CALESTANO (PR) - Castello in frazione Ravarano
La fortezza originaria fu innalzata a presidio della val Baganza, probabilmente agli inizi dell'XI secolo su iniziativa del Comune di Parma, che desiderava difendersi dalle incursioni provenienti dalla Lunigiana. Nel 1214 il marchese Pelavicino Pallavicino, figlio di Guglielmo, acquistò il maniero dal podestà di Parma Baroccio Dal Borgo e nel 1249 suo figlio Uberto ne fu investito dall'imperatore del Sacro Romano Impero Federico II di Svevia. Nel 1267 i guelfi parmigiani attaccarono e conquistarono il maniero e nel 1297 il Comune di Parma decretò di non ricostruire più alcuna fortificazione a Ravarano. Manfredino Pallavicino, unico erede del padre Oberto II morto nel 1269, rientrò in possesso del castello insediandovi nel 1309 Bonaccorso Draghi. Nel 1312, mentre quest'ultimo era impegnato in battaglia a Berceto, il marchese di Pellegrino Pelavicino III Pallavicino, alleato di Giberto III da Correggio e dei guelfi parmigiani, cinse d'assedio la fortezza e la conquistò; tre anni dopo, raggiunta la pace tra i Comuni di Parma e Borgo San Donnino, Manfredino tornò in possesso delle fortificazioni di Ravarano, Casola e Solignano. Nel 1395 l'imperatore del Sacro Romano Impero Venceslao di Lussemburgo confermò al marchese Niccolò Pallavicino i privilegi sui feudi di Busseto, Borgo San Donnino, Solignano, Ravarano, Monte Palerio, Tabiano, Bargone, Serravalle, Pietramogolana, Parola, Castelvecchio di Soragna e Soragna. Nel 1417 il marchese Niccolò II d'Este, Signore di Parma dal 1409, accusò di tradimento Uberto Pallavicino e occupò con le sue truppe il castello di Ravarano. La situazione cambiò dopo pochi anni, col ritorno del dominio visconteo; nel 1432 il duca Filippo Maria Visconti dichiarò ribelle il marchese Jacopo Pallavicino e confiscò i suoi beni, tra cui metà del feudo di Ravarano, che assegnò in segno di riconoscenza al comproprietario Antonio Pallavicino, figlio di Uberto. Nel 1444 il marchese Federico Pallavicino promulgò fra le mura del maniero gli Statuti di Valle, che, redatti dal giureconsulto Guidantonio Gaiafasi, garantirono per secoli ampia autonomia governativa ai vassalli del feudo. Nel 1455 il duca di Milano Francesco Sforza investì ufficialmente del feudo di Ravarano la famiglia Pallavicino, che ne fu riconfermata nel 1470 e nel 1476. Nel 1482 Guido de' Rossi, con l'aiuto dei Torelli, attaccò il castello ma ne fu respinto; depredò quindi la vallata circostante. Nel 1687, in seguito alla morte dell'ultimo marchese del ramo di Ravarano, la Camera Ducale di Parma avocò a sé tutti i diritti sul feudo, che cedette ai fratelli Gian Simone e Lelio Boscoli; nel 1707 il marchese Andrea Boscoli ne ottenne la permuta con Berceto. Nel 1728 il castello fu assegnato al conte Paolo Anguissola, al quale seguì nel 1752 il conte Beltramo Cristiani, governatore di Mantova; alla sua morte nel 1758 Ravarano passò ai figli Gianfrancesco e Luigi. Nel 1805 i decreti napoleonici abolirono i diritti feudali nel ducato di Parma e Piacenza; il maniero, ormai trasformato in elegante casino di campagna, nel 1808 fu ereditato dai marchesi Lalatta, figli di Carlotta Cristiani, sorella di Gianfrancesco e Luigi. Negli anni successivi il forte fu acquistato dall'ingegner Francesco Bertè, che nel 1832 lo fece ristrutturare e adeguare alle comodità di un palazzo signorile. In seguito il castello fu alienato numerose altre volte, dapprima ai Pozzi, poi ai Prevedoni, ai quali seguirono i Forni e infine i Nanni Fainardi, attuali proprietari. Opportunamente restaurato negli ultimi decenni, il castello di Ravarano é abbastanza ben conservato. Il severo edificio, frutto di modifiche nei secoli, si sviluppa prevalentemente su due distinti corpi a pianta rettangolare, allineati sulla vetta di una scoscesa altura protesa verso nord sulla val Baganza; in corrispondenza del margine settentrionale si eleva un massiccio torrione, adibito in origine a prigione. A sud si accede attraverso un portale al cortile d'accesso, delimitato su due lati dal maniero; in un angolo è posizionato una pregevole vera da pozzo seicentesca, decorata con lo stemma dei Pallavicino. Il castello in pietra, privo di merli e ornamenti a dimostrazione del suo carattere fortemente difensivo, presenta poche finestre sui fronti est e nord, a differenza dei lati affacciati sulla corte, ove sono presenti anche alcuni portali in arenaria scolpiti nel XVII secolo. All'interno gli ambienti sono arricchiti da numerosi arredi e oggetti di pregio, tra cui vari ritratti della famiglia Fainardi e le collezioni di armi e di ceramiche; il salone conserva inoltre un camino decorato. Al pari di molti altri manieri, anche il castello di Ravarano parrebbe ospitare alcuni fantasmi. Secondo la tradizione, la prima entità sarebbe identificabile nel guardiano di un fantomatico forziere colmo di ricchezze, nascosto all'interno dell'edificio in epoca remota e mai rinvenuto; una seconda presenza si aggirerebbe di corsa soprattutto lungo le strade del piccolo borgo posto ai piedi del forte, decisa a riporre alcune tintinnanti monete d'oro in una pentola, celata in qualche misterioso luogo dal diavolo in persona. Altri link proposti: https://www.ilparmense.net/il-castello-di-ravarano-una-ricchezza-poco-redditizia/, https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/0800125465, https://www.facebook.com/ravarano/videos/226031674955247 (video con riprese aeree)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Ravarano, http://www.ravarano.it/Il%20Castello.htm
Foto: la prima è di Mauribert51 su https://www.tourer.it/scheda?castello-di-ravarano-castello-calestano, la seconda è di Gianni su https://www.borgo-italia.it/gli_speciali/calestano.php
lunedì 31 gennaio 2022
Il castello di lunedì 31 gennaio
sabato 29 gennaio 2022
Il castello di sabato 29 gennaio
PALAZZUOLO SUL SENIO (FI) - Castellaccio e Palazzo dei Capitani
Dal XII secolo signori di Palazzuolo furono gli Ubaldini, che sfruttarono la posizione del paese, rendendolo un mercatale, ossia un centro di commerci e scambi. Nel XIV secolo questo centro fu ceduto a Firenze; in seguito divenne un Vicariato e poi, sotto i Medici, divenne, insieme a Marradi, sede di un capitanato. Costruito alla fine del 1300, il Palazzo dei Capitani è contraddistinto da un portico d’angolo e da un ingresso sopraelevato. Sulla facciata sono murati numerosi stemmi appartenenti ai Capitani del Popolo nel tempo in cui vi ebbero residenza e giurisdizione. Il complesso del palazzo è sovrastato dalla Torre dell’Orologio che, ancora oggi, batte le ore e la mezza. Il 10 ottobre del 1506 vi fece sosta il Papa Giulio II accompagnato da Ser Niccolò Machiavelli.: un avvenimento ricordato da una lapide murata sulla facciata dell’edificio. A fianco, un’altra lapide riporta una terzina dantesca in ricordo di Maghinardo Pagani di Susinana. All’interno del Palazzo dei Capitani hanno sede il Museo Archeologico e il Museo delle Genti di Montagna. Sul colle che sovrasta il paese ci sono le antiche rovine del Castellaccio, chiamato anche castello di Vallagnello e appartenuto agli Ubaldini, interessanti anche per la passeggiata che bisogna fare per raggiungerle.
Fonti: https://www.terredidante.it/multilingua/it/modules/meta/tra/VG/TED/TEDPLZZSS/4/10/palazzuolo-sul-senio.html, https://www.comune.palazzuolo-sul-senio.fi.it/territorio-e-turismo, https://www.comune.palazzuolo-sul-senio.fi.it/sites/www.comune.palazzuolo-sul-senio.fi.it/files/documenti/1368773920312_percorsi_0.pdf
Foto: la prima (Palazzo dei Capitani) è di Cristian M. (Gentyb) su https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_dei_Capitani_(Palazzuolo_sul_Senio)#/media/File:PalazzodeiCapitani-PalazzuolosulSenio.jpg, la seconda (Castellaccio) è di Roberto su https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQHHBxqekMDMGLCiE7v0gbwemTCXg9Q3NUA5joklPZBy-d6w-sd1zFVjH2xOZUBXpckS_hZsNr36QkPvp8VR95W7KzbJjeqKkyHsOXd3QJrb4_v8HRZBQ0-3JlWZ5ZkNqAu4zfb45xxk61/s1600-h/36-Castellaccio%5B2%5D.jpg. Infine la terza (sempre Castellaccio) è presa da https://www.okmugello.it/news/attualita/875569/anime-dannate-cronaca-di-un-delitto-di-quattro-secoli-fa
venerdì 28 gennaio 2022
Il castello di venerdì 28 gennaio
PALERMO - Castello della Cuba
Il Castello della Cuba (o Palazzo della Cuba) è situato nell’antico centro abitato a occidente della città, dove oggi è possibile ammirare l’antica necropoli fenicio-punica di Panormos. La dinastia degli Altavilla aveva definitivamente conquistato la Sicilia nel 1070 con la presa di Palermo da parte di Roberto il Guiscardo. La Sicilia era fin dal 948 un Emirato fatimide. Gli Emiri, portatori di una cultura evolutissima resero la loro capitale, Palermo, una delle più belle città del Mediterraneo, arricchendola di palazzi, giardini e moschee. Resero floridi i commerci, crearono un apparato statale molto efficiente, e si circondarono di poeti, architetti, filosofi, e matematici. I re normanni, provenendo da una regione sino ad allora culturalmente ai margini dell'Europa, ebbero l'apertura e l'intelligenza di assorbire, quanto più possibile i costumi ed il sapere della civiltà araba di Sicilia, depositaria del sapere cumulatosi grazie al contatto con le civiltà asiatiche e africane sottomesse fin dal VII secolo. Nacque allora uno splendido stile architettonico, l'Arabo-Normanno, che coniugava elementi del romanico nord-europeo, con elementi bizantini, e la tradizione costruttiva ed ornamentale di una civiltà, quella araba, insuperata per le costruzioni nei paesi caldi. La Cuba (dall'arabo Qubba, "cupola") fu costruita nel 1180 per il re Guglielmo II, al centro di un ampio parco che si chiamava Jannat al-ard ("il Giardino - o Paradiso - in terra"), il Genoardo. Il Genoardo comprendeva anche la Cuba soprana e la Cubula, e faceva parte dei solatia o Sollazzi Regi, un circuito di splendidi palazzi della corte normanna situati intorno a Palermo. L'uso originale della Cuba era di padiglione di delizie, ossia di un luogo in cui il Re e la sua Corte potevano trascorrere ore piacevoli al fresco delle fontane e dei giardini di agrumi, riposandosi nelle ore diurne o assistendo a feste e cerimonie alla sera. La Cuba Sottana, appare oggi di proporzioni turriformi abbastanza sgraziate. La spiegazione è semplice. Era circondata da un bacino artificiale profondo quasi due metri e mezzo. L'apertura più grande, sul fronte settentrionale, si affacciava sull'acqua ad un'altezza oggi inspiegabile. Le notizie sul committente e sulla data sono esatte grazie all'epigrafe posta sul muretto d'attico dell'edificio. La parte più importante, quella sul committente, era dispersa e fu ritrovata nel XIX secolo, scavando ai piedi della Cuba, da Michele Amari, massimo studioso della Sicilia araba e normanna. La parte dell'epigrafe ritrovata dall'Amari, esposta in una sala a lato, dice così: "[Nel] nome di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l'egregia stanza dell'egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II re cristiano. Non v'ha castello che sia degno di lui ... Sia lode perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita". Il fatto straordinario per oggi di questa epigrafe, che dimostra la tolleranza e l'apertura della corte normanna, è la lingua: arabo in caratteri cufici. Dunque pur riferendosi ad un Re cristiano, fondatore del Duomo di Monreale e vassallo del Pontefice, l'iscrizione è in arabo. È noto che molti componenti delle varie corti normanne in Sicilia fossero arabi, celeberrimo è il caso di Idrisi, massimo geografo del suo tempo, maghrebino alla corte cristiana di Ruggero II re di Sicilia. Nei secoli successivi, la Cuba fu destinata agli usi più vari. Il lago fu prosciugato e sulle rive furono costruiti dei padiglioni, usati come lazzaretto dalla peste del 1576 fino al 1621. Successivamente in epoca borbonica fu aggregato alla caserma di cavalleria dei “Borgognoni”, subendo pesanti trasformazioni ed ampliamenti, con l’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica. Infine divenne proprietà dello Stato nel 1921. Passato alla Regione Siciliana, negli anni '80 cominciò il restauro che riportò alla luce le strutture del XII secolo. Oggi dipende dal "Polo regionale di Palermo per i parchi e i musei archeologici" dell'assessorato regionale ai Beni culturali. La Cuba è in attesa di essere inserita tra i monumenti dell'Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale come Patrimonio dell'Umanità UNESCO, approvato nel 2015. Dall'esterno, l'edificio si presenta in forma rettangolare, lungo 31,15 metri e largo 16,80, costruito con pietre ben lavorate. L’edificio si presenta oggi come una grande scatola muraria semivuota, nulla più rimane, se non pochi resti, delle decorazioni dei piani interni e dei rivestimenti del piano terra. Al centro di ogni lato sporgono quattro corpi a forma di torre. Il corpo più sporgente costituiva l'unico accesso al palazzo dalla terraferma. I muri esterni sono ornati con arcate ogivali. Nella parte inferiore si aprono alcune finestre separate da pilastrini in muratura. I muri spessi e le poche finestre erano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore resistenza al calore del sole. Inoltre, la maggior superficie di finestre aperte era sul lato nord-orientale, perché meglio disposta a ricevere i venti freschi provenienti dal mare, temperati ed anche umidificati dalle acque del bacino circostante. L'interno della Cuba era diviso in tre ambienti allineati e comunicanti tra loro. Al centro dell'ambiente interno si vedono i resti di una splendida fontana in marmo, tipico elemento delle costruzioni arabe necessario per rinfrescare l'aria. La sala centrale era abbellita da muqarnas, soluzione architettonica ed ornamentale simile ad una mezza cupola. Proprio alla Cuba, tra le acque e gli alberi che la circondavano, Boccaccio ambientò una delle novelle del suo Decameron. La sesta della quinta giornata. È la vicenda d'amore tra Gian di Procida - nipote dell'omonimo grande eroe del Vespro Siciliano - e Restituta, una ragazza bellissima di Ischia rapita da «giovani ciciliani» per offrirla in dono al allora re di Sicilia: Federico II d'Aragona. Quando Giovanni Boccaccio scrisse il Decameron, era già cominciato il declino dei parchi reali che erano l'orgoglio della città ormai in mani angioine. Era finita l'epoca di Palermo "felicissima" che secondo Idrisi era allora «la più grande e la più bella metropoli del mondo» con la sua vasta verdeggiante pianura e con i suoi luoghi di delizie (mustanaza). Ma la traccia che aveva lasciato quel periodo di splendore era così luminosa da impressionare Boccaccio ancora diversi secoli dopo. Insieme alla Zisa, il Castello della Cuba, dall'arabo Qubba, "cupola", rappresenta l'architettura fatimita in Sicilia. L'edificio è detto "Cuba sottana" per distinguerlo dalla Cuba soprana, oggi inglobata nella settecentesca villa Di Napoli e dalla Piccola Cuba, situate nell'antico parco reale del Genoardo. Un'antichissima leggenda (arretrandone l'origine nel tempo) narra che Cuba e Zisa furono figlie di un re saraceno il quale avrebbe edificato per loro questi due castelli, che dovevano essere degni della meravigliosa bellezza delle due fanciulle. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=zp4aboyQ54A (video di Me Me), https://www.beniculturalionline.it/location-2600_Palazzo-o-Castello-della-Cuba.php, https://www.youtube.com/watch?v=qTocQbjXlUs&t=426s (video di Giovanna Bongiorno)Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_della_Cuba, https://www.balarm.it/luoghi/castello-della-cuba-palermo-2535, https://www.icastelli.it/it/sicilia/palermo/palermo/castello-della-cuba, https://www.palermoviva.it/la-cuba/
Foto: la prima è presa da https://www.siciliafan.it/cultura-storia-architettonica-cuba-sottana-edificio-arabo-normanno-palermo/, la seconda è presa da https://www.icastelli.it/it/sicilia/palermo/palermo/castello-della-cuba
giovedì 27 gennaio 2022
Il castello di giovedì 27 gennaio
OLIVETO CITRA (SA) - Castello Guerritore
Il Castello di Oliveto Citra, di cui sono rimaste in piedi poche mura a causa del terremoto del 23 novembre 1980, sebbene non compaia di frequente nella letteratura dei castelli significativi dell'Irpinia, riveste un significato importante. Risalta fra i tanti esempi di paesi con castello, così diffusi in tutto il meridione montuoso, e ciò per una particolare situazione naturale ed urbanistica. Al culmine del paese digradante si erge un'alta formazione rocciosa su cui poggiano le attuali rovine, che dominano tutta la valle intorno. Il complesso sorge al centro dell'abitato ed è uno dei tipici castelli baronali del Sud. I reperti più antichi sono stati trovati nei dintorni di Oliveto, dove sono state fatte scoperte archeologiche di un certo rilievo, con reperti risalenti al VI sec. a.C. L'impianto del paese è di origine medioevale, la prima notizia che ne ricorre è nel 1114, quando S. Maria de Foris, casale di Oliveto, fu dato all'arcivescovo di Conza dal conte Quaimario di Giffoni. Oliveto è ricordata all'epoca del Catalogo dei Baroni, cioè negli anni 1166-1189, in quel tempo un normanno francese, Guglielmo di Toille (Tuilla) aveva in feudo Oliveto. Da Guglielmo in poi, e fino a tutto il Risorgimento, il castello fu la sede dei feudatari e dei baroni locali, negli anni 1269-1270 Oliveto era feudo ditale Giovannuccio (Johannucuis de Oliveto). E quello del 15 dicembre 1300 il documento in cui il re Carlo Il, nel richiedere ai suoi feudatari per la prima guerra del Vespro contro gli Aragonesi di Sicilia, un barone armato, con almeno tre cavalli ed un asino e, con tutte le armature possibili, fa il nome, tra gli altri, di Giovanni (Johanni) barone di Oliveto; successivamente il castello e la terra di Oliveto furono, nel 1495, di Ferrante Diaz Garlon. Le sue prime strutture risalgono all'epoca medioevale, soltanto in senso planimetrico può avanzarsi qualche ipotesi in tal senso, data anche la non conclusione dei castrum di Oliveto tra le fortezze da restaurare sotto gli Svevi, con le famose prammatiche del 1230-31, è da pensare che in epoca imprecisata, ma certamente intorno alla piena età rinascimentale il castello fosse ripristinato con un altro tipo di elevato, consono ai nuovi tempi della fortificazione dell'architettura baronale, infatti, nel nuovo castello vennero ad abitare i feudatari che dal 1600 alla fine del 1700 tennero Oliveto. Attualmente sono visibili le scuderie tipiche e gli angoli ove le mura si ingrossano per la presenza delle torri e dei luoghi ove è ancora possibile recuperare ambienti sepolti. Dal 1556, fino ai primi del 1600, Oliveto fù dei Blanch, da costoro, poi ancora passò al marchese Marc'Antonio. Cioffi di Salerno nella metà del 600 e dai Cioffi, per ramo di parentela nella seconda metà del 700 ai Macedonio, marchesi di Reggiano, e da loro, per via femminile, è passato ai baroni Guerritore. A questi ultimi il castello di Oliveto Citra passò per estinzione maschile della famiglia Macedonio. Infatti, la figlia del marchese Marcantonio sposò il barone Andrea Guerritore. E' dunque nel periodo marchionale dei Blanch-Cioffi-Macedonio-Guerritore che deve intendersi ricostruito il castello di Oliveto, forse databile con un certo margine di approssimazione alla prima metà del XVI secolo, con aggiunte successive dei secoli citati. Il castello, a forma vagamente trapezoidale, giace su un compatto masso calcareo; la planimetria rimanda ad un disegno castrense largamente recepito nella tarda fortificazione normanna, cioè un recinto tendenzionalmente circocentrico; questa è la sola ipotesi verificabile in senso storico, per cui è credibile che la nuova fortificazione rinascimentale abbia usato le basi antiche, o almeno il disegno antico di cui si è discorso. Attualmente il castello presenta ancora delle finestre, di cui alcune tompagnate, con caratteri stilistici seicenteschi, o almeno tardo rinascimentali. In un punto a N.O., in cui il muro di cortina assume quasi veste turrita, sono evidenti i segni di assestamenti edilizi, forse del Seicento. Oggi l'edificio è la sede del Museo Archeologico dell’Alta Valle del Sele. Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=2pauMt1-0WY (video di CilentoChannel Gianni Petrizzo), https://www.youtube.com/watch?v=JducDUxG6Ms (video di Luigi Salzarulo)
Fonti: https://www.comune.oliveto-citra.sa.it/c065083/zf/index.php/musei-monumenti/index/dettaglio-museo/museo/2, https://sworld.co.uk/02/1351/photoalbum/oliveto-citra-castello-guerritore...%20-%20Secret%20World
Foto: la prima è presa da https://www.borgodellaregina.it/oliveto-citra.html, la seconda è presa da https://www.sueolivetocitra.eu/castello-guerritore/
mercoledì 26 gennaio 2022
Il castello di mercoledì 26 gennaio
PELAGO (FI) - Castello di Sant'Ellero
Il Castello di Sant’Ellero, recentemente ristrutturato, era situato presso la confluenza del torrente Vicano e dell’Arno. Venne fondato in epoca altomedievale per difendere l'abbazia delle monache benedettine di Sant'Ilario in Alfiano, il cui patrimonio comprendeva quasi tutta la montagna di Vallombrosa. Le monache dell’abbazia esercitavano il loro patronato sulla fortificazione, come risulta dai privilegi pontifici del 1181 e del 1228. Come testimoniato dalla Cronaca del Villani, il castello rimase coinvolto nelle feroci lotte politiche che infiammarono Firenze e il suo contado: vi si rifugiarono, nel 1267, i ghibellini fiorentini esiliati dal regime guelfo sostenuto da Carlo d’Angiò. Sotto la guida del condottiero Filippo da Quona, i ghibellini di Sant’Ellero tentarono di organizzare una controffensiva ai danni dei guelfi di Firenze, ma Carlo inviò loro contro la cavalleria francese: l’assedio fu così violento che quattrocento vinti furono trucidati sul posto, e l’edificio raso al suolo. In seguito, le religiose si trasferirono nel monastero di San Pancrazio di Firenze, e la vecchia abbazia fu ceduta ai Vallombrosani, che la trasformarono in un ospizio. Dell'insediamento fortificato restano la torre centrale (parzialmente ricostruita), i livelli inferiori, adibiti a cripte e prigioni, e tratti della cinta muraria su cui sono addossate le case dell’insediamento. Dell’abbazia benedettina rimangono la Chiesa, trasformata nel 1700, le celle, l'antico chiostro e le gallerie. Risalgono al XVII-XVIII secolo i saloni, le terrazze e i giardini del parco. Tra Seicento e Settecento il monastero ed il castello furono trasformati in villa. Il Monastero ed il castello avevano un piccolo borgo attiguo ancora esistente, primo nucleo dell'attuale centro abitato. Oggi il castello è una prestigiosa location per matrimoni, cerimonie ed altri eventi. Altri link suggeriti: https://www.intoscana.it/it/articolo/castello-di-santellero-una-storia-scritta-nel-sangue/, https://www.facebook.com/castellodisantellero/videos/655738955207195 (video)
Fonti: http://www.castellodisantellero.it/it/content/il-castello, https://it.wikipedia.org/wiki/Sant%27Ellero_(frazione), http://www.visitreggello-tuscany.com/storia-architettura/castelli-torri/castello-di-santellero/
Foto: la prima è presa da http://www.castellodisantellero.it/, la seconda è presa da https://www.matrimonio.com/castelli-matrimoni/castello-di-sant-ellero--e77347
Il castello di martedì 25 gennaio
COGOLETO (GE) - Torri
Il centro storico di Cogoleto non fa pensare al suo passato di borgo marinaro fortificato, formato com'è da una doppia fila di case entro in cui si sviluppano le vie Rati e Colombo. Le trasformazioni intervenute hanno reso difficile la lettura dell'antico presidio di cui restano, in parte riconoscibili, soltanto alcune torri, assorbite nel tessuto edilizio urbano fino a diventare un complemento dei fabbricati a cui sono addossate, apparentemente senza una propria individualità. Una dettagliata rappresentazione di Cogoleto visto dal mare risalente alla seconda metà del Seicento rileva la presenza dell'impianto militare. Era formato da tre elementi principali. A levante del centro abitato, il Castello aveva forma rettangolare con due torrette poste alle estremità del lato maggiore rivolto verso il mare. Con la Chiesa di Santa Maria e con l'Oratorio di san Lorenzo, costituiva presidio unico perimetrato da mura. A partire dal Castello si snodava per tutta la lunghezza del paese a monte delle case una linea di sei - otto torri baluardo edificate in momenti diversi. Le torri, distanziate tra loro di circa 60 metri, si levavano di poco rispetto agli edifici antistanti in modo da permettere di osservare bene senza essere individuati. Il terzo elemento era lo stesso paese. Le preminenti esigenze connesse alla produzione della calce e alla sua distribuzione commerciale con il trasporto marittimo, avevano determinato l'assetto del centro su due file di edifici. La prima fila, ubicata direttamente "in scia gea" (oggi identificabili nelle costruzioni adiacenti la via Aurelia), era costituita da fornaci per la cottura della calce, da qualche antica casa per abitazione, ma soprattutto, da fabbricati a destinazione commerciale e marinara di appoggio al naviglio, al carico e agli equipaggi. Edifici non rinserrabili all'interno di mura perché‚ funzionali alle attività di carico-scarico delle merci e al rimessaggio del naviglio, tirato a secco fino a fianco delle case nella stagione invernale. La seconda fila era costituita da edifici residenziali (oggi identificabili in quelli posti sul lato a nord delle vie interne) collegati tra loro in sequenza lineare. Gli edifici, (di altezza non superiore a due piani), per esigenze difensive erano uniti con mura anche nei rari distacchi, allo scopo di assicurare la totale contiguità della ostruzione rispetto alle retrostanti torri. Cogoleto ha avuto la necessità di dotarsi di queste strutture per difendersi dalle incursioni saracene e dei pirati i quali non davano, di regola, luogo ad assedi, in quanto i tempi di permanenza a terra erano limitati alle possibilità di organizzare la difesa e il contrattacco. Giocavano a favore dei pirati le comunicazioni stradali, che erano di difficile se non impossibile transito, ma i vascelli della Repubblica si potevano riavvicinare e quindi precludere la via di fuga. Le torri erano perciò organizzate per una resistenza breve ma efficace, che in primo luogo si doveva preoccupare di disporre di buoni e resistenti serramenti e tante pietre da tirare in testa a chi avesse tentato di scalare le mura. Le caditoie o piombatoie in alto, a corona delle torri, erano (come i gattoni) in uso a quell'epoca e servivano per gettare olio bollente o paglia infuocata sugli eventuali assalitori. I gattoni, invece, erano praticamente usati quali sostegni a provvisorie paratie di difesa contro frecce e dardi lanciati dal nemico. Costruita nei primi decenni del Settecento, Torre Parasco è forse quella che più ha mantenuto le sue sembianze originarie, infatti si notano ancora i "gattoni" che la coronano. Ad essa in seguito fu poi accorpato il bastione che scendeva sino al mare per fungere da rocca difensiva sul limitare di quel territorio paludoso che era attraversato dal Rio Rumaro e dal Rio Arrestra, ma sul quale vi era l'antico tracciato che portava a Varazze dopo essere disceso da Sciarborasca sino alla rocca stessa. La si può vedere in via Parasco, nei pressi dell'arena cinematografica all'aperto. Situata in via Mazzini (fronte a piazza Europa), la Torre Solaro storicamente si chiamava Torre Giare perché in quella zona erano presenti numerose fornaci e case. I Solaro la fecero probabilmente costruire e comunque la mantennero per oltre duecento anni. Oggi la facciata ovest è stata assorbita dalla nuove abitazioni. La Torre Ansaldo prende il nome dalla famiglia cogoletese che, con il permesso della Repubblica, la fece costruire presso la propria abitazione nei primi decenni del '500 e ne mantenne la proprietà sicuramente fino al 1735. Costituiva il primo baluardo difensivo esterno al Castello-Fortezza di Cogoleto. Oggi si trova tra via Rati e via G. Pestalardo. Una delle più antiche e molto simile alla Torre Solaro, la Torre Isolata è così chiamata perché era una delle poche torri isolate nella campagna cogoletese e tale è rimasta fino ai primi decenni di questo secolo. Oggi è nota come Torre del dottor Chiappe, visibile da via Mazzini. La Torre Genovese, cinquecentesca, ripete esemplarmente il modello dell'epoca, munita di caditoie o piombatoi che delimitava l'oppido nei pressi del Rio Capuzzola. In origine doveva avere solo le sporgenze dei "gattoni" poi tramutati in caditoie; sia questa torre che quella di via G. Pestalardo dovevano essere uguali e forse diedero nome al primitivo rione dei "binelli" in seguito diviso per la creazione della contrada "Giuggiola". Oggi la si può vedere in piazza Martiri della Libertà, nei pressi delle Poste Italiane.
Fonte: http://www.cogoletoinfo.it/cultura/itinerari/torri/torri.htm
Foto: 1) Torre Parasco (da http://www.latorrecogoleto.it/); 2) Torre Solaro (di senet su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Cogoleto-torreSolaro.JPG); 3) Torre Ansaldo (da http://www.cogoletoinfo.it/cultura/itinerari/torri/torre1.jpg); 4) Torre Isolata (da http://www.cogoletoinfo.it/cultura/itinerari/torri/torre2.jpg); 5) Torre Genovese (da https://www.cogoletostoria.it/wp/edifici-importanti/)
lunedì 24 gennaio 2022
Il castello di lunedì 24 gennaio
FERENTILLO (TR) - Castello di San Mamiliano
E' un antico castello tra Montefranco e Ancaiano, situato a ridosso della “Via del Ferro“, un antico itinerario che collegava la zona estrattiva di Monteleone di Spoleto con Scheggino nella Valle del Nera (dove veniva lavorato il materiale), per proseguire poi, attraversando il lato orografico destro della Valnerina, sino al congiungimento con l’antica Via Flaminia a Strettura per arrivare sino a Roma. Il suo nome deriva da Mamiliano un santo del V secolo molto venerato nei primi periodi del cristianesimo. Il centro abitato è collocato su un promontorio alle falde del Colle dell’Ovaia (m. 778 s.l.m.) che domina la valle del Fosso di Ancaiano aprendosi verso la valle del Nera di fronte a Ferentillo. Il castello, creato nel secolo IX per tenere testa ai saccheggi dei saraceni, fece parte del più ampio sistema difensivo dell’Abbazia di S. Pietro in Valle nel tratto che, nella gola del Nera sopra Ferentillo, si appoggiava alle Rocche di Mattarella e Sacrato – Precetto nel Terzo di Matterella insieme a Le Mura, Ampugnano, Lorino, Gabbio, Nicciano. Ospitò le truppe spoletine stanche e affamate da una lunga guerra contro i ternani ai quale contendevano le Terre Arnolfe assegnate da Innocenzo IV a Spoleto nel 1247. Gli Spoletini nel 1395, presero S. Mamiliano e vi posero castellano e presidio, avendo invaso il territorio di Ferentillo, per reagire contro i Ferentillesi che minacciavano Montefranco, e insieme contro i Reatini che avevano gettato a terra Buonacquisto. Non si sa quanto tempo siano durate le ingerenze di Spoleto in quel castello, ma la storia di San Mamiliano si può dire legata piuttosto allo Stato di Ferentillo, del quale fece sempre parte. Conserva tuttora la tipologia del castello medievale di poggio con cinta muraria poligonale, difesa da torri alte non più di otto metri. Completamente restaurato vanta un interessante patrimonio artistico come la Chiesa di San Biagio, edificata sui resti dell'antica fortezza del paese (si notano infatti delle feritoie sull'esterno dell'abside una volta bastione difensivo). Lo stesso campanile è stato ricavato sulla ex torre d'avvistamento. Sempre all’interno della cinta muraria si può ammirare il Pozzo sormontato da una colonnina datata 1005 con scolpito, il primo stemma di Ferentillo e la testa mozzata di un saraceno. Altri link suggeriti: https://www.facebook.com/watch/?v=758393578262193 (video), https://umbriasud.altervista.org/san-mamiliano-borgo-templari-siciliani/?doing_wp_cron=1643027608.0266060829162597656250
Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-san-mamiliano-ferentillo-tr/, http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/01_valnerina/00039/index.htm
Foto: la prima è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-san-mamiliano-ferentillo-tr/, mentre le altre due sono entrambe prese da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/01_valnerina/00039/index.htm
giovedì 20 gennaio 2022
Il castello di giovedì 20 gennaio
CAVOUR (TO) - Castello
Sotto gli Acaja, nel XIV secolo, Cavour conobbe un periodo di prosperità. Venne istituita la "Società popolare per la difesa della terra e la punizione dei malfattori", permettendo all'elemento democratico di prendere parte al governo del Comune quando grande era l'assolutismo e la potenza aristocratica. Venne anche creato il primo prototipo di ospedale (1351). Potenziata la rete irrigua realizzata nell'XI secolo dai monaci dell'Abbazia, fu costruita anche la via rialzata per Villafranca, prezioso allacciamento con il Po, allora grande via di commercio. All'inizio del Quattrocento, il Borgo medievale era cinto da mura con due castelli sulla Rocca (una collina che si innalza di 162 metri rispetto alla pianura circostante) che ospitavano 250 nuclei famigliari. Con l'estinzione del ramo Acaja (1418), il borgo di Cavour venne infeudato dai Savoia a Ludovico di Racconigi, figlio naturale di Ludovico, ultimo Principe D'Acaja. Nei due secoli di governo dei Signori di Racconigi, a Cavour si sviluppò la vocazione mercatale. Si registrò un arricchimento architettonico sia in paese che in periferia dove vennero edificate anche diverse cappelle. Vennero inoltre riadattate tutte le fortificazioni con l'intento di costituire un baluardo di difesa contro i francesi, con i quali, a causa delle diverse correnti religiose, si vanno rompendo le alleanze. Sulla vetta delle rocca, come detto, sorgeva un castello di cui restano solo dei ruderi. Il castello fu distrutto nel 1690 dal generale francese Nicolas de Catinat. Sicuramente, il manufatto che maggiormente influenzò le vicende storiche cavouresi (congiuntamente all’Abbazia di Santa Maria) è senz’altro il Castello sulla Rocca. Anche il più distratto visitatore o turista che si trovi ad osservare la Rocca di Cavour, non può esimersi dall’immaginare, con un piccolo sforzo di fantasia, la sua vetta circondata da bastioni, da mura merlate, da imponenti torri a difesa di un invitto mastio e del paese sottostante. Purtroppo dell’antico maniero dei Savoia-Acaia Racconigi non rimangono oggi che pochi ruderi ignorati dai più ed abitati solo dal vento e dai fantasmi. Un pezzo di muro affondato nella roccia, un mezzo arco, una camera senza tetto, una gran croce di pietra ed una bandiera di ferro che cigola sinistra nel vento, sono gli ultimi resti immediatamente visibili ai turisti dell’antico castello della rocca, silenziosi testimoni di un glorioso passato. Non sono fortunatamente i soli resti rimasti, infatti, sulla seconda vetta, detta la rocca Gruè (nome che deriva dalle gru e verricelli che i soldati francesi dovettero piazzare per poter portare sullo spiazzo alcuni cannoni durante l'assedio del 1592), vi è ancora la base, con tre cannoniere e rispettive volate di fuoco, del famoso “Torrione di Bramafame” che, isolato ma possente, proteggeva da un lato il castello principale. Ed ancora, poco sotto al Torrione si dirama un lungo tratto di muro con feritoie difensive, quasi completamente nascosto dalla vegetazione, muro che scende fino al pianoro di San Maurizio dove in esso si apre un portale. Poco al di sotto permangono i resti di un altro notevole Bastione difensivo (vi è anche l'ipotesi, ma con molti dubbi, che si tratti degli unici ruderi rimasti del famoso Castello Inferiore della Rocca che si dava per scomparso, di questo maniero fu investito Omodeo di Cavour da Oberto di Piossasco che era signore del castello superiore della Rocca). Questo reperto storico è rimasto per moltissimi anni completamente ignorato da tutti semi nascosto da piante e rovi, ma ultimamente i volontari dell'Associazione Vivi la Rocca lo hanno reso visibile e si spera che a breve sia reso finalmente agibile per tutti (su di esso si scorgono i buchi provocati dalle palle di cannone dei vari assedi). Tra gli abitanti di Cavour e Bagnolo, da tempi immemori, vi è la diffusa credenza riguardante una “Galleria” che avrebbe (intorno all’XI / XII secolo) collegato i castelli di queste due località con una possibile, ulteriore diramazione verso l’Abbazia di Santa Maria.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cavour_(Italia), https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Cavour, testi di Dario Poggio su https://www.vocepinerolese.it/articoli/2019-06-29/cenni-storici-castello-cavour-meriterebbe-ben-maggior-valorizzazione-16612 e su https://www.vocepinerolese.it/articoli/2020-02-28/cavour-cenni-storici-galleria-segreta-del-castello-fantasia-o-realta-17885
Foto: la prima è presa da http://www.comeedove.it/wp-content/uploads/2018/03/rocca-di-cavour.jpg, la seconda è presa da https://www.piemontetopnews.it/rocca-di-cavour-commistione-tra-pagano-e-cristiano/
mercoledì 19 gennaio 2022
Il castello di mercoledì 19 gennaio
CAROVIGNO (BR) - Torre della Regina Giovanna
La sua denominazione, secondo la tradizione popolare, è direttamente riferita ad una delle due regine di Napoli, Giovanna I o Giovanna Il, ma la prima ipotesi dovrebbe essere quella più probabile, e dovrebbe stare ad indicare la committenza dell'opera. Dalle memorie tramandate dalla gente vissuta nella zona di tale torre, si parla dell'esistenza al primo piano di tale fortificazione di una statua a cavallo di una regina detta appunto Giovanna, una copia della quale la si dice esistente a Palermo, nella piazza detta "della Vergogna". Di quella statua oggi non ne è rimasta traccia. Tale fortificazione, comunque, non ci offre oggi elementi architettonici tali da poter cogliere, con sicuro affidamento, l'epoca di erezione, pare però, che la Torre risalga al XV secolo. Ciò lo si può ricavare agevolmente dalla tipologia angioina-durazzesca, anche se, da un altro lato, potrebbe essere considerata, come forma di arte ritardataria peraltro molto frequente nel Salento. E’ una torre ubicata a circa 1 km dal mare all’interno del territorio carovignese all'altezza di Torre Guaceto, e molto probabilmente anch'essa serviva a creare un ponte di collegamento visivo con il Castello di Serranova (https://castelliere.blogspot.com/2017/12/il-castello-di-mercoledi-13-dicembre.html). Le testimonianze hanno segnalato che all'inizio del XIX secolo era ancora visibile un fossato scavato nel tufo, lungo circa mezzo miglio, che potrebbe portare a credere ancora alla tradizione popolare che addita un camminamento interrato tra il Castello di Serranova e la Torre Regina Giovanna. La Torre Regina Giovanna si presenta a base quadrata con una parete rivolta a maestrale che si nota ricostruita sugli inizi del '900 dai Principi Dentice di Frasso. Probabilmente a quest'epoca rimane da addebitare l'addossamento di un antemurale di sostegno che si sviluppa lungo la sua parte inferiore sino all'altezza del primo piano, sul punto, cioè, che gli architetti militari e civili antichi usavano delimitare con cosiddetto "cordolo". La torre, nel suo complesso si vede costruita in tufo asportato dalla vicina cava, senza intonacature, e mostrante lungo le pareti al piano terra, ad altezza d'uomo, occhielli un tempo usati per legare le briglie dei cavalli. Il coronamento, poi, che rimane alla guelfa, non si nota poggiante su alcun sistema di beccatelli tradizionali. Va detto, infine, che la Torre Regina Giovanna, già proprietà dei Principi Dentice di Frasso, venne venduta intorno al 1950 al Sig. Rocco De Simini di Noicattaro, e da questi passò poi a più proprietari. Attualmente è proprietà di privati ed è adibita ad utilizzo turistico come punto di ritrovo serale estivo per i giovani. Per approfondimento suggerisco questi due brevi video: https://www.facebook.com/watch/?v=371916904080220 e https://www.youtube.com/watch?v=i_jhNM34qQM (di Torre Regina Giovanna)
Foto: la prima è presa da https://www.visititaly.it/info/953563-torre-regina-giovanna-brindisi.aspx, la seconda è presa da http://www.lalanternadelpopolo.it/Torri%20Carovigno.htm
martedì 18 gennaio 2022
Il castello di martedì 18 gennaio
LOZIO (BS) - Castello Nobili
I suoi ruderi sono situati in val di Lozio, sopra l'abitato di Villa, addossati ad una parete rocciosa a circa 1200 metri s.l.m., con una torre di avvistamento posta al di sopra del roccione (1288 metri slm). La sua posizione premetteva una completa visuale sulla valle e le cime della Concarena. La datazione della struttura lo fa risalire alla fine del XIII secolo. Fu costruito dalla casata dei Nobili, che rimase al potere fino al 1410. Risale infatti a quell’anno la resa dei conti fra i Guelfi, capeggiati da Baroncino Nobili, temuto autore di ripetute efferatezze, e i Ghibellini, capeggiati da Giovanni Federici di Erbanno, che guidò all’assalto del castello di Lozio e alla conseguente uccisione degli occupanti. Secondo una leggenda locale l’attacco sarebbe avvenuto nella notte di Natale. In tale data l’assalto appariva improbabile e inaspettato data la sacralità del momento. Schiere ghibelline risalirono i ripidi sentieri del castello e deviarono il corso di un torrente ghiacciando gli accessi al fortilizio e rendendo così impossibile ogni eventuale via di fuga. Entrati con uno stratagemma nel castello, i ghibellini ne trucidarono gli occupanti e conquistarono il potere nella valle. Il freddo della notte aveva gelato l'acqua rendendo le strade impraticabili ed impedendo ai Nobili la fuga. L'attacco fu una carneficina, solo due giovani, lontano da Lozio in quanto si trovavano per studi a Bergamo si salvarono... così narra Padre Gregorio Brunelli. La famiglia Nobili venne dunque sterminata e la rocca passò alla famiglia Federici. Pochi anni dopo, nel 1427, la Valle Camonica passò sotto l’influenza della Serenissima Repubblica di Venezia e il castello di Lozio, posto non lontano dal confine con la Signoria dei Visconti, ebbe nuovamente un ruolo di primaria importanza a presidio della zona. Il fortilizio venne infatti occupato da Bartolomeo Nobili, nipote di Baroncino e uno dei pochi superstiti della strage avvenuta nel 1410, che divenne ben presto uno dei protagonisti della guerra fra la Serenissima e le truppe milanesi. Il castello fu infatti cinto d’assedio anche nel 1454, ma non cadde nelle mani viscontee e per questo motivo non venne demolito per ordine di Venezia, come accadde invece ad altri manieri camuni. Quanto al castello, con la pace che regnava ormai nelle valli, negli anni successivi fu invece progressivamente abbandonato e cadde in rovina. Oggi è di proprietà del comune di Lozio. Il castello, come si può riconoscere oggi dalle poche rovine, aveva un primo muro di cinta che seguiva l'andamento ricurvo della roccia. Questo muro di cinta, che si attacca ai due lati alla roccia, ha un percorso di circa trenta metri. È costruito da pietre abbastanza regolarmente squadrate e disposte a corsi regolari. In esso si apre, rivolta verso ovest, la porta di ingresso, di cui rimangono ancora i due stipiti costituiti da pietre ben squadrate ma di cui è andato perso l'arco o l'architrave. Nell'interno, appena oltre la soglia, sulla destra vi è un incavo di sezione quadrata di circa 15x15 centimetri che serviva per alloggiare la spranga che doveva fermare internamente il portone. Dalla porta si passa in un vano di circa 6 metri, di forma rettangolare. Nella parete di fronte all'ingresso, cioè verso est sembra ancora di intravvedere una porta fiancheggiata da un pilastro, porta che immetteva in un secondo ambiente che aveva un andamento ricurvo. Tra il primo ambiente e la roccia del mastio, cioè sul lato nord, sembra che vi fosse una vasca, oggi interrata, tanto più che nella zona vi è una sorgiva. Dal secondo ambiente quasi certamente si doveva passare alla famosa scala ricavata nella roccia, posta nella parte nord-est del roccione centrale, che rimane isolato in tutti i suoi lati. Questa scaletta portava al mastio, cioè alla cosiddetta torre posta a un livello più elevato, di cui rimangono notevoli ruderi e che, per quanto sembra, doveva avere andamento irregolare, più circolare che quadrangolare, per seguire l'andamento del terreno. Questa torre aveva almeno due piani. La rocca presenta una superficie di circa 300 mq calpestabili, divisi in due corti ed otto locali. Altri link per approfondire: https://www.intercam.it/tomo/storiapaesi/lozio/storia.htm, http://popovina.blogspot.com/2015/07/il-castello-di-lozio.html, https://3dwarehouse.sketchup.com/model/9e23cfcf98eae76bc4d08fabe68c27f1/Ruderi-castello-di-Lozio?hl=it (ricostruzione in 3D)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Lozio, https://www.xtremeadventure.it/castello-di-lozio/, http://www.youvallecamonica.it/pages/castello-di-lozio, https://www.comune.lozio.bs.it/pagine/storia_arte_cultura/castello/
Foto: la prima è di Grasso83 su https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Lozio#/media/File:Castello_di_Lozio_1.jpg, la seconda è presa da https://www.xtremeadventure.it/escursione-castello-di-lozio-valle-camonica/
lunedì 17 gennaio 2022
Il castello di lunedì 17 gennaio
CANTAGALLO (PO) - Rocca di Cerbaia
La Rocca di Cerbaia, anche solo Rocca Cerbaia, domina la vetta di uno sperone roccioso di quasi quattrocento metri di altezza a strapiombo sulla valle del fiume Bisenzio, in località Carmignanello. Da secoli la struttura fortificata combatte con le forze della natura che ne hanno causato prima l'abbandono, poi la rovina. La rocca fu probabilmente edificata agli inizi del XII secolo a guardia della "strada di Lombardia", collegamento fra la Toscana e le regioni transappenniniche, e appartenne ai Conti Alberti, ai quali venne concessa nel 1164 dall'imperatore Federico Barbarossa. Nonostante le sue funzioni militari, la rocca fu utilizzata dagli Alberti per un lungo periodo anche come dimora, fatto confermato dalle rifiniture di ottima qualità ancora visibili all'interno del mastio. Nel XIII secolo, il maniero fu uno dei capisaldi della lotta tra il potere feudale albertesco e il nascente comune di Prato. Qui Adelaide degli Alberti incontrò il suo sposo Ezzelino II da Romano. Una loro figlia, Cunizza da Romano (di cui parla Dante Alighieri nel Paradiso), dalla movimentata vita amorosa, vi visse in età matura; nel 1278 redasse il proprio testamento in questo luogo, dopodiché non si ebbero più sue notizie. È probabile che lei sia morta nella Rocca e che sia stata sepolta nel cimitero attiguo. Nel 1361 Niccolò Aghinolfo degli Alberti fu l'ultimo conte di Cerbaia; in quell'anno infatti la rocca fu venduta al comune di Firenze che, vista la sua importante posizione strategica, vi insediò una guarnigione militare permanente e ne rafforzò le difese con la costruzione di una seconda cinta muraria e altri edifici. La rocca fu parzialmente abbandonata verso la metà del Quattrocento per rivivere un breve momento di gloria nel periodo del Sacco di Prato (1512), durante il quale un pratese che aveva diversi possedimenti nella zona (tra cui la tenuta di Gricignana), Novelluccio Novellucci, fu incaricato dalla Repubblica Fiorentina di mantenere "il fornimento" del castello. Il Novellucci apportò nella circostanza diverse modifiche alle costruzioni, tutte però a carattere residenziale, probabilmente per consentire un idoneo acquartieramento agli armati che avrebbero dovuto sorvegliare la valle del Bisenzio in attesa delle truppe spagnole di Raimondo di Cardona, che però scelsero la parallela - e più bassa - val di Marina per raggiungere la piana pratese e fiorentina. Dettaglio curioso, le modifiche murarie realizzate furono effettuate con l'uso di laterizio prodotto in loco con apposite fornaci, le prime in questa parte della val di Bisenzio. Nel XIX secolo la rocca passò alla famiglia Eldmann. Il comune di Cantagallo, con il sostegno della provincia, ha acquistato nel 1999 l'antico monumento, rendendo la Rocca patrimonio pubblico. Dopo circa dieci anni di scavi e restauri il suo recupero è praticamente ultimato, resta da svilupparne la valorizzazione. La rovina e il diroccamento sono rimaste nell’aspetto anche dopo l’intervento, ma le indagini archeologiche hanno permesso di scoprire molto di più, per esempio che la collina fu oggetto di un insediamento di capanne ben prima della costruzione della Rocca o un piccolo cimitero nel quale sono stati seppelliti solo bambini morti fra il 1000 ed il 1100, l'utilizzo di un grande argano sollevatore in legno usato per la costruzione del Palazzo (esempio unico in europa) oltre agli oggetti di uso quotidiano di chi ha vissuto Rocca Cerbaia, come i piatti dei soldati che la presidiarono nel 1500. Della Rocca di Cerbaia parla Dante Alighieri nel XXXII canto dell'Inferno (vv.40-60) quando narra la vicenda dei fratelli Napoleone e Alessandro degli Alberti, figli del conte Alberto degli Alberti. I due fratelli si uccisero a vicenda per questioni di eredità e per questo vengono confinati nella Caina, nel girone dove si trovano i traditori dei propri parenti. Dante racconta anche la vicenda del figlio di Napoleone, Alberto II, il quale assassinò il cugino Orso e la loro vicenda è descritta nel VI canto del Purgatorio (vv.19-21). Una leggenda nata a Firenze intorno al XV secolo e quasi sicuramente priva di fondamento, racconta che il poeta in una nevosa notte dell'inverno del 1285 si trovava in viaggio verso Bologna e giunto alla rocca chiese ospitalità per una notte ai conti Alberti ma loro gliela rifiutarono e così il poeta dovette riparare nella capanna di un pastore posta più a valle; la leggenda identifica questa casa con quella ancora oggi esistente, ma diroccata, posta ai piedi della rocca. La Rocca di Cerbaia ha il classico aspetto dei castelli-recinto medievali: un possente mastio domina dal centro ben due cerchie murarie circostanti di forma all'incirca quadrata. La costruzione fu eseguita in pietra arenaria di cui la zona è ricca. Sono ancora riconoscibili vaste porzioni della cinta muraria esterna con la porta d'ingresso inserita nella cortina sud, varcata la quale sulla sinistra si trovano i resti di un edificio chiamato "Palazzo Nuovo" e sulla destra ciò che rimane della cisterna, con copertura a botte, tutte costruzioni risalenti alla prima metà del 1300. Esternamente a questa seconda cerchia troviamo i ruderi della Chiesa di S. Martino, a navata unica. Nel cuore della fortificazione, circondato dalla prima cerchia di mura, sorge il Mastio o Palazzo, dotato di una torre centrale un tempo molto più alta di quanto sia oggi, e con ancora visibili le brecce delle finestre e dell'ingresso di quella che era la residenza del padrone della rocca. Sembra che questa parte del complesso sia stata ricostruita verso la metà del XIII secolo prendendo come modello il vicino Castello dell'Imperatore di Prato, soprattutto nella forma pentagonale. Ai piedi della rocca si trova il ponte di Cerbaia. La Rocca di Cerbaia si può raggiungere a piedi attraverso un sentiero nel bosco, il nr.48 del CAI-Prato, che troviamo qualche centinaio di metri sulla sinistra oltrepassato proprio il suddetto ponte. Altri linki consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=9mhv2jkwGZk (video con drone di hassan80, https://www.youtube.com/watch?v=qSyMqVm1i70 (video di Fondazione CDSE), https://www.youtube.com/watch?v=m3YIj3LEuYs (video di Alberto Badolati), https://www.youtube.com/watch?v=38UEFIlztiI (video di Prato Scomparsa), https://irintronauti.altervista.org/rocca-cerbaia/, https://www.rainews.it/tgr/toscana/video/2020/10/tos-cantagallo-val-di-bisenzio-prato-rocca-cerbaia-f4a769df-7f45-420c-9ab9-0b21c9ad2d24.html
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Cerbaia, https://castellitoscani.com/cerbaia/, https://www.visittuscany.com/it/attrazioni/la-rocca-di-cerbaia/, https://www.terreincognite.me/2015/03/la-rocca-di-cerbaia-in-val-di-bisenzio.html
Foto: la prima è di Jacopo su https://www.flickr.com/photos/bracco/49340450721, la seconda è un fermo immagine del video di Giluozz: https://www.youtube.com/watch?v=LGfSiJI97xI
venerdì 14 gennaio 2022
Il castello di sabato 15 gennaio
CASTEL DEL RIO (BO) - Castello di Cantagallo
La struttura, risalente al X secolo (edificato probabilmente a difesa delle orde di Ungari che avanzavano in Romagna), ha preso il nome dai signori che per l’hanno abitato per lungo tempo. Non è chiaro se si trattasse di una nobile famiglia imolese che riuscì ad estendere la propria influenza politica e patrimoniale in questi territori, oppure se si trattasse di una famiglia originaria del luogo scesa poi a Imola a competere con i maggiori signori del tempo. La famiglia rimase comunque sempre legata alla contea del Cantagallo e della Paventa. Anche nell’ambito politico rimase sempre in posizione secondaria rispetto agli altri signori distribuiti sul territorio. Nonostante non ebbero particolare potere politico i Cantagallo riuscirono a mantenere i propri territori, anche se pesanti furono le pressioni sia della città di Imola, sia degli Alidosi, i cui possedimenti si trovavano confinanti (il blog ne ha già parlato qui: https://castelliere.blogspot.com/2015/03/i-castelli-di-giovedi-19-marzo.html). Ad oggi il Castello di Cantagallo è ridotto ad un rudere, quindi è visibile solo dall’esterno. È possibile salire nei pressi della struttura con una semplice passeggiata. Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=ySdX5JiI_NE (video di Mizar Agenzia Immobiliare), https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/0800242731 (foto)
Fonti: https://www.imolafaenza.it/luogo/castello-di-cantagallo/, https://www.comune.casteldelrio.bo.it/turismo/la-storia
Foto: la prima è presa da https://www.comune.casteldelrio.bo.it/turismo/la-storia, la seconda è di capirex9 su https://www.wikiloc.com/hiking-trails/monte-battaglia-val-maggiore-castello-cantagallo-ponte-degli-alidosi-castel-del-rio-monte-battaglia-66292273/photo-43776689. Infine, la terza è di Pietro Fabbri su https://www.tourer.it/scheda?rocca-di-cantagallo-cantagallo-castel-del-rio
Il castello di venerdì 14 gennaio
CATANZARO - Castello normanno
Rimane ben poco di quello che, a Catanzaro, era un’imponente struttura difensiva: il Castello normanno venne fatto costruite da Roberto il Guiscardo, capo delle milizie normanne che combatteva contro i bizantini, verso il 1060. La sua parte originaria, costituita da una cortina muraria, era con tutta probabilità la grande torre quadrangolare centrale, detta mastio, che dominava la città. Simbolo del potere feudale, venne parzialmente distrutto durante il Quattrocento sotto gli Aragonesi, trasformato in cava di materiali per costruzione, utilizzato anche come ospedale con la congregazione dei Bianchi di Santa Croce che ne fece un ospedale e i Padri Teresiani che lo adibirono a convento. Divenne poi luogo di reclusione e carcere, perdendo ogni funzione politica e sociale. Negli ultimi anni il complesso è stato recuperato ed adibito a museo oltre che sede per mostre ed eventi culturali. Il piccolo locale che ospita il plastico costituiva la torre di guardia dalla quale i soldati ed i gabellieri controllavano l’ingresso in città attraverso la Porta di Terra (o Montanara), posta immediatamente all’esterno. Curiosamente si conserva ancora l’antica toilette! Proprio il Castello custodisce, però, una particolarità: sui sui resti sono sorte infatti le Gallerie Segrete che, grazie ai lunghi lavori di restauro, permettono di svelare dettagli della dominazione normanna, di prigionieri e di fare un tuffo nel passato. La stretta galleria ha visto importanti accadimenti che ebbero per protagonisti personaggi noti. Tra cui quello che riguarda l’avventuriero spagnolo Antonio Centelles, divenuto vicerè della Calabria e costretto poi a fuggire quando disobbedì agli ordini del sovrano Alfonso V d’Aragona, mirando alla mano della contessa Enrichetta, già destinata a nozze più nobili. Le grotte sotterranee non soltanto erano un comodo passaggio per la nobiltà che aveva così modo di raggiungere i luoghi di preghiera agevolmente dai propri palazzi, ma furono anche utilizzate dalle guarnigioni dei soldati nei momenti in cui gli assedi alla città non lasciarono altra via d’uscita. Gli interventi di riqualificazione che sono riusciti a far rinascere le Gallerie Segrete hanno tenuto conto delle peculiarità dei materiali originali ed hanno preservato la pietra calcarea naturale di scavo, così da conservare al meglio il gioiello sotterraneo riportato al suo antico aspetto. Particolarmente interessante, nel visitarle oggi, è vedere come nelle viscere di Catanzaro si possono ammirare opere pregiate grazie all’utilizzo di sede per esposizione e mostre. Il castello era costituito da una cortina muraria difesa da torri alte e merlate. Dell’originario complesso di età normanna, spicca la bella torre quadrata merlata che un tempo accoglieva l’orologio pubblico. In una nicchia del muraglione perimetrale prospiciente sulla Piazza Matteotti, si trova la monumentale e artistica Fontana de “Il Cavatore”, pregevole opera scultoria in bronzo e granito realizzata alla metà del Novecento dallo scultore calabrese Giuseppe Rito. Altri link suggeriti:https://www.youtube.com/watch?v=0KJQUkWnA-U (video di amazing kalabria), https://www.youtube.com/watch?v=Gv0mNKDWMP8 (video di CatanzaroTV)
Fonti: testo di Flaminia Giurato su https://www.turismo.it/segreti-italia/articolo/art/catanzaro-cosa-nasconde-il-castello-normanno-id-20374/, https://www.infonotizia.it/il-castello-di-catanzaro-il-castello-normanno-di-catanzaro/, https://travelitalia.com/it/catanzaro/castello-normanno/
Foto: la prima è presa da http://www.lametino.it/Eventi/giornate-nazionali-dei-castelli-2018-complesso-monumentale-san-giovanni-a-catanzaro-tra-i-siti-scelti-per-la-ventesima-edizione.html, la seconda è presa da https://www.turismo.it/cultura/articolo/art/catanzaro-cosa-rende-speciale-il-complesso-monumentale-di-san-giovanni-id-19429/
giovedì 13 gennaio 2022
Il castello di giovedì 13 gennaio
MONTEFLAVIO (RM) - Castello di Montefalco
Monte Farecu è un’antica fara allocata sulla vetta di un monte alto circa 900 metri e si raggiunge attraverso un breve sentiero di montagna che parte da Monteflavio, un piccolo borgo in provincia di Roma. P. Tourbet, in una carta del 1973, mette Montefalco ( termine italianizzato ma non corretto) tra i “castra” edificati tra XII e XIII secolo, durante quel fenomeno di “incastellamento” che portò all’aggregazione degli abitanti della Sabina in centri abitati collocati su rilievi circostanti. L’imponente complesso di Montefalco è costituito dalla rocca, da una cinta difensiva e dalle abitazioni racchiuse in essa. Quest’ultime sono dotate anche di una cisterna per l’approvvigionamento idrico. Tutto il centro abitato si mantenne in vita fino al 1422. Sulla fine di Montefalco sono in campo due ipotesi: progressiva decadenza e abbandono, distruzione violenta. Un restauro e un rilancio della struttura permetterebbero di rendere Montefalco stesso, un esempio di insediamento montano medievale, disteso su una vetta dalla quale si può godere di un’ ampia visione panoramica delle colline, delle pianure, dei borghi e dell’area del Parco dei Monti Lucretili sottostanti. Alla fine del Cinquecento, per volere della famiglia Orsini, la tenuta di Montefalco vide ricrearsi un nuovo centro abitato spostato ai piedi del colle, in prossimità della pieve di S. Martino. Il castello di Montefalco fu possedimento dei Savelli e poi appunto degli Orsini durante il periodo della fondazione di Monteflavio. Altri link suggeriti: http://www.mondimedievali.net/Castelli/Lazio/roma/provincia002.htm#monteflavi, https://www.lazionascosto.it/siti-archeologici-lazio/montefalco/, https://www.youtube.com/watch?v=O_9qMLNk0mo (video di Abruzzotrekking1962)
Fonti: https://fondoambiente.it/luoghi/ruderi-monte-farecu?ldc, http://www.parks.it/parco.monti.lucretili/com_dettaglio.php?id=58061, https://www.tesoridellazio.it/tesori/monteflavio-rm-rovine-di-montefalco/
Foto: entrambe di Droni Roma su https://mapio.net/images-p/122885282.jpg
mercoledì 12 gennaio 2022
Il castello di mercoledì 12 gennaio
CAVRIGLIA (AR) - Castello di Montegonzi
Montegonzi il cui toponimo ha origini longobarde (dal nome della famiglia Gonzi), fu feudo dei Conti Guidi come confermano i diplomi imperiali di Arrigo VI del 1191 e Federico II del 1248; il borgo cinto di mura nel corso del Duecento si sviluppò attorno al castello. Nel 1314 divenne proprietà della famiglia Ricasoli, anch'essa di origine longobarda, che era proprietaria di vasti possedimenti nel territorio circostante. Dopo la definitiva vittoria di Firenze guelfa sui ghibellini di Arezzo e delle famiglie del contado che a quella parte facevano riferimento, il Castello fu acquistato dalla città del Giglio nel 1314 dai Firidolfi Ricasoli che ne erano i proprietari. Nel 1375 la Signoria restituì il Castello alla famiglia Ricasoli ma questo non costituì un impedimento alla libera amministrazione della popolazione sul proprio comune. Una conferma di ciò si ha dallo “Statuto del Comune di Montegonzi” che si conserva nell’Archivio di Stato di Firenze. Nel 1478, durante le guerre tra Siena, alleata col Re di Napoli e col papa Sisto IV e Firenze, Montegonzi rappresentò uno dei baluardi più muniti della Repubblica Fiorentina. Proprietario della rocca era Pier Giovanni Ricasoli, nominato più volte commissario della Repubblica nelle guerre contro Siena e Pisa. Dopo la battaglia di Pavia, nel 1525, riprese con vigore la guerra tra Firenze e Siena. Molti scontri avvennero anche in queste zone coinvolgendo la rocca di Montegonzi che, dopo una strenua difesa, cadde nella mani del principe D’Orange. Nella metà del Cinquecento entrò a far parte della Lega d'Avane, una delle tante associazioni di comuni che Firenze aveva costituito nel suo contado per meglio amministrarlo, e ne divenne il capoluogo e la sede dell’Ufficiale del governo. La Lega d’Avane comprendeva un territorio simile a quello dell’attuale Comune di Cavriglia. La vecchia sede è ancora oggi ben visibile e reca sopra la porta d’ingresso lo stemma in pietra del comune di Montegonzi: le due chiavi di San Pietro incrociate che reggono sei cime. Il Podestà nominato da Firenze risiedeva in un palazzo tuttora esistente. Dal 1774, con la riforma amministrativa voluta dal Granduca Leopoldo I, il territorio della Lega d'Avane venne aggregata alla comunità di San Giovanni Valdarno. Il cassero fu edificato prima del 1000, come risulta da una pergamena conservata nell'Archivio di Stato di Firenze. Fra le carte della Badia di Coltibuono c'è un atto di vendita di un appezzamento di terreno situato presso Monterotondo, (località che si trova lungo la statale 408 di Montevarchi, poco dopo il confine fra le province di Siena e Arezzo), tra la pieve di S. Pietro a Venano presso Gaiole in Chianti e la Badia di Coltibuono. L'atto fu stipulato da un notaio, in Montegonzi, nell'anno 1063 così che è da ritenere che la rocca (o almeno parte di essa), sia stata edificata, come luogo di vedetta, qualche secolo prima dai longobardi che occuparono la zona. In origine Montegonzi doveva avere una struttura molto simile a quella di Monteriggioni, con mura di cinta e cassero, che dovevano servire da ultimo baluardo. Nelle mura di cinta, di cui restano oggi soltanto deboli tracce, si aprivano, in corrispondenza delle principali vie d'accesso al paese, le porte, in numero e dimensioni proporzionate all'estensione della superficie e della consistenza della popolazione. Le porte di accesso (almeno tre: Porta San Pietro, La Porta, La Porticciola), di modeste dimensioni, dovevano verosimilmente aprirsi su ponti difesi da torrioni scavalcanti il fossato che correva intorno alla cinta. L'aspetto dei dintorni del "castello" non ha nel tempo subito forti mutamenti perché nel paesaggio agrario si è perpetuata l'impronta rurale che le è stata propria fin dalle origini, mai cancellata del tutto dalle nuove realtà che si sono su di esso stratificate. La rocca di Montegonzi è posta fra il torrente Rimaggio, che gli passa a levante, e il borro di Montegonzi, che scende al suo ponente sulla cima di un colle a 432 metri di altitudine, nelle pendici dei Monti del Chianti. Si erge ancora, dopo oltre dieci secoli della costruzione, la potente struttura del cassero. La fortificazione si presenta nella sua forma antica, salvo il tetto, le finestre e le porte ricavate nella muraglia esterna. Alla fine del secolo scorso, il castello passò dai Ricasoli-Quaratesi ai Viligiardi, che abitavano allora nel "mercatale" e precisamente nell'edificio sul cui portale d'ingresso è ben visibile il loro stemma di famiglia. I nuovi proprietari trasformarono il "cassero" in civile abitazione. Nel corso dei lavori i muri aggiunti ridussero l'ampia corte, che era all'interno della muraglia e che aveva visto per secoli l'andirivieni di servi, soldati e "signori", all'attuale piccola piazzetta. Tutta la costruzione fu coperta con un tetto in cotto dalla larga gronda retta da mensoloni in legno. Nelle mura di cinta e nelle torri vennero aperte porte e finestre di diversa forma e dimensione. Le due torri furono sbassate perché pericolanti sulla cima. La zona delle carbonaie sotto al "cassero", verso nord, venne sistemata a terrazzamenti. Nell'archivio della prioria di Montegonzi esiste un biglietto manoscritto che dice così: "L'antico Cassero in Montegonzi edificato dai Conti Guidi posseduto dai Ricasoli, Quaratesi e Viligiardi fu a cura dei fratelli Cav. Eugenio e Dott. Oreste fu Francesco totalmente restaurato e ridotto ad uso di villa, nel triennio 1896-97-98". Sotto la parete nord della rocca, le antiche carbonaie furono trasformate in due balze dove furono piantati i cipressi ancor oggi esistenti, sebbene diminuiti di numero, per la malattia. Negli anni venti di questo secolo, nell'ala sinistra della costruzione vennero aggiunte alcune stanze; la grande antica cisterna esistente all'interno delle mura è stata trasformata in cantina, da qualche decennio, nel Cassero non funziona più il frantoio per la molitura delle olive e la cantina con la pressa per l'uva. Il castello sebbene sia stato trasformato in residenza privata e abbia perso l'architettura originaria come le classiche merlature, mantiene un aspetto imponente ed austero. Prima del restauro la rocca non era abitabile, essendo priva di finestre e di tetto; le uniche aperture erano le feritoie, tipiche delle fortezze. Sempre in linea con il gusto del tempo, furono dipinti i soffitti del cassero. L'antico cassero affiancato da un centenario e bellissimo esemplare di Cedro del Libano di oltre cento anni e si può considerare l'immagine cartolina di Montegonzi. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=PhJcTV_hnpM (video di etruscanwarrior), http://www.tuscan.cc/montegonzi.htm
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Montegonzi, https://caivaldarnosuperiore.it/il-castello-di-montegonzi/, https://montegonzi.it/la-storia/
Foto: la prima è di LigaDue su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:MontegonziCavrigliaCassero1.jpg, la seconda è presa da https://www.comune.cavriglia.ar.it/montegonzi
lunedì 10 gennaio 2022
Il castello di lunedì 10 gennaio
Compreso nella cosiddetta Ravignana, il borgo medioevale di San Vito sul Cesano fu soggetto al Monastero di Sant'Apollinare in Classe di San Lorenzo in Campo. Delle incerte notizie vogliono però che nel 1227 fosse appartenuto all'Abate di San Paterniano di Fano, credesi che per tale appartenenza vi fosse una notevole emigrazione di famiglie verso Fano e che questo abbandono fu causa della rovina del Castello. Sino al 1348 fu di nuovo di proprietà di Franceschino Della Fratta, che in tale anno la ricedette al comune di Fano per la somma di 300 fiorini d'oro. Caduto sotto il dominio dei Malatesta, fu espugnato nel 1353 dalla Gran Compagnia di Fra Moriale d'Albano. Nel 1443 appartenne ad Antonio De Provedini da Rimini. Fu occupato e saccheggiato da Federico d'Urbino. Nel 1473 fu restituito da Roberto Malatesta al comune di Fano. I Della Rovere lo acquistarono l'anno successivo e Signore ne fu Giovanni Della Rovere, Signore di Senigallia. Entrò poi a far parte del Ducato di Urbino. Fu occupato da Valentino e da Lorenzo Dei Medici. Tornato ai Della Rovere, Francesco Maria II vi nominò il suo vicario. Alla morte dei Della Rovere tornò alla Santa Sede. Occupato poi dalle truppe di Murat lo si comprese nel territorio comunale di Pergola. Con la pace di Tolentino ripassò alla Santa Sede sino all'unificazione del Regno d'Italia. In tale epoca fu assegnato quale frazione del comune di San Lorenzo in Campo. Il piccolo borgo medievale di San Vito, che sorge su una verde collina a 353 metri di altitudine, conserva ancora intatte le antiche mura verso valle. Al castello di San Vito sul Cesano si accede attraversando la suggestiva porta d’ingresso, un arco a sesto acuto sormontato da alcuni stemmi in arenaria che devono senz’altro aver conosciuto tempi migliori. In questo video di Fabio Fermi si può visitare virtualmente l'antico borgo: https://www.youtube.com/watch?v=TY4kabQNtTk
Fonti: http://www.turismo.pesarourbino.it/elenco/borghi/san-lorenzo-in-campo-san-vito-sul-cesano.html, https://www.ilfederico.com/san-vito-sul-cesano/, https://www.valcesano.com/blog/borghi/sanvitosulcesano-centromedievale
Foto: la prima è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-san-vito-sul-cesano-san-lorenzo-in-campo-pu/, la seconda è presa da http://www.aclipesaro.it/circolo-s-vito-sul-cesano/
domenica 9 gennaio 2022
Il castello di domenica 9 gennaio
GUBBIO (PG) - Palazzo Scagliae
Posizionato sulla cima della montagna, in località Pisciano, a quasi 900 mt sul livello del mare, il Palazzo Scagliae domina le vallate circostanti e cime delle colline e offre una vista senza pari di Gubbio e la campagna umbra. Va precisato che in nessuna descrizione la struttura è definita un castello, ma è descritto semplicemente come “Palazzo” quindi edificato probabilmente come dimora privata. Ciò che colpisce maggiormente è lo spessore dei muri, caratteristica dei fortilizi del XIV secolo, e dei cantoni che si allargano alla base. Nella descrizione che ne viene fatta nel 1979 la struttura è definita un edificio dalle dimensioni piuttosto notevoli, ma in fase di evidente abbandono, e utilizzato come rifugio per le pecore. Nella descrizione architettonica si dice che nonostante il complesso edilizio abbia subito delle manomissioni essendo stato usato come edificio colonico, tuttavia vi sono diverse aperture, tamponate con pietrame di recupero, che conservano ancora gli archi a sesto acuto. Le armille che li costituiscono, sono della stessa pietra usata per la costruzione dei muri. L’arco di una porta, anche questa tamponata, è a sesto ribassato. Una pietra incastonata nella parete nord, mostra in rilievo una magnifica “croce patente” segno indiscutibile di una presenza Templare. La pietra in oggetto misura circa cm. 40 x 25. La tamponatura sono l’arco ribassato accennato è costituita da un’unica pietra (probabilmente palombino) con un grosso incavo, la cui superficie esterna ricalca il profilo inferiore dell’arco ribassato. Nel 1345 era di proprietà di un certo Philiputii Johannis e Scalonis Juntoli e sottoposto al castello di “Serre Sancti Habundi”. Nel 1757 lo troviamo di proprietà di del Sig. Gambocci. Attualmente il Palazzo Scagliae è stato accuratamente restaurato ed adibito a struttura ricettiva e predisposto per ospitare fino a 8 persone su 3 piani (il sito web dove trovare altre informazioni, in lingua inglese, è il seguente: https://www.palazzoscagliae.com/). In questo video (di Palazzo Scagliae) è possibile vedere l'edificio dall'alto: https://www.youtube.com/watch?v=SDGTpGZP3yo
Fonte: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-scagliae-gubbio-pg/
Foto: entrambe prese da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/02_alto_tevere/00014/index.htm