venerdì 29 luglio 2022

Il castello di venerdì 29 luglio

                                       

POGGIO TORRIANA (RN) - Palazzo Marcosanti in frazione Poggio Berni

Palazzo Marcosanti è un complesso fortilizio di fine XIII secolo, appartenuto ai Malatesta e successivamente allo Stato Pontificio. Storicamente è noto come Tomba di Poggio Berni poiché nel Medioevo il termine Tomba indicava una costruzione fortificata eretta in genere su un'altura o comunque in luogo idoneo alla difesa. La sua origine malatestiana, è attestata nel Trecento, da alcuni documenti con attribuzione ai beni Malatestiani e da un fregio, in cotto, rappresentante la tipica scacchiera malatestiana ad ornamento di un arco a sesto acuto che dà sul cortile interno. La struttura è stata protagonista di una serie di passaggi di proprietà che hanno interessato molte storiche famiglie. A partire dai Malatesta, la fortezza svolse un ruolo importante nella politica delle alleanze familiari assumendo, spesso, il carattere di bene personale andato in dote alle figlie dei Signori che lo hanno posseduto. Nel 1418 la Tomba di Poggio Berni è tra i beni elencati come dote di Laura, detta Parisina, figlia di Andrea Malatesta signore di Cesena, andata in sposa a Nicolò III Marchese d'Este; Parisina venne uccisa nel 1425, sospettata di corrispondenza amorosa con Ugo suo coetaneo e figlio naturale del marito. Due anni più tardi il bene tornò ai Malatesta come appannaggio dotale di Margherita d´Este figlia di Nicolò III e sposa di Roberto Galeotto Malatesta. Dopo un possesso temporaneo di Violante da Montefeltro, vedova del signore di Cesena Novello Malatesta, la Tumba Podii Ibernorum fu acquistata dal cardinale Stefano Nardini che nel 1473 la donò al nipote il Conte Cristoforo Nardini da Forlì che aveva sposato Contessina Malatesta, figlia naturale di Sigismondo. Nei successivi tre secoli, il Papato entrò più volte in possesso del Castello succedendo ai Nardini e alla casata dei Montefeltro. A Cristoforo Nardini, morto nella battaglia di Colle Val d´Elsa del 1479, succedette il figlio naturale Pietro che si macchiò di varie scelleratezze e neanche la sua morte bastò a placare l'ira di Papa Innocenzo VIII che con Bolla Papale del 12 dicembre 1489 fece imprigionare a vita tutti i membri della famiglia. Dopo tre anni, il 23 maggio 1492, la segregazione dei Nardini venne commutata con la donazione alla Camera Apostolica di quasi tutti i loro beni fra i quali spiccavano il Fortilitium e la vasta tenuta di Poggio Berni con tutti i diritti di giurisdizione già concessi a questo possedimento da privilegi papali ed imperiali. Il 16 luglio 1492 Innocenzo VIII cedette il fortilizio di Poggio Berni a Giovanni della Rovere d´Aragona, padre di Francesco Maria, il futuro Duca di Urbino. Nel settembre 1493 il bene passò ai Doria che sei mesi più tardi lo cedettero a Guidubaldo I, ultimo duca d'Urbino di casa Montefeltro, marito di Elisabetta Gonzaga. Nel 1557 Guidubaldo II Duca d'Urbino cedette Castello e tenuta al Conte Orazio I di Carpegna. Nemmeno un anno dopo, il 28 settembre 1558, questi lo cedette al cardinale di Urbino, Giulio della Rovere, che temporaneamente riuscì a ottenerne il ritorno ai beni della sua famiglia. Il Castello di Poggio Berni, con la sua tenuta, mantenne la connotazione di bene personale legato all'appannaggio della dote anche in un solenne atto pubblico, messo a punto dopo lunghe trattative, fra la Curia romana, Francesco Maria II della Rovere Duca d'Urbino ed il Granducato di Toscana. Nell'importante convenzione, stipulata il 30 aprile 1624, i beni allodiali e l'eredità dell'ultimo Duca d'Urbino furono attribuiti alla nipote Vittoria della Rovere, sposata ancora bambina a Ferdinando II de Medici, figlio del Granduca di Toscana; Castello e tenuta sono ricordati con particolare considerazione fra i beni dotali di Vittoria e proprio in virtù del loro prestigio restano ai De Medici nonostante la lontananza dagli altri domini del Granducato in Romagna. Nel 1738, con l'estinzione della casa Medicea, l'intera proprietà passò ai Lorena i quali però la cedettero nel momento in cui assursero all'Impero d'Austria; nel 1763 Francesco di Lorena, marito dell'Imperatrice Maria Teresa d'Austria, cedette infatti la proprietà alla Camera Apostolica. Nel 1778, a distanza di 15 anni, il bene passò alla famiglia dei Principi Albani che vi restarono per oltre un secolo; a seguito di questo passaggio l'edificio prese il nome di Palazzo Albani. Il 3 ottobre 1889 il Principe Cesare Albani di Milano cedette il palazzo e relativa tenuta all'Avv. Paolo Marcosanti. L'antica tenuta man mano si smembrò. Durante la seconda guerra mondiale l'edificio subì ingenti danni e nell'immediato dopoguerra i Marcosanti alienarono il palazzo e la tenuta smembrando la proprietà. Il degrado del complesso monumentale si stava avvicinando alla irreversibilità, quando, nel 1974, l’attuale proprietà iniziò e completò, per quanto ancora possibile, il recupero ed il restauro scientifico del Palazzo restituendogli dignità nell’utilizzo e il fascino della dimora nobiliare che richiama suggestive memorie storiche. Oggi il nobile edificio viene affittato per feste matrimoniali. L'edificio consiste in un corpo principale rettangolare, che delimita per tutto il lato sud-est, e per breve tratto del lato nord-est, una corte agricola. Gli altri edifici che definiscono sui due lati la corte, anch’essa rettangolare sono invece assai più recenti; però essi potrebbero ricalcare, almeno in parte un tracciato previsto per lo sviluppo del precedente edificio. Il quarto lato è chiuso solo da un muro. Il corpo più antico, interamente in mattoni e di altezza relativamente cospicua, presenta la parte frontale munita di barbacane (che continua ad intervalli sul lato nord-est) e di portale archiacuto che si ripete sia verso l’interno, con qualche piccola variante: in mattoni con sopraccigli a motivo geometrico di dadi quest’ultimo, in pietra ma con motivo a losanghette in cotto il primo. Sulla parte ovest il recinto murale, che limita il cortile, presenta numerose feritoie, ora murate dall’esterno. Sul lato settentrionale, staccata, abbiamo una cappella ben conservata. Di particolare interesse sono due portali ogivali risalenti agli inizi del sec. XIV, uno in pietra d'Istria e l'altro, che dà sul cortile interno, in cotto. Quest'ultimo presenta un archivolto ornato dal motivo araldico della scacchiera malatestiana. Altri link per approfondimento: https://www.youtube.com/watch?v=ugOO75iJwT0 (video di PediaCLIPS), https://www.youtube.com/watch?v=UF954NxmbKo (video di Drone GABBYFLY), https://www.youtube.com/watch?v=4_k9H3V4hXI (video di Luca Nicosanti).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Marcosanti, https://castellomarcosanti.it/il-castello/, https://www.riviera.rimini.it/situr/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/ville-dimore-teatri-storici/palazzo-marcosanti.html, https://www.visititaly.it/info/959377-palazzo-marcosanti-poggio-torriana.aspx, https://www.icastelli.it/it/emilia-romagna/rimini/poggio-berni/castello-marcosanti, https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/0800161920A

Foto: la prima è presa da https://www.icastelli.it/it/emilia-romagna/rimini/poggio-berni/castello-marcosanti, la seconda è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini su https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10157791360875345/10156102873015345

giovedì 28 luglio 2022

Il castello di giovedì 28 luglio




PAVAROLO (TO) - Castello e Torre

La prima menzione del luogo, del suo castello e della Cappella di San Secondo risale a un diploma imperiale del 1047 di Enrico III. In esso l'imperatore confermava ai canonici torinesi di San Salvatore, infeudati dal vescovo della stessa città, molti dei possedimenti situati in terra chierese. Oggi grosse pietre rotonde di fiume, costituenti la base dello spigolo sud-ovest e forse residuo di un ancor più antico castelliere, rammentano tali epoche. La località venne assegnata nel 1164 da Federico Barbarossa ai Marchesi del Monferrato e di fatto dipese sempre dal comune di Chieri che, nel 1235, riconobbe "cittadini e confederati" i suoi signori. Nel 1264 Goffredo di Montanaro, Vescovo di Torino, consegnò il castello ai figli ed a un nipote del cittadino chierese Signorino Balbo. In tale epoca vennero iniziati consistenti lavori di trasformazione, tra i quali primeggiano per bellezza i soffitti a cassettoni dettagliatamente dipinti al piano nobile. ​Nel 1354 il territorio chierese, e con esso Pavarolo, passò sotto la giurisdizione di Amedeo VI di Savoia. Diversi furono i proprietari che si succedettero sino al 1394, quando le milizie del casalese Facino Cane – al soldo del Duca del Monferrato intenzionato a contenere le mire espansionistiche dei Savoia – devastarono il territorio ed occuparono il castello installandovi una propria guarnigione. Nel 1399, i chieresi riconquistarono il castello, con un assedio in cui vennero feriti 17 dei 20 difensori monferrini; il feudo fu quindi affidato ad Antonio Simeone Balbis. Tracce di questi eventi bellici sono ancora leggibili sulla facciata del castello rivolta a Sud, dove sono presenti la base di sostegno della torretta angolare posta sullo spigolo Ovest (la bertesca), e le ricuciture della zona corrispondente alla torretta che era probabilmente presente sullo spigolo Est. Dalla successiva e definitiva pace, siglata nel 1411, gli eventi esterni la sfiorarono marginalmente. Nei due secoli successivi la proprietà venne frazionata tra numerosissimi proprietari, in alcuni casi possessori di percentuali minime. Le conseguenti necessità di soddisfarne le molteplici esigenze, oltre alle tracce ancora visibili di un incendio, furono forse all’origine della radicale ristrutturazione effettuata in quegli anni con, per esempio, l'eliminazione delle merlature. Si ampliò la cubatura e, pur mantenendo invariata l’altezza complessiva del castello, si accrebbe la capacità ricettiva inserendo un nuovo piano tra il piano terreno ed il primo piano. Ciò fu attuato demolendo la soletta del pavimento tra il piano terra ed il piano nobile, e realizzando due nuovi solai (pavimenti dell'attuale primo e secondo piano), ripartendo il nuovo spazio così ottenuto su tre piani dotati di un maggior numero di locali. Le nuove planimetrie imposero, però, il tamponamento delle preesistenti pregevoli finestre gotiche e l’apertura di nuove finestre adeguate ai nuovi piani ed agli accresciuti locali del castello. Nei primi decenni del 1700 figurava quale esclusiva proprietaria la Contessa Anna Maria di Piossasco, vedova del Conte Giuseppe Antonio Simeone Balbis. Essa realizzò al secondo piano un Oratorio privato, ancor oggi presente, in cui era celebrata giornalmente la S. Messa. Nel 1736 il Castello di Pavarolo, insieme a quello di Montaldo, passò in proprietà ad Alessandro Ferrero d’Ormea. Egli fu, verosimilmente, l’artefice di una nuova ala per la scuderia, di una sovrastante area per il deposito di foraggi e dell'innalzamento della torre già esistente che oggi caratterizza il Castello. Una stampa del castello, realizzata dall’incisore piemontese Francesco Gonin nel 1850, indica come proprietaria una Contessa Gloria. Questa lasciò il castello al figlio primogenito che, nel 1867, lo vendette a Donato De Benedetti. Il di lui figlio, Ezechiele, nel 1881 lo rivendette ad Edoardo Pansoja di Borio che, a sua volta, nel 1884 lo cedette a Malvina Ganerì, figlia del Console inglese a Torino. Ella intraprese consistenti lavori di riadeguamento funzionale degli interni, di controsoffittatura e di decorazione delle pareti in stile neo-gotico anglosassone. Nel 1920 ella vendette il castello a quattro imprenditori (Paletto, Beltramo, Piovano e Vigna) che, solo pochi anni dopo, nel 1924 lo rivendettero al casalese Francesco Zavattaro Ardizzi. Sua moglie Giuseppina Cigala Furgosi avviò i primi consistenti lavori di restauro conservativo abitandolo stabilmente per lunghi periodo. Il Castello di Pavarolo continua oggi ad appartenere alla famiglia Zavattaro Ardizzi, di origine monferrina, che ha avviato consistenti lavori di consolidamento e di restauro conservativo e stabilmente lo abita. il castello è una massiccia costruzione a pianta grosso modo rettangolare, circondata da un piccolo parco e da muri di sostegno che potrebbero essere avanzi di una antica cinta difensiva. Se si escludono alcuni tratti basali delle mura esterne, nelle quali compaiono anche grosse pietre non lavorate, è costruito interamente di laterizi. Sul lato che dà sull'attuale via Barbacana, a pochi metri dal muro perimetrale del castello, si trova un avanzo di quello che forse era l'antico barbacane (tanto che il nome sarebbe passato alla via sottostante). Sul lato opposto dell'edificio, una bassa costruzione sulla quale è stata ricavata anche la scala d'accesso all'interno del castello copre il pozzo. Profondo un'ottantina di metri, esso è certamente tra gli elementi più antichi della costruzione, dato che disporre di una fonte d'acqua aveva un'importanza essenziale per la vita di tutti i giorni e, a maggior ragione, in caso di assedio. La falda che lo alimenta è la stessa cui attinge il pozzo comunale, posto più a valle. Nel ricordo degli attuali proprietari, erano relativamente frequenti i casi in cui secchi che si sganciavano e cadevano nel pozzo del castello venissero poi ripescati nel pozzo comunale.
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Ai piedi del castello si innalza, isolata dagli edifici adiacenti, la torre, simbolo del paese, rappresentata anche nello stemma del comune. Si tratta di una costruzione originale sia nella collocazione (è infatti isolata rispetto agli edifici circostanti), sia nella forma, con un passaggio che ne attraversa la base. Si tratta, inoltre, di un edificio la cui storia e le funzioni originarie sono incerte anche se, sui motivi per cui fu costruito, è possibile avanzare quattro ipotesi abbastanza fondate. La prima incognita riguarda la data di costruzione della torre: mancano infatti documenti che vi accennino, ma si è portati a pensare che torre e castello siano all'incirca coevi, e databili attorno all'XI secolo. Con ciò non si vuole affermare che l'attuale torre risalga al 1100: è attendibile ipotizzare che il sito dove sorge oggi la torre fosse lo stesso su cui, anche in passato, sorgeva una costruzione analoga. Il secondo dubbio riguarda la funzione della torre: scartata l'ipotesi che anche in origine servisse da campanile, sembra più probabile si trattasse di una (ma probabilmente non l'unica, visto che animali e carri non salgono le scale...) porta di accesso al "recinto" che circondava il nucleo del paese. Una costruzione difensiva, perciò, ma anche un edificio su cui mantenere in permanenza delle sentinelle, posta com'è in posizione dominante rispetto alle valli circostanti. Se c'era una porta, però, doveva esserci anche un muro, e si affaccia qui il terzo dubbio. Pavarolo aveva davvero una cinta difensiva, ed in caso affermativo, dove correva? Che una cinta ci fosse, lo si desumerebbe anche dalla formula con cui, nel libro degli Ordinati (le relazioni degli antichi consigli comunali) si apriva il resoconto di ogni seduta. Vi leggiamo, ad esempio: "L 'anno del Signore mille settecento cinquanta nove, ed al diciotto del mese di febbraio, in Pavarolo e stanza del comune ove suole radunarsi l'ordinario Conseglio del/a presente Comunità, posta nel Recinto, si sono congregati....C'è un recinto, dunque e, alle spalle della torre, c'è una via che ancora oggi si chiama Barbacana. Il barbacane è il muro esterno delle fortezze: la torre, allora, potrebbe essere stata la difesa eretta nel punto in cui il muro (che probabilmente si svolgeva attorno al cocuzzolo su cui sorge il castello) si interrompeva per consentire l'accesso all'interno. Il quarto ed ultimo dubbio riguarda la scala che conduce alla torre: alla sua base, vi sono due ampi archi (ora murati), che disegnano all'esterno il percorso della volta scavata nel terrapieno che la sostiene. All'inizio del secolo, dietro la scala passava la strada di accesso al paese. Quando questa è stata allargata e spostata più a valle. È stato necessario interrompere il percorso della scala che, dalla torre, scendeva al piazzale della chiesa parrocchiale presso la quale, un tempo, si trovava anche il cimitero. Nei vari interventi, inoltre, è andato distrutto anche l'arco (chiuso probabilmente da una porta) che si trovava all'ingresso del camposanto. Per quale motivo sarebbe stato necessario fare una volta sotto la scala di accesso alla torre? Non è forse più probabile che sotto la scala si trovasse un fossato (a difesa del lato esterno del "recinto")? Lo spunto per questa ipotesi è legato alla presenza di un grande stagno che, all'inizio del secolo, si trovava al centro del paese. Sicuramente, nel XVIII secolo, la torre fu trasformata in campanile e dotata di un orologio. 
Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=iC6WlAZe_Tg (video di Città metropolitana di Torino), https://www.youtube.com/watch?v=Xq4l_tSljPQ (video di DRONI.EU), https://m.facebook.com/PavaroloOggi/videos/castello-di-pavarolo/1256101344407550/?__so__=permalink&__rv__=related_videos

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pavarolo, https://castellopavarolo.weebly.com/lastoriadelcastellodipavarolo.html, https://www.comune.pavarolo.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-pavarolo-6436-1-d688e15dbc6a9b7fe0c24ae58f9e8672, https://www.comune.pavarolo.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/torre-di-pavarolo-21612-1-99bf04ac98690b995908b1d86b4bf345

Foto: la prima è presa da https://www.comune.pavarolo.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-pavarolo-6436-1-d688e15dbc6a9b7fe0c24ae58f9e8672, la seconda è di maxaimone su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/261425/view. Infine, la terza - relativa alla torre - è di Pmk58 su https://it.wikipedia.org/wiki/Pavarolo#/media/File:Torre_di_Pavarolo.JPG

mercoledì 27 luglio 2022

Il castello di mercoledì 27 luglio



SANTA ELISABETTA (AG) - Fortezza di Monte Guastanella

Nei tre secoli di dominazione bizantina (535-827) in cui la Sicilia fu lasciata in uno stato di incredibile abbandono, non si hanno testimonianze particolari, fino all’epoca delle prime incursioni arabe (827). In quell’epoca i saraceni avevano cominciato le loro sanguinose scorrerie nelle città costiere della Sicilia dove saccheggiavano, depredavano uccidevano, catturavano prigionieri e se ne andavano lasciando il terrore e la desolazione. I Bizantini difendevano l’isola come meglio potevano e, specialmente fino a quando non avevano perso ancora tutte le speranze, erigevano fortilizi e baluardi dove ci fosse qualcosa da difendere, cosicché nessuna altura o monte fu lasciato privo di fortificazioni. Fu proprio in questo periodo che costruirono il fortilizio sul monte Guastanella (609 m s.l.m.), probabilmente su una preesistenza del periodo punico. La costruzione di baluardi e luoghi fortificati, a nulla giovò giacché i Saraceni sbarcati a Mazara nell’827, si spinsero nell’interno dell’isola e nell’830 dopo avere occupato e distrutto Agrigento, si impadronirono dell’entroterra, insediandosi anche il territorio dell'attuale comune di Santa Elisabetta, occupando castello e villaggi anche se non definitivamente. Il fortilizio bizantino di Guastanella, godendo di una posizione strategica sulla vetta del monte da cui dominava un territorio circostante per decine di chilometri, oltre ad essere ampliato e potenziato, venne bene armato fino a renderlo praticamente inespugnabile come una vera e poderosa fortezza. Nell’860 insorsero alcuni castelli della Sicilia occidentale tra cui Platani, Caltabellotta e Sutera col territorio interposto e quindi anche le terre intorno a Guastanella; ma nella primavera dell’862 la rivolta si concluse infaustamente e i castelli furono riconquistati. I Normanni provenienti dalla Calabria, guidati dai fratelli Roberto e Ruggero della casa di Altavilla, invitati a partecipare alla lotta interna tra i vari signori arabi, si accinsero di buon grado all’avventura. Quindi nello stesso anno della caduta di Girgenti il Conte Ruggero conquistò i castelli vicini, pertanto anche quello di Guastanella. Sicuramente la capitolazione e distruzione di Guastanella e di altre fortezze arabe finitime è da inquadrare nella frenetica attività costruttiva e distruttiva di Federico II, come risposta del potere monarchico alle velleità politiche cittadine in questa parte dell’isola ed in secondo luogo per garantire l’obbedienza di città infide evitando di fornire loro la minaccia di fortezze inespugnabili ed insidiose per la monarchia: un provvedimento, al tempo stesso punitivo e preventivo. Il castello di Guastanella fu usato dai musulmani come luogo di deportazione, qui fu imprigionato il vescovo di Agrigento Ursone. Tra il 1221 e il 1232 Federico II di Svevia, tornato in Sicilia, combatté gli arabi, li sconfisse e distrusse anche la fortezza. La storia successiva di Guastanella è quella dei suoi proprietari feudali. Sulla cima della ripida collina si adagiano i ruderi di una roccaforte straordinaria, una fortezza rupestre di grandezza impressionante, che rappresenta un unicum nel suo genere, una preziosa ed unica testimonianza della civiltà medievale siciliana. La forte vocazione del sito alla difesa, il rapporto di continuità fra il costruito e l’imponente cuneo roccioso su cui sorge il castello, sono legati dall’unitario programma difensivo formulato per lo stesso territorio in epoca araba, che spesso utilizza e accentua naturali asprezze montuose che segnano strategicamente i punti nodali di tracciati e di antichi percorsi commerciali. Sulla cima del monte Guastanella si trovano antiche grotte scavate nella parete. S'ipotizza che il sito possa essere stato il luogo di sepoltura del mitico re Minosse; ipotesi che potrebbe essere avvalorata dalla descrizione di un'altura presente nel libro VII delle Storie di Erodoto. Presenti anche tombe a forno sul fianco della montagna mentre a valle sono stati ritrovati reperti bizantini, ceramiche protostoriche e protogreche. Un sentiero stretto e ripido conduce ad un poderoso muro di cinta che sbarrava l'ingresso all'area del castello (ca. 1200 mq), sviluppato su quattro livelli altimetrici. Costruito direttamente sulla roccia, il muro (ca. 0,75 m di spessore) è realizzato con pietre appena sbozzate, legate con malta. Le strutture meglio conservate sono due camere ipogee, una grande cisterna coperta a botte e un silo scavato nella roccia gessosa (2, 3, 4). Il castello presenta una omogeneità di progettazione tra le camere scavate nella roccia e le strutture in muratura, da fare propendere per un unico momento costruttivo. Ma rimane molto dubbia la datazione del complesso fortificato che le fonti citano dall'XI al XV secolo. Altri link proposti: https://www.italianostra.org/beni-culturali/castello-e-area-archeologica-di-monte-guastanella-a-santa-elisabetta-ag/, https://www.youtube.com/watch?v=dKhhuvMB-b4 (video di Sergio Galvano), https://www.youtube.com/watch?v=uioWE8SzibY (video di Zebbb), https://it.wikipedia.org/wiki/Monte_Guastanella, http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castello%20arabo%20di%20Guastanella-Santa%20Elisabetta-AG-1626, https://www.youtube.com/watch?v=AmFURsKEtqY (video di Raymond Bondin)

Fonti: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/agrigento/provincia000.htm#guastanella, https://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Elisabetta_(Italia), https://www.icastelli.it/it/sicilia/agrigento/santa-elisabetta/castello-di-guastanella, https://www.turismoambientalesicilia.it/borgo-santa-elisabetta-e-il-mistero-di-guastanella/, https://fondoambiente.it/luoghi/monte-guastanella?ldc

Foto: entrambe prese da https://www.youontour.it/attrazione/santa-elisabetta-itinerario-4-nordovest/

martedì 26 luglio 2022

Il castello di martedì 26 luglio



TREIA (MC) - Torre Onglavina

Tutto l'agglomerato urbano posto a sud della lunga cresta su cui si snoda la città ebbe senz'altro come punto di riferimento il Castello dell'Onglavina (che prende il nome da una principessa longobarda), cui fu annessa una chiesina (poi ricostruita totalmente intorno al 1357) dedicata a San Michele, protettore del popolo longobardo. Unico resto del castello, eretto nel secolo XII, è una torre merlata poligonale esposta all'estremo sud della cinta muraria di Treia, su uno sperone che domina la valle, munita di difesa piombante. Dall'interno si notano quattro notevoli feritoie strombate. Divisa in tre piani, disponeva di un quarto livello di fuoco nella soprastante battagliera a cielo aperto, circondata dal parapetto merlato. Le travature che sostenevano i tre piani sottostanti sono ancora esistenti. Ogni piano disponeva di una o più feritoie per il tiro ed il terzo piano di una finestrella osservatorio. La torre, detta anche di San Marco, fu restaurata e rinforzata nelle merlature negli anni '50. A pochi metri dal lato aperto della torre si nota un rudere circolare di non chiara identificazione. La torre è danneggiata dal terremoto del 26.9.1997.

Fonti: https://www.qsl.net/ik6cgo/dci/onglavina.htm, http://www.valledelpensare.it/it/punto-di-interesse/poi/torre-dell-onglavina-88/, https://www.regione.marche.it/Regione-Utile/Cultura/Catalogo-beni-culturali/RicercaCatalogoBeni/ids/67432/Torre-dellOnglavina

Foto: la prima è presa da https://www.guidamico.it/itinerari/i-borghi-medievali-tra-arte-e-paesaggio-visita-guidata-a-montelupone-montecassiano-pollenza-e-treia/, la seconda è presa da https://www.alisei.net/borghi/treia.html

lunedì 25 luglio 2022

Il castello di lunedì 25 luglio



VERONA - Castel San Pietro

La caserma erariale di castel San Pietro o più semplicemente castel San Pietro, originariamente chiamata "Aerarialcasernen Castel San Pietro", è un edificio militare ubicato sul colle San Pietro a Verona, in un punto sopraelevato e caratterizzato da un'ampia visuale panoramica della città scaligera, e per questo meta privilegiata di turisti e veronesi che possono raggiungere il piazzale antistante il castello anche tramite la funicolare di Castel San Pietro. L'edificio è stato progettato dalla k.k. Genie-Direktion Verona austriaca di stanza nella città e costruita tra il 1852 e il 1858, quando vennero restaurati anche i resti della cortina muraria del preesistente castello, costruito sul finire del Trecento. L'area in cui sarebbe sorto il castello era un luogo strategico per il controllo del fiume Adige e dell'intero territorio; a conferma dell'importanza di questo luogo, vi sono state trovate le antiche tracce di un insediamento pre-romano, risalenti all'età del ferro, tanto da far ipotizzare l'esistenza di un castelliere. In età romana, all'inizio del I secolo a.C., vi venne inoltre edificato l'Arx, un luogo sacro e fortificato posto a guardia del passaggio sull'Adige della via Postumia, dell'oppidum posto ai piedi del colle e della città sorta successivamente sull'opposta riva del fiume. Nello stesso punto venne poi costruito un tempio romano di cui, all'inizio dell'Ottocento, si potevano ancora vedere le rovine, tanto che Da Persico nel 1820 scrive: «[...] l'antichissima chiesa di San Pietro, costrutta di antichi e preziosi marmi, [...] frammenti di auguste fabbriche del Campidoglio» di cui «Ne restano ancora in piedi le pareti, e le colonne, e capitelli diversi, con qualche avanzo delle antiche pitture a fresco». La chiesa di San Pietro viene già citata nell'VIII secolo, quando era già esistente e subì un intervento di restauro, e venne evidentemente edificata sulle rovine dell'antico tempio pagano. Il colle continuò ad essere abitato nel periodo delle invasioni barbariche, da Alboino e Rosmunda, da Pipino, da Berengario, re d’Italia. La funzione difensiva del colle si consolidò nel Medioevo; si fa risalire a Berengario, infatti, la sistemazione dell'890 del castrum. Nel 1393 venne fatto edificare da Gian Galeazzo Visconti un più imponente castello (una cittadella fortificata volta al controllo della città), i cui lavori portarono alla perdita della maggior parte delle antiche preesistenze. Durante il governo della Serenissima il castello venne destinato alla residenza del comandante militare, per cui vennero realizzati all'interno del suo recinto nuovi fabbricati. Nel 1627 furono documentati ulteriori lavori di restauro negli alloggi dei soldati, nelle abitazioni del "Governatore di Castelli" e del capo dei bombardieri, mentre nel 1703 la caserma di fanteria esistente venne ampliata per ospitare un presidio raddoppiato, passato da 150 a 300 uomini. Nel 1801 i soldati napoleonici, che dopo il trattato di Luneville abbandonarono la sinistra d’Adige per ritirarsi nella destra, minarono e distrussero gran parte del castello e degli edifici interni, compresa la chiesa, anche se i resti della cortina muraria sono ancora considerevoli. Tra il 1852 e il 1858 vi fu infine la progettazione e la costruzione della caserma austriaca, presente ancora oggi, e la sistemazione dei resti del castello e della strada di accesso al complesso. Questa venne commissionata dal feldmaresciallo Josef Radetzky e fu progettata dei genieri della k.k. Genie-Direktion Verona sotto la supervisione di Conrad Petrasch. Nota con rammarico il Simeoni che: “Negli scavi del castello furono rinvenuti molti oggetti preistorici e alcune scritture romane che andarono perdute. Così si perdette ogni possibilità di studiare le vestigia lasciate in questo colle dal popolo che fondò Verona, e di conoscere quali monumenti vi sorgevano nell’epoca romana”. Proprietà del Comune di Verona dal 1932, a partire dal 2002, dopo anni di abbandono della caserma, è stato definito un piano operativo per la valorizzazione dell'intero complesso e di restauro dei manufatti, che saranno adibiti a sede del Museo della Città. Il recinto dell'antico castello medievale presenta un tracciato irregolare, di forma allungata, derivato dalla morfologia del sito d'impianto, sulla sommità del colle: i lati a ovest e a sud sono rettilinei, mentre il lato est è a linea spezzata. In origine il recinto, riconoscibile dalla muratura a corsi alternati di ciottoli e mattoni di laterizio, era munito di dodici alte torri, non più esistenti o mozzate. All'interno della cortina difensiva, verso l'estremità nord-orientale, si elevava l'alto mastio, oggi in rovina. Due porte d'accesso dotate di ponte levatoio erano poste rispettivamente sul fianco orientale e sul fronte meridionale; inoltre, una via di soccorso condotta su un'alta muraglia, collegava il castello dall'angolo nord-occidentale alla sottostante torre, appartenente alla cinta muraria collinare scaligera. Precedentemente alla costruzione della caserma asburgica, la parte meridionale del castello era occupata da vari fabbricati per l'acquartieramento dei soldati e dalla chiesetta di San Pietro in Castello, distrutti nel 1801 dai napoleonici; il castello era dotato di una grande cisterna sotterranea, edificata nel Cinquecento, ancora conservata. La caserma di fanteria austriaca si eleva all'interno dell'originario recinto fortificato del castello visconteo, ed è in parte sovrapposta al sito d'impianto dell'antica chiesa di San Pietro. L'edificio si presenta come un corpo lineare tripartito che volutamente richiama le forme delle fortezze medioevali: nella possente parte centrale (di maggiore estensione planimetrica) che si eleva su tre-quattro piani per seguire il declinare del colle; nelle ali che sporgono verso la città e si innalzano come torri difensive; nelle finestre con paramenti di laterizio a vista e ghiere d'arco policrome che rimandano allo stile romanico; nella terrazza con bianche merlature appena accennate, che permetteva di ammirare e tenere ben sotto controllo il cuore della città scaligera. Consapevoli della speciale posizione nel paesaggio urbano, secondo le prescrizioni di Radetzky, i progettisti asburgici impressero alla nuova caserma l'aspetto architettonico del castello, in accordo con le circostanti mura collinari scaligere. L'interno era spartano e progettato per accogliere quasi cinquecento soldati: grandi camerate comuni coperte da volte a sesto ribassato; eleganti alloggi per gli ufficiali e funzionali uffici di comando; laboratori per la manutenzione degli equipaggiamenti e vasti depositi anche sotterranei. Il corridoio, lungo il lato posteriore, è coperto all'ultimo piano da una volta a tutto sesto, mentre su ogni livello disimpegna i grandi ambienti voltati delle camerate comuni. Nelle due torri di testata, dove termina il corridoio, l'asse delle volte è ruotato di 90 gradi, con vani in collegamento passante. I servizi igienici, su ogni piano, sono separati in un corpo a torre distaccato nel mezzo del fronte posteriore. La caserma poteva così essere utilizzata da due compagnie di fanteria e 32 artiglieri, per un totale di 452 soldati e 9 ufficiali. La presenza degli artiglieri si deve all'esistenza del piazzale situato davanti alla caserma, che poteva essere utilizzato dall'artiglieria per colpire la città dall'alto in caso di guerra. Accessibile solo esternamente l'ex caserma è comunque molto frequentata da veronesi e turisti, che raggiungono il piazzale meridionale per godere di una incantevole vista sulla città... in auto o attraverso una suggestiva scalinata che parte accanto all'ingresso del teatro Romano. In un angolo del belvedere è presente la stazione della funicolare, costruita agli inizi del novecento per trasportare i visitatori dal teatro al castello. Rimasta inattiva per molti decenni è stata riaperta al pubblico nel giugno del 2017. L'impianto di risalita è in funzione tutti i giorni dalle 11.00 alle 21.00, con una tariffa (andata e ritorno) di due euro per gli adulti e di un euro per gli over 65 e i bambini al di sotto dei 10 anni. L'edificio del castello, recentemente acquisito da una fondazione bancaria, è in fase di ristrutturazione per essere adibito a sede museale ed espositiva. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=OEzSdq2UHQc (video di Massimo Nalli), https://verona.com/it/verona/castel-san-pietro/ (audio).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_San_Pietro_(Verona), https://verona.com/it/verona/castel-san-pietro/, https://www.visitverona.it/it/luoghi/castel-san-pietro, https://www.verona.net/it/monumenti/castel_san_pietro.html

Foto: la prima è presa da https://www.verona.net/it/monumenti/castel_san_pietro.html, la seconda è presa da https://www.verona.net/it/monumenti/castel_san_pietro.html

venerdì 22 luglio 2022

Il castello di venerdì 22 luglio

                                       
 

POGGIORSINI (BA) - Castello di Garagnone

Nel Medioevo il suo territorio fece parte del feudo di Castel Garagnone e appartenne agli Altavilla di Andria. Un documento di epoca normanna del 1197 lo conferma, riportando il toponimo di Mons Folicatus ("fogliame", in riferimento all'esistenza di una ricca vegetazione spontanea che copriva le alture e la fossa intorno a Poggiorsini). La riorganizzazione territoriale voluta dai Normanni determinò la costruzione di vari castelli, tra cui il Castello di Garagnone. Il toponimo di Monte Folicato venne sostituito da quello di Macchia Vetrana (Macula Veterana), quindi venne confermato il riferimento a macchie e boscaglie selvagge, come attesta il documento del 1609 relativo al passaggio di proprietà in favore della famiglia degli Orsini. A partire da quegli anni l'insediamento prese il nome di Poggio degli Orsini. Costoro costruirono il casale, da cui partirono per dare una dignità urbanistica autonoma al loro Poggio. Fecero costruire il palazzo ducale (1723-1727) e la chiesa dedicata a Maria Santissima dei Sette Dolori (1726-1727) con annesso cimitero, molino, forno, mattatoio. Lungo il tracciato tra Gravina e Spinazzola, a 3 km da Poggiorsini, sorgeva il Castello del Garagnone (si ritiene che l’origine del nome sia legato al cavaliere normanno Roberto Guaragna, giunto in Italia nel 1048). Il rinvenimento di iscrizioni d’età romana sembrano avallare l’ipotesi che il Garagnone insista sul luogo di fondazione dell’antica Silvium, città peuceta citata da Strabone, da Diodoro Siculo, da Livio, oltre che da vari itinerari antichi, come centro importante, posto sul percorso della via Appia e conquistato dai Romani nel 250 a.C. Proprio ai piedi della rocca doveva passare la via Appia. Ma solo a partire dal XII secolo la storia del Garagnone incominciò a delinearsi con chiarezza. Nel 1129 compare per la prima volta in alcuni documenti il nome di Rogerius Varannone, feudatario di Terlizzi. Nel 1197 il castello venne donato ai Frati di San Giovanni Gerosolimitano di Barletta che lo conservarono fino alla metà del XIV secolo. In più occasioni il Garagnone è citato come castello di Federico II. In particolare il castrum compare in un elenco di castelli e domus imperiali federiciani (lo Statum de reparatione catrorum del 1241-1246 ). Dopo la morte di Federico II, anche gli Angioini prestarono particolare cura al Garagnone. L’importanza del castello derivava soprattutto dalla sua posizione privilegiata che insieme ai Castelli di Monte Serico e di Palazzo San Gervasio formava un sistema efficace di controllo e di difesa proprio ai confini della Basilicata. Funzione militare quindi ma non solo. Il castello e il casale sono presenti in cronache che indicavano anche l’importanza produttiva del luogo. Le notizie permettono di seguire le vicende del feudo almeno fino 1731 quando un terremoto distrusse il castello. I resti di questo castello sembrano confondersi oggi con la sommità rocciosa dell’altura in cima alla quale è stato edificato. Pedalando ai piedi del rilievo, solo un’attenta osservazione di quelle forme rocciose, lì in alto, può far capire che si è davanti ai resti di un’antica costruzione; naturalmente tutto diventa più chiaro se si arriva in cima, dove sono ancora visibili rimanenze architettoniche di alcuni ambienti. Sulla base di documenti storici, si è potuta fare una ricostruzione immaginaria del vecchio castello, considerandolo originariamente come un edificio a due piani, con un ingresso coperto, due stanze ad uso di stalla e un altro ambiente dove si teneva la paglia al primo piano, un cortile scoperto con magazzino, una cappella con al di sopra una stanzetta, e un’altra stanza usata come magazzino. E ancora sei stanze, di cui quattro ad uso abitativo, un ambiente con il centimolo e un altro con il forno. Una struttura dunque molto grande, di cui molte cronache parlano come il centro di un’area molto ricca, tra i traffici dell’entroterra e della costa pugliese. Altri link proposti:https://www.youtube.com/watch?v=K0U_PHDvYP4 (video di Explorer Dron), https://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/garagnone.htm, https://www.youtube.com/watch?v=GMP_C_O5Cqs (video di Viandanti del Sud),https://www.youtube.com/watch?v=RArm9v9Cptg (video di Cammini d'Italia), https://www.youtube.com/watch?v=iQVCnMhO7Zw (video di Peppe Dileo), https://www.youtube.com/watch?v=JR7P1WLp_9Q (video di Drone Explorer)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Poggiorsini, http://www.comune.poggiorsini.ba.it/index.php/turismo-e-territorio.html, https://www.baritoday.it/social/rocca-garagnone-castello-normanno-altavilla.html, https://www.torresansanello.it/rocca_del_garagnone/, https://www.4cyclingandtrek.com/il-castello-del-garagnone/, https://aipilieridibagnoli.it/it/da-visitare/item/387-castello-del-garagnone.html

Foto: la prima è presa da https://www.baritoday.it/social/rocca-garagnone-castello-normanno-altavilla.html, la seconda è presa da https://www.sagradelcardoncello.com/turismo/cosa-vedere-a-spinazzola-castello-del-garagnone/

giovedì 21 luglio 2022

Il castello di giovedì 21 luglio

 



FILATTIERA (MS) - Castello Malaspina

Di origine bizantina, il borgo di Filattiera era stato preceduto, nella sua fondazione, dal villaggio sorto nel fondovalle sottostante in epoca imperiale romana, nella zona ove poi era stato fondato – nel VI secolo – l’edificio dell’antichissima pieve di Sorano. Nel XII secolo Filattiera e i territori che erano stati concessi alla famiglia Malaspina direttamente dall’imperatore Federico Barbarossa, e dopo la divisione del feudo nel 1221, tra Obizzino e Corrado Malaspina, al marchese Obizzino toccarono le dinastie marchionali della sponda sinistra del Magra (con l’eccezione di Villafranca), sotto il nuovo stemma dello spino fiorito su campo d’oro. Per capitale del nuovo feudo viene scelto Filattiera, importante borgo fortificato di antica fondazione lungo il tracciato della via Francigena. Sul colle dove, a partire dal X-XI secolo, si era sviluppato il borgo, all’epoca dei Malaspina, esisteva già una fortificazione, il castello di San Giorgio, eretto in epoca altomedievale, dalle caratteristiche puramente difensive e che non si prestava certo ad essere anche residenza marchionale. Il Malaspina, erede del feudo di Filattiera, pose così mano alla costruzione del nuovo castello, quello che ancora oggi si incontra sul versante nord-occidentale all’ingresso dell’abitato, completamente circondato da mura e trasformato nel tempo sempre più in residenza signorile. Anche il feudo di Filattiera, che raggruppava nei propri territori tutta la Lunigiana orientale, era stato ben presto smembrato tra gli eredi maschi della famiglia Malaspina. Già nel 1275 infatti si formano i feudi di Verrucola e Olivola e, alla metà del XIV secolo, quelli di Treschietto, Castiglione del Terziere, Malgrate e Bagnone. Il feudo di Filattiera visse alterne vicende fino al 1549 quando il marchese Manfredi Malaspina, per sottrarsi alla conquista da parte della Spagna, cedette il feudo a Firenze con un atto che tuttavia, per l’opposizione imperiale, venne riconosciuto solo nel 1614 all’epoca di Cosimo II de’ Medici che lasciò numerosi privilegi al figlio di Manfredi, Bernabò. La famiglia Malaspina di Filattiera si estinse alla fine del XVIII secolo, quando nel 1784 Giulio Filippo Barbolani di Montauto, VIII Marchese di Montevitozzo, sposò Vittoria Luisa Malaspina figlia unica ed erede di Giovanni Manfredi Marchese di Filattiera, di Torrerossa e del Sacro Romano Impero. Ristrutturato nel XV secolo, il castello attuale è articolato su due lati della piazza principale e circondato da un ampio giardino, un tempo munito di fossato. Imponente edificio, quasi interamente in pietra a vista, mostra nella sua architettura la storia della casata, nonostante l’introduzione di alcuni elementi non originali, come il coronamento della merlatura ghibellina lungo alcune parti del perimetro esterno. L’interno, molto suggestivo, conserva ancora la classica sovrapposizione dei tre saloni di grandi dimensioni dei quali quello superiore, coperto da cassettoni lignei. Nel salone al piano terra, comunicante con il pozzo all’interno del quale è stata ripristinata una passerella, un possente pilastro centrale in pietra regge quattro gigantesche volte a crociera. Nell’ultima parte del secolo scorso venne restaurato riportandolo all’antico splendore. Nonostante queste pesanti modificazioni-integrazioni è possibile riscontrare alcuni segni delle antiche strutture due-trecentesche, edificate dai Malaspina. In particolare è possibile individuare tracce di alcune torri medievali inglobate nel tessuto murario successivo. Il folklore locale vuole che in questo castello viva un cavaliere solitario, denominato goliardicamente "Fil" (dal nome della città in cui è collocato il castello); la tradizione avrebbe identificato questo mitico cavaliere come un combattente cristiano, forse un crociato, che, come un Donchisciotte ante litteram, combatte una battaglia ideologica contro la corruzione e i soprusi di un mondo che sta cambiando rapidamente, in difesa della tradizione. Residenza privata, oggi l'edificio è visitabile su prenotazione. Altri link suggeriti:http://www.museoleduefortezze.it/pdf/ita/21_Filattera_castellodiFilattiera_ita.pdf?view=fit&toolbar=0&statusbar=0, https://www.lunigianaworld.it/attivita-turistiche-lunigiana/castelli/castello-di-filattiera/,https://www.youtube.com/watch?v=h3I3psRj9Cg (video di Ali per Viaggiare)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Filattiera, https://comune.filattiera.ms.it/il-territorio/la-storia-2/, https://www.terredilunigiana.com/castelli/castellofila.php, https://www.lunigianatoscana.it/punti/castello-di-filattiera/77/

Foto: la prima è presa da https://www.discovertuscany.com/it/lunigiana/itinerari-in-lunigiana.html, la seconda è presa da https://castello-di-filattiera.business.site/. Infine, la terza è una cartolina della mia collezione

mercoledì 20 luglio 2022

Il castello di mercoledì 20 luglio

 

MONZAMBANO (MN) - Castello in frazione Castellaro Lagusello

Castellaro Lagusello è un incantevole e piccolo borgo medievale che fa parte dal 2002 del circuito "I Borghi più belli d'Italia", "Bandiera Arancione" del Touring Club e Patrimonio dell'Unesco. Il nome del paese ha origine proprio dalla sua cinta muraria, oggi ancora intatta, all'interno della quale viene ospitato il piccolo borgo, che costituiva un temporaneo rifugio vicino al piccolo e romantico laghetto a forma di cuore. Il castello è un'antica roccaforte risalente al XIII secolo situata nel centro di Castellaro Lagusello, frazione del comune di Monzambano, che conserva inalterato l'originario impianto urbanistico, oltre ad alcuni edifici medievali e le opere difensive, tra cui le quattro torri e le mura perimetrali a difesa del borgo. Edificato intorno al XIII secolo dagli Scaligeri di Verona, era originariamente dotato di dieci torri e costituito da due parti distinte: la parte a nord, con torre quadrata e ponte levatoio a difesa e la parte a sud, verso il lago, come residenza castellata. Fu per molti secoli conteso per la sua posizione strategica di confine. Tra il XIV secolo ed il XV secolo la proprietà passò più volte dalle mani dei Visconti (1390) a quelle dei Gonzaga (Francesco I Gonzaga, dal 1391 al 1393) e di nuovo Visconti (1393-1405) e Gonzaga sino al 1441. Nella metà del XV secolo la Repubblica di Venezia si appropriò del borgo e lo mantenne sino agli inizi del XVII secolo quando, persa la sua funzione strategica, il castello venne venduto alla nobile famiglia dei Conti Arrighi, che ne trasformò una parte a propria residenza. Altri link suggeriti:https://www.youtube.com/watch?v=pesiWgOnddQ (video di Vaghi per il mondo),https://www.youtube.com/watch?v=ZqGyQy62iaU (video di Pino Meola), https://www.youtube.com/watch?v=JRp0qK_CZTU (video di paoloslavazza), https://www.in-lombardia.it/it/turismo-in-lombardia/mantova-turismo/borghi-mantova/castellaro-lagusello, https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MN360-01372/, https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Monzambano-Lagusello.htm

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Castellaro_Lagusello, https://www.borgando.it/lombardia/castellaro-lagusello/, https://www.tuttogarda.it/gite_garda/castellaro_lagusello.htm,http://www.castellaro.it/storia/borgo.html

Foto: la prima è presa da https://www.10cose.it/mantova/borgo-castellaro-lagusello, la seconda è presa da https://www.monzambanotourist.it/castellaro-lagusello

martedì 19 luglio 2022

Il castello di martedì 19 luglio



SANT'ANGELO A SCALA (AV) - Castello feudale

Dominato da una guglia rocciosa sulla quale venne costruito un fortilizio nella seconda metà del XI secolo, il borgo è menzionato per la prima volta nell'anno 1030. Il fortilizio diventò teatro di numerose battaglie durante tutto il Medioevo. Il conte di Monteforte Guglielmo Carbone riuscì a conquistare con i suoi armigeri nel 1113 il maniero, dove allora dimoravano alcuni signori di stirpe longobarda. Pochi anni dopo, nel 1160 Ruggiero II il Normanno donò il castello a Riccardo de Aquila. Dopo brevi infeudazioni il maniero passò ai d'Aquino nel 1345, al conte di Maddaloni Diomede Carafa nel 1466 e nel 1615 fino all'eversione della feudalità appartenne alla famiglia Salvo. La famiglia Carafa detenne il feudo di Sant'Angelo per quasi 100 anni, lasciando un segno indelebile del proprio dominio feudale mediante la costruzione di una grandiosa dimora fortificata su due piani (mediante la completa ristrutturazione del preesistente castello), collocata al centro di un grosso giardino terrazzato; proprio in questo palazzo nacque nel 1476 Gian Pietro Carafa, il futuro Papa Paolo IV passato alla storia come “intemerato punitore di ogni male e acerrimo campione della fede cattolica”. Oggi possiamo vedere qualche tratto delle cortine murarie. La spianata su cui sorgeva il Castello è stata cementificata e pavimentata. Il castello, edificato nell’XI secolo presso la Chiesa di S. Michele Arcangelo, doveva essere molto grande, tanto da includere quasi 360 stanze al suo interno. La struttura difensiva fu sede di un importante avvenimento storico: nel 1440, venne utilizzata dal Re Renato d’Angiò per sfuggire agli Aragonesi. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=gJ8QX1GaOrY (video de Il Paese), http://www.paesaggiirpini.it/foto/sant-angelo-a-scala/castello/6573/

Fonti: http://www.castellidirpinia.com/santangeloscala_it.html, https://www.museodeicastelli.it/castelli/santangelo-a-scala-castello-medioevale/, https://www.sguardisullirpinia.it/guide-turistiche-360/sant-angelo-a-scala/storia-sant-angelo-a-scala.html

Foto: la prima è presa da https://www.museodeicastelli.it/castelli/santangelo-a-scala-castello-medioevale/, la seconda è di Massimiliano Carullo su http://www.massimilianocarullo.it/blog/magica-irpinia-santangelo-a-scala

lunedì 18 luglio 2022

Il castello di lunedì 18 luglio


RONCO SCRIVIA (GE) - Castello Spinola

Dopo aver trattato in passato del Castello di Borgo Fornari (https://castelliere.blogspot.com/2011/10/il-castello-di-giovedi-20-ottobre.html), oggi ci dedichiamo ad un altro fortilizio di questa località ligure. Secondo le fonti storiche la sua edificazione avvenne tra l'XI e il XII secolo, come molte altre fortezze della regione, fu in origine possedimento della Signoria dei Malaspina, vassalli dei potenti vescovi di Tortona. Divenne quindi possedimento della nobile famiglia Spinola. Già rifugio dei nobili genovesi in esilio fu nel 1173 preso d'assalto ed espugnato dalle truppe genovesi. Fu nel 1223, dopo il concilio tra Genova e Tortona-Alessandria, che venne dato l'ordine ai genovesi dalla Lega Lombarda di restituire la proprietà del castello alla famiglia Spinola; nel 1313 gli stessi Spinola ottennero dall'imperatore Enrico VII di Lussemburgo l'investitura ufficiale. Trasformato quindi in residenza nobiliare dei marchesi, l'edificio fu abitato dalla stessa famiglia fino al 1797 quando, con l'avvento di Napoleone Bonaparte, caddero definitivamente i Feudi Imperiali con il Trattato di Campoformio. Le tracce rimaste del castello di Ronco poco lasciano all'immaginazione: non rimane alcun residuo della cinta muraria esterna e, allo stesso modo, è completamente scomparsa ogni scala interna, anche se alcuni resti confermano comunque l'esistenza di un piano superiore. L'unico muro rimasto, un frammento realizzato con pietra da taglio ben squadrata, è nella zona dell'angolo di sud-est.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Ronco_Scrivia, https://www.spinola.it/repertori/castello-spinola-di-ronco-scrivia-xi-xii-secolo-oggi-ruderi/, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Liguria/genova/roncoscrivia.htm

Foto: è presa da https://www.spinola.it/repertori/castello-spinola-di-ronco-scrivia-xi-xii-secolo-oggi-ruderi/

venerdì 15 luglio 2022

Il castello di venerdì 15 luglio

 


 

RAVENNA - Rocca Brancaleone

La rocca, costruita nel XV secolo dai veneziani, venne edificata nell'angolo nord-est delle mura di Ravenna, in un’area della città a ridosso del fiume Montone (che all'epoca scorreva lungo tutto il lato nord della città), nei pressi di una grande strada per Venezia, e di una chiesa intitolata a Sant’Andrea dei Goti, fatta erigere da Teodorico poco distante dal suo Mausoleo. L'origine del suo nome è incerta e nel tempo si sono accumulate opinioni differenti e contrastanti. Alcuni ritengono che Brancaleone fosse il cognome di una qualche famiglia patrizia di Venezia. Tuttavia questa tesi venne criticata dal Savini controbattendo che le prime fonti che parlano di un Brancaleone a Venezia sono successive al 1500. Egli invece credette più probabile il collegamento con Brancaleone d'Andalò, conte di Casalecchio. La tesi di Giuseppe Morini invece analizza l'etimologia del nome, scomponendolo in "branca" e "leone", e vedendo in questi termini un'allusione al leone di San Marco che domina sulla città. A conferma di questo significato si aggiunge l'altorilievo presente sopra la porta che divide rocca e cittadella che raffigura il tipico leone alato veneziano. Errata pare invece la tesi secondo cui il leone nella "branca", ovvero "preso nella zampa", sia quello ravennate presente sullo stemma comunale del 1937. Infatti i primi documenti che associano il leone a Ravenna sono del 1509 e l'animale, appunto, sarebbe successivo all'influenza veneziana. Nel 1441, in seguito alla sconfitta di Ostasio III da Polenta, la Serenissima assunse il controllo di Ravenna. Tra i lavori predisposti per la città vi fu una particolare attenzione al rifacimento delle fortificazioni e delle mura. In quest'ottica il governo veneziano progettò la costruzione di una fortezza, scegliendone accuratamente la disposizione. La costruzione aveva un duplice fine: non solo doveva proteggere la città sul lato nord-est, ma sarebbe potuta essere utile anche in caso di una ribellione civile. Non a caso le sue mura contavano 36 bombardieri rivolti verso l’abitato e solo 14 verso l’esterno. I lavori vennero sostenuti dal doge Francesco Foscari che nel 1456 ottenne l'approvazione da parte del Senato della Repubblica Veneta. Il progetto fu invece redatto da Giacomo Corner e Vitale Lando e messo in opera sotto la direzione di Giovanni Francesco da Massa. Il 25 maggio 1457 il podestà Pietro Zorzi interrò tre monete di rame sulle quali l'arcivescovo Bartolomeo Roverella pose la prima pietra, dando così inizio al cantiere. Molto del materiale utilizzato per la costruzione proveniva da altre costruzioni preesistenti come la chiesa di Sant'Andrea dei Goti, il palazzo Beldeduit dei Da Polenta e dalle mura di Cesarea. La rocca venne messa in esercizio durante la costruzione poiché già il 19 gennaio 1460 il doge Pasquale Malipiero scrisse al podestà di Ravenna affinché fornisse assistenza al castellano Marco di Riniero e alle prime truppe stanziate. Non vi è quindi una data esatta di fine dei lavori anche se l'ultimazione delle difese della cittadella avvenne entro il 1470. La fortezza subì due attacchi: nel 1509 contro le truppe dell'esercito pontificio di papa Giulio II e nel 1512 con la battaglia di Ravenna. Durante il primo scontro resistette un mese, prima di capitolare sotto il fuoco dei 32 cannoni del duca di Ferrara comandati dal duca di Urbino Francesco Maria della Rovere. Tuttavia dopo la battaglia mancarono le adeguate riparazioni cosicché tre anni dopo, contro le truppe francesi, la resa avvenne dopo solo 4 giorni di assedio. Nel 1526 la fortezza rientrò nello studio sullo stato delle rocche di Romagna voluto da papa Clemente VII e messo in opera da Antonio da Sangallo il Giovane e Michele Sanmicheli, che ne evidenziarono i danni accumulatisi. Tuttavia, con lo stabilizzarsi della situazione politica, la rocca perse la sua importanza strategica nella difesa fino al verificarsi di una progressiva spoliazione, incominciando dagli armamenti, distribuiti ad altri centri militari, fino alla struttura stessa, in particolare dal 1630. Nel 1877 la famiglia Rava divenne proprietaria della rocca; per anni il terreno fu utilizzato come orto. Nel XIX secolo, durante la costruzione della stazione ferroviaria di Ravenna buona parte delle mura cittadine del lato est vennero abbattute per fare posto ai binari che furono così posizionati adiacenti alla fortezza. Con la deviazione del fiume Montone, confluito nei fiumi Uniti nel XVIII secolo, anche il fronte nord della rocca subì un mutamento, diventando una strada cittadina. Inoltre, con i lavori di rivalutazione urbana eseguiti nell'ultima parte del XX secolo, la fortezza venne circondata da spazi verdi pedonali, da un parcheggio e da un piccolo parco. Nel 1965 l'edificio fu acquistato dal comune di Ravenna. Seguirono, tra il 1972 e il 1980, interventi di recupero sotto la direzione della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle province di Ravenna, Ferrara e Forlì con un duplice obiettivo: da una parte recuperare l'immagine originale della fortezza, dall'altro destinarla ad un uso pubblico, attraverso la creazione di un parco e di un teatro all'aperto. Nel 1988 l'Ufficio tecnico comunale eseguì anche un progetto di sistemazione dell'arredo urbano circostante la fortezza, per rivalutare la zona e facilitarne l'accesso. Come teatro all'aperto, la rocca fu utilizzata come sede di concerti, opere liriche e proiezioni cinematografiche. Il monumento fu adattato alle esigenze degli spettacoli moderni su impulso di Mario Salvagiani, dinamico direttore dei teatri di Ravenna. Il primo importante concerto (di musica classica) si tenne il 30 luglio 1971. Il 14 luglio 1973 si tenne il primo concerto di musica jazz, mentre nel 1975 debuttarono il balletto classico e la musica lirica. Risale al 29 luglio 1977 l'inizio di una serie di eventi che contraddistingueranno l'estate musicale ravennate: la Stagione d'Opera e Balletto (primo titolo: Il Trovatore con Vincenzo Bello, Katia Ricciarelli e Renato Bruson). Infine, il 1º luglio 1990 il maestro Riccardo Muti diresse il primo concerto del Ravenna Festival, manifestazione musicale di respiro internazionale. Si esibirono sul palco allestito all'interno della rocca cantanti di fama internazionale come Montserrat Caballé, Luciana Serra e José Carreras. La Rocca si divide in due parti: la rocca propriamente detta, dove risiedeva il castellano, e la cittadella. La rocca (o Ridotto) è costituita da un ampio quadrilatero di circa 2.200 mq con quattro imponenti torrioni circolari agli angoli, uniti tramite cortine murarie, dai quali era possibile presidiare la linea costiera, un tempo molto più vicina alla città. Tutto attorno correva un ampio fossato le cui tracce sono ancora oggi intuibili. Verso Sud, invece, si apriva la Cittadella, ovvero un’area di 14.000 mq pensata per l’alloggio delle milizie a protezione della città con magazzini, depositi per le munizioni e strutture per le attività quotidiane. Sopra l'ingresso della rocca, nella cosiddetta Torre della Cappella, sono presenti due bassorilievi: uno raffigurante il Leone di san Marco (attribuito a Marino di Marco Cedrini) e l'altro una "Madonna col Bambino". Gli elementi principali della fortificazione sono il Torrione della Scala, il Torrione dell'Olio, il Torrione della Munizione, il Torrione della Cittadella, il Torrione di Mezzo, il Torrione dell'Orto, il Torrione Rotto e la Torre Fiorentina (o Torre della Ghiacciaia). L'area della cittadella è stata oggi attrezzata a parco per bambini, mentre la rocca ospita ogni anno un'arena estiva di proiezioni cinematografiche all'aperto nonché eventi musicali, come il festival «Ravenna Jazz». L’ingresso principale al giardino è la suggestiva Porta della Cittadella, che scavalca su un ponticello in legno l’antico fossato di cinta, oggi prosciugato (sono ancora riconoscibili le asole dove scorrevano le catene del ponte levatoio). Altri link consigliati: https://www.touremiliaromagna.it/it/luoghi/132-rocca_brancaleone/, https://www.youtube.com/watch?v=AZ7nMgkr1IQ (video di Massimo Nalli), https://www.youtube.com/watch?v=TNjZwNQkaGk (video con drone di Hawk Eyes), https://www.youtube.com/watch?v=LdYzPzDGO6A (video di ravennanotizie)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Brancaleone, https://www.turismo.ra.it/cultura-e-storia/edifici-storici/rocca-brancaleone/, https://www.ravennafestival.org/locations/rocca-brancaleone/, https://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/pater/loadcard.do?id_card=197018

Foto: la prima è presa da https://www.turismo.ra.it/cultura-e-storia/edifici-storici/rocca-brancaleone/, la seconda è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini su https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10157788514385345/10151050875330345. Infine, la terza è una cartolina della mia collezione

giovedì 14 luglio 2022

Il castello di giovedì 14 luglio

 



PERUGIA - Castello di Morleschio

Il castello di Morleschio si trova nelle vicinanze di Civitella Benazzone lungo la strada che da Casa del Diavolo porta a Santa Cristina di Gubbio. L'anno di origine è incerto. Nel 1402 le truppe pontificie di Bonifacio IX (1389-1404) occuparono il castello, ma, subito dopo, fu riconquistato dai popolani perugini. Rimase danneggiato in modo così grave che negli anni successivi gli vennero pagati degli “incentivi” per le riparazioni. Dei castellani che lo governarono sappiamo ancora meno che dell’origine del maniero: uno dei pochi di cui si ha qualche notizia è Agamennone I di Giacomo Arcipreti, un personaggio passato alle cronache perché si fece frate, ma non rinunciò mai a questo castello e a tutti i suoi beni. Da Morleschio partiva la cosiddetta “via del fuoco” attraverso la quale, passando per Civitella Benazzone, Ponte Pattoli e Cordigliano, i contadini trasportavano legna da ardere a Porta Sant'Angelo, per le necessità pubbliche e private della città di Perugia. Il castello è circondato da una cinta muraria con un torrione e feritoie. Passando sotto un arco ogivale sormontato da beccatelli e percorrendo un porticato, si arriva nella piccola piazza ove si affacciano le antiche costruzioni in pietra arenaria. Fa parte del complesso anche la chiesa di Sant’Andrea Apostolo, dipendente dell’Abbazia di Montelabate, ove sono visibili affreschi del XIV secolo. Visitiamo virtualmente il borgo grazie a questo video di Multicoopter Drone: https://www.youtube.com/watch?v=dr_Ll4D-7oE

Fonti: http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/02_alto_tevere/00026/index.htm, https://turismo.comune.perugia.it/poi/morleschio, http://www.emozioninumbria.com/luoghi-memorabili-umbria/borgo-di-morleschio/,https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-morleschio-civitella-benazzone/

Foto: entrambe prese da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/02_alto_tevere/00026/index.htm

mercoledì 13 luglio 2022

Il castello di mercoledì 13 luglio



CIVIDALE DEL FRIULI (UD) - Castello Canussio

Situato su via Niccolò Canussio, in borgo San Domenico nell’area settentrionale della città, oggi restituito al suo antico splendore, il Castello Canussio è di estrema importanza per la ricostruzione storica dell’intero circuito murario di Forum Iulii, fondata intorno alla meta del I secolo a.C.da Giulio Cesare che l’aveva scelta per la sua interessante posizione geografica, al centro di un importante crocevia. Questo edificio, considerato il più ampio complesso architettonico di epoca tardo antica appartenne, fin dal dodicesimo secolo fu abitato dai nobili Canussio (il cui nome rivive nella piccola comunità di Canussio di Varmo, nel Medio Friuli), qui rifugiatisi come molte famiglie guelfe nello stato patriarcale di Aquileia. Alla fine dell’Ottocento, passato in proprietà al barone austriaco Dionigi Craigher, fu ristrutturato con l’aggiunta di elementi neogotici, di torrette e di merlature ghibelline, come è documentato dalle foto d’epoca. Dagli anni cinquanta del Novecento, l’edificio fu adibito a diversi usi pubblici: da scuola elementare a caserma dei carabinieri. Negli anni novanta, il palazzo, riacquistato dalla famiglia Canussio dopo cent’anni, fu sottoposto a un radicale intervento di recupero architettonico per riportarne in luce le superstiti strutture originarie. Gli scavi archeologici, qui effettuati a più riprese, tra il 1991 e il 2000, su iniziativa della famiglia Canussio e sotto la direzione della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, portarono alla luce, intatta, la successione edilizia delle difese cividalesi per una estensione di 45-50 metri, visibile nelle stanze interne attraverso lastre di vetro e nel giardino esterno. La prima e più antica fase della cortina muraria è quella più interna con torre quadrangolare; gli ultimi studi ipotizzano di inquadrarla all’età tardo-repubblicana (I secolo a.C.), in coincidenza con la costituzione del forum della città romana e correlata all’opera di fortificazione ricordata nella famosa epigrafe di Tricesimo (conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli). Di questa prima cortina, munita di una torre rettangolare, di cui sono state rinvenute diverse porzioni in vari luoghi della città, attualmente è visibile solamente il lungo tratto (sopraccitato) all’interno della proprietà Canussio; essa partiva a sud-ovest del monastero di San Francesco, proseguiva a nord tenendosi a una distanza di circa trenta metri da una roggia artificiale (già esistente in età medievale) e a est correva parallela al rio Emiliano. L’esistenza in questa parte della città di un muro di fortificazione è testimoniata dalla descrizione di Niccolò Canussio alla fine del quindicesimo secolo, nel suo "De restitutione patriae" (Udine 2000, pp. 40-41), che così recita: "…un muro di enormi dimensioni che, partendo dalla chiesa di San Silvestro, dopo aver circondato ininterrottamentela città a occidente, ha termine alle rupi del Natisone, dove si trova l’importante convento di San Francesco.”). Per il successivo potenziamento delle mura, con l’aggiunta di due torri poligonali (quella occidentale visibile nel giardino, quella orientale, avente al centro un pozzo cisterna utilizzato fino in epoca recente, si trova all’interno dell’edificio), si propone la datazione all’avanzato V secolo o all’età gotica, quando Cividale acquistò un rinnovato ruolo strategico che la portò a divenire quel caput Venetiae (cioè capitale della X Regio Venetia et Histria), ricordato da Paolo Diacono. Le indagini archeologiche hanno restituito anche una grande quantità di reperti (ceramiche, vetri e metalli) di epoca romana e rinascimentale, depositati presso il Museo Archeologico Nazionale di Cividale; con buona parte di questo materiale, circa 500 manufatti, è stata allestita una mostra didattica nelle sale del museo cittadino. Il Castello è oggi sede della prestigiosa Fondazione Niccolò Canussio, un Istituto scientifico di Ricerca sul mondo antico di respiro internazionale, dedicato a “Niccolò Canussio”, umanista e storico cividalese di prima grandezza nel panorama friulano del 1400. Autore del “De Restitutione Patriae”, volle, con quest’opera, difendere la millenaria memoria storica della città di Cividale che la portò ad essere una delle primissime sedi universitarie in Italia. Nell’avanzato quinto secolo o nell’età gotica, quando Cividale acquistò un rinnovato ruolo strategico che la portò a divenire "caput Venetiae" ( cioè capitale della X Regio Venetia et Histria), quest’opera di difesa fu potenziata all’esterno con opere di rinforzo, che portarono lo spessore delle mura a oltre 2,50 metri e con l’erezione di torri poligonali, due delle quali visibili nella proprietà Canussio: una poligonale scoperta all’esterno (nel giardino), l’altra interna a base quadrilatera con bastione triangolare. Esse si aggiungono alle altre torri, aventi la stessa forma e struttura, rinvenute nel tempo a Cividale: nel 1961 a sud della piazza Alberto Picco, a una distanza di circa 120 metri dalla torre esterna del palazzo Canussio, e di recente nell’angolo estremo del cortile della trattoria “Il Fortino”. Tutte appartengono al lato settentrionale e occidentale del potenziamento difensivo della prima recinzione urbana. Un’ulteriore cinta di mura, più esterna, visibile sul retro del palazzo e attribuibile all’età gotica o bizantina, correva parallela all’antico circuito, a una distanza di 20-25 metri ed era collegata a esso da un acciottolato. Questo sistema difensivo, una specie di “antemurale” riscontrabile sul lato settentrionale della città sino alla sponda del Natisone, è attestato anche ad Aquileia, a Verona e a Brescia. Il lato orientale della città continuava a essere protetto dalla cinta originaria con torri. Questa cinta muraria esterna, restaurata in età basso-medioevale e poi in parte inclusa nelle mura cosiddette “venete”, si inseriva in quel sistema fortificato del confine orientale dell’Italia contro la crescente pressione dei popoli invasori: il "Vallum Alpium Iuliarum", un intero e poderoso muraglione, che correva da Tarsatica (Fiume) lungo i rilievi carsici e le Alpi Giulie fino alla Carinzia, articolandosi in castelli nei punti di maggiore interesse strategico. E Cividale, a partire dalla seconda metà del V secolo, con il trasferimento della sede del governatore della Venetia et Histria, dovette assumere un ruolo strategico molto importante fino a divenire la caput Venetiae. All’arrivo dei longobardi (568 d.C.), la città, come ricorda Paolo Diacono, mostrava ancora l’aspetto di castrum, probabilmente dovuto alle sue strutture difensive, che, come risulta dai dati archeologici rinvenuti nella proprietà Canussio, non dovevano presentare segni di degrado. I lavori di ristrutturazione del’edificio, successivi alle campagne di scavo, sono stati condotti con l’intenzione di mantenere a vista l’antica cinta muraria di Cividale, definita da Michele della Torre “muro di Cesare”, spina longitudinale dell’intero complesso architettonico. Pertanto la conservazione delle strutture edilizie e architettoniche, in particolare quelle di epoca romana, è stata affidata alla copertura di lastre in cristallo, che permettono la visibilità fino a una profondità di cinque metri dal piano di calpestio. La torre rettangolare interna con sperone triangolare e quella poligonale esterna, affiancata da un gradevole “prato all’inglese”, sono i pezzi di maggior interesse per le visite guidate. Alcune strutture murarie e altri manufatti edilizi di epoca tardo-antica, altomedioevale e rinascimentale, dopo essere stati sottoposti a un attento studio, sono stati ricoperti da una pavimentazione in pietra d’Istria. Le strutture architettoniche in elevazione, altomedievali e romaniche (ovvero quelle non poggianti sul lungo tratto delle mura romane) oggi insistono su una sottofondazione di cemento armato, idonea per una perfetta stabilità. L’aver riportato a vista tutte le strutture in pietra dell’intero edificio ha anche valorizzato quegli elementi architettonici esterni di epoca rinascimentale, dovuti alla scuola del Palladio, come pure quelle arcate tardo antiche, che costituivano il solarium dell’edificio, ricoperte con fregi a forma di ogiva nella rielaborazione neo gotica dell’Ottocento. Il recupero architettonico della proprietà Canussio permette di leggere molti secoli della storia urbana di Cividale: dall’epoca romana e tardoantica a quella medioevale e rinascimentale, dalla ristrutturazione ottocentesca a quella successiva al terremoto del 1976. Nel palazzo, dal 1998 al 2012, si sono svolti quattordici convegni internazionali, organizzati dalla “Fondazione Niccolò Canussio” per promuovere gli studi sul mondo antico nelle loro espressioni storiche, letterarie, artistiche e culturali, cui hanno dato il loro contributo scientifico illustri docenti di storia e di letteratura antiche delle più prestigiose università italiane ed europee. La Fondazione è dedicata all’umanista e storico Niccolò Canussio, figura di prima grandezza nel panorama friulano del XV secolo. Il Canussio è colui che seppe difendere, nella sua opera "De Restitutione Patriae", la città di Cividale da chi, al soldo della Serenissima, voleva spogliarla di una millenaria eredità culturale, che l’aveva portata ad essere nel IX secolo una delle otto città italiane sede delle Scuole Superiori volute da Lotario e nel XIV secolo una delle primissime sedi universitarie in Italia. Annualmente, in estate, il palazzo fa da sfondo agli spettacoli del Mittelfest, una delle più prestigiose vetrine della prosa, della musica e della danza dell’area Mitteleuropea: in questa occasione il cortiletto interno della proprietà è mirabilmente illuminato allo scopo. Di recente, grazie a un accordo tra l’Amministrazione Comunale e la famiglia Canussio, il piano terra del palazzo può essere adibito a sede per celebrazione di matrimoni civili. Il futuro del palazzo va visto in una sempre più stretta integrazione con la vita artistico-culturale della città di Cividale: sarà disponibile ad ospitate manifestazioni di rilievo in una impareggiabile cornice di discrezione e di austerità e potrà essere inserito in un circuito di visite guidate ai siti museali e monumentali. Altri link proposti: https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/cividale-del-friuli-ud-forum-iulii-in-casa-canussio/, https://www.turismofvg.it/dimore-storiche/castello-canussio, https://friuli.vimado.it/piazze-palazzi-castelli-dimore/il-castello-canussio-a-cividale-del-friuli/

Fonti: testo di Maria Visintini su https://castellocanussio.it/il-castello/, https://consorziocastelli.it/icastelli/udine/copy_of_buttrio

Foto: la prima è presa da https://storico.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Menu-Utility/Immagine/index.html_648581852.html, la seconda è presa da https://consorziocastelli.it/icastelli/udine/copy_of_buttrio

martedì 12 luglio 2022

Il castello di martedì 12 luglio



NARDO' (LE) - Torre del Fiume (o Quattro Colonne) in frazione Santa Maria al Bagno

Conosciuta inizialmente come Torre del Fiume di Galatena, o semplicemente come Torre Fiume, è oggi più comunemente nota col nome di “Quattro Colonne”. Torre Fiume era una vera e propria fortezza, un piccolo castello, a protezione di una ricca sorgente d’acqua dolce (che scorreva un tempo al lato della fortezza e oggi purtroppo è molto ridotta) dalla quale prende il nome. Oggi, rimangono solo i suoi quattro grandi bastioni angolari. Comunicava visivamente al sud con Torre dell’Alto Lido e a nord con Torre Santa Caterina. Fu costruita con lo scopo di vigilare affinché i corsari non si avvicinassero alla costa per rifornirsi di acqua potabile, indispensabile per le loro imprese. L’approvvigionamento d’acqua, per chi doveva restare in mare per molto tempo, rappresentava un problema vitale anche per corsari e barbareschi. Per questo motivo essi conoscevano perfettamente i punti della costa dove affiorava anche uno zampillo d’acqua che raggiungevano rapidamente e, dopo aver fatto rifornimento del prezioso liquido, proseguivano la loro caccia alle navi in transito nella zona oppure si preparavano a compiere attacchi alle popolazioni della costa, scegliendo il posto più favorevole e aspettando il momento più opportuno. Tutto ciò era ben noto alle autorità, le quali avevano previsto la costruzione di torri nelle vicinanze e in difesa delle sorgenti d’acqua potabile. Infatti, come riferisce il Coco, fu questo il motivo che nei 1568 spinse il Vescovo di Ugento a fabbricare Torre Mozza, detta anche “Torre Fiumicelli”. Per proteggere il fiume di Nardò, nei pressi di S. Maria al Bagno era stata eretta già nel 1565 la Torre dell’Alto Lido, ma questa costruzione ben presto si rivelò insufficiente allo scopo, in quanto era posta molto in alto e distante un paio di chilometri dalla sorgente. Fu questo il motivo che consigliò l’Università, il Vescovo e i nobili di Nardò ad edificare, proprio alla foce della ricca sorgente d’acqua, una vera fortezza, la cui sola vista doveva scoraggiare turchi e pirati del mare di accostarsi alla riva o addirittura di progettare razzie nell’interno. Il progetto della torre, straordinariamente dettagliato, redatto dall’architetto leccese Giovanni Perulli, incaricato dalla Sacra Regia Provinciale Audienza Hidruntina venne inviato nel 1595 dagli uffici napoletani e fu ricevuto dai mastri costruttori locali del clan Spalletta che ne redassero puntuali misurazioni. I lavori però iniziarono due anni dopo e si conclusero nel 1605. Finalmente la torre, completata, venne tenuta in efficienza nel 1606 e l’ultimo pagamento per i lavori fu incassato nel 1609 da Giovanni Vincenzo, essendo Angelo deceduto. Il peso maggiore per l’assistenza a questa fortificazione spettava alla città di Nardò, ma sappiamo anche che Galatone contribuiva con un quarto delle spese occorrenti al mantenimento di un numero adeguato di torrieri. Da lontano appariva come un vero e proprio baluardo inespugnabile, un piccolo castello più che una torre di avvistamento. I lati della torre misuravano circa 18 metri (72 palmi) con lo spessore murario alla base di quasi 9 metri (34 palmi). La struttura, composta da un corpo centrale a pianta quadrata completato da quattro torri scarpate, a pianta esagonale, si presentava maestosa e ben difesa dai suoi circa 22 metri di altezza (85 palmi), scandita da due cornici marcapiano e coronata da beccatelli che sorreggevano il cammino di ronda avanzato. Era inoltre dotata di caditoie per proteggere le aperture e l’ingresso avveniva dal primo piano servendosi di una scala in legno. Anche in questa torre il piano terra era occupato dalla cisterna, che garantiva l’approvvigionamento di acqua per i militari presenti. Anche se non ci sono resoconti sulle armi da fuoco presenti, si può ipotizzare che questa torre sia stata una delle meglio rifornite, sia per l’ampio terrazzo e le varie feritoie presenti, sia per il fatto che proteggeva una delle poche sorgenti di acqua dolce molto ambita per i rifornimenti dei pirati. Nella torre risiedevano stabilmente almeno due caporali che avevano il compito di controllare il mare ed avvisare tempestivamente sia le città dell’entroterra, sia le torri con cui comunicavano visivamente. Col tempo i pericoli provenienti dal mare diminuirono, e le attività di controllo della torre erano indirizzate verso gli atti di brigantaggio e contrabbando, soprattutto di sale. Non si sa precisamente quando la torre cominciò a crollare e non essere più usata ma molto probabilmente non furono attacchi dal mare a danneggiare la torre. Molto più probabile fu che qualche evento sismico abbia indebolito la struttura e il venir meno della manutenzione ne abbia causato la rovina. E' ipotizzabile che il crollo possa essere avvenuto a causa del famoso Terremoto di Nardò, che si verificò il 20 febbraio del 1743. Tra le due guerre la cortina muraria tra i bastioni angolari arrivava ancora al primo piano. Nel secondo dopoguerra la struttura interna fu svuotata ed usata per altri scopi, dapprima si insediò un albergo ristorante con palco e pista da ballo, il rinomato “Quattro Colonne Dancing“. Negli anni ’60 il luogo è stato il punto di riferimento del Jet set salentino e pugliese e si sono esibiti artisti di fama internazionale Domenico Modugno, Claudio Villa, Ray Charles, Celentano, Massimo Ranieri, Santo & Jhonny, Bobby Solo, Little Tony, I Platters ed altri. Attualmente il complesso fa parte di “Oasi Quattro Colonne”, continuando nell’attività di ristorazione, sala ricevimenti e music club (https://www.oasiquattrocolonne.it/). La torre, con quelle di Squillace e di S. Caterina, è soggetta a vincolo del ministero solo dal 1986, grazie alle segnalazioni del circolo culturale “Nardò Nostra”, che se ne occupò con una mostra itinerante e con una pubblicazione non più in commercio. Altri linki suggeriti:https://www.facebook.com/watch/?v=754973448434019 (video con drone), https://www.youtube.com/watch?v=wpEdEnqQWH4 (video di Visitando il Salento), https://www.youtube.com/watch?v=i8Y7ceFdUqQ (video di La Postilla), https://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Maria_al_Bagno

Fonti: https://www.santamariaalbagno.info/turismo/cosa-vedere/le-quattro-colonne/#storia, https://torricostieredelsalento.com/torre-fiume-quattro-colonne/,https://www.lilianaimmobiliare.it/storia-delle-quattro-colonne/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.oasiquattrocolonne.it/la-storia-delle-quattro-colonne/