domenica 30 settembre 2018

Il castello di domenica 30 settembre



CALATAFIMI SEGESTA (TP) – Castello Eufemio (o di Phimes)

Il castello Eufemio domina il paese e la vallata di Piano Romano fino a quella di Segesta e fu per lunghi anni fortezza inespugnabile e fonte di sicurezza per gli abitanti. Esso doveva essere nella sua remota origine uno dei siti fortificati posti a difesa e a controllo delle vie di accesso a Segesta. Il nome vuol dire castello di Fimi o di Eufemio, che era un nobile agricoltore proprietario del sobborgo "Longarico", l'odierna Alcamo. Secondo altre fonti Eufemio fu colui che permise l'invasione dei Saraceni e diede il nome all'odierna Calatafimi. Kalat-al-Fimi, di etimo arabo, è lo stemma della città: un castello merlato sormontato da tre torri anch'esse merlate su cui apre le ali l'aquila sveva. L'edificio, che risale al 1200, sorge sui ruderi di un castello più antico posseduto da Diocle detto "Phimeis", da cui il nome dell'attuale Calatafimi. Del castello si hanno documenti scritti solo a partire dalla metà del XII secolo, quando il viaggiatore e geografo arabo Idrisi lo descrive così "Calatafimi è un antico castello niente affatto disprezzabile; possiede un borgo ben popolato, terreni arativi ed arborati…". Nel XIII secolo è uno dei castelli imperiali utilizzati nelle truppe di Federico II nella lotta contro i ribelli musulmani, che sembra avessero il loro caposaldo nel vicino villaggio di Calatabarbaro, in cima all'acropoli di Segesta. In questo periodo il castello fu probabilmente sottoposto ad un restauro. Fu poi dimora dei feudatari di Calatafimi e dei governatori che l'amministravano in nome della corona. Nel 1282, durante la rivolta del Vespro, in esso probabilmente dimorava il suo feudatario Guglielmo Porcelet (a cui era stato assegnato nel 1271 da Carlo I d’Angiò) che, amato dai suoi sudditi, fu risparmiato e mandato incolume assieme alla sua famiglia in Provenza. Successivamente ne divenne conte Guglielmo Peralta, quindi passò ai De Prades nel 1407 e poi alla Contea di Modica, grazie al matrimonio di Violante De Prades con Bernardo Giovanni Cabrera, conte di Modica. Nel Seicento il castello venne trasformato in presidio militare e prigione dei comuni di Calatafimi e Vita. A quel periodo risalgono le trasformazioni architettoniche che hanno riguardato diversi ambienti, che sono stati riadattati per ospitare le celle. Tale utilizzo continuò fino al 1868, anno nel quale il complesso venne abbandonato ed in cui iniziò il suo lento degrado (fu usato come cava di pietra). L’impianto planimetrico del castello, che era circondato da mura soltanto su tre lati, si sviluppa su pianta irregolare con una corte centrale, attorno alla quale si distribuivano i vari ambienti. Delle tre torri di questo castello, che viene raffigurato fin dal XVI secolo nello stemma del comune, sopravvivono oggi solo i ruderi delle due collocate alle estremità nord e sud della facciata principale, che guarda verso il centro urbano. Nella cortina muraria che le univa, vicino alla torre sud, volgendo le spalle all'abitato, si apriva la porta del castello. Della terza torre invece non c'è più traccia. La porta immetteva in un vestibolo composto da due archi dal quale si accedeva alla corte. Sul lato sinistro del vestibolo e della corte si aprono le anguste porte di alcune celle sulle cui pareti si possono ancora scorgere i graffiti dei detenuti. Sullo stesso lato delle celle si ergeva un altro piano, probabilmente la vera e propria residenza signorile. Spicca anche il corpo di fabbrica dedicato un tempo alla chiesetta dell'Annunziata. Un'ampia galleria con archi acuti e volta a botte con funzione di carcere e di cisterna corre per quarantadue metri sotto gli edifici del muraglione di ponente.
Altri link suggeriti: http://www.comune.calatafimisegesta.tp.it/index.php?area=1&link=16, http://www.calatafimisegesta.it/campagna-di-scavo-archeologico-al-castello-eufemio-sicilia/, https://www.youtube.com/watch?v=xrqnKKNe-qI (video con drone di Antonino Cipolla), http://www.reportageonway.com/2015/08/castello-eufemio-calatafimi-segesta-tp.html, https://mapio.net/pic/p-18566675/ (foto varie)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Eufemio, https://www.vivasicilia.com/itinerari-viaggi-vacanze-sicilia/castelli-in-sicilia/castello-eufemio-calatafimi-segesta.html, http://www.turismo.trapani.it/it/1182/castello-eufemio.html

Foto: la prima è presa da https://www.tripadvisor.it/LocationPhotoDirectLink-g1081442-d13114143-i289873826-Castello_Eufemio-Calatafimi_Segesta_Province_of_Trapani_Sicily.html, la seconda è presa da http://www.segestawelcome.com/main/il-presepe-vivente-di-calatafimi/castello-calatafimi/

sabato 29 settembre 2018

Il castello di sabato 29 settembre



BERGANTINO (RO) – Castello Diani

Centro dell'Alto Polesine, situato sulla sinistra del Po, è la romana Bragantium, possesso dell'abbazia di Nonantola e in parte ceduta al monastero di San Salvatore di Pavia nel sec. XI. Nel sec. XII passò ai vescovi di Ferrara, che lo fortificarono contro Mantova e Ostiglia, quindi a Rizzardo Sambonifacio (1222) e di nuovo ai vescovi di Ferrara (1240). Conteso a lungo tra Verona e Ferrara, si assoggettò a Venezia nel 1482 e divenne feudo dei Romei (1458-1753). Palazzo Diani, detto anche Castello Diani per le sue origini, sorge sul lato settentrionale della piazza, sulle macerie di un fortilizio distrutto dai Veneziani nel 1482 durante la Guerra del Sale. E’ caratterizzato da una torretta centrale eretta nel XVI secolo da Giovanni Romei, nominato conte di Bergantino dagli Estensi, Nel 1841 Carlo Diani, che ne divenne proprietario, fece togliere il ponte levatoio ed otturare la fossa che ancora circondava l'edificio. Appartenuto alla famiglia Romei, è una costruzione che si sviluppa attorno ad una torre centrale dove, successivamente, furono aggiunti due corpi laterali ed alcuni rustici.

Fonti: http://www.sapere.it/enciclopedia/Bergantino.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Bergantino, https://www.weagoo.com/it/card/21993/palazzo-diani

Foto: la prima è presa da https://mapio.net/a/76859051/?lang=hu, la seconda è presa da https://www.weagoo.com/it/card/21993/palazzo-diani

venerdì 28 settembre 2018

Il castello di venerdì 28 settembre







PIEVE SANTO STEFANO (AR) - Castello in frazione Mignano

La frazione di Mignano è posizionata su una piccola altura (589 m.s.l.m.) in riva destra del torrente Ancione, a 3,2 km dal capoluogo. Il nucleo abitativo conserva la struttura originaria del castrum medievale, edificato intorno al suo antico castello, del quale sono ancora ben conservate parti delle strutture, eretto nell' XI secolo per scopi difensivi, potendo controllare tutta l'area circostante. Si sviluppa da est ad ovest, seguendo la pendenza del terreno, con una serie di edifici, più volte riadattati e restaurati, che si addossano l’uno altro creando un volume unitario e proporzionato. La parete est, impostata sulla roccia, unisce due edifici con prospetto a capanna con un corpo intermedio, nel quale vi sono un’apertura ad arco a sesto acuto e finestre. Su questo è impostato il campanile a vela della chiesa parrocchiale dedicata a S. Andrea. Nella parte più alta, all'estremità ovest, culmina in un edificio a torre del XIV secolo e in un cassero, che rappresentano il nucleo originario del castello. Successivamente il borgo si è sviluppato seguendo la pendenza del terreno lungo i lati del pianoro, creando un insieme di volumi unitario e armonico. Il fronte orientale, costruito direttamente sulla roccia, presenta in un unico contesto i prospetti a capanna di due edifici collegati da un corpo intermedio nel quale si apre una bella porta medievale con arcata a sesto acuto formata da conci di pietra lavorati, in asse con il percorso in salita a gradoni che attraversa tutto il nucleo. Il castrum è chiuso all'estremità occidentale dal cassero con torre angolare; questi edifici presentano caratteristiche costruttive e particolari architettonici uguali a quelli del fronte est e con un piccolo tratto di mura ancora visibili in un edificio sul lato sud, costituiscono le uniche parti originali del castello. La torre, rimasta intatta nella sua struttura originaria, ma probabilmente scapitozzata in seguito ad un crollo, conserva ancora intatte le piccole finestre riquadrate in pietra e la porta di ingresso, oggi murata, con architrave di fattura rinascimentale. Sul fronte Nord sono riscontrabili alcuni edifici con eleganti rifiniture. Uno di questi, alto e stretto, sembra poter essere stato un'altra torre della cinta muraria del castello. Sulle sue origini romane di Mignano non esiste una documentazione specifica; il suffisso (-ano) del toponimo ne suggerisce una derivazione latina. Già possedimento dei conti di Galbino e Montedoglio, alla fine del secolo XI passò in parte tra quelli dell’Abbazia di Dicciano di Caprese (1085), confermati da papa Innocenzo II nel 1133. Il più antico documento che attesta l’esistenza della chiesa curata di S. Andrea de Turre è un atto di visita eseguito dal vescovo castellano Matteo che ne resse la diocesi dal 1229 al 1234. Si contraddistinse con l’epiteto de Turre perché appoggiava per un lato alla torre tuttora in piedi entro il castello. Nel 1343 Piero Tarlati prese il possesso del castello, riconquistato a breve posta dai guelfi aretini che, nel trattato di pace del 1345 con i signori di Pietramala, lo assunsero sotto la propria protezione, pur affidandone la proprietà ai Tarlati. Nel 1385 fu attaccato dai fiorentini in guerra contro Marco Tarlati; nello stesso anno passò a Firenze e i Tarlati poterono conservare i propri possedimenti privati in Mignano. Nel 1499 il castello venne in parte abbattuto dai fiorentini, perché gli Alfieri Quartacci, che lo possedevano e qui si erano arroccati, si erano alleati coi Veneziani. La chiesa di Mignano è nota dal 1085; nel secolo XIII assunse la denominazione di S. Andrea della Torre. Fu distrutta nel 1499 durante le battaglie tra i veneziani e i fiorentini, e ricostruita come si presenta alla stato attuale. È stata recentemente restaurata. A Mignano esisteva nel 1256 anche la chiesa dei SS. Vito e Modesto, distrutta nel XVIII secolo. Il castello di Mignano è stato teatro della rievocazione storica “Mignano 1499… quasi Milleccinque”, con l'allestimento dell'antico borgo medievale, con le sue botteghe, il banchetto contigiano e la rappresentazione della battaglia del 1499 tra le Lance di Montedoglio e l’invasore veneziano asserragliato nel Castello, vinta dai primi a beneficio della Repubblica Fiorentina. Altri link suggeriti: http://www.pievesantostefano.net/territorio/mignano.php, http://comuni.borghitoscani.com/arezzo/pieve-santo-stefano/mignano/default.aspx

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Mignano_di_Pieve_Santo_Stefano, http://www.castellitoscani.com/italian/mignano.htm

Foto: la prima è di VitalianoSincero su https://it.wikipedia.org/wiki/Mignano_di_Pieve_Santo_Stefano#/media/File:Castello_di_Mignano,_Pieve_Santo_Stefano.jpg, le altre due sono del mio amico e "inviato speciale" del blog Claudio Vagaggini (scattate proprio oggi!)

giovedì 27 settembre 2018

Il castello di giovedì 27 settembre




ROCCAROMANA (CE) - Torre normanna

Il Castello di Roccaromana è di origine longobarda (568-774 d.C.), vicino ad esso fu eretta nel 1190, una Cappella dedicata alla Beata Vergine del Castello, con adiacente l’abitazione dell’eremita, nel periodo in cui il vecchio maniero era dimora dei Duchi Di Roccaromana; ciò che di essa rimane, sia riferito alla pavimentazione che all’opera muraria superiore, fa pensare ad una Cappella di stile palatino. Successivamente il castello fece parte del Gastaldato di Teano, dipendenza della Contea di Capua e dal 1137 fu possesso dei Normanni. Nel 1269 fu ufficialmente feudo di Andrea di Roccaromana, investito direttamente da Carlo I d’Angiò, e successivamente possedimento della famiglia Marzano fino al Cinquecento, periodo in cui il feudo fu tolto a Sigismondo Marzano – schieratosi per Francesco I di Francia – e devoluto, prima, al Regio Fisco, poi venduto a Giovanni Colonna, ed infine, dal 1782 al 1806 ai Caracciolo di Migliano. Sul colle principale del territorio del comune si eleva un antico Castello longobardo (colonna storica di questo Comune) quasi a dominare e difendere la pianura sottostante, mentre sul pendio del colle sono ancora visibili due torri (come sentinelle che sorvegliano su tutto il territorio roccaromanese) dello stesso periodo, raggiungibili sia da Roccaromana che dalla frazione di Statigliano attraverso dei vecchi tratturi e un sentiero gippato. Nell’accogliente frazione di Statigliano si trova una torre fortificata. Al termine di un incantevole percorso che attraversa il bosco, si raggiunge l’imponente mastio realizzato tra l’XI e il XII secolo che venne potenziato probabilmente tra il XIII e il XIV secolo. Il mastio, superbamente restaurato di recente, ha un impianto cilindrico (probabilmente in origine doveva essere rettangolare) che si sviluppa su più livelli, dotati anche di diversi comfort. La torre ha un diametro interno di 9 mt mentre quello esterno misura 13 mt. La struttura è circondata da un’imponente scarpa alta oltre 6 mt e di quasi 2 metri di spessore. La sua altezza complessiva è di circa 18 mt. Grazie al lungo lavoro di restauro portato avanti dall’amministrazione comunale con la collaborazione dell’Università di Napoli, oggi sono di nuovo visibili la cisterna, il forno, il camino e parte della scala a chiocciola che conduceva ai piani superiori. Una passerella circolare, situata al primo piano, permette l’affaccio su un meraviglioso panorama che comprende un’immensa distesa di boschi e borghi circostanti, dal Matese a Monte Maggiore.

Fonti: https://www.campaniache.com/archivio/caserta/luoghi-di-interesse-a-caserta/198-il-castello-di-roccaromana, http://blog.zingarate.com/borghicastelli/roccaromana/, https://mediovolturno.guideslow.it/poi/torre-di-roccaromana/, https://www.touringclub.it/borghi-ditalia/torre-normanna-roccaromana-ce#header-contest-item-title

Foto: la prima è di Anna De Simone su https://www.touringclub.it/borghi-ditalia/torre-normanna-roccaromana-ce#header-contest-item-title, la seconda è presa da https://mediovolturno.guideslow.it/localita/roccaromana/

mercoledì 26 settembre 2018

Il castello di mercoledì 26 settembre






FIUMINATA (MC) - Castello in frazione Castello

Castello è una frazione di 113 abitanti del comune di Fiuminata in provincia di Macerata.
Si trova nella valle del fiume Potenza, presso il confine umbro. È di origine medievale e conserva edifici dell’epoca. Castello è l’antica sede del comune di Fiuminata, trasferita nel 1872 nella frazione di Massa. Arroccato su un’aspra pendice a ridosso di una montagna, deve il suo nome alla sua natura di borgo medievale fortificato; nella parte più alta del paese esiste un’antica torre di vedetta, in ottime condizioni. L’antico nome di Castello era Castri Sancti Johannis (Castel San Giovanni): tale nome appare per la prima volta nel documento storico Constitutio Sindaci Comuni Camerini ad emendum Castrum Fluminate dell’anno 1283, in cui Castello risulta citato come già edificato. Tale documento risulta di fondamentale importanza nella storia del comune di Fiuminata poiché sancisce la nascita del Comune di Fiuminata. Di tutti i castelli e le fortificazioni disseminati in passato nel territorio del comune di Fiuminata (Spindoli, Orve, San Lucia, Gista, Tangani, Castel San Giovanni), solo quest’ultimo, Castello appunto, conserva la sua struttura originaria con la porta di accesso al castello, le torri e le mura di cinta. La chiesa di Castello, dedicata a San Giovanni Battista, si trova a ridosso della porta d’accesso al paese antico. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=XyIJzOQusLk (video di giocri272), https://www.youtube.com/watch?v=QNp_MXVsBx4 (video di Tiberio Borgognoni).

Fonte: http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-fiuminata-mc/

Foto: la prima è di Simone Marchegiani su https://mapio.net/pic/p-120395461/, la seconda e la terza sono prese da http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-fiuminata-mc/

martedì 25 settembre 2018

Il castello di martedì 25 settembre





CORCIANO (PG) - Castello di Castelvieto

Il paese nacque in epoca romana con il nome di "Pieve Tiviana". Il nome attuale discende dal toponimo Castrum Vetus, castello appartenente al contado della perugina Porta Santa Susanna. Nel 1398 venne occupato da Braccio da Montone e l'anno successivo riconquistato dai popolani di Perugia; Braccio lo riconquistò in seguito, ma senza l’uso della forza in quanto gli abitanti si diedero spontaneamente alla sua sottomissione, ma il borgo dovette essere ricostruito. Nel 1433 truppe da Perugia lo saccheggiarono, per via della ospitalità offerta al condottiero Lizio Palagano. Nel 1438 e nel 1439 Castelvieto è indicato come castello, nel 1456 e nel 1469 con l’indicazione generica di locus, mentre nel 1495, nel 1496, nel 1499 e nel 1501 compare sempre come castello.
Il castello, nel corso del primo trentennio del secolo XV, era divenuto l’insediamento cardine della zona e, a quanto sembra, lo stesso governo cittadino agevolò in qualche modo la comunità nella realizzazione delle opere necessarie al mantenimento, e probabilmente anche al miglioramento delle sue strutture difensive. Nel 1431, infatti, “gli uomini di Castel Vieto, per riattar le mura del loro castello, ottennero dal consiglio generale di Perugia d’imporre una colletta a tutti quelli che avesser possessioni nel loro distretto, tanto chierici che secolari, trattandosi di un forino per ogni casa che avessero in detto castello, di venticinque soldi per ogni corba di terreno lavorativo e 12 soldi e sei denari per ogni corba di terreno seminato”. Subì poi altre devastazioni nel 1509 dai pontifici (durante la guerra del sale contro Paolo III) e anche dopo questo danneggiamento la comunità ottenne ancora l’aiuto da parte del governo cittadino. In quell’anno, infatti, furono ad essa concessi “30 fiorini, da defalcarsi dal sussidio che doveva pagare alla città, per risarcire le mura del suo castello”. Un’altra devastazione la subì nel 1643 dai toscani in guerra col papa Barberini (Urbano VIII). Durante l’epoca Napoleonica appartenne al cantone rurale di Perugia, per poi tornare definitivamente a Corciano. Oggi il paese nuovo è stato fondato a valle, lungo la strada per Montemelino ed è una frazione del comune di Corciano. Il castello, del 1254 è a pianta ellissoidale, sormontato dalla torre della rocca. Altri link: https://www.youtube.com/watch?v=StDvSeqDWiI (video di Claudio Mortini)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castelvieto, http://www.iluoghidelsilenzio.it/castelvieto-corciano-pg/

Foto: entrambe le foto prese da http://www.iluoghidelsilenzio.it/castelvieto-corciano-pg/

lunedì 24 settembre 2018

Il castello di lunedì 24 settembre




CALDONAZZO (TN) - Torre dei Sicconi

La Torre dei Sicconi, o castello di Caldonazzo, fu costruita su licenza del principe vescovo di Trento, Corrado di Beseno, nel 1201 da Geremia e Alberto figli di Varimberto di Caldonazzo. Unitamente a Castel Brenta costituiva il sistema di controllo del territorio esercitato dai signori di Caldonazzo; la torre dei Sicconi dall’alto del monte Rive presidiava le principali vie di comunicazione. Numerosi documenti citano il castello nei secoli XIII e XIV; fra il 1342 e il 1408 esso è legato alla figura di Siccone II, personaggio di grande peso per le vicende dell’epoca. Nel 1385, a causa di dissidi con Siccone, i Vicentini e i Veronesi sferrarono un potente attacco contro le sue fortificazioni in Valsugana, fra cui il castello di Monte Rive. Il castello di Caldonazzo resistette parzialmente, infatti in un documento del 1391 la famiglia di Caldonazzo – Castelnuovo è investita de dicto dosso cum Castro Caldonazii, palatio, turri et aliis suis fortilitiis… (“del detto dosso con il castello di Caldonazzo, il palazzo, la torre ed altre sue fortificazioni…”): sembrerebbe, dunque, che una buona parte delle strutture fossero ancora in funzione, pertanto non troppo compromesse dall’attacco del 1385. Un fatto certo è che la signoria dei Caldonazzo-Castelnuovo uscì di scena e la Valsugana entrò nella sfera d’influenza austro-tirolese. La torre dei Sicconi venne demolita dal Genio militare austriaco nel 1915, per ragioni belliche in quanto costituiva un punto di avvistamento certo. Oggi sull’intera area di monte Rive sorge un parco archeologico; qui è ancora possibile scorgere il basamento della torre e di alcuni edifici che erano parte del complesso fortificato. Nel 2005 l’amministrazione comunale di Caldonazzo diede avvio al progetto denominato “Il Giardino della Torre dei Sicconi”: sostenuto da finanziamenti europei, esso prevedeva la creazione di un giardino tematico entro un percorso storico, recuperando così l’identità del sito. Inevitabile, a questo punto, l’esecuzione di indagini archeologiche preliminari, utili a verificare quanta parte dell’antico complesso castellare fosse ancora conservata. Fra il 2006 e il 2008, dunque, la Soprintendenza per i Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento eseguì, in varie campagne, ventidue sondaggi sul dosso. La stratigrafia letta in questi sondaggi mostrò chiaramente i resti dell’antico castello: … cum Castro Caldonazii, palatio, turri et aliis suis fortilitiis ... La torre, anzitutto, ed alcuni tratti murari, lungo il versante sud-ovest, che dovevano completare il sistema difensivo alla base del dosso, dove è tuttora visibile un tratto del possente muro di cinta. Sono stati individuati anche i pochi resti di un edificio che poteva avere due piani, nella zona ad est della torre: il palazzo. Al “piano terra” rimaneva un focolare (la cucina?). Questo edificio doveva essere appoggiato ad un muro interno, del tipo “a spina di pesce”, di cui rimane visibile un ampio tratto. In definitiva, le strutture documentate nei sondaggi risultano tipiche dei complessi castellari trentini, compresi quelli valsuganotti. Anche le caratteristiche topografiche e geomorfologiche del sito rispecchiano uno standard diffuso nella valle: sufficientemente elevato per permettere un buon controllo della vallata sottostante ma non troppo, perchè questo lo avrebbe separato eccessivamente dai centri abitati e dalla viabilità principale. Il dislivello rispetto a Caldonazzo è di circa 200 m; la sua distanza in linea d'aria dal paese di circa 800 m; i versanti sono prevalentemente scoscesi (forse da ovest la via d’accesso?). I reperti rinvenuti in scavo parlano di un ambito cronologico compreso fra il XIII ed il XV secolo, coerenti, dunque, con le fonti documentarie. Le stesse fonti illustrano le dinamiche economiche che caratterizzano questa parte del territorio trentino, “area di passaggio” e luogo ricco di risorse boschive e di pascolo. Non è, dunque, un caso che proprio in tale contesto sorga il castrum di Monte Rive, pensato, con tutta probabilità, proprio per governare, a vario titolo, il territorio. Dal dosso giungono anche alcuni frammenti ceramici di età pre-protostorica e di età tardoantica: è, dunque, forte il sospetto che il sito sia stato frequentato ben prima dell’età medievale. Purtroppo tali reperti sono totalmente privi di contesto, cosa che limita fortemente la loro comprensione, lasciandoli deboli spie di una presenza ricca di incognite. Fra queste, l’eventuale occupazione di Monte Rive in età romana ed il conseguente, inevitabile, rapporto con la viabilità organizzata in Valsugana. Una viabilità che si deduce dalle tracce di insediamenti di quest’epoca nella valle, certamente presenti anche se le loro caratteristiche e dimensioni non sono definite. Uno di essi potrebbe essere stato di tipo agricolo, ubicato nella vicina Calceranica, come farebbe pensare la menzione di un actor, il responsabile della contabilità nelle grandi aziende agrarie romane, nell'iscrizione sulla piccola ara dedicata a Diana ora conservata nella chiesa di S. Ermete (II-III secolo d.C.). Altri link: https://www.youtube.com/watch?list=PL_zIZGc2p0bZzOmNSuGm6lxC0Be9vzFn9&v=9ZR96Vih9jw (video di Arc-Team Archaeology), http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castello-di-Caldonazzo-Torre-dei-Sicconi

Fonti: https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/castelli/torre-dei-sicconi_md_2554

Foto: entrambe prese da https://www.cultura.trentino.it/Luoghi/Tutti-i-luoghi-della-cultura/Aree-archeologiche/Torre-dei-Sicconi-Caldonazzo-Monte-Rive (la prima è di P. Barducci)

sabato 22 settembre 2018

Il castello di domenica 23 settembre




CASTIGLION FIORENTINO (AR) – Castello della Montanina in frazione Rocca Montanina

Posta 5 km a est dal capoluogo comunale, la frazione sorge in prossimità dell'omonimo monte che ospitava un castello, di cui attualmente sono visibili solo i resti. È costituita dal villaggio, ora praticamente disabitato, di San Lorenzo alla Montanina. Il toponimo, secondo un'antica leggenda riportata anche dal Ghizzi, sembrerebbe aver origine da una fanciulla bellissima della famiglia Tarlati (a cui appartenne il castello), chiamata da tutti la bella montanina. Il castello, attestato dal 1117, si trovava presso la vetta del monte denominato Rocca Montanina (672 m s.l.m.), in posizione strategica per il controllo del valico tra la val di Chio e quella del torrente Nestore. Il castello nel 1298 venne conquistato dai fiorentini; nel 1307 vi abitavano sei famiglie. In seguito divenne proprietà dei Tarlati di Pietramala, quindi fece parte di Perugia per tre anni. Tornato ai Tarlati, venne nuovamente ceduto a Firenze nel 1384. Durante il XV secolo fu governato dai Sei di Arezzo. Nel 1425 fu ordita una congiura per consegnarlo ai Visconti di Milano, ma questa non riuscì. L'autore del complotto, tal Michele di Simone di Giovanni, venne scoperto ed arrestato. Processato, fu decapitato davanti alle mura della rocca. Nel 1516, essendo diminuita la sua importanza, il castello fu abbandonato. Nella seconda metà del Cinquecento la torre e le mura erano già in rovina; le costruzioni ospitavano malfattori e briganti che effettuavano le loro scorrerie nella zona. Nella seconda metà dell'Ottocento venne smantellata l'ultima porzione della torre maggiore. Si conservano attualmente solo pochi resti delle mura e una piccola parte della torre. La forma del castello è riportata in un disegno del 1750 eseguito dal pievano di Montecchio don Antonio Vincenzo Meucci, basato su come si presentava il rudere allora (ancora in discreto stato). La cinta muraria aveva una forma ottagonale leggermente schiacciata con quattro torri lungo il perimetro. La più grande di esse ospitava l'ingresso principale, protetto da una robusta saracinesca; in cima a detto torrione vi era probabilmente la campana del castello, che fu venduta nel 1540. All'interno vi erano dieci abitazioni a più piani, attaccate alla cinta muraria ad esclusione della casa del castellano, probabilmente al centro del forte. Inoltre v'erano un forno ed un mulino. I ruderi della rocca si trovano in un luogo attualmente di difficile accesso, raggiungibile comunque con l'automobile. Dalla val di Chio si imbocca la comunale per il paese di Santo Stefano e si prosegue l'antica strada di valico, percorribile agevolmente fino all'ottocentesca casa di Caldesi (chiamata anche Osteria: infatti fino all'anteguerra vi era un negozio di alimentari), dopo di che una strada in terra battuta conduce ai resti del castello. Leonardo ha raffigurato e indicato il castello della Montanina nelle carte RLW 12278, RLW 12682 (precisando la distanza di 4 miglia da "Castiglione") e nel Codice Atlantico (f. 918r). Altri link suggeriti: http://www.arezzometeo.com/2012/ruderi-della-rocca-montanina/ (ricco di foto), http://www.ruderimedievali.altervista.org/castello_montanina.html, https://mapio.net/pic/p-57208412/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Montanina, https://brunelleschi.imss.fi.it/itinerari/zonatopografica/Aretino.html

Foto: la prima è presa da https://www.vecchievie.it/foto/37_Immagine-della-rocca-montanina, la seconda e la terza sono del mio amico e “inviato speciale” del blog Claudio Vagaggini

venerdì 21 settembre 2018

Il castello di sabato 22 settembre



RAPOLLA (PZ) – Castello

Roccaforte longobarda, costruita sulla più antica “Strapellum”, sue notizie si hanno nel 968 sotto il regno di Pandolfo, principe longobardo di Rapolla e di Conza. Nel 988 ospitò nel suo Castello l’imperatore Ottone II; nel X secolo il monaco greco San Vitale, nella sua fuga dalla Sicilia, si fermò a Rapolla e, con il nipote Elia ed altri compagni, fondò eremi e chiese. Ai monaci basiliani seguaci di San Vitale sono attribuite le numerose chiese rupestri della zona: quella dedicata a San Vitale, ipogea sotto l’attuale chiesa del Crocifisso e quelle di Sant’Elia e Santa Barbara. La cittadina è stata sede vescovile a partire dal 603, per mano di papa Gregorio I, mantenendo tale ruolo quasi ininterrottamente fino al 1528. Venne conquistata dai Normanni subito dopo Melfi. Rapolla sarebbe stata dotata di mura e di un castello, costruito su una precedente rocca longobarda, da Roberto il Guiscardo, fortificazioni sempre tenute efficienti dai successori conti normanni. Nonostante tali difese il paese venne distrutto quattro volte. Nel 1137 fu saccheggiato dai soldati di Lotario III e, nel 1183, venne distrutto dai melfitani. Con l’avvento del dominio svevo, Federico II la rese città demaniale. Nel 1235 alloggiò nel castello anche Bianca Lancia, madre di Manfredi. Dal perimetro del borgo longobardo al “piano Castello” l’espansione urbana attorno alla cattedrale di Santa Lucia produsse di conseguenza l’ampliamento della cinta muraria. Agli inizi del XIII secolo il vescovo Riccardo fece iniziare la costruzione di una nuova Cattedrale, dedicata all’Assunta, nell’area prospiciente il Castello; dal 1209 lavorarono alla nuova chiesa Mastro Sarolo da Muro Lucano e Melchiorre da Montalbano. Nel 1255 si schierò con il Papa contro gli Svevi e, perciò, venne assediata da Galvano Lancia che, in seguito, ne divenne feudatario (terza distruzione). Con l’avvento degli Angioini, nel 1269, diventò feudo di Antonio de Capris e, nel 1301, tornò città demaniale e lo rimase durante il regno di Sancia, Giovanna I e Giovanna II fino al 1414, quando diventò feudo di Giovanni Caracciolo. La quarta distruzione fu operata dal conte Lando nel 1381, durante le guerre tra Giovanna I, fedele all'antipapa ClementeVII, e Luigi d'Angiò re d'Ungheria, sostenitore del papa Urbano VI. Nel 1530 Rapolla fu concessa da Carlo V a Filiberto Chalon, principe d’Orange. Nel 1632 Rapolla tornò alla famiglia Caracciolo che la tenne fino all’eversione della feudalità. Nel 1528 anche Rapolla fu assediata e saccheggiata dalle truppe del Lautrec, nella guerra tra Valois ed Asburgo e, di conseguenza, perse il vescovado che venne annesso alla Diocesi di MeIfi. Quanto rimane del castello distrutto fu inglobato nel Palazzo Baronale; la ripresa della città è segnata dalla costruzione dei palazzi Chiaromonte, Ferrante e Radino. Del castello, qualora sia esistito, non c’era più traccia già verso l’inizio del XVIII secolo, come attesta la veduta contenuta nell’opera del Pacichelli nella quale è visibile soltanto la “Porta del Vagno”, ancora oggi esistente. Oggi l’unico resto delle fortificazioni di Rapolla è costituito, oltre che dalla porta citata, da un tratto di mura con torre semicircolare riferibile al periodo angioino, che si affaccia su via Portella, sul lato ovest della cittadina, e da un altro tratto di mura a nord, ai piedi della cattedrale, che unisce altre due torri. Altro link suggerito: http://www.basilicataturistica.it/territori/rapolla/?lang=it.

Fonti: http://lucania1.altervista.org/rapolla/index.htm, scheda di Vincenzo Zito su https://www.mondimedievali.net/castelli/basilicata/potenza/rapolla.htm

Foto: entrambe prese da https://www.mondimedievali.net/castelli/basilicata/potenza/rapolla.htm (la prima è di Vincenzo Zito)

Il castello di venerdì 21 settembre




AREZZO - Castello di Ranco in frazione Pieve a Ranco

Gli imponenti ruderi del castello di Ranco portano ben impressa quella che un tempo era la loro potenza. Coronano un rilevo roccioso a dominio della valle del torrente Cerfone, nell'alta Val Tiberina, in posizione strategica ai confini del territorio comunale di Arezzo. La costruzione del castello nella sua forma attuale è dei secoli XII e XIII, precedenti insediamenti sul sito sembrano comunque risalire al VI e VII secolo, quando Bizantini e Longobardi si contendevano questa zona. Simbolo della feudalizzazione del contado aretino da parte di potenti famiglie laiche, Ranco, roccaforte dei Tarlati di Pietramala fino al 1439, è considerato una delle più antiche testimonianze storico architettoniche della zona. Fu poi ceduto a Baldaccio d'Anghiari, famoso capitano di ventura, e in seguito venduto ai Brandaglia, nobili aretini. A testimonianza della sua antica potenza resta il fatto che Ranco fu segnato nella mappa della Val di Chiana disegnata da Leonardo da Vinci nel 1502 e nell'affresco raffigurante la carta della Toscana dipinta nella Galleria delle carte geografiche del Vaticano. La condizione attuale di Ranco è di forte rovina ma è abbastanza semplice leggerne le caratteristiche costruttive. L'insediamento fortificato era costituito da un grande mastio quadrato, residenza dei signori, affiancato da un'altra torre leggermente più piccola, anch'essa quadrata e con la stessa caratteristiche costruttive del mastio. Della struttura principale resta curiosamente in piedi tutto il fronte nord, sul quale sono ancora visibili alcune belle finestre con architrave a semivolta, mentre sono ridotti alle fondamenta quello est e ovest e ben poco resta anche di quello sud. Su quest'ultimo lato si ergeva la seconda torre , anch'essa ormai quasi completamente crollata. Le due torri sono circondate da un'alta e spessa cortina muraria di forma irregolare che si adatta perfettamente alla morfologia del terreno. Di questa restano in buona condizione larghi tratti sui fronti sud ed est, dove possiamo ammirare anche una primordiale bastionatura, eseguita con pietre di forma irregolare, con lo scopo principale di allargare la base del recinto fortificato e far fronte alla nuova tecnica d'assedio di scavare tunnel sotto le mura per minarle e farle franare. Sul lato nord della cortina si apriva l'unica porta di accesso al recinto; su questo lato, fra la cortina esterna e le due torri, si trovava il cortile interno, con altri edifici minori. Tutto l'insieme è invaso dalla vegetazione e a rischio di ulteriori crolli. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=svc6rFL1eZw (video con drone di GENU1111), http://www.castellitoscani.com/italian/ranco_foto.htm, http://www.palazzodelpero.it/immagini%20storia/Pieve%20a%20Ranco%20-%20Castello.htm (foto), https://www.youtube.com/watch?v=FhmjFbYxZGA (altro video di GENU1111), http://stats-1.archeogr.unisi.it/repetti/includes/pdf/main.php?id=3531

Fonti: http://www.castellitoscani.com/italian/ranco.htm

Foto: entrambe del mio amico e "inviato speciale" del blog Claudio Vagaggini, scattate proprio oggi.

giovedì 20 settembre 2018

Il castello di giovedì 20 settembre




MONASTIR (CA) - Castello di Baratuli

Sorto su un precedente insediamento di epoca nuragica, fu edificato su uno sperone roccioso andesitico del monte Oladri intorno alla metà del XII secolo circa dai Giudici di Cagliari a difesa del territorio circostante. Passato il castello agli arborensi e poi ai della Gherardesca fu successivamente distrutto dai pisani intorno al 1308. La recente campagna di scavo archeologico e restauro ha messo in luce parte dell’impianto fortificato, a pianta esagonale, che in età medievale sorgeva a difesa del territorio limitrofo, permettendo di acquisire, in via preliminare, numerosi dati sulle strutture ancora visibili e sulla loro evoluzione durante la frequentazione del sito. Il sito è strettamente connesso alla storia della villa Baratuli, un villaggio medievale oggi scomparso. Nel 1454 il castello con il vicino villaggio spopolato di Baratuli, già proprietà di Michele Ferrer, fu acquistato dal feudatario di Monastir Pietro Bellit. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=73T6ns3XNRY (video di Thesilentube83 Sardegna), https://www.youtube.com/watch?v=zppeowILFRI (video di Sardo NelMondo), http://www.contusu.it/il-castello-di-baratuli/, https://www.youtube.com/watch?v=Niu6TJHj9tU (video di Rossano Soddu)

Fonti: http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_1273995945.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Baratuli, http://monumentiaperti.com/it/monumenti/fortezza-di-baratuli/

Foto: la prima è di Teravista su http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Menu-Utility/Immagine/index.html_647932275.html, la seconda è di Corrado Fenu su http://wikimapia.org/1950334/it/Castello-di-Baratuli

mercoledì 19 settembre 2018

Il castello di mercoledì 19 settembre



POMPEIANA (IM) – Torre dei Panei e Torre Barbarasa

Per il momento nessun documento anteriore all'XI secolo può confermare l'esistenza del paese di Pompeiana durante il I millennio. Nell'anno 1049 l'attuale torrente Santa Caterina, che scorre ad est del paese, è definito fossato di Pompeiana e viene usato per delimitare il confine delle terre che Adelaide di Susa concede ai monaci benedettini del monastero di Santo Stefano di Genova. Questa donazione diede origine al cosiddetto Principato di Villaregia, dal quale Pompeiana fu inizialmente esclusa, anche se certamente i benedettini esercitarono presto la loro influenza, anche attraverso la chiesa di Santa Maria, già attiva nel XII secolo. Il Potere temporale fu esercitato prima dai Clavesana e successivamente dai di Quaranta feudatari della vicina Lingueglietta; nel 1153 il vescovo di Albenga infeudò Anselmo di Quaranta per la riscossione delle decime di un elenco di paesi, tra cui figura appunto Pompeiana. Tale incarico fu confermato anche nel 1161 e nel 1206. Pompeiana entrò a far parte della giurisdizione benedettina del Principato di Villaregia nel 1225 e vi rimase sino al 1335, quando a causa di numerosi debiti contratti, i monaci benedettini vendettero l'intero principato ai Lamba Doria. Tra gli anni 1440 e 1798 Pompeiana fu separata in Pompiana Superior (o Maior) e Pompiana Inferior. La parte alta fu assegnata al feudo dei di Quaranta, la seconda alla podesteria di Taggia. L'atto ufficiale della sua scissione fu stipulato nella piazza della chiesa parrocchiale, ubicata nella zona superiore, il quale prevedeva la possibilità da parte degli abitanti della zona inferiore di poter frequentare liberamente le funzioni religiose. Nel 1472 i diritti su Pompiana Maior passarono ai marchesi Spinola, che governarono la zona per conto di Genova, in seguito, nel 1673 ai Gentile. Il 22 maggio 1557 durante una incursione dei pirati barbareschi furono catturate 25 persone, 7 o 8 morirono, abbattuti diversi animali da lavoro, saccheggiate e date alle fiamme le abitazioni. Altre incursioni devastarono il paese e la zona in quel periodo. Interessante la testimonianza pervenuta attraverso una lettera datata al 20 luglio 1564, scritta da Giacomo Filippo (o Filippi), un pompeianese catturato dai predoni, schiavo in Algeri con i figli e le nipoti. Un documento datato 9 marzo 1704 stabilì, per volontà della locale Confraternita dello Spirito Santo, l'apertura di una pubblica scuola, aperta a tutti i ragazzi della parrocchia. Le torri di Pompeiana sono strutture, costruite nel XVI secolo, destinate a una duplice funzione, difensiva o di avvistamento e segnalazione. La torre di Barbarasa situata nel centro abitato, aveva entrambe le funzioni perché era anche in posizione strategica ed era collegata a vista con le altre torri, dei Panei e di Case Soprane. Secondo gli studiosi, tuttavia, Pompeiana doveva essere dotata di sette torri, e oggi ne rimangono soltanto tre. La Torre dei Panei, a forma circolare, si trova in località Costa Panera, mentre un'altra torre è nella borgata chiamata Case Soprane. La torre dei Panei è una fortificazione isolata, posta in posizione strategica. Infatti poteva controllare la via di accesso al paese dal mare, e sorvegliare il mare con le artiglierie. La costruzione nacque come torre di avvistamento dopo il saccheggio subito da Pompeiana ad opera di Ulugh-Alì nel 1561. La forma della torre è tipica del periodo tardocinquecentesco: pianta circolare, con ingresso sopraelevato, con feritoie e caditoie, ghiera di mensole presso il margine superiore, adatte alla sistemazione di lastre di pietra, a protezione dei difensori. Dopo essere stata restaurata nel 1992, oggi la torre ospita un'interessante raccolta etnografica relativa alla vita agricola e produttiva di Pompeiana e del suo territorio, con utensili agricoli e casalinghi risalenti all’Ottocento. La torre di Barbarasa è a forma quadrangolare, è stata costruita probabilmente alla fine del XV secolo o all'inizio del XVI. Rimangono i resti dei sostegni delle caditoie. In localita Case Soprane esiste inoltre una casa-torre, di forma semi-circolare, che doveva avere funzione difensiva, in caso di invasione nemica.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pompeiana, https://iltaccodibacco.it/puglia/guida/8072, http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=39285D7BE55A848332D54C7B052825E3.node2?contentId=28221&localita=2304&area=214, http://www.terrediriviera.it/contenuto/comuni/pompeiana.ashx, http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/museiRaccolte.do;jsessionid=3EE5EC31C14E8A64712E8DB4DEA61BE6.node3?contentId=28742&localita=2304&area=214

Foto: la prima, relativa alla Torre dei Panei, è di Mia Manu su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/245818; la seconda, relativa alla Torre Barbarasa, è presa da https://www.homeaway.co.uk/p6829851

martedì 18 settembre 2018

Il castello di martedì 18 settembre





CAREMA (TO) - Castello di Castruzzone

In epoca medioevale Carema fu assegnato con diploma imperiale al Vescovo d’Ivrea, che investì del feudo gli Ugoni da Brescia, signori anche del castello di Castruzzone, un tipico castello di strada, posto a guardia dell’imbocco della Valle d’Aosta e a protezione del commercio delle pietre da macina, che dalla Valle d’Aosta giungevano in pianura. Gli Ugoni fondarono il loro potere sul diritto all’esazione del pedaggio, distinguendosi però per le spoliazioni e le vessazioni. Nel 1171 i marchesi del Monferrato riuscirono ad estendervi la loro influenza e ad amministrare il diritto di pedaggio, nonostante l’opposizione del vescovo eporiedese. Nel 1313 i Savoia ampliarono il loro controllo su Ivrea e parte del Canavese; nel 1357 Amedeo VI ricevette in feudo perpetuo dal Vescovo di Ivrea le terre e i castelli della Valle Dora Baltea, tra cui Carema e Castruzzone. Da questo momento la storia di Carema fu legata ai Savoia, che nel corso dei secoli, ne cedettero la proprietà a famiglie nobili locali fino al 1797, quando Carlo Emanuele IV abolì i diritti feudali. Del castello di Castruzzone rimangono solo i ruderi, per raggiungere i quali (provenendo da Carema) occorre seguire una carrareccia, contraddistinta da segni bianchi e rossi, che poi si inoltra nel bosco divenendo mulattiera selciata che in breve conduce sullo sperone roccioso che domina la valle della Dora Baltea. Il castello di Castruzzone (il cui nome deriva sicuramente da Castrum Uguccionis e non come erroneamente venne interpretato da Castrum Ugonis) si ritrova quindi in una posizione molto privilegiata lungo la vecchia strada delle Gallie, a valle dei territori controllati dai Savoia (ovvero la Valle d'Aosta in mano alla casata degli Challant) e a monte di numerosi castelli sulla via verso Eporedia, ricordiamo Montalto, Montestrutto, Settimo Vittone e Cesnola i cui signori patteggiavano di volta in volta con Vercelli oppure con Ivrea. Nel 1372 lo troviamo trasformato in una castellania dei Savoia, mantenne ancora la sua funzione di controllo viario "Nel periodo 31 gennaio 1379-1° gennaio 1383 un unico castellano regge le castellanie di Bard e di Castruzzone, pur con computi separati (solo i proventi dei «banna concordata» sono segnati tutti nei conti di Bard) ciò che già può essere inteso come un indizio della prossima smobilitazione della castellania di Castruzzone" (fonte A. Settia - Castelli e strade del nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, «strategia»). Nel 1391 il castello e il territorio di Carema ed il suo maniero, vennero utilizzati come merce di scambio, ceduti in feudo assieme a Lemie a Domenico Testa di Avigliana in cambio di Borgomasino. Seguirono decadenza ed abbandono, solo cenni relativi ad infeudazioni successive nel 1409, 1423, 1440. Successivamente solo G. BELLARDA “Settimo Vittone. Appunti di storia Canavesana” Torino 1968 segnala nella seconda metà del secolo XVI un abbattimento del castello ordinato da Carlo III di Savoia insieme con altri della zona (il non lontano castelletto di Cesnola). Ebbero così termine, nell'oblio più assoluto, le vicende legate ad una struttura voluta, progettata e costruita con funzioni di controllo stradale. Qualcuno vorrebbe che la totale rovina della struttura sia giunta nel 1777 per mano della popolazione locale maltrattata addirittura con un incendio; è difficile, però, pensare che in tale epoca qualcuno ancora vivesse tra i resti delle sue possenti mura, al più un eremita, ma non certo una famiglia nobile, altrimenti i poveri resti, tuttora visibili, presenterebbero qualche segno di restauro od ampliamento tipico del XV secolo ma era una struttura "scomoda", nata esclusivamente con finalità militari di controllo e in posizione "strategica" che non consentiva la trasformazione in struttura residenziale, si ricordi che anche nel momento in cui il castello era saldamente in mano ai Castruzzone, essi non vi abitavano stabilmente. È probabile che il castello sia stato smantellato come sostiene il Bellagarda, ma già nel XVI secolo quasi certamente era già in stato d'abbandono da diversi decenni. Osservando come la struttura si presenta oggi si rileva che resta in piedi una notevole parte della cinta muraria esterna lavorata a lisca di pesce, tecnica tipica delle strutture edificate tra il 1100 e il 1200; si ritrovano porte ad arco con stipiti ben squadrati e finestre regolari. Interessanti i conci utilizzati per gli spigoli che ricordano molto quelli utilizzati nella non lontana struttura esagonale di Pramotton, probabilmente Castruzzone venne realizzato da maestranze provenienti dalla Valle d'Aosta o ivi formatesi. Curiosa, oltre che estremamente misteriosa, risulta quanto resta della torre; a prima vista si presenta come un tratto di spessissima parete sulla quale si apre una finestra, ma ad una analisi più accurata si comprende che la torre è adagiata su un fianco e quella che sembra una finestra è invece l'accesso al suo vano interno. Le stranezze però continuano se si considerano le misure di questo torrione: i muri perimetrali variano tra 1,80 e 2,10 metri , mentre il vano interno misura 1,10 per 1,20 metri... a cosa poteva servire quel vano così angusto e cosa ha potuto abbattere una tale costruzione? Il Giacosa, durante la sua visita ipotizza possa averla atterrata un fulmine, ma appare assai improbabile, come non sembra possibile sia stata una carica d'esplosivo poiché la struttura appare intatta. Un altro bel mistero, senza dubbio.

Fonti: http://archeocarta.org/carema-to-edifici-medievali/, testo di Danilo Alberto su http://www.viaromeacanavesana.it/storia1.asp?id=208,

Foto: entrambe prese da http://www.comune.carema.to.it/turismo-cultura-e-sport/127-escursioni/178-escursione-castello-di-castruzzone

lunedì 17 settembre 2018

Il castello di lunedì 17 settembre




ARNASCO (SV) - Castello del Carretto

Enrico Del Carretto di Finale, subentrato per via ereditaria ai Clavesana in tale territorio, nel 1321 rinnovò ad Ugone Cazzulino e ai suoi discendenti l'investitura della metà del castello e delle ville del feudo di Rivernario. Questo, passato nel 1735 al Regno di Sardegna, pervenne nel 1753 ai Del Carretto di Balestrino. Il castello, visibile nella frazione di Chiesa ma ormai allo stato avanzato di rudere, conserva il perimetro poligonale, di cui rimangono in piedi due tratti di cortina in pietra mista, databili al XIII secolo, che formano lo spigolo ovest e conservano all'interno segni d'attacco delle volte.

Fonti: http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=F9AC531CA6B62B987BF6503A8D68981D.node1?contentId=28246&localita=2195&area=213, https://viaggiart.com/it/arnasco_340.html

Foto: la prima è presa da http://insiemefacile.provincia.savona.it/scheda_comuni.php?aperto=1&sez=5&sottosez=1&id=7, la seconda è di Davide Papalini su https://it.wikipedia.org/wiki/Arnasco#/media/File:Arnasco-ruderi_castello.jpg

sabato 15 settembre 2018

Il castello di domenica 16 settembre



ARNASCO (SV) – Castello Cazzulini in frazione Bezzo

Le cinque frazioni (Villa Chiesa, Menosio, Bezzo, Arveglio e Cenesi) vennero inglobate in epoca medievale nella Castellania di Rivernaro che fu dominio della famiglia Clavesana, ma nel corso dei secoli XII e XIII, durante le plurisecolari cruente lotte tra i Clavesana ed il nuove emergente "libero" Comune di Albenga, la Castellania subì alcune amputazioni territoriali che ne dimezzarono l'ambito, limitandolo alle prime tre frazioni. Al 1236 risale la divisione del territorio fra le famiglie Cazzulini di Albenga e i Del Carretto del ramo di Balestrino. E furono i primi a seguito dell'inagibilità dei vecchi castelli carretteschi di Rivernaro e di Costiglione (i ruderi di quest'ultimo sono ancora oggi visibili al di sopra della località Chiesa) a costruire nel 1321 il castello dallo stile vagamente rinascimentale, conosciuto come Castel di Bezzo (ancora oggi abitato). La Castellania di Arnasco, Cenesi e Rivernaro - feudo imperiale del Sacro Romano Impero - rimase di fatto sotto il controllo della famiglia albenganese fino al 1753, quando per successione ereditaria passò nella seconda metà del XVIII secolo alla famiglia ingauna dei Costa - legata al ramo di Balestrino dei Del Carretto - che ne conservò il possedimento anche dopo il passaggio di questo territorio nel Regno di Sardegna a partire dal 1735 per le decisioni preliminari del trattato di Vienna. Con la successiva dominazione napoleonica, e la soppressione dei feudi imperiali nel 1797, i territori di Arnasco e Cenesi furono uniti in un'unica municipalità che rientrò nel Dipartimento del Letimbro, con capoluogo Savona, all'interno della Repubblica Ligure. Dal 28 aprile del 1798 fece parte del I cantone, con capoluogo Albenga, della Giurisdizione di Centa e dal 1803 centro principale del IV cantone della Centa nella Giurisdizione degli Ulivi. Annesso al Primo Impero francese, dal 13 giugno 1805 al 1814 venne inserito nel Dipartimento di Montenotte. Il castello Cazzulini sorge all'entrata del paese di Arnasco, in frazione Bezzo. Antica residenza dei Cazzulini, risale al XIV secolo ma nel tempo è stato modificato e trasformato in villa nel 1600. Presenta pianta ad U con pareti intonacate ricoperte da decorazioni settecentesche. Forse solo nel basso corpo orientale che collega le due ali si possono leggere le murature antiche.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Arnasco, http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=F767058080097CAD6EECD0174E18FA6E.node2?contentId=27874&localita=2195&area=213

Foto: la prima è presa da http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=F767058080097CAD6EECD0174E18FA6E.node2?contentId=27874&localita=2195&area=213, la seconda è presa da
https://www.unpliliguria.it/eventi_leggi.php?id_eventi=143&gett=s

venerdì 14 settembre 2018

Il castello di sabato 15 settembre



POLESINE ZIBELLO (PR) – Castello Pallavicino (o Corte Pallavicina) in frazione Polesine Parmense

Nel 962 l'imperatore del Sacro Romano Impero Ottone I di Sassonia assegnò al marchese Oberto degli Obertenghi, dal quale discesero i Pallavicino, numerose terre in varie parti d'Italia, tra cui l'intero territorio compreso tra il Parmense e il Piacentino nei dintorni di Busseto. Nel 1145 Oberto Pallavicino, detto Pelavicino, cedette tutte le corti che possedeva nel Parmense al Comune di Piacenza, che lo investì nuovamente di quei feudi in cambio del giuramento di vassallaggio. Nel 1249 l'imperatore Federico II di Svevia investì il suo condottiero Uberto Pallavicino di numerosi feudi del Parmense, tra cui Polesine di San Vito, dipendente dalla diocesi di Cremona; il marchese vi costruì un castello a difesa dell'adiacente porto fluviale e controllo degli spostamenti attraverso il corso d'acqua e dei traffici delle merci, che richiedevano il pagamento di dazi. Tuttavia, pochi anni dopo, in seguito alla caduta degli Svevi, il Comune di Cremona si impossessò dei beni del Pallavicino, annettendo il territorio di Polesine, che da allora non si trovò più sul confine; di conseguenza la fortificazione perse la funzione originaria e fu abbandonata. Con la presa del potere da parte dei Visconti nel ducato di Milano, nel XIV secolo i Pallavicino rientrarono in possesso dei loro territori e nel 1360 il marchese Oberto ricevette conferma dell'investitura da parte dell'imperatore Carlo IV di Lussemburgo. Nel 1395 suo figlio Niccolò Pallavicino fu confermato nell'investitura dall'imperatore Venceslao di Lussemburgo. Una serie di rovinose piene del Po, oltre a danneggiare il castello ormai abbandonato, causò lo spostamento più a nord del letto fluviale; nel 1408 il marchese Rolando il Magnifico, erede di Niccolò, fu quindi costretto a costruire una nuova rocca in prossimità del corso d'acqua, oggi non più esistente. Nel 1441 Niccolò Piccinino convinse il duca di Milano Filippo Maria Visconti del tradimento da parte del Marchese e si fece incaricare di conquistarne lo Stato Pallavicino; attaccato su più fronti, il Pallavicino fu costretto alla fuga e tutti i suoi feudi furono incamerati dal Duca. Nel 1445 Rolando il Magnifico diede prova di lealtà al Visconti, che acconsentì alla restituzione di quasi tutte le terre confiscate, a eccezione di Monticelli d'Ongina e alcuni altri feudi donati al Piccinino. Alla morte di Rolando nel 1457 il marchesato di Polesine, unitamente al feudo di Costamezzana, fu ereditato dal figlio Giovan Manfredo. Nel 1477 Gian Galeazzo Maria Sforza confiscò al Marchese, per demeriti e trasgressioni contro il Duca stesso, tutti i suoi beni; nel 1490 li rivendette ai cinque figli di Giovan Manfredo, destinandoli per metà al primogenito Giannottaviano e per la restante metà in parti uguali agli altri quattro Ippolito, Ugoccione, Uberto e Massimo. Nel 1499 Giannottaviano alienò la sua quota di Polesine e Costamezzana al cugino Rolando, marchese di Cortemaggiore, ma il duca Ludovico il Moro, per appianare le liti scatenatesi tra i fratelli, annullò la vendita. L'antico forte, ormai ridotto a rudere, fu quasi completamente ricostruito verso la fine del XV secolo, con funzioni prevalentemente residenziali, probabilmente dal marchese Galeazzo Pallavicino, appartenente al ramo di Busseto. Il castello, detto all'epoca "Casino Bianco", mantenne le originarie due torri angolari, ma fu interamente adattato alle esigenze abitative del marchese, con l'aggiunta di un loggiato, l'innalzamento dell'intera struttura e l'apertura di finestre più ampie; i lavori, che si conclusero nel XVI secolo, interessarono anche i soffitti del piano terreno, su cui furono realizzate le volte ad ombrello, e le sale, che vennero dotate di camini e decorate. Nel corso del secolo successivo furono modificati alcuni ambienti interni, tra cui il salone del primo piano, che fu frazionato in più vani; nel corso del XVII secolo furono inoltre decorate a tempera numerose stanze del palazzo. Agli inizi del XVI secolo il Po spostò il suo letto più a sud, fino a lambire le fondamenta della rocca, che nel 1547 crollò; la stessa sorte toccò pochi anni dopo anche alla chiesa costruita da Giovan Manfredo nei pressi del maniero. Successivamente il fiume riprese il suo corso e il borgo di Polesine rifiorì, con la costruzione di abitazioni e di due palazzi marchionali. Nel 1712, con la morte cardinale Rannuzio Pallavicino, il castello passò al marchese Vito Modesto, ultimo erede del ramo di Polesine. La situazione precipitò ancora agli inizi del XVIII secolo, quando il Po deviò nuovamente verso sud e, straripando, distrusse nel 1720 la cinquecentesca chiesa di San Vito e, alcuni anni dopo, il palazzo delle Fosse, residenza di Vito Modesto Pallavicino. Il Marchese finanziò i lavori di costruzione di un nuovo tempio in una posizione più distante dalla riva, fulcro dello sviluppo successivo del paese. Vito Modesto morì nel 1731, nominando erede universale il "ventre pregnante" della moglie, che tuttavia partorì una femmina, Dorotea. Il palazzo entrò fra i possedimenti del marchese Alessandro, appartenente al ramo di Zibello; quest'ultimo, però, non vi risiedette mai, in quanto gli preferì la Villa Pallavicino di Busseto. Suo nipote Antonio Maria lo ereditò, decidendo tuttavia di affittarlo e, nel 1780, di alienarlo alla Camera ducale di Parma, quale caserma per i dragoni confinari, con la funzione di contrasto al contrabbando di merci fra le due rive del Po; l'edificio fu pertanto modificato, con l'aggiunta di nuove fortificazioni, la sostituzione delle finestre con feritoie e la tinteggiatura a calce delle pareti, che causò la perdita dei dipinti che arricchivano le sale. La Camera ducale di Parma lo assegnò, unitamente a Borgo San Donnino, alla duchessa Enrichetta d'Este, vedova del duca di Parma Antonio Farnese. Alla sua morte il marchesato passò ai duchi Borbone, fino all'ultimo feudatario Ludovico I di Etruria; nel 1805 i diritti feudali furono aboliti da Napoleone. Intorno al 1830 il Po si avvicinò nuovamente all'edificio, che fu profondamente danneggiato dalle sue acque, tanto da richiedere alcuni lavori di rinforzo e soprattutto l'abbassamento dell'intera struttura. In seguito all'Unità d'Italia il confine svanì e la fortificazione perse ogni funzione, pertanto il Demanio ne decise l'alienazione. Acquistato da una famiglia di Pieveottoville, l'edificio fu trasformato in azienda agricola; frazionato in abitazioni contadine, l'antico palazzo si deteriorò anche a causa del fiume, che si avvicinò sempre più ai suoi muri e più volte ne invase gli ambienti. Verso la fine del XIX secolo la famiglia Spigaroli prese in affitto la tenuta, gestendola fino alla prima guerra mondiale; in seguito il piccolo podere fu preso in locazione da un affittuario di un terreno più ampio, mentre l'edificio continuò ad essere occupato da pescatori e braccianti, sprofondando nel completo degrado. Nel 1990 gli eredi dei primi affittuari decisero di acquistare la proprietà, avviando un complesso intervento di ristrutturazione, che durò quasi vent'anni, consentendo il completo recupero di tutti gli ambienti; le antiche cantine ripresero l'originaria funzione, riempiendosi di culatelli e forme di Parmigiano-Reggiano in stagionatura, il livello terreno fu trasformato in ristorante ed il primo piano divenne un elegante relais di sei camere (http://www.anticacortepallavicinarelais.it/). Gli antichi dipinti a tempera che arricchivano le pareti furono inoltre riscoperti sotto le mani di calce e recuperati, anche se in buona parte danneggiati irreparabilmente a causa dell'incuria. L'edificio, detto anche palazzo delle Due Torri per la presenza dei due torrioni laterali, conserva al piano terra varie sale arricchite da camini e volte a ombrello decorate con dipinti cinquecenteschi, seicenteschi e, nell'antica cappella, settecenteschi. Le decorazioni, a tempera, spesso interessano anche le cappe dei grandi camini. Al XVI secolo risalgono i dipinti rinascimentali di due sale del piano terreno sul lato sud, che rappresentano rispettivamente il ciclo dello Zodiaco e quello dell'Olimpo, oltre alle tracce di un fregio nella cucina; sono invece ascrivibili alla metà del XVII secolo i dipinti della sala centrale e di quella adiacente, che raffigurano rispettivamente numerosi stemmi dei membri della famiglia Pallavicino e delle loro consorti ed il ciclo delle stagioni; a cavallo del 1700 fu inoltre realizzata la decorazione della sala del piano terreno della torre nord, incentrata sul fiume Po e sulle attività che vi erano esercitate; fu infine dipinta alla fine del XVIII secolo la piccola cappella. L'edificio si sviluppa attorno alla corte centrale, cui si accede attraversando un ponticello ed un arco in mattoni. La struttura più antica sorge sul lato ovest; in corrispondenza degli spigoli esterni sono evidenti le due antiche torri in aggetto, che si elevano rispetto al corpo centrale più basso; la simmetria è rotta dalla presenza al livello terreno di una finestra più piccola, all'interno di una struttura in laterizio totalmente priva di decorazioni. Al primo piano gli ambienti sono invece coperti da soffitti lignei a cassettoni o capriate. L'antica Corte è aperta al pubblico e fa parte del circuito dei castelli dell'Associazione dei Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli (a tal riguardo potete visitare questo link http://www.castellidelducato.it/castellidelducato/castello.asp?el=tour-antica-corte-pallavicina-tra-castelli-ducato-parma-piacenza-pontremoli). Risultano visitabili l'orto-giardino, la corte centrale, le sale affrescate e le cantine di stagionatura; è inoltre possibile visitare l'azienda agricola. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=M7xd-prDniU (video di alaNEWS), http://www.12tvparma.it/Video/tg-parma---telegiornale/inaugurato-all-antica-corte-pallavicina-il-museo-1.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Polesine_Parmense, https://it.wikipedia.org/wiki/Antica_Corte_Pallavicina

Foto: la prima è presa da http://www.andareingiro.net/article-natale-e-capodanno-all-antica-corte-pallavicina-113592785.html, la seconda è presa da https://www.alimentipedia.it/all-antica-corte-pallavicina.html