giovedì 31 ottobre 2019

Il castello di giovedì 31 ottobre





MELENDUGNO (LE) - Castello di Borgagne

Il castello di Borgagne, denominato anche Castello Petraroli dal cognome della famiglia che lo costruì, è situato a Borgagne in provincia di Lecce. In origine si ergeva ai margini del piccolo centro abitato, in direzione est, allo scopo di svolgere, con più efficacia, la sua funzione difensiva contro i pericoli provenienti dalla direzione del mare. Il complesso presenta una pianta rettangolare che, in corrispondenza dello spigolo nord-est, ingloba parzialmente una torre innalzata nel 1498; l'anno si ricava dall'iscrizione che, murata con l'arme gentilizia del Petraroli sul versante ovest della torre, così recita: BELLISARI(us) DE PETRAROLIS / BURGANEI DO(minus) FEDERICO / REGI FIDUS IN PRI(n)CIPIUM / ARCI(s) ET TUTELAM / INCOLARUM POSUIT / TURRIUM 1498. L'iscrizione lascia intendere che, quando la torre fu innalzata a difesa dell'abitato, questo era privo di qualsiasi apprestamento difensivo; l'opera di fortificazione intrapresa dal Petraroli non si arrestò con la costruzione della sola torre che, tra l'altro, non poteva esplicare un'efficace difesa e serviva, al massimo a poter effettuare un'azione di avvistamento preventivo, ma dovette proseguire a breve tempo con la costruzione del castello la cui presenza fu, nel 1531, puntualmente registrata dal commissario regio incaricato di procedere alla stima dei beni feudali di cui il Petraroli fu spogliato per aver aderito alla congiura antispagnola ordita dal baronaggio napoletano nel 1527/28. I Petraroli, spogliati dei loro possedimenti feudali, riuscirono successivamente a rientrare nelle grazie sovrane e a farsi reintegrare nel possesso dei feudi perduti; nel 1601, il feudo di Borgagne che comprendeva i due feudi di Pasulo e San Salvatore, quest'ultimo disabitato, fu venduto da Lucrezia Petraroli al leccese Vincenzo Maria Zimara con tutti i beni feudali, tra i quali il castello. Quindici anni dopo, il feudo di Borgagne fu venduto dagli Zimara al genovese Giovan Battista Spinola. Il castello si sviluppa a pianta quadrata con cortile centrale, ed ha subito interventi ed ampliamenti, anche recenti, in relazione alla sua utilizzazione attuale ad abitazione privata. Un tempo vi erano anche piombatoi, feritoie e un fossato, prima che diverse opere di ristrutturazione alterassero alcune parti dell'edificio in maniera irrimediabile. Pertinente al castello è la piccola cappella della Madonna del Rosario. Il Castello Petraroli, in parte di proprietà pubblica e in parte privata, attualmente versa in stato di degrado. E' circondato da un vasto giardino, che va a colmare lo spazio in origine occupato da un fossato. Su una porta all’interno dell’atrio del castello possiamo ammirare lo stemma della famiglia Spinola, che, come già scritto, entrò in possesso di Borgagne nel 1616. Nell’angolo nord-est, quello che presenta la cortina meglio conservatasi rispetto a quella della facciata principale, ingloba parzialmente, una preesistente torre fatta costruire nel 1498. Il Castello Petraroli è simbolo identitario dell'intera comunità di Borgagne ed elemento architettonico ricco di storia.

Fonti: https://www.forzasalento.it/castelli/castello-di-borgagne/,
https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Borgagne, https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-petraroli-di-borgagne

Foto: la prima è presa da https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-petraroli-di-borgagne?ldc, la seconda è di chapeau su https://mapio.net/pic/p-8456284/

mercoledì 30 ottobre 2019

Il castello di mercoledì 30 ottobre





GARLASCO (PV) - Castello

Di probabile origine preromana (almeno a giudicare dal nome), è citato fin dal X secolo; nel 981 fu donato dall'imperatore Ottone II al monastero di San Salvatore di Pavia, a quell'epoca tra i massimi possidenti della zona. Nel XII secolo, se non prima, entrò a far parte dei domini pavesi, sotto i quali fu sede di podesteria, restando a lungo (come d'altra parte gli altri centri maggiori del territorio pavese) libero da signorie feudali. Nel 1356, durante la guerra tra Pavia ed i Visconti, Garlasco fu assediata dalle forze dei signori di Milano e, dopo un duro assedio, conquistata. Solo nel 1436 il conte palatino Guarnerio Castiglioni fu investito di Garlasco da Filippo Maria Visconti, e il feudo rimase poi ai suoi discendenti, divisi in più linee che ebbero la consignoria su Garlasco; solo Alessandro Castiglioni nel 1761 riunificò il potere nelle sue mani; suo nipote Alfonso Gaetano nel 1774 ebbe il titolo di Conte di Garlasco, ma fu anche l'ultimo feudatario, poiché il feudalesimo fu abolito nel 1797. La presenza di fortilizi medioevali originò, a cavallo tra il XIV e il XV secolo, uno dei castelli più importanti della Lomellina, tanto da essere detto, all'epoca, Propugnaculum Papiæ. La struttura era quella tipica lombardo-viscontea, a pianta quadrata con corte interna e torri quadrangolari agli angoli. All’esterno dell’edificio, sorgeva quasi sicuramente un fossato. Il castello venne saccheggiato e devastato più volte. Nel marzo del 1524, un devastante attacco da parte di Francesco Maria della Rovere, assistito da Giovanni de Medici (Giovanni dalle bande nere), fece crollare completamente il maniero. I condottieri non solo lo espugnarono, ma lo rasero al suolo, proprio per non permetterne la ricostruzione. Ricostruito e rivisitato architettonicamente e funzionalmente nel corso dei secoli, dell'edificio originario non vi è quasi più traccia: l'unica testimonianza tangibile è data dal torrione posto alle spalle della piazza (anch'esso commistione di stili diversi), oltre ad alcuni resti delle fondazioni ed una piccola torre. Riguardo al torrione, qui si vuole che un frate, spaventato, invocò l’aiuto di Dio, chiedendo che quella torre fosse risparmiata, per salvare alcuni civili al suo interno… A quanto pare funzionò! Altro link suggerito: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00161/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Garlasco, testo di Simone Tabarini su https://www.vivivigevano.com/il-castello-di-garlasco/,

Foto: la prima è di Alessandro Vecchi su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Garlasco_castello.jpg, la seconda è presa da https://www.francigenaitalia.com/comuni/garlasco/

martedì 29 ottobre 2019

Il castello di martedì 29 ottobre




SEGARIU (SU) - Castello di "Sa Moba e su Casteddu"

Nel medioevo appartenne al giudicato di Cagliari e fece parte della curatoria di Nuraminis. In epoca medievale il paese ebbe una certa importanza, e fu protetto da un castello (chiamato Rocca su Casteddu), di cui restano alcuni ruderi. Alla caduta del giudicato (1258) tutta l'area passò sotto il dominio pisano, e dal 1324 sotto quello aragonese. Gli aragonesi nel 1414 incorporarono il paese nella baronia di Furtei, concessa a Michele Sanjust. Nel corso del Quattrocento il paese andò via via spopolandosi, fino a restare disabitato nella seconda metà del Cinquecento. Nel Seicento si ripopolò, e nel 1678 venne attestata la sua appartenenza alla baronia di Furtei, feudo dei Sanjust, ai quali il paese fu riscattato nel 1839 con la soppressione del sistema feudale. L'antico maniero giudicale di forma troncoconica, risalente all'alto medioevo, è stato edificato in cima ad un colle calcareo, una roccaforte naturale, dalla quale è possibile osservare un panorama mozzafiato, che va dal Castello di Las Plassas, fino alla Sella del Diavolo di Cagliari. Tra il castello e la grotta detta dell’allume erano presenti sino al secolo scorso i ruderi di una costruzione sotterranea nella quale vennero ritrovati vari oggetti e alcune monete d’argento e di rame nelle quali si lesse il nome di Costantino. Ecco un video in cui si può vedere ciò che rimane della fortificazione: https://www.youtube.com/watch?v=j8MalvyrKiI (di Sisinnio Gessa)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Segariu, http://www.marmillattraverso.it/content/il-medioevo, http://www.lamiasardegna.it/segariu.htm, http://www.minieredisardegna.it/LeMiniere.php?IdM=183&IdCM=&SID=, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sardegna/mediocampidano/provincia000.htm#segariu

Foto: è di sisinnio_gessa su https://deskgram.cc/p/2057627006255968297_295871526. Altre immagini le potete trovare qui http://wikimapia.org/4597372/it/Castello-di-%E2%80%9CSa-Moba-e-su-Casteddu%E2%80%9D

lunedì 28 ottobre 2019

Il castello di lunedì 28 ottobre




PONTENURE (PC) - Castello di Muradello

Nel territorio di Muradello il nobile Zanino Nicelli ottenne dal duca Francesco Sforza la licenza per costruirvi un castello e divenne Signore del luogo. Il fortilizio, discreto esemplare di castello quattrocentesco, presenta sul fronte principale una solida torre quadrata. Questa, destinata ad ingresso della costruzione, è munita di un interessante portale, formato da un arco leggermente acuto che denota un'inflessione gotica. Il mastio, alquanto sopraelevato rispetto agli altri fabbricati del fortilizio, non presenta né caditoie né incastri per il ponte levatoio, probabilmente a causa di notevoli rimaneggiamenti effettuati nel secolo scorso. Le cantine che circoscrivono il castello sono coronate da una merlatura alla ''ghibellina'', che in più parti è incorporata alle mura; inoltre intorno al maniero esisteva un fossato ormai interrato da tempo. All'interno dell'impianto quadrilatero di tipo medioevale, notiamo un corpo di fabbrica a doppia loggia che, seguendo a tratti il perimetro dell'edificio, conferisce il carattere, seppur frammentario, della corte rinascimentale. Il portico al piano terra, costruito con un'architrave orizzontale è sorretto da colonne doriche, mentre al primo piano l'epistilio assume la forma dell'arco e il piedritto quella del pilastro a pianta quadrata.
Attualmente la proprietà del castello è divisa tra i fratelli Berzolla ed i fratelli Monguidi.

Fonti: http://www.comune.pontenure.pc.it/sottolivello.asp?idsa=54, http://www.piacenzantica.it/page.php?198

Foto: la prima è presa da https://www.tourer.it/scheda?castello-di-muradello-muradello-pontenure, la seconda è di albertobr su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/358765/view

venerdì 25 ottobre 2019

Il castello di venerdì 25 ottobre





CARMIGNANO (PO) - Rocca

La prima fonte che ci fornisce notizie sull'organizzazione territoriale dell'altomedioevo è il diploma di Ottone III del 998 che individua Artimino e Seano come pievi della Diocesi di Pistoia. Nell'XI secolo troviamo documentati invece i castelli di Artimino (https://castelliere.blogspot.com/2015/11/il-castello-di-lunedi-2-novembre.html) e Carmignano. Fino al XIII secolo è probabile che non esistesse un particolare ruolo dominante di Carmignano che doveva dividere con Artimino, Bacchereto e Tizzana il ruolo di fortificazione posta lungo una precisa linea difensiva del Montalbano, avamposto di Pistoia verso l'Arno. Comunque nel XIII e XIV secolo l'attuale territorio di Carmignano era diviso tra due autonomi comuni rurali con propri statuti e propri confini, Artimino e Carmignano, inizialmente appartenenti al contado pistoiese, di cui costituivano due capisaldi del sistema difensivo, e dopo alterne vicende passati sotto il dominio fiorentino. Il territorio carmignanese fu infatti oggetto di un'aspra contesa tra Pistoia e Firenze che, sul volgere del XIV secolo, ebbe definitivamente il sopravvento dopo aver rischiato di soccombere sotto i colpi di Castruccio Castracani, che guerreggiò a lungo nell'area del Montalbano per contendere a Firenze un territorio così importante per il controllo di una vasta area. Nella parte alta del paese è situata l'antica rocca, risalente al X secolo e ancora in ottimo stato di conservazione. La posizione strategica a dominio della pianura fra Pistoia, Prato e Firenze fu spesso oggetto di violenti scontri fra i vari Comuni per il suo possesso. Dopo che i fiorentini erano riusciti a sottrarre la Rocca ad Ildebrando, vescovo di Pistoia, questa cadde nuovamente nelle mani dei pistoiesi nel 1125. Tra il 1228 e il 1237 l’esercito fiorentino riuscì ad assediare il Castello distruggendolo e abbattendo la torre. Pochi anni dopo (1242) Pistoia riconquistò Carmignano che, sempre nel XIII secolo, sarebbe diventato comune rurale. Agli inizi del Trecento il Castello fu ceduto da Musciatto Franzesi (pistoiese) ai fiorentini,che demolirono ancora una volta la Rocca e le mura perimetrali. Nel 1315 Carmignano passò di nuovo sotto il dominio di Pistoia, ma poi, nel 1324, di nuovo sotto quello di Firenze, su iniziativa degli abitanti del comune che mal sopportavano la “tirannia” di Filippo Tedici. Nel 1325 la Rocca fu conquistata da Castruccio Castracani, signore di Lucca e alleato di Tedici, che decise di fortificarla ulteriormente. Nel 1343 Carmignano, insieme ad Artimino e a Bacchereto, passò sotto il dominio della Repubblica di Firenze, questa volta per sempre (o almeno fino ai giorni nostri quando l’intero comune è passato alla provincia di Prato), avviando un lungo periodo di pace e stabilità. All’epoca all’interno della Rocca avevano sede la podesteria e il palazzo pretorio. Facendo un salto cronologico arriviamo ai primi anni dell’Ottocento quando, in seguito ad una lite tra il Comune e la famiglia Cremoncini per il controllo della Rocca e dei terreni circostanti, questi ultimi ne ottennero il possesso che, agli inizi del Novecento, passò ai fratelli Petroni. L’ultimo privato che è stato proprietario della Rocca, prima dell’acquisto da parte comunale, fu il commendatore Umberto Bigagli. I pochi resti della Rocca, rimasti in piedi dopo secoli di lotte e distruzioni, furono in parte demoliti nel 1827; successivamente solo alcune strutture furono sottoposte a restauro e ricostruite. Delle tre cinte murarie di difesa resta il circuito più esterno risalente al Trecento e al Quattrocento, parzialmente integrato e ricostruito nelle epoche successive. Il Campano (realizzato nel Cinquecento su preesistenze) invece, posto in corrispondenza dell’ingresso alla struttura e caratterizzato da una cella campanaria e da un orologio, fu restaurato una prima volta nell’Ottocento e successivamente nel 1912. Entro le mura trecentesche, in mezzo ad un boschetto, troviamo un piccolo edificio a pianta quadrata che fu costruito nell’Ottocento sul basamento di un torrione medievale (il cosiddetto maschio della Rocca); intorno ad esso si conservano ancora i resti della seconda cerchia di mura che in origine era direttamente collegata al maschio. Questo edificio ospita alcune sale espositive. Dal 1990, infatti, il Comune di Carmignano ha acquistato la rocca e ne ha fatto uno spazio espositivo e per manifestazioni culturali. La salita alla Rocca di Carmignano è d’obbligo per il turista che voglia conoscere a fondo la storia del popolo e del territorio carmignanese, senza dimenticare lo straordinario panorama che si gode da lassù con splendidi affacci sulla campagna circostante e sulla piana tra Firenze, Prato e Pistoia. Attualmente all’interno della Rocca, sia nel giardino che in stanze sotterranee (forse cisterne che garantivano l’approvvigionamento di acqua durante gli assedi) sono conservati – insieme ad un plastico che illustra com’era il Castello nel medioevo, alla ricostruzione di una cucina quattrocentesca e a foto di Carmignano all’inizio del secolo scorso – alcuni attrezzi agricoli che costituiscono uno spaccato sulla civiltà contadina dei tempi che furono. Altri link suggeriti: http://www.carmignanodivino.it/it/scopri-carmignano/alla-scoperta-del-territorio/la-rocca-medievale-di-carmignano/, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Toscana/prato/carmignano.htm, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Toscana/prato/carmignano02.htm, https://www.youtube.com/watch?time_continue=90&v=Ubr4GalAKw0 (video di Tuscany Soul)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Carmignano#Architetture_militari, http://www.parcoarcheologicocarmignano.it/emergenze-storico-artistiche/arte-e-cultura/edifici-storici/373

Foto: la prima è presa da http://www.parcoarcheologicocarmignano.it/wp-content/gallery/rocca71.jpg, la seconda è presa da http://www.pratoturismo.it/it/cosa/itinerari/Fortificazioni/rocca-di-carmignano/

giovedì 24 ottobre 2019

Il castello di giovedì 24 ottobre






GROTTE (AG) - Torre di Palo

Secondo Polibio Erbesso dovette essere un villaggio distrutto dai romani nella Prima guerra punica, durante l'assedio della città di Agrigento, e del quale essi si servirono come luogo di deposito di viveri e di materiale bellico. Grotte sotto gli Aragonesi fu terra feudale, cioè terra in cui l'amministrazione del re veniva delegata ad un vassallo che la riceveva in beneficio. Appartenne pertanto ai Ventimiglia, ai Montaperto, poi, nella seconda metà del XVIII secolo a Don Vincenzo La Grua Talmanca Principe di Carini, discendente del protagonista del truce episodio in "La baronessa di Carini" che tanto eco suscitò nel cinquecento in tutta la Sicilia. La Grua, carico di debiti, nel 1800 vendette ed assegnò le proprie terre ai vari creditori. Nel 1471 Giovanni II d'Aragona concesse al Barone Montaperto l'autorizzazione a costruire "... una turri seu fortiliziu cum soi barbacani, baglu et merguli per tutela et defentioni di li persuni coversanti in dictu fegu". La torre di guardia, provvista di merli, venne costruita nella parte più alta del territorio. Nel 1627 il Barone Gaffore acquistò dal vicerè l'autorizzazione all'esercizio della giustizia penale (e ad innalzare nel paese... "furcas, perticas, palos..."); fece perciò erigere, accanto alla già esistente torre, un palo. Da allora la torre venne chiamata "Torre del palo". La costruzione tuttora esistente è ciò che rimane dell'edificio originario, dopo uno scriteriato "restauro". Visitando i tre piani della torre, al primo c’è una piccola stanza con un libro aperto su un leggio; attraverso una scala strettissima e piccolissima, a chiocciola e senza ringhiera, si sale al secondo piano, dove ci sono un tavolo e delle sedie; da lì salendo una scala ancora più ripida e stretta si sale al terzo, per visitare l’osservatorio. E' una stanza con 14 finestre, ognuna delle quali si affaccia in una direzione diversa del territorio di Grotte. Si racconta che in passato la torre era abitata da un monaco che era un grande appassionato di astronomia e da quelle finestre osservava le stelle. Prima del restauro le finestre però erano dodici, come i mesi dell’anno.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Grotte, http://www.grotte.info/ag/territorio.htm, https://www.malgradotuttoweb.it/grotte-i-bambini-del-roncalli-adottano-la-torre-del-palo/

Foto: la prima è presa da https://www.malgradotuttoweb.it/alla-scoperta-della-torre-del-palo/, la seconda (che mostra la torre prima del restauro) è presa da http://www.grotte.info/ag/territorio.htm

mercoledì 23 ottobre 2019

Il castello di mercoledì 23 ottobre




ORVIETO (TR) - Castello in frazione Titignano

Nel 937, un discendente della famiglia francese dei Montemarte, Farolfo, fondò il piccolo villaggio, che venne poi conteso a lungo tra Todi e Orvieto. La famiglia dei Montemarte arrivò in Italia al seguito di Ludovico II il Giovane insieme ad un nutrito numero di nobili ed esponenti del clero. Nel primo secolo di vita e più (937 – 1212) del borgo si assistette ad atti di “soverchieria” da parte dei Montemarte (Conti di Titignano) sia verso i possedimenti di Todi sia verso quelli di Orvieto provocando atti di vendetta e rivalsa da parte ora dell’uno ora dell’altro.Il dominio in questo secolo da parte del comune di Orvieto si rinviene per esclusione, cioè l’assenza del borgo nella lista di luoghi pii e chiese per il comune di Todi in alcuni documenti conservati presso l’Abbazia di Farfa datati 1094 – 1095. Nel 1212 si registrò un’incursione armata da parte dei Tuderti nei confronti del borgo dei Montemarte. Nel 1220 si giunse a stipulare un trattato di pace tra Todi ed Orvieto dove si sancì che sia il castello che tutti i suoi possedimenti fossero posti sotto l’influenza del comune di Todi. Todi a quell’epoca era molto influente sia per l’alleanza con Perugia sia per i domini propri che andavano da Terni, Amelia, sulle terre dei Conti di Marsciano e con una forte dominazione anche su Foligno.Nel 1231 il castello fu distrutto dal momento che i Conti di Titignano si rifiutarono di riconoscere il dominio da parte di Todi. Dobbiamo arrivare al 1257 con la nuova pace tra Todi ed Orvieto per far sì che momentaneamente le contese sul piccolo borgo si quietassero mentre i Conti di Titignano continuarono a godere di una “reale” autonomia e libertà di azione che spesso e volentieri erano state esse stesse la causa delle dispute tra i due comuni. Il borgo negli anni che seguirono venne come “palleggiato” in una estenuante contesa tra i due comuni (Orvieto guelfo – Todi ghibellino). Un atto, datato 1348, da parte dei gerenti di Orvieto riassegnò in maniera inconfutabile il borgo appunto ad Orvieto. Nell’atto si richiedeva un intervento armato a difesa dei territori di competenza oggetto di saccheggi e ruberie. I Conti di Titignano avevano certamente un forte spirito d’indipendenza. Non appena veniva meno l’attenzione da parte di Orvieto la loro forza ed ingerenza sul territorio si faceva sentire tanto da costringere, nel 1414, un intervento militare per riportare l’ordine ed eliminare i malviventi ed i nemici dello Stato pontificio ad opera di Braccio da Montone volto a riaffermare in ogni caso il dominio di Orvieto. Per sistemare la vertenza annosa, non avendo avuto l’esito sperato l’intervento di Braccio da Montone, il Papa, Eugenio IV, con Bolla papale, del 1446, ordinò che il borgo di Titignano venisse confiscato e assegnato alla Reverenda Camera Apostolica per poi concederlo a titolo oneroso (1400 fiorini d’oro) al Comune di Todi. Il dominio di Todi per un altro secolo determinò il consolidamento dell’attività agricola che fiorì grazie ad un periodo di quiete a lungo ricercato. Vi sono atti che testimoniano la difficoltà di individuazione dei confini tra Titignano e Orvieto che sembrarono trovare una soluzione tra gli anni 1562 e 1577. Con tutta probabilità la vertenza proseguì per tutto il XVI secolo che comunque vide confermato, da atti rinvenuti, il dominio di Todi su Titignano. Intorno al XVII secolo il borgo subì profonde modifiche, che lo portarono ad assumere l’aspetto attuale: un palazzo signorile centrale ed il borgo raccolto intorno alla corte. Si assistette parimenti al trasferimento del borgo sotto le pertinenze di Orvieto. Nel 1830 la tenuta passò, a titolo oneroso (16,45 scudi) in un’asta pubblica, ai principi Corsini di Firenze, il cui erede, la Marchesa Nerina Corsini Incisa della Rocchetta, tuttora la possiede assieme ad un vasto contado che abbraccia anche i territori circostanti di Vaglie e Salviano, per una superficie complessiva di circa 3.000 ha. L’economia si basa sullo sviluppo agricolo-enologico: il vino Salviano di Salviano è un prodotto ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) locale. Il castello di Titignano consta di un antico edificio del X secolo trasformato in palazzo, attorniato da un borgo che ha conservato intatta l'atmosfera di un tempo, con chiesa e numerosi edifici in pietra a disegnare il prospetto della piazzetta a dirupo sul lago di Corbara. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=JwvyT3TpUkk (video di ZonaZero), http://www.titignano.it/castello-di-titignano/,

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-titignano-orvieto-tr/, https://it.wikipedia.org/wiki/Titignano_(Orvieto), https://www.touringclub.it/destinazione/dormire/agriturismo/112665/castello-di-titignano-orvieto, http://www.orvietodeiquartieri.it/?p=2845, https://www.youtube.com/watch?v=WcLNAcdABYA (video di K around the World)

Foto: la prima è presa da https://www.bluesoulearth.com/spiritual-inspiration-in-italys-titignano-castle-for-6-days-in-july/, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-titignano-orvieto-tr/ (dove trovate diverse altre immagini)

martedì 22 ottobre 2019

Il castello di martedì 22 ottobre




FINALE LIGURE (SV) - Castel Govone (o Gavone) in frazione Perti

Era la sede principale dei marchesi Del Carretto, signori di Finale. Alla fine del XII secolo (molto probabilmente a partire dal 1172) Enrico I Del Carretto o suo figlio Enrico II stabilirono una "caminata", cioè un palazzo feudale, sopra il colle del Becchignolo, lo sperone roccioso che domina Finalborgo, capitale del marchesato; esso venne ampliato e fortificato da Enrico II nel 1217. Fu demolito parzialmente nel 1448 dalla Repubblica di Genova e subito ricostruito da Giovanni I Del Carretto tra il 1451 e il 1452. Nel corso del secolo successivo il castello fu ulteriormente ampliato ad opera di Alfonso I Del Carretto, del figlio Giovanni II e del nipote Alfonso II. Il progetto di questi ampliamenti è un tipico esempio della cosiddetta "architettura militare di transizione" e sembra ispirato da Francesco di Giorgio, con cui Alfonso dovrebbe aver avuto occasione d'incontrarsi a Roma e forse a Milano. Il primo intervento fu l'aggiunta di un corpo di fabbrica triangolare culminante nella "Torre dei Diamanti" (circa 1490), una torre a forma di carena di nave e coperta da uno splendido bugnato (costruita con pietre riquadrate e sfaccettate a punta di diamante, che volge uno spigolo acuto verso mezzogiorno, essendo costruita su pianta triangolare curvilinea). Il nuovo corpo serviva a difendere il castello da attacchi di artiglieria dal lato del pendio che scende verso il mare. Poco dopo, nel secondo o terzo decennio del XVI secolo cominciò la realizzazione di una cinta rettangolare esterna, la cui costruzione fu completata negli ultimi anni di dominio carrettesco (ante 1558). Ulteriori opere esterne, ma finalizzate alla sicurezza del castello, furono realizzate sotto il dominio spagnolo, con l'obiettivo di potervi ospitare una compagnia di 270 soldati e una grande quantità di munizioni. L'intervento principale fu la costruzione nel 1643 di Castel San Giovanni, che protegge il pendio sotto il castel Gavone, impedendovi l'installazione di artiglierie nemiche. L'ultimo importante intervento, opera di Gaspare Beretta nel 1674, fu lo sbancamento di uno spalto roccioso sul lato settentrionale, sempre per impedire che ci si potessero fortificare gli attaccanti. Simultaneamente furono realizzate alla base della cinta esterna una traversa, una punta e una strada coperta per impedire l'approssimarsi di genieri nemici. Il castello fu nuovamente demolito da artificeri genovesi nel 1715 dopo l'acquisto del Marchesato da parte della Repubblica di Genova, intenzionata a cancellare il simbolo degli antichi avversari. Dunque, il primo governatore della Repubblica, Antonio Spinola, per volere del Consiglio della Superba, ordinò lo smantellamento della fortezza, mediante posa e detonazione di mine. Nella distruzione furono risparmiati parte dei muraglioni laterali, gli ambienti sotterranei e la Torre dei Diamanti, della quale furono però abbattute le volte (oggi la struttura meglio conservata). Molti materiali originari del castello, travature, pietre e colonne, furono utilizzati nel corso del tempo per l'edificazione di chiese, portali e ville finalesi. Il 29 dicembre 1989 l'edificio fu donato dai Cavassola, ultima famiglia proprietaria, al Comune di Finale Ligure, che attualmente sta provvedendo ad un recupero finalizzato alla conservazione e alla fruizione turistica delle imponenti rovine. Il nome comunemente utilizzato negli ultimi due secoli è "Castel Gavone"; recentemente, però, sotto l'influsso di una più approfondita conoscenza del passato, è tornato ad essere utilizzato il nome "Castel Govone". Entrambe le versioni sono attestate nei documenti trecenteschi; anzi Govone sembra prevalere sino al termine dell'epoca spagnola (castillo Govon). Dal XIV al XVI secolo il nome coincide con quello dell'abitato circostante, una frazione di Perti demolita nel corso della costruzione della cerchia di mura cinquecentesche. L'origine del nome è incerta e potrebbe segnalare antichi rapporti con il Piemonte. L'immagine di Castel Gavone appariva anche su alcuni degli esemplari di francobolli della Serie castelli emessi dalle Poste Italiane dagli anni ottanta fino al 1998. Altri link consigliati: http://www.tesoridelponente.it/castel-gavone/, https://my.matterport.com/show/?m=EQ5aGeHrVjk (visita virtuale), https://www.youtube.com/watch?v=VruqewpeWp8 (video di Fabrizio Lena), https://www.youtube.com/watch?v=uxnSV3D8jfM (video di Zuk Ior), https://www.youtube.com/watch?v=RbdeiZzUyTg (video di studiotv54).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Gavone, http://turismo.comunefinaleligure.it/it/castello/castel-govone, https://www.centrostoricofinale.com/i-nostri-luoghi/castel-govone/

Foto: la prima è presa da https://www.musantiqua.it/en/2018/06/11/castel-gavone-a-finale-ligure-sv-la-fortezza-fantasma/, la seconda è presa da https://www.centrostoricofinale.com/prodotto/visita-al-castello-13-10-2019/

lunedì 21 ottobre 2019

Il castello di lunedì 21 ottobre





NIBBIOLA (NO) - Castello Tornielli

Situato nel centro del paese, in posizione leggermente sopraelevata, l'attuale castello risale al XV secolo e presenta tracce di parziali rifacimenti effettuati nel XVIII secolo. Si ha notizia della presenza di una fortificazione nel borgo di Nibbiola già nel 1198, fatta dagli allora consoli del comune, i Graciano di San Vittore. Passò quindi a diverse famiglie di Novara e di Milano (gli Sforza, i della Porta, i Tornielli e gli Ala Ponzone). Il castello fu eseguito ex novo, probabilmente, fra Quattrocento e Cinquecento proprio dai Tornielli, e fu realizzato in una località differente ove sorgeva il primitivo castellacium. Il progetto si deve, sicuramente, a un perito ingegnere militare rimasto anonimo che disegnò la struttura in modo da acconsentire lo sparo dei cannoni dall’interno del maniero e al contempo, la difesa dal fuoco nemico. Le merlature, pertanto, non furono eseguite eccessivamente esposte mentre i muri di cortina furono realizzati lodevolmente e rinforzati con torri protette da scarpate e terrapieni, il tutto fu cinto da un fossato. Nel Settecento, probabilmente, furono ribassate le torri e aggiunto, all’interno, un portico con archi ribassati e cinque colonne di granito. A completamento di questo intervento furono aperte ampie finestre e undici balconi di ferro battuto, di cui alcuni incorniciati da stucchi. I proprietari del tempo, non paghi, fecero aprire esternamente grandi finestre e un balcone sopra l’ingresso principale e misero cancelli di ferro battuto per chiudere i giardini; furono poi eseguiti nelle sale, stucchi e affreschi così da appagare il gusto barocco ancora imperante nelle terre del Novarese ancora nel XVIII secolo inoltrato. Nell’Ottocento i marchesi Ala Ponzone, originari, di Cremona figuravano proprietari del castello. Il marchese Filippo Ala Ponzone moriva nel 1885 e lasciava il castello di Nibbiola alla figlia Paolina. La nobildonna nel 1921, però, vendeva tutti i possedimenti di Nibbiola, fra cui il castello. Nel corso del Novecento e nel corso Novecento i proprietari si susseguirono e fra loro si cita il signor Secondo Marchetti di Nibbiola. Costruito in mattoni a vista e di impianto quadrangolare come tradizionale per i castelli di pianura lombarda, presenta sul lato di accesso (rivolto a ponente, che è ancora quello meglio conservato e sul quale sono ancora visibili il fossato, i merli, le caditoie, il ponte levatoio corredato da balconi in legno, le catene e i cardini di ferro), due torri angolari e una torre centrale a difesa dell'ingresso. All'interno, prospicente al vasto cortile, si affaccia un porticato formato da cinque colonne in granito, realizzato nella sua forma attuale nel XVIII secolo. Dal cortile si accede al "Giardinone", realizzato quando il complesso aveva funzioni residenziali e non più difensive. Il giardino è interamente circondato da un grande muraglione ed era collegato tramite un viale al laghetto dove si trovava un casotto di caccia col bordello e le gondole. Le finestre del piano nobile sono elegantemente decorate da stucchi e graziosi sono i balconcini settecenteschi in ferro battuto. Alcuni saloni interni sono decorati con affreschi risalenti al XVIII secolo. Nel castello è situato un oratorio devozionale privato, dedicato a San Francesco da Paola. Dell'antica decorazione quattrocentesca del maniero è visibile solo un motivo a denti di sega, posto sulla finestra ad arco ribassato di sud-est. L'edificio fu in gran parte rimaneggiato nel Settecento, con la trasformazione dell'interno in vasti saloni, l'apertura di finestre quadrate, spesso provviste di balconcini in ferro battuto, l'aggiunta di un loggiato interno. I merli sulle torri sono invece dell'Ottocento. Una delle caratteristiche di questo castello è che conserva ancora uno dei pochi ponti levatoi funzionanti. Altri link suggeriti: https://www.turismonovara.it/it/ArteStoriaScheda?Id=54, http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_NO_Nibbiola.htm (varie foto interessanti),

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Nibbiola, https://www.comune.nibbiola.no.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-dei-tornielli-sec-xvi-1508-1-7e9642c99f50bcd94c59251ea96c529b, http://www.centocastellinovara.it/castle?id=151

Foto: la prima è di Alessandro Vecchi su https://it.wikipedia.org/wiki/Nibbiola#/media/File:Nibbiola_Castello.jpg, la seconda e la terza sono del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini, scattate sul posto nello scorso luglio

giovedì 17 ottobre 2019

Il castello di giovedì 17 ottobre




CALATABIANO (CT) - Castello Arabo-Normanno

La storia di Calatabiano è strettamente collegata a quella del suo castello, che si erge su un'altura a 160 metri d'altitudine, all'imboccatura meridionale della Valle dell'Alcantara. Con tutta probabilità, stante l'importanza strategica e militare del sito, una fortezza doveva già essere presente in epoca greca e forse addirittura sicula. A tal proposito Julius Schubring sostenne che i Siculi dovevano tenere un caposaldo all'imboccatura della valle, di fronte al monte Tauro, nominato come Castello di Bidio, ma tale ipotesi non è mai stata suffragata dai reperti archeologici rinvenuti, che hanno invece datazione posteriore al IV secolo d.C.. Il castello, nella sua conformazione attuale, con l'annesso borgo collinare cinto da mura merlate, è riconducibile a una prima fortificazione sommitale di epoca bizantina, come dedotto grazie agli scavi effettuati alla fine del XX secolo e agli inizi del secolo successivo. La monetazione bizantina ritrovata va dall'epoca dell'Imperatore Eraclio all'Imperatore Leone VI. I ritrovamenti archeologici dell'ultima campagna di scavi del 2008/2009 non hanno dato alcun segno di frequentazione araba del sito. Il toponimo del paese è di derivazione dall'arabo قلعة, kalaat (castello), mentre -biano non è riconducibile a un nome arabo. Sotto il dominio normanno, regnando Ruggero II, nel 1135 Calatabiano fu elevata a baronia. Della presenza di un incastellamento veniamo a sapere solo in seguito, grazie al Libro di Ruggero composto da Idrisi nel 1154, che cita per la prima volta il Kalaat-al Bian. L'uso della lingua araba da parte del geografo ha evidentemente condotto all'errata convinzione che il castello fosse di origine berbera. In epoca sveva, dopo la morte di Federico II, il castello fu dato da Corrado IV a Giovanni Moro, servitore musulmano di suo padre. Dopo la morte di Corrado, Giovanni passò al fianco di Innocenzo IV mettendosi contro Manfredi di Hohenstaufen: in una lettera del 3 novembre 1254, il papa conferma a Giovanni Moro alcuni possedimenti, tra cui il castrum di Calatabiano, in cambio dei quali Giovanni doveva garantire, alla bisogna, aiuto militare per la difesa del Regno di Sicilia. Tra i vari signori che si succedettero nel corso dei secoli, il periodo più fulgido nella storia di Calatabiano si ebbe con la signoria dei Cruyllas. Famiglia di origine catalana, i Cruyllas ottennero la baronia nel 1396 tenendola per circa un secolo, ingrandendo il castello fino alle dimensioni attuali ed edificando la Chiesa del Santissimo Crocifisso. Esauritasi la successione per linea maschile, questa continuò per linea femminile con il passaggio della signoria prima ai Moncada e poi ai Gravina, principi di Palagonia. Nel 1544 si ebbe la venuta del pirata Dragut che, sbarcato sul lido di San Marco, espugnò e saccheggiò il borgo. Nel 1677, a seguito della rivolta antispagnola di Messina i francesi assediarono lungamente il castello, venendo respinti dai 150 difensori spagnoli e poi sopraffatti dai soverchianti rinforzi. Il borgo e il castello vennero completamente abbandonati a seguito del Terremoto del Val di Noto del 1693, che danneggiò gravemente l'abitato. La popolazione si reinsediò ai piedi della collina da dove da qualche decennio insisteva già un piccolo insediamento, primo nucleo della Calatabiano moderna, che progressivamente si espanse sulla pianura. Visitando il castello, spicca il portale di ingresso, costituito da un arco a sesto con dei conci lavici di pietra arenaria, sormontato da beccatelli reggenti. Entrando ci si ritrova in un cortile largo circa 8 m, sulla cui destra si trovano due cisterne con feritoie. Delle mura di cinta rimane il perimetro completo con resti di merlature guelfe. Uno degli ambienti più pregievoli del castello è il "Salone dei Cruyllas", situato al centro del cortile e dal cui interno, attraverso due finestre, si può ammirare una bellisima veduta della valle dell'Alcantara. Al centro del salone vi è uno stupefacente arco in pietra bianca di Taormina che divide simmetricamente in due parti il il grande ambiente, sulla cui pietra di volta si trova il blasone dei Cruyllas. Tra i vani che si affacciano sul cortile vi è ad ovest una cappella con abside, al centro della quale vi è una feritoia. In una zona più alta del maniero, dove fu costruito il primo nucle difensivo, si arriva attraverso un portale decorato da conci lavici artisticamente lavorati. Salendo una scaletta intagliata nella roccia si accede al "Mastio" formato da un corpo centrale rettangolare delimitato alle estremità da due torrioni semicircolari. Nella parte centrale del Mastio vi è una "PUSTERIA", un'apertura che consentiva l'uscita d'emergenza sul pendio ripido del monte. L'approvigionamento idrico del maniero era affidato alla raccolta di acqua piovana nelle 6 cisterne sparse in tutta l'area interna. Solo qualche rudere rimane invece del borgo abbandonato nel 1693. Dopo decenni di abbandoni, nel luglio 2009, il castello di Calatabiano è tornato agli antichi splendori grazie al sapiente progetto di restauro dell'architetto Daniele Raneri, il quale ha ridato lustro non solo ad una delle fortificazioni più suggestive della Sicilia orientale, ma ha praticamente riscritto la storia del castello stesso. Il complesso è stato ristrutturato e divenuto una meta apprezzata dai turisti. La ristrutturazione ha portato alla creazione di bar, pizzerie e sale per convegni edificate all'interno del castello in uno stile decisamente moderno. Il castello, posto sopra una collina alta 220 m rispetto al livello del mare, è raggiungibile tramite una strada tortuosa o tramite una funivia costruita durante la restaurazione del suddetto castello. Ancora oggi sono in atto progetti per il miglioramento del castello e scavi archeologici che portano sempre nuovi reperti risalenti alle epoche precedenti. Ecco il sito web del monumento: https://www.castellocalatabiano.com/. Altri link suggeriti: http://www.medioevosicilia.eu/markIII/castello-di-calatabiano/, https://comune.calatabiano.ct.it/turismo/castello-arabo-normanno/, https://www.youtube.com/watch?v=XFYG3CyzEa8 (video di todaronetwork), https://www.youtube.com/watch?v=19yATztOc0k (video di Vincenzo Adorno), https://www.raiplay.it/video/2019/04/Sapiens-Un-solo-pianeta-Castello-di-Calatabiano-abc302b3-4e92-412f-98b1-c1f90be4176b.html (video), https://www.youtube.com/watch?v=52D62burCys (video di Qui Sicilia)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Calatabiano#Castello, https://www.icastelli.it/it/sicilia/catania/calatabiano/castello-di-calatabiano

Foto: la prima è presa da http://www.italianways.com/il-castello-di-calatabiano-sicilia-di-arabi-e-prosperita/, la seconda è un fermo immagine del video di Vincenzo Adorno (https://www.youtube.com/watch?v=19yATztOc0k)

mercoledì 16 ottobre 2019

Il castello di mercoledì 16 ottobre



GOITO (MN) - Castello o Villa Magnaguti in frazione Cerlongo

Il castello di Cerlongo è un'antica roccaforte che conserva inalterato l'originario impianto, oltre ad alcuni edifici medievali e le opere difensive, tra cui le tre torri e le mura perimetrali. Ignota l'epoca di costruzione, il castello era preesistente al Ducato di Mantova, allorché i duchi Gonzaga si recavano nella località di Cerlongo perché rigogliosa di alberi da frutta, soprattutto di ciliegi. In una sala dell'edificio una lapide ricorda che il 25 giugno 1866 vi soggiornò il re Vittorio Emanuele II. Si tratta della residenza padronale più significativa di Cerlongo, profondamente rimaneggiata nel corso dei secoli rispetto a quella che doveva essere l'originaria struttura. In passato la costruzione assolse alla funzione di residenza signorile: costituì infatti un possesso della famiglia Cocastelli (i Cocastelli, originari del Monferrato, Piemonte, ottennero la dignità comitale nel 1228 da Bonifacio del Monferrato. La famiglia si trasferì a Mantova a fine XVI secolo (CASTAGNA 1991, p. 211), da cui poi venne acquistata, nel corso dell'Ottocento, dalla famiglia Magnaguti (la famiglia Magnaguti, originaria del Polesine, Rovigo, si trasferì a Mantova nel XVI secolo; i Magnaguti ebbero vari possedimenti nel mantovano e ottennero il titolo di conti nel 1771 (CASTAGNA 1992, p. 133), che ne fece la sua residenza di campagna. Nel Catasto Teresiano (mappale n. 1913), rilevato nel 1776, la struttura risulta indicata come casa e corte in parte di villeggiatura, di proprietà del Rev. Vincenzo Scaratti di Medole. Durante le battaglie risorgimentali la villa ospitò la sede del quartier generale piemontese. A metà del 1950 l'edificio venne adibito a istituto religioso, sede di una congregazione di suore, le "Povere Figlie di Maria S.S. Incoronata". Attualmente Villa Magnaguti appartiene al Comune di Goito. L'attuale impianto della villa, sviluppato orizzontalmente con andamento NS nella porzione sud della frazione, credibilmente differisce dall'assetto originario della stessa, che doveva probabilmente presentarsi come costituita da più corpi disposti attorno a una corte. L'edificio è strutturato su due piani sovrapposti (M. DALLA BELLA 2007, p. 48), uno di servizio, inferiore, e un piano rialzato, quello nobile destinato alla rappresentanza (in una delle sale del piano nobile è collocata una lapide con la seguente iscrizione: «In questa camera Vittorio Emanuele II riposava le stanche membra il 25 giugno 1866 nel fiero proposito di riscattare dallo straniero Mantova e Venezia»). Lo schema a forma di parallelepipedo compatto, elevato su due piani di Villa Magnaguti, è ricorrente nelle ville più semplici e antiche, riferibile al XVI e XVII secolo ( a tale proposito si veda TOMASSINI 2003, p. 167). In questo caso la struttura è stata arricchita da elementi il cui aspetto stilistico rinvia a un periodo più tardo, evidentemente si tratta di decori aggiunti in epoche successive a quelle della costruzione. Il fatto che la villa venga spesso classificata come villa ottocentesca è dovuto all'analisi della facciata verso la strada, la quale presenta un aspetto neo - castellano, in virtù dei tre finti torrioni che la scandiscono, realizzati su imitazione delle architetture medievali nel XIX secolo. La torre merlata centrale appare più elevata rispetto a quelle laterali, da cui la dividono due corpi intermedi più bassi ed è collocata in corrispondenza della scalinata marmorea d'ingresso. L'altra facciata, verso il parco (all'epoca dei Gonzaga tale parco vantava la presenza di una ricca vegetazione, composta di ficus tropicalis, olmi, faggi, magnolie, ippocastani e filari campestri di ciliegi; BORIANI 1969, p. 71. Vi erano presenti anche cedri del Libano di grandi dimensioni, abbattuti dalle suore quando divennero proprietarie della villa e del parco - Nota riferitami oralmente da Sergio Cobelli, ex abitante di Cerlongo - ) della villa, presenta un aspetto più lineare ed è timpanata. Sul lato meridionale della piazza è collocata la torre, interposta a due abitazioni, di cui costituisce l'accesso; si tratta forse dell'unico elemento della villa che conserva più di altri il ricordo di una primitiva struttura. È probabile che tale villa costituisse originariamente l'abitazione di Giovanni Boniforte (Giovanni Boniforte era figlio del mercante Bertone da Concorezzo. La famiglia milanese dei Concorezzo si era stabilita a Mantova nel XV secolo, dove aveva avviato un vasto commercio di lana e tessuti, con l'appoggio della famiglia Gonzaga, legame ulteriormente rafforzato dal matrimonio di Giovanni con Bartolomea. Giovanni Boniforte possedeva una conceria in Piazza Erbe a Mantova, dove venivano tinti e lavorati panni e cuoio, tramite il tannino; quest'ultimo veniva estratto dalle querce, specie arboree molto diffuse nell'area mantovana. Inoltre, Giovanni aveva ereditato dal padre terre e armenti del territorio di Cerlongo, fondamentali per la fornitura di pellame e lana che erano alla base della sua attività commerciale; E. COMERLENGHI 2007, pp. 321-323; www.turismo.mantova.it: articolo "La storia della casa del mercante" di Maria Rosa Govio Casali Valparini), il quale aveva un «chasamento» (esistono tre lettere scritte nell'inverno 1463 da Giovanni Boniforte e dalla moglie dalla loro dimora in Cerlongo, indirizzate al marchese Ludovico II Gonzaga: ASMn, AG. b. 2399, cc. 50-53) in Cerlongo; verosimilmente le nobili origini della moglie, Bartolomea Gonzaga, giustificano il pregio architettonico dell'edificio. Nonostante il profondo rimaneggiamento, le murature appaiono conservare ancora memoria dell'antico, come si può osservare negli ambienti interni, dove alcune stanze hanno conservato paramenti e decorazioni databili ai secoli XVII, XVIII. Tramite la porta d'ingresso del palazzo si accede ad un piccolo atrio decorato con motivi floreali e bucolici; il soffitto è dipinto alla stregua di un cielo in cui si librano putti che reggono canestri di fiori e frutta. Gli affreschi, di autore ignoto (tra i locali si tramanda che tali affreschi furono eseguiti da un pittore girovago della zona che, in cambio di alloggio, si offriva di dipingere), ricalcano schemi tardo settecenteschi, eseguiti però in un periodo più tardo, forse fine Ottocento; il soggetto degli affreschi, un corteo di Venere, sembrerebbe alludere ad un matrimonio, verosimilmente quello del conte Lodovico Magnaguti con Faustina Rondinini, tenutosi il 2 giugno 1829, come confermerebbero i rispettivi stemmi , rappresentati su un arazzo dipinto nell'ultima stanza a destra dell'atrio d'ingresso. Il pavimento all'ingresso riporta un mosaico ottocentesco racchiuso all'interno di un cerchio, con la rappresentazione dell'arma gentilizia dei Magnaguti: una cicogna che tiene nel becco un serpente verde su uno sfondo azzurro. La prima stanza a destra conduce verso una scala, tramite la quale si accede ai piani superiori e ai sotterranei. In questi ultimi la presenza di pareti scandite da ciottoli in sequenze ordinate fa propendere per una fase medievale della villa stessa. Le fondamenta risultano quindi conservare la parte più antica della struttura. Altro link consigliato: https://www.comune.goito.mn.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-cerlongo-villa-magnaguti-43840-1-ca0768c4642a2bb284d8c495609b53eb

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Cerlongo, https://it.wikipedia.org/wiki/Cerlongo

Foto: la prima è presa da https://www.facebook.com/229245327248907/photos/a.229248523915254/829876293852471/?type=1&theater (profilo Facebook "Premio Castello d'Arte Contemporanea"), la seconda è di Massimo Telò su https://it.wikipedia.org/wiki/Cerlongo#/media/File:Cerlongo-Villa_Magnaguti.JPG

martedì 15 ottobre 2019

Il castello di martedì 15 ottobre



OTRANTO (LE) - Castello Aragonese

Importante testa di ponte verso l'Oriente, la città di Otranto è stata munita fin dall'antichità di sistemi di difesa ed opere fortificate, aggiornate nel corso dei secoli dalle dominazioni che vi si sono avvicendate. L'assedio subito dalla città nel 1067 danneggiò gravemente il fortilizio che fu riparato e potenziato qualche anno più tardi per volere di Roberto il Guiscardo. Della ricostruzione promossa nel 1228 da Federico II di Svevia rimangono invece tracce evidenti della torre del corpo mediano cilindrico, inglobata nel bastione a punta di lancia, e nella cortina muraria di nord-est. Dopo il Sacco di Otranto del 1480, anno in cui tutto il Meridione d'Italia fu oggetto dell'attacco turco, il Castello dovette essere ricostruito, cosa che fece Alfonso d'Aragona duca di Calabria. Alla fine del secolo, quando la città fu data in pegno ai veneziani, la struttura fu ulteriormente potenziata con l'aggiunta di artiglierie e bombarde. Della fase aragonese rimangono solo un torrione e parte delle mura. L'aspetto attuale del fortilizio si deve infatti ai Viceré spagnoli, che ne fecero un vero e proprio capolavoro di architettura militare: opere di difesa straordinaria furono attuate nel 1535 da Don Pedro di Toledo, di cui rimane lo stemma sul portale d'ingresso e sulla cortina esterna. I due bastioni poligonali aggiunti nel 1578 sul versante rivolto al mare, inglobarono il preesistente bastione aragonese. Alla metà del secolo successivo il leccese G. F. Saponaro fu incaricato di rafforzare ulteriormente il Castello. La fortificazione, nella sua configurazione iniziale, di fine '400, si presentava a forma di quadrilatero (trapezio rettangolo), con ai vertici quattro rondelle (torri circolari) realizzate in carparo, con quella rivolta verso il mare in posizione più sporgente, come spesso rappresentato nei trattati da Francesco di Giorgio Martini. La configurazione che oggi osserviamo è frutto di costanti modificazioni, che interessarono la fortezza per tutto il '500, imposte dalla continua evoluzione e perfezionamento delle armi da fuoco. Il castello è delimitato su tutti i lati da un profondo fossato che viene superato all'ingresso con un ponte, oggi con arco in pietra e calpestio in legno, probabilmente in origine di tipo levatoio. Un corridoio stretto immette direttamente nell'atrio del piano terra. Attraversandolo si nota l'ispessimento della facciata realizzato agli inizi del '500. Tutti gli ambienti del piano, sviluppati a ridosso delle cortine esterne, a pianta rettangolare o quadrata, si affacciano sul cortile interno e sono coperti da sistemi a volta. All'esterno del quadrilatero originario si sviluppano due ambienti, certamente tra i più rappresentativi dell'intera struttura: le sale triangolare e rettangolare. La sala triangolare fu generata dagli ampliamenti di metà '500, quando fu aggiunto all'esterno il bastione tra le due rondelle. Particolarmente suggestiva è la copertura a volta di questa sala definita dall'intersezione di tre unghie di padiglione in pietra carparo che seguono la particolare forma in pianta del locale. La Cappella al piano terra si presenta parzialmente affrescata e contiene al suo interno varie cornici ed epigrafi, tra le quali quelle della tomba di Donna Teresa De Azevedo, morta il 23 febbraio del 1707, alla quale il marito, Don Francesco de la Serna e Molina, castellano dell'epoca, dedicò una tenerissima epigrafe in cui la indica quale "esempio di pudicizia, dea di bellezza, modello di onestà, prole di eroi spagnoli". Al di sotto del piano terra si sviluppa un intrigo di cunicoli, gallerie e piccoli ambienti, che definisce il sistema dei "sotterranei". Si tratta di ambienti di grande valore storico, molto suggestivi, rimasti immodificati sin dalla loro costruzione, risalente al primo impianto di fine '400. Solo alcuni percorsi hanno subito, con il perfezionamento delle armi da fuoco, nel '500, piccole trasformazioni e ampliamenti. I sotterranei sono il luogo in cui diventa più facile leggere le differenti fasi che hanno caratterizzato la costruzione del castello: il primo impianto di fine '400, le fodere e i rinforzi delle cortine e di alcune rondelle di inizio '500, l'aggiunta del bastione triangolare di metà '500 e, infine, la realizzazione del puntone verso mare di fine '500 (chiamato Punta di Diamante e costruito da Scipione Campi e Paduan Schiero di Lecce). Attraverso una scala in pietra coperta e una scala esterna, sempre in pietra, si può raggiungere il ballatoio del primo piano, che garantisce l'ingresso ad una serie di ambienti che ricalcano in grandi linee posizione e impostazione del piano terra. Da questo livello si accede, però, all'interno delle tre rondelle ancora oggi presenti agli spigoli: Alfonsina (in onore di Alfonso d’Aragona, duca di Calabria), Ippolita e Duchessa (in memoria della moglie del suddetto Alfonso). Nel cuore delle rondelle, protette da una spessa cortina esterna, sono presenti ambienti a pianta circolare, coperti da cupole emisferiche in pietra carparo, in cui erano collocate bombarde e cannoni orientati verso bocche di fuoco comunicanti con l'esterno.
Sulle coperture sono presenti i percorsi di ronda, protetti da muri molto spessi con feritoie per la disposizione di cannoniere. Sia sulle cortine esterne che all'interno dell'atrio sono presenti alcuni stemmi araldici di sovrani e nobili, protagonisti della storia del Castello. Particolarmente interessante quello posto sul portone d'ingresso con lo stemma scolpito dell'Imperatore Carlo V.
La fortezza otrantina ispirò il primo romanzo gotico della storia, "Il castello di Otranto", di Horace Walpole (1764) ed il libretto di un'opera buffa, "Le Baron d'Otrante" (1769) di Voltaire. L’ampio fossato, che per buona parte circonda il castello, ospita ogni anno in primavera le Giornate Medioevali, durante le quali vengono rievocati quei tempi antichi tra dame, cavalieri, cantastorie e fiere. Altri link suggeriti: https://www.turismo.it/cultura/articolo/art/otranto-cosa-scoprire-nel-castello-degli-aragonesi-id-10462/, https://www.youtube.com/watch?v=-EX-ETnaFgo (video di You Box Salento), https://www.canaleeuropa.tv/it/museum/otranto-castello-aragonese.html (video di CanaleEuropa.tv), http://www.salentoweb.tv/video/8708/caccia-fantasma-castello-otranto (video di salentoweb.tv in cui si parla di presenza di fantasmi), https://www.youtube.com/watch?v=3aCLHVbA5M4 (video di Radio Social Web)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Otranto, https://www.comune.otranto.le.it/vivere-il-comune/territorio/da-visitare/item/castello-aragonese, https://viaggiareinpuglia.it/at/1/castellotorre/83/it/Castello-di-Otranto, https://www.cortedelsalento.net/salento-dintorni/otranto-scopriamo-il-castello-aragonese/, http://www.otrantopoint.com/il-castello-di-otranto.html

Foto: la prima è presa da https://www.fulltravel.it/guide/castello-di-otranto/46426, la seconda è presa da https://www.hotelkoine.it/vacanze-otranto/castello-di-otranto/

lunedì 14 ottobre 2019

Il castello di lunedì 14 ottobre




TIROLO (BZ) - Castel Fontana (o Brunnenburg)

Castel Fontana si erge su un cono detritico di origine glaciale tra Tirolo e l’omonimo castello. Fu edificato nel 1241, allora nel territorio della diocesi di Coira, da Wilhelm Tarant al servizio del Conte Alberto III di Tirolo. Nel tempo fu diverse volte distrutto e quindi ricostruito. Il castello deve probabilmente il suo nome ad una sorgente, che poteva essere esistita nelle sue vicinanze; anche le attestazioni del castello come Prunnenberch nel 1285 e Brunnberg nel 1437 fanno propendere per tale etimologia. Un'altra ipotesi fa derivare il nome del castello da quello di uno dei suoi numerosi proprietari. Nel 1356 fu acquistato dai fratelli Heinrich e Johann von Bopfingen. Heinrich era parroco di Tirolo, delegato di Ludovico von Brandenburg e Capitano della contea del Tirolo (fino al 1359); Johann era soprannominato il trovatore (Minnesänger). Nel 1421 il castello fu acquistato dal capellano del Duca Federico Tascavuota, Ulrich Putsch, che successivamente divenne vescovo della Diocesi di Bressanone. Nel 1457 il maniero fu acquistato da Hans (o Johann) von Kripp, alla famiglia del quale appartenne sino al 1812, anche se già nel 1600 la fortificazione veniva descritta come "vecchio castello diroccato". Nel 1705 il contadino Gregor Hofer iniziò a far restaurare il complesso, realizzando alcuni lavori strutturali. Nel 1884 un altro contadino, Michael Sonnenburger, borgomastro di Tirolo, prese possesso del castello. Fu nel 1889 che si inaugurò il tiro a segno, con grande parata di Schützen, e come ospite d'onore l'arciduca Francesco Ferdinando, che fu poi assassinato a Sarajevo nel 1914. Nel 1903 il castello fu acquistato da Karl Schwickert, industriale di Pforzheim (in Renania), il quale diede inizio ad un restauro, senza risparmio di mezzi e risorse. Questo restauro, però, trasformò radicalmente la struttura del castello, che venne quasi ridisegnato seguendo il gusto del nuovo proprietario (si nota un vago richiamo allo stile neogotico). L'opera non fu mai terminata a causa della morte di Schwickert (1927), e l'edificio cadde nuovamente in rovina. Nel 1955 venne acquistato dal principe Boris de Rachewiltz (professore ed egittologo), che nel 1946 aveva sposato Mary, la figlia del poeta statunitense Ezra Pound e di Olga Rudge. Pound vi risiedette dal 1958 fino alla sua morte. Nel periodo che trascorse al castello, il poeta compose gli ultimi 6 dei suoi 116 Cantos:
«il tempio è sacro perché non è in vendita» (Ezra Pound, Canto 97)
Diventato il Museo agricolo Brunnenburg (Landwirtschaftsmuseum Brunnenburg) nel 1974, il castello illustra usanze e modi di lavoro dei contadini della zona, ed è attualmente visitabile ogni giorno, da aprile ad ottobre (https://www.brunnenburg.net/it/). Durante la visita a Castel Fontana si possono ammirare diversi animali domestici a rischio d’estinzione, tra cui maiali mangalica, pecore zackel, pecore fiemmesi, capre fasane, capre grigie tirolesi, anatre, oche e galline rare. Il castello ospita pure un Ezra Pound Center for Literature, legato alla University of New Orleans (USA). Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=VXHb5pYNFDk (video di Eric Hudiburg), https://it-it.facebook.com/QuanteStorieRai3/videos/museo-di-brunnenburg/2010538609028694/ (altro video).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Fontana, https://www.merano-suedtirol.it/it/tirolo/natura-cultura/luoghi-d-interesse/castel-fontana/rid-0D7415E4C09642BEB5BEA03E8B8227A2-p-castel-fontana.html, https://www.suedtirol.info/it/esperienze/Castel-Fontana_activity_74939

Foto: la prima è presa da https://www.erika.it/de/ausfluege-region/sehenswertes/die-brunnenburg/, la seconda è presa da https://www.sentres.com/en/castle-brunnenburg

giovedì 10 ottobre 2019

Il castello di giovedì 10 ottobre




AMELIA (TR) - Castello di Montecampano

Fin dall’antichità fu conosciuto con il toponimo di "Mons Campanus". La sua notevole posizione strategica di controllo sulle valli prospicienti e sulla vicina via Amerina suscitò le attenzioni di Amelia che l’acquistò nel 1354. In data 1 ottobre 1387 si procedette alla nomina, per la durata di due mesi, dei Castellani del contado amerino, a Montecampano fu nominato Pietro di Ser Paolo.
Nel 1399 la comunità di Montecampano si rivolse al Consiglio degli Anziani di Amelia perché intervenissero a riparare alcuni tratti di mura franate e nel 1405, ottenne il consolidamento di mura e torri di guardia. Nel 1412 il castello subì tuttavia una prima devastazione da parte di Braccio da Montone, allora comandante delle truppe pontificie e che sarebbe divenuto, pochi anni più tardi, signore di Perugia. Montecampano seguì negli anni successivi le sorti di Fornole, subì diversi attacchi da parte delle truppe papali; ancora nel 1434 fu incendiato per ordine di Niccolò Piccinino, rivale di Francesco Sforza, all’epoca signore di Amelia. Nel corso del Cinquecento il castello fu ancora meta di rovinose incursioni da parte delle famiglie Vitelli e Orsini e da parte dell’esercito della vicina Orte, pronta a sfruttare ogni occasione propizia per sottrarre territori ad Amelia e condurli nell’orbita della sua influenza. Nel consiglio decemvirale di Amelia del 21 ottobre 1561, si delibera che “montecampanenses non colant bona Hortanorum” gli uomini di Montecampano non debbano coltivare proprietà appartenenti agli Ortani e gli Anziani provvedano in merito, “sub pena per eos arbitranda et applicanda” comminando le pene che riterranno più opportune. Successivamente, per molto tempo, il castello fu possedimento dell’aristocratica famiglia dei Conti Cansacchi, una casata proprietaria di diverse tenute terriere e di immobili tra cui due palazzi di grande pregio architettonico situati nel centro di Amelia (Palazzo Cansacchi della Valle Superiore in contrada “Platea” e Palazzo Cansacchi in contrada “Posterola” eretto a fianco dell’Ospedale di Santa Maria dei Laici). Nel 1816, a seguito del motu proprio di papa Pio VII del 6 luglio sull’organizzazione dell’amministrazione pubblica, il territorio di Montecampano venne inglobato nella Comunità di Amelia. Attualmente è frazione del Comune di Amelia. Dell’originario impianto castellano rimangono alcuni tratti di mura e alcune belle torri. L’interno è caratterizzato da via Cansacchi, con ai lati dei bei palazzetti ed un antico orologio pubblico situato su di un cavalcavia che collega due edifici affacciati sui lati opposti della via. La chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli non presenta più l’originario aspetto medievale per le numerose manomissioni subite nei secoli. Tutt’attorno alla collina su cui insiste l’abitato si aprono panorami mozzafiato sulle vallate circostanti che mostrano in lontananza, tra ampi boschi e terreni coltivati, solitarie pievi dirute e antichi casali, residenze appartenute in passato a nobili famiglie amerine tra cui i Venturelli, Racani, Boccarini, Catenacci e i Farrattini.

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-montecampano-amelia-tr/, http://turismoqr.it/amelia/montecampano.html

Foto: entrambe prese da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-montecampano-amelia-tr/

mercoledì 9 ottobre 2019

Il castello di mercoledì 9 ottobre




BRUSSON (AO) - Castello di Graines

Sorge su un alto promontorio roccioso, dal quale domina l'abitato di Brusson e gran parte della Val d'Ayas. Si tratta di una posizione decisamente strategica: oltre ad essere ideale dal punto di vista difensivo, la posizione sopraelevata gli permetteva di controllare visivamente il vasto territorio circostante. Non trova alcun riscontro oggettivo la pretesa comunicazione, magari tramite specchi o bandiere colorate, con la torre di Bonot e con il castello di Ville a Challand-Saint-Victor, poiché né l'una né l'altro sono in comunicazione visiva con il castello. Il feudo di Graines possiede una storia molto antica che risale al 515 quando il principe Sigismondo il Santo, re dei Burgundi dall'anno 516, ricostruì l'Abbazia di Saint-Maurice d'Agaune nel Vallese. Per garantire ai monaci rendite sufficienti alle ingenti necessità della nuova abbazia, donò inoltre numerosi possedimenti tra cui il ricco e fertile feudo di Graines. Nel 1263 i monaci infeudarono il maniero ed alcune terre circostanti a Gotofredo di Challant, nipote del Visconte Bosone di Aosta e fedele servitore dei Conti di Savoia. I Challant amministrarono questo feudo fino al tardo 1700, riconoscendosi vassalli dell'Abbazia di Saint-Maurice d'Agaune. A metà del 1400 il castello fu ristrutturato e fortificato e fu una delle roccaforti usate da Caterina di Challant e Pierre d'Introd durante la lotta per la successione al padre Francesco di Challant. All'estinzione della casata degli Challant nel 1800, il castello, ormai allo stato di rudere, passò alla famiglia Passerin d'Entrèves. È stato in seguito acquisito al demanio della Regione Autonoma Valle d'Aosta. Alla fine del XIX secolo il noto architetto Alfredo D’Andrade intraprese degli interventi di restauro volti a ricostruire la parte occidentale del donjon ed alcuni tratti di cortina muraria. Negli anni Novanta del Novecento, ulteriori lavori di messa in sicurezza hanno interessato il sito, senza tuttavia modificare l’immagine ormai storicizzata delle rovine della fortificazione. Una campagna di indagini archeologiche cominciata nel 2010 per acquisire ulteriori dati relativi al castello, ha permesso di completare la fedele ricostruzione di alcune parti del sito, quali la scarpa esterna della cinta muraria meridionale ed i cosiddetti edifici sud-occidentali. Grazie al programma transfrontaliero AVER (Anciennes Vestiges En Ruine) che vede coinvolte Savoia, Vallese e Valle d'Aosta, il castello è stato restaurato ed è liberamente accessibile. Graines è un tipico esempio di castello primitivo valdostano. Era composto essenzialmente da un'ampia cinta muraria, di circa 80 metri per 50 e di forma irregolare per adattarsi alla natura del terreno (è mancante sul lato strapiombante, dove si ritenne inutile realizzarla), che racchiudeva all'interno le altre costruzioni tra cui una grande torre quadrata, la cisterna per la raccolta dell'acqua piovana ed una piccola cappella, le uniche di cui sia rimasta traccia. La torre quadrata, o donjon, poggiante su un solido zoccolo a scarpa, mostra una struttura massiccia e misura più di 5,5 metri di lato. Essa era il mastio del castello, originariamente merlato, ma privo di copertura a vista. Oltre ad essere l'abitazione del signore rappresentava l'ultimo baluardo della difesa, come dimostrano le piccole finestre e l'ingresso posto a quasi cinque metri dal suolo, raggiungibile solo con l'aiuto di una scala che poteva essere rimossa in caso di assedio. In un secondo tempo fu aggiunto alla torre un nuovo corpo di fabbrica per ingrandire l'abitazione. Nell'angolo nord - ovest del perimetro murario, la cappa conica di un camino indica la collocazione degli alloggiamenti militari. L'accesso era difeso da un'avamporta che immetteva in un vano destinato al corpo di guardia; strette feritoie, adatte a vigilare sul territorio proteggendo chi si trovava all'interno, incorniciano un paesaggio di rara bellezza, specie in autunno quando i boschi a valle del castello di Graines si tingono delle più svariate tonalità del rosso e del giallo. La cappella romanica è dedicata a san Martino. La titolatura della cappella, diversa dal patrono dell'abbazia vallesana, San Maurizio, priva di sostegno la supposizione che sia stata costruita dai suoi monaci, che in origine avrebbero anche abitato il castello, supposizione che non trova alcun riscontro storico e neppure nella tradizione locale. È costituita da un'unica navata, lunga circa otto metri, che termina con un'abside semicircolare. Di essa è rimasta unicamente l'abside romanica semicircolare, la muratura perimetrale, la facciata con il campaniletto a vela. La copertura è scomparsa da tempo. Per raggiungerlo bisogna seguire la strada regionale 45 che parte da Verrès e risale la Val d'Ayas. A circa 13 km da Verrès, subito dopo l'abitato di Arcésaz, frazione di Brusson, si imbocca sulla destra la deviazione asfaltata per Graines. Dopo circa due chilometri si può lasciare l'auto e percorrere la mulattiera che, in pochi minuti, permette di arrivare al castello. Secondo una leggenda sotto i resti del castello è sepolto un grande tesoro. Una notte una voce misteriosa apparve in sogno ad un pastore e gli indicò il punto esatto dove scavare per trovare il tesoro, raccomandandogli però di allontanarsi prima che all'alba il gallo cantasse per la terza volta. La notte successiva il pastore seguì le indicazioni e scoprì una botola oltre la quale trovò il tesoro. Abbagliato dalle ricchezze perse però la cognizione del tempo e troppo tardi si accorse del canto del gallo, rimanendo così intrappolato insieme al tesoro e mai più ritrovato. Nel castello di Graines è ambientata una parte del romanzo "Il mercante di lana" di Valeria Montaldi. Altri link suggeriti: https://www.regione.vda.it/cultura/patrimonio/castelli/castello_graines/default_i.asp, https://www.youtube.com/watch?v=GMGjSHlqVIg (video di Marco de Bigontina), https://www.youtube.com/watch?v=JxlEQWROr9I (video con drone di Akhet srl), https://www.youtube.com/watch?v=ZVU91PUzmyE (video di Ivano Conti), https://www.youtube.com/watch?v=LYcypSZ8Zsg (video di gladio2001).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Graines, https://www.comune.brusson.ao.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-graines-39186-1-194e824058defd102d6faceab8acd3dd, http://www.lovevda.it/it/banca-dati/8/castelli-e-torri/brusson/castello-di-graines/867

Foto: la prima è presa da https://www.comune.brusson.ao.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-graines-39186-1-194e824058defd102d6faceab8acd3dd, la seconda è di Giuseppe Bozzola su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Graines#/media/File:Castello_di_graines.jpg