htm, https://www.etnanatura.it/paginasentiero.php?nome=Castello_Pietratagliata (foto varie), https://www.siciliafotografica.it/gallery/index.php?/category/456 (foto varie), https://www.youtube.com/watch?v=whzcHWn4Gqs (video di Gasman0049), http://www.ilcampanileenna.it/il-castello-di-pietratagliata.html, https://www.youtube.com/watch?v=Xb5yr69dwyU (video di guanters), https://www.youtube.com/watch?v=QHIx2unaGQ4&t=59s (video di Enrico Cartia), https://www.youtube.com/watch?v=pgwR0LbGyOM (video di Miss Vilya: life adventures)

Fonti: https://www.icastelli.it/it/sicilia/enna/aidone/castello-di-gresti-o-pietratagliata, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Pietratagliata

Foto: la prima è presa da https://fondoambiente.it/luoghi/castello-dei-gresti-o-di-pietratagliata?ldc, la seconda è di Morgantia07 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Pietratagliata#/media/File:PIETRATAGLIATA_2_PF.JPG

lunedì 3 aprile 2023

Il castello di lunedì 3 aprile



ROCCASTORNINA (AV) - Castello

L’originario nucleo abitato di Pietrastornina ha una datazione alto medioevale, il "castellum" di "Petra Sturmina" è citato quale limite territoriale della grande corte di "Monte Virgine", donata al monastero femminile di S. Sofia di Benevento dal principe longobardo Arechi II nel novembre del 774. L’abitato del paese si è formato in un lungo arco temporale, e deve il suo nome proprio al nominato “plesco” del diploma arechiano, ovvero a quella guglia rocciosa fortificata intorno alla quale si costituì l’abitato primigenio. Il termine medioevale "sturminare", sta per: proicere, allontanare o respingere da cui "Petrasturminea", in pratica “la pietra che difende” volgarizzatosi poi nell'attuale Pietrastornina. L’abitato del paese, quello storico di Via Castello si raggruppava, tutto intorno alla grossa roccia emergente. E il nome del paese un tempo era composto: Petra Sturmina (Pietra che difende). La roccia incastellata ebbe importanza strategica territoriale almeno fino al 1239, quando per l’ultima volta si trova una menzione documentaria del Castello di Petra Sturmine. Questo, ricompreso infatti nella lista dei cosiddetti “Castelli Salvati”, voluti da Federico II al suo insediarsi nel Regno del Sud. Si trattava di presidi di difesa, detti appunto Castra Exempta, e che dovevano garantire l’ordine e la presenza statale nei territori che ne avrebbero curato anche la loro manutenzione. Il Castello di Pietrastornina sorse sulla grossa guglia rocciosa che corona l'abitato del borgo medioevale e oggi se ne intravedono tenui tracce, ruderi senza una forma precisa. Si componeva di almeno due corpi di fabbrica, di diverse dimensioni, posti a quote differenti sulla rupe. Un sistema di camminamenti fatto di ripide scalinate adattate e ricavate nella roccia, e vari bastioni murari estendevano all'intera rupe il sistema difensivo. In questo modo ogni anfratto e sperone roccioso erano sfruttati e conformati allo scopo strategico, esulando pertanto da una qualsiasi tipizzazione precostituita e facendo della stessa guglia rocciosa, che si erge per più di 60 metri con le sue pareti a strapiombo, la fortificazione vera e propria. Dopo il periodo longobardo, il fortilizio ricompare nelle fonti documentarie nell'autunno del 1239, quando sotto l'amministrazione statale di Federico II di Svevia, venne inclusa la fortificazione rupestre nella lista dei cosiddetti "Castra exempta". Nella prima metà del XIII secolo ne entrò in possesso Riccardo Filangieri. Nel 1270 Carlo I d'Angiò si impossessò del castello e ne fece dono alla famiglia Stendardo. Nel 1450 passò per via matrimoniale ai della Leonessa. Con l'avvento della dominazione spagnola venne poi concesso nel 1635 ad Andrea Lottiero ai cui discendenti rimase in possesso fino all'eversione della feudalità nel 1806. L'undici febbraio del 1837, l'amministrazione decurionale di Pietrastornina decise l'abbattimento del castello perché i suoi ruderi costituivano un costante pericolo per le abitazioni dell'abitato sottostante; dello stato avanzato di rudere del castello ne è conferma la decisione di non redigere, prima della demolizione, "alcun registro dei materiali perché non v'erano legnami né sassi, ma solo muraglie infarcite e collabenti". Dal dicembre del 2003, sull'immobile è stato avviato il procedimento di dichiarazione d'interesse particolarmente importante ai sensi degli artt. 2, 6, 7 del D.Lgs. 490/1999 e dell'art. 822 del C.C. Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=j6nwkqMJNBQ (video di videnis74 con riprese aeree della guglia)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pietrastornina, testo su https://pietrastornina.asmenet.it/index.php?action=index&p=251 (tratto dalla catalogazione dei Beni Storico Architettonici redatta dall'Arch. Giuseppe De Pascale. (L.R. 26/2002)), http://www.castellidirpinia.com/pietrastornina_it.html, http://www.irpinia.info/sito/towns/pietrastornina/castello.htm, http://terredicampania.it/castello-pietrastornina-un-viaggio-castelli-irpini/

Foto: la prima è presa da https://www.visititaly.it/info/959191-castello-di-pietrastornina-pietrastornina.aspx, la seconda è presa da https://tabilia.com/attrazioni/castello-di-pietrastornina/