lunedì 31 maggio 2021

Il castello di lunedì 31 maggio



MELISSA (KR) - Castello

Il Castello di Melissa rappresenta il simbolo della cultura storica ed archeologica della presenza degli Aragonesi e della tradizione feudale del borgo. Ad oggi sono visibili solamente alcune parti della struttura e della cinta muraria che lambiva il borgo. Il castello fu costruito in epoca medievale e sono ancora visibili le torri. La sua importanza strategica, che fu decisiva all’epoca della sua costruzione, per fronteggiare possibili incursioni dal mare, lo fa primeggiare ancora oggi tra le altre fortificazioni nel territorio crotonese. L’edificio servì a contrastare soprattutto nel XV secolo, le continue tentate incursioni da parte dei Turchi. Proprio per questo tra la fine del Quattrocento ed i primi anni del Cinquecento il castello e le mura dell’abitato furono oggetto di alcuni importanti interventi. Fu migliorata la difesa con la costruzione della “torre nuova” e della cortina contigua e l’armento del castello fu potenziato con alcuni pezzi di “arteglieria de ferro” ed altre armi. Nei primi decenni del Cinquecento “per le fabriche et reparatione del castello” i feudatari di Melissa e dei paesi vicini, come testimonia il caso del conte Andrea Carrafa, obbligarono gli abitanti con i loro animali a fornire calce ed a lavorare gratuitamente. Al tempo del barone di Melissa Giovan Battista Campitelli (1516-1561) il castello risulta armato e ben arredato come evidenzia l’inventario dei beni compilato dopo la morte di Beatrice Caposacco, seconda moglie del barone. Dopo essere stato per lungo tempo un presidio regio, divenne proprietà della famiglia Campitelli fino al 1668, anno in cui passò alla famiglia Pignatelli. Alla metà dell’Ottocento Giovan Francesco Pugliese, nella sua opera “Descrizione ed istorica narrazione di Cirò”, trattando di un “Cenno per Melissa” così scrive: “Nell’abitato di Melissa non si offre altro di antico, che un rovinato Castello Baronale, luogo di dissolutezze e di barbarie, … era tra le prerogative del Conte il nefario jus primae noctis.”. Il Pugliese si dilunga narrando un fatto cruento accaduto alla metà del Seicento, che secondo l’autore aveva causato la morte del conte Francesco Campitelli, il quale voleva imporre con la violenza lo “ius primae noctis” ad una coppia di sposi. La vicenda leggendaria, che si sarebbe svolta tra la chiesa di San Giacomo, di iuspatronato dei conti Campitelli, ed il vicino castello, sarà ripresa in seguito da Angelo Vaccaro con l’articolo “Nuova luce nella tragedia feudale di Melissa del 1633”. Per il Vaccaro l’episodio ha un fondamento storico anche se altri sono i protagonisti della vicenda. In seguito la vicenda venne romanzata anche dal professore Giuseppe Barberio nel romanzo “Il castello di Melissa”. Il fatto, almeno nella sua stesura originale, non regge all’analisi storica come è stato chiaramente dimostrato nell’ opera “Melissa medievale e moderna” di Antonio Cosentino. Pur non avendo alcun fondamento il castello e la vicina chiesa rimasero per sempre legati nella memoria collettiva ai Campitelli ed ai molteplici soprusi e prestazioni feudali patiti dalla popolazione melissese. Dalla metà del Seicento il castello cominciò a decadere. I Campitelli e poi i Pignatelli cominciarono a spostare il loro interesse e la loro residenza nel castello di Strongoli e nella Torre di Melissa (https://castelliere.blogspot.com/2012/12/il-castello-di-mercoledi-5-dicembre.html) e poi nel nuovo casino di Fasana. Nell’inventario dei beni fatto per ordine del principe di Strongoli Domenico Pignatelli per morte dello zio Francesco Campitelli (1624-1668), il notaio Francesco Tortora così il 26 giugno 1668 descrive sommariamente il castello: “Il castello feudale di d.a terra consistente in più et diversi membri superiori et inferiori con la torre maestra dentro il quale nella parte superiore vi sono trovati l’infr.tti beni vd Quattro trabacche vecchie con quattro matarazzi di lana, sei seggie vecchie e rotte, e nella parte inferiore vi sono trovate dieci botte vacuoe per conservare vino, diverse giarre vacoue per conservare l’ogli”. In seguito al tempo del conte Geronimo Pignatelli (1690-1728) il lento declino è evidenziato dall’inventario del 1703. Allora il castello non era ancora degradato nelle sue strutture principali ed era costituito da sala, camera, camera contigua, camera contigua, camera del forno, camerone, scrivania, camerino contiguo, cortile, cantina, p(rim)o cellaro, 2.o cellaro e cocina. Pur essendo ancora abitabile, l’arredamento tuttavia denota lo stato di abbandono. Morto Geronimo Pignatelli nel 1728, il feudo di Melissa passò alla figlia la contessa Lucrezia Pignatelli (1729-1760), sposata con Ferdinando Pignatelli. In questi anni il castello è definitivamente abbandonato. Infatti nel catasto onciario di Melissa del 1743 così è descritto: “… possiede nel ristretto della med.a t.ra di Melissa un castello, quale per non essere stato abbitato per molti anni minaccia delle rovine”. Collegato attraverso passaggi segreti alla Chiesa di S. Giacomo apostolo, del castello risalente al XV secolo, oggi rimangono solo resti, ma inizialmente era formato da tre torri circolari e costruito su di un alto costone roccioso. Altri link suggeriti: http://www.archiviostoricocrotone.it/chiese-e-castelli/il-castello-di-melissa-e-la-torre-di-torre-melissa/, https://www.youtube.com/watch?v=JKitr9KWBYQ (video di Borghi d'Italia), https://www.youtube.com/watch?v=CWDfqC2Dbfs (video di Comunicando Leader)

Fonti: https://www.e-borghi.com/it/sc/crotone-melissa/2-castelli-chiese-monumenti-musei/458/castello-di-melissa.html, http://www.archiviostoricocrotone.it/chiese-e-castelli/un-inventario-cinquecentesco-del-castello-di-melissa/, http://www.turiscalabria.it/website/?lang=it&categoria=/dove-andare/mete-marittime/&view_type=s&id=141&title=le-origini-greche-della-citta-del-miele.html, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Calabria/crotone/provincia000.htm#melissarest

Foto: la prima è presa da https://www.melissaturismo.it/localita-castello&lang=IT, la seconda è presa da https://www.melissaturismo.it/localita-castello&lang=IT

domenica 30 maggio 2021

Il castello di domenica 30 maggio



CASTEL CAMPAGNANO (CE) - Palazzo Ducale

L’assenza di studi specifici sul complesso comunemente chiamato “Palazzo Ducale”, non consente di assegnare una data certa alla nascita dell’edificio. L’attuale denominazione di “Palazzo Aldi” è probabilmente desumibile dal Casato dell’ultima famiglia che ne fu proprietaria. Certamente è più verosimile che l’edificio appartenesse al duca padrone del paese e delle sue contrade, da cui la più coerente denominazione di “Palazzo Ducale”. Stessa sorte per l’adiacente Castello che, già proprietà della famiglia “Campagnano” proveniente da Roma, divenne anch’esso Castello Ducale così come ancora oggi è conosciuto. Il complesso sorge sul margine di quello che fu il perimetro dell’abitato medievale di Campanianu, citato sin dalla bolla di Gerberto del 979 e solo dal 1197 come castrum. Per la conformazione naturale del blocco tufaceo su cui crebbe l’abitato, è probabile che solo il lato ovest del borgo (quello delle attuali via Castello – largo Torre) fu fortificato con opere murarie. La struttura si sviluppa sul lato destro della Chiesa parrocchiale dove sorgono tre antichi palazzi, notevoli per la cura nelle decorazioni delle facciate, allineati in successione a delimitare il tracciato curvilineo della strada. In particolare spicca il prospetto di Palazzo Aldi (quello centrale di proprietà comunale), il cui nome ricorda la famiglia Aldi, nota almeno dai primi del 1700 a Caiazzo per professionisti (sono noti un avvocato Vincenzo nel 1890, un farmacista Francesco, benemerito durante l’epidemia di colera 1867-68) e religiosi (il canonico don Nicola, fu anche poeta arcade dal 23 aprile 1703 con lo pseudonimo Eurio Euristerniano). Il palazzo conserva tracce di un edificio del XV-XVII secolo, ma ha l’aspetto tardo settecentesco – primo ottocentesco tipicamente neoclassico. La facciata del palazzo segue il tracciato curvilineo della strada. Il prospetto di palazzo Aldi è di gran pregio per le belle cornici in stucco delle sette finestre del piano nobile, di gusto vaccariano. Dei tre portali che danno accesso al complesso edilizio, quello principale è in pietra lavorata a bugne rettangolari (databile ai primi del 1700) e potrebbe coincidere con uno degli accessi originari. La chiave di volta sembra una realizzazione successiva al portale. Reca lo stemma della famiglia (due leoni affrontati ai lati di una porta posta al termine di una scala di tre gradini, il tutto sovrastato da una stella o un fiore a otto petali). Una rosta antica in legno chiude la parte curva del portale. Un portale secondario, più antico, dà accesso all’altro palazzo originario. L’atrio, a volta, reca nel soffitto la cornice dello stemma araldico, completo di corona ma con la parte principale del blasone imbiancata. Nel pavimento (al di sotto del vetro) è stata conservata la rampa, probabilmente di fine Ottocento, creata per raggiungere le grotte sottostanti il palazzo. Dall’atrio si accede al piccolo cortile interno, chiuso, verso la valle, da un muro un piccolo portico a due arcate (nell’angolo restano il pozzo e il lavatoio). Sull’ala trasversale, probabilmente realizzata per articolare i percorsi in comune ai due edifici originari, si colloca una scala coperta, con rampa ad L, gradini in pietra e volte su pilastri, evidenziati da due grandi lesene. I decori in stucco sulle pareti, sui pilastri e le cornici delle porte e delle finestre che vi affacciano perfettamente simili a quelli della facciata. La scala è sovrastata (ma questo sembra un intervento posteriore, forse ottocentesco) da una sorta di loggia. Le piccole sale del piano nobile corrono su due file parallele al fronte stradale e conservano tracce di camini e servizi igienici. Le copertura sono con solai in legno. Il piccolo portale in stucco immediatamente a destra di quello principale dava accesso a rampe di servizio per raggiungere le cantine-cellaio sottostanti, realizzate cavando il tufo con cui sono costruiti i palazzi. L’ultimo portale della strada da accesso ad una corte tardosettecentesca più vasta, di stile neoclassico, sorta come spazio di disimpegno per i locali di servizio del Palazzo Aldi. Al di sotto del cortile c’è una grande cisterna, poi utilizzata come cantina, datata 1777, probabilmente realizzata in concomitanza con l’ampliamento del Palazzo, allorquando divenne dimora gentilizia dei Ferrara Vastano e dei Satriano Ferrara. Nel corso di queste campagne edilizie nell’arco di quattro secoli, furono tompagnati i due ingressi della sottostante grotta e l’accesso al sito rupestre fu assicurato da un passaggio sotterraneo scavato nel tufo che dalla corte centrale del palazzo conduceva sino all’antica Cappella, oramai sconsacrata ed utilizzata prima come cava di materiale lapideo e poi come cantina-cellaio. L’attuale aspetto del complesso tradisce, però, origini più remote, infatti al di sotto dell’ala in comune con Palazzo Aldi, è collocata quella che è possibile identificare come la Chiesa di Sant’Angelo, esempio di architettura ipogea di cui è possibile rintracciare numerosi esempi in altre aree dell’Italia centro-meridionale, tra i quali il più importante è certamente il Santuario di San Michele sul Gargano. L’attività antropica negli ipogei del centro urbano fu favorita dalle caratteristiche geomorfologiche del territorio (tufo facilmente lavorabile). Nonostante la frammentarietà dei dati riguardanti la dedicazione originaria della grotta che essendo sconsacrata da secoli, non ha mantenuto l’intitolazione, un valido aiuto, invece, giunge da una Bolla con la quale si conferiva dignità episcopale a santo Stefano Menicillo emanata nel 979 dal metropolita capuano Gerberto (978-980) e pubblicata da Michele Monaco già nel Seicento. Palazzo Aldi si sviluppa su più piani, situati intono a una corte centrale. Era cosa comune, nelle case nobiliari, che i piani inferiori ospitassero le stanze di servizio mentre quelli superiori gli ambienti residenziali. Con molta probabilità il Palazzo costituiva, in origine, un unico complesso residenziale con quello cosiddetto “ducale”. Quest’ultimo si distingue per la presenza di una corte centrale più ampia, circondata da ambienti di servizio e alloggi signorili dove dimorarono le nobili famiglie Ferrara Vastano e Ferrara Satriano, quando la residenza era già separata e indipendente dal vicino Palazzo Aldi. Al piano terra si trova ancora un bellissimo frantoio. Nella magnifica macina in pietra erano molite le olive; la pasta ottenuta veniva stesa sui “fiscoli” che venivano impilati nella pressa. A completare le preziose testimonianze storiche legate al palazzo e al borgo sono le splendide cantine in tufo e la grande Peschiera ottocentesca visibile nella villa comunale; all’interno, originariamente, si raccoglievano le acque provenienti dalle sorgenti poste più in collina. Altri link proposti: https://www.architettomauriello.it/castello_ducale_castel_campagnano_ce-p13742, https://www.castelloducale.com/, https://www.facebook.com/watch/?v=1120167044854760 (video)

Fonti: https://www.comune.castelcampagnano.ce.it/index.php?action=index&p=118&art=15, https://mediovolturno.guideslow.it/poi/palazzo-aldi/, http://www.prolococastelcampagnano.it/cosa-visitare.html

Foto: la prima è presa da https://www.castelloducale.com/, la seconda è di Sindaco di Sorbo su https://mapio.net/pic/p-12919188/

sabato 29 maggio 2021

Il castello di sabato 29 maggio


VALFABBRICA (PG) - Castello di Poggio San Dionisio

Poggio San Dionígio o Poggio di Sotto è stato spesso coinvolto nelle vicende medioevali legate alle contese tra la città di Perugia ed Assisi per il controllo del territorio di Valfabbrica. Il nome, più ufficiale, di Poggio S. Dionisio o Dionigi, deriva dal fatto che la chiesa parrocchiale è dedicata al Santo Areopagita. E’ stato ed è anche chiamato Poggio di Sotto o Inferiore in quanto esiste Poggio Morico o Superiore, più in alto. Nel Medioevo ha spesso avuto il nome di Poggio del Priore in conseguenza della sua appartenenza al priorato benedettino di Valfabbrica, ma nella stessa epoca era anche chiamato Poggio dei Porcelli, per il fatto che i Benedettini vi tenevano grandi allevamenti di maiali. Infatti fino ad un passato, non eccessivamente lontano, estesi querceti hanno coperto dirupi e valli, e ciò spiega come facilmente si fosse potuto fare grande allevamento di porci. Poggio S. Dionisio è stato anche detto, e lo è tuttora qualche volta fuori delle zone adiacenti, Poggio di Valfabbrica per distinguerlo dal Poggio Morico fino al 1929 appartenuto al comune di Assisi. La zona verso nord segnò il confine tra Perugia, Gubbio, Assisi e nei pressi di Barcaccia. Dalle Carte dell’Arch. di S. Rufino si sa che nel 1232, Poggio S. Dionisio era balia di Assisi ed era chiamato Poggio di Valfabbrica, ma può essere appartenuto, forse fin dalla sua fondazione (che potremmo porre nella prima metà del sec. XIII) ai Suppolini di Casacastalda, amoreggianti di Perugia. Nel 1496, troviamo a Poggio, quale vicario per Perugia, Cristoforo Scialacqua che lo fu pure per Casacastalda. Il valore catastale della frazione nel sec. XVI era di 2010 fiorini. Nel 1469 risulta sottomesso alla città di Perugia che vi aveva nominato come custode un tale Cristoforo Scialacqua, membro di una antica famiglia di Casacastalda. Nel 1500, in un documento del comune di Assisi, si legge: « Communitas Peroscia occupat et occupatum tenet castrum Podii inferioris cum et eius territorio », cioè Perugia teneva sotto la propria giurisdizione il castello e territorio di Poggio Inferiore. Ne fu reso edotto Raimondo Burgense, legato del Papa per il governo dell’Umbria, affinché ne facesse parola con Alessandro VI, ma nulla si concluse fino a Clemente X, nel 1672-73. Assisi aveva un canonico cittadino presso una delle Segreterie Pontificie in Roma: era Francesco Benzi che, nel 1545, si interessò per la restituzione da parte di Perugia del Poggio alla città di Assisi, ma anche con Alessandro VI non si risolse la questione. Gli uomini della comunità di Poggio di Sotto in data 8 luglio 1546, fecero istanza al Legato di Perugia perché fossero mantenute a detto castello quelle condizioni che, allo stesso, erano state promesse all’atto della sua sottomissione alla città di Perugia. A seguito della suddetta istanza, quella popolazione poté ottenere dal Legato pontificio le seguenti concessioni: « Esenzione per 25 anni da qualsiasi contributo o spesa, ad eccezione di quella per l’officiale che doveva risiedere nel castello; difesa dai nemici, in particolare dagli assisani; somministrazione di grano in tempo di carestia al prezzo praticato agli altri abitanti del territorio perugino; corresponsione alla città di Perugia di tasse nella stessa misura stabilita per gli altri castelli ». Fu solo con l’unificazione d’Italia che Poggio, con Casacastalda, passòal comune di Valfabbrica. Si dice che la casa parrocchiale fosse il mastio del castello, abitato saltuariamente dai Baglioni che qui avevano diverse proprietà. Il complesso ha conservato in buona parte la tipologia delle strutture originarie recentemente valorizzate con interventi architettonici sia pubblici che privati. La cinta muraria è tuttora evidente, con la bella torre civica in posizione panoramica sul versante verso Valfabbrica. Dalle sue mura si gode un panorama straordinario con vista sul Monte Catria, Monte Pennino, Monte Ingino e le frazioni dei Comuni di Gubbio, di Perugina e Assisi. Riguardo alla "torre civica" alcuni testimoni hanno dichiarato di avervi conosciuto un imbocco dalla parte verso la valle, sotto il piede della torre stessa. L’imbocco fa intravedere un corridoio sotterraneo con direzione verso il pozzo del Comune, sito a valle lungo la strada per il Capoluogo. Probabilmente potrebbe trattarsi di un antico accesso molto utile (perché nascosto) per il rifornimento dell’acqua o solo un sotterraneo.

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-poggio-san-dionisio-valfabbrica-pg/, http://www.comune.valfabbrica.pg.it/portfolio-item/poggio-san-dionisio/, http://valfabbrica.infoaltaumbria.it/Scopri_la_Citta/Dintorni/Poggio_San_Dionisio.aspx

Foto: la prima è presa da https://www.wikiwand.com/sh/Poggio_San_Dionisio,_Perugia, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-poggio-san-dionisio-valfabbrica-pg/

venerdì 28 maggio 2021

Il castello di venerdì 28 maggio



BIBBIENA (AR) - Torre in frazione Soci

Soci nacque come castello medioevale circondato da mura. Viene nominata per la prima volta in un documento del 3 gennaio 1002 con cui Ottone III lo dona alla Badia di Prataglia. Il 2 novembre 1058 Azzone, vescovo di Arezzo, consacrò una chiesa e donò alcuni terreni vicini alla Congregazione camaldolese, che nel 1265 concesse uno statuto allo popolazione. I monaci successivamente lo cedettero al conte di Castel San Niccolò, che nel 1359 lo vendette a Firenze. Nel 1440 il castello subì gravi danni ad opera delle armate degli Sforza, guidate dal condottiero Niccolò Piccinino. Nel 1848 la famiglia Bocci fondò un lanificio, tuttora esistente, che portò la frazione a crescere velocemente. Il nucleo originario del paese è il “quartiere medioevale” che comprende un torre longobarda, l’antica chiesa e una porta ad arco residuo delle vecchie mura castellane. Il castello sorgeva al termine dell’area nord, ma di esso rimane ben poco. La presenza del berignale che costeggiava le mura castellane e attraversava in Borgo, è attestata in un documento del 1020 compreso nel primo volume del “Regesto di Camaldoli”. Questo canale artificiale, oltre a circondare il Castello di Soci a scopo difensivo, muoveva ruote idrauliche per molini e gualchiere. La più evidente testimonianza del glorioso passato di Soci è una robusta torre longobarda, oggi ridotta in altezza, posta in una piazzetta (Piazza Padella) nella parte vecchia del Paese. Altro link suggerito: https://www.arezzo24.net/cronaca/18585-imbrattano-case-e-monumenti-poi-postano-il-video-della-bravata-su-instagram-ar24tv-foto.html (video)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Soci_(Bibbiena), http://www.prolocosoci.it/il-paese/, https://www.ilbelcasentino.it/bibbiena-seq.php?idimg=7577

Foto: entrambe del mio amico (e "inviato speciale" del blog) Claudio Vagaggini

mercoledì 26 maggio 2021

Il castello di giovedì 27 maggio



LIVO (TN) - Castel Zoccolo

Di Livo era originaria l'omonima famiglia dei Livo, che divenne una delle più importanti del Principato Vescovile di Trento nel XII secolo; la famiglia, di probabile origine longobarda o comunque germanica, ebbe varie ramificazioni (i Metz o Mezzo, i signori di castel Zoccolo, quelli di Altaguardia, quelli di Cis e forse altri). Nel 1183 il feudo di Livo venne concesso, dal principe vescovo di Trento Salomone, ad Arnoldo e Anselmo dei Livo di Metz, del ramo poi detto "di Metz" o "da Mezzo"; più avanti, assumendo il nome di Kronmetz, essi divennero vassalli dei conti di Tirolo. Livo era sede di una gastaldia, che aveva giurisdizione anche sugli abitati di Revò, Romallo e Cagnò. La storia di Livo presenta pochi eventi di rilievo; con tutta l'area del Mezzalone, il paese venne coinvolto marginalmente nella guerra rustica, rimanendo in genere fedele al Principe Vescovo. Le prime fonti documentarie che attestano la presenza del castello sono del XIII secolo: al 1233 risale infatti il primo testo in cui viene menzionato un "castro Zochulli plebis Livi". La struttura sorge a 700 m di quota, sulla sommità di una collinetta nel comune di Livo, di fronte all’abitato di Cis. Probabilmente la sua nascita si inserisce nel contesto di esplosione edilizia castellana che ha caratterizzato il territorio anaune a partire dal XII secolo. I primi proprietari furono i nobili Zoccolo, signori di Livo, vassalli dei conti Flavon ed Enno tra XI e il XII secolo, e nel XIII secolo di Mainardo II conte del Tirolo, mentre dalla seconda metà del XV secolo il castello passò ai nobili Thun. L’atto di conferimento della proprietà, datato al 1447, fa riferimento soltanto ad “una torre detta Zoccolo nella Valle di Sole”. Dalla documentazione disponibile è possibile supporre che tale struttura costituisse la parte più antica e consistente del complesso. Il nome di castello potrebbe quindi derivare dall’edificazione, nei secoli successivi alla fondazione, della residenza signorile accanto alla torre. Nel 1469 venne riconfermata la proprietà della torre alla famiglia Thun, che la detenne sino alla fine del Settecento, periodo in cui il complesso fu abbandonato. In seguito venne custodito dalla famiglia Rodeger. Nel corso del XIX secolo venne abbattuta la torre e la residenza viene trasformata in casa colonica. Attualmente Castel Zoccolo si presenta come un’abitazione rurale fatiscente in cui si scorgono a fatica le tracce del suo passato. In un documento del 1307 si ricorda il torchio del signor Zifredo di Livo, funzionante nel “Castelo di Zoceli”: le viti vennero infatti coltivate per secoli nella zona del castello, e un vigneto cresceva proprio addossato alla torre del castello. Pare inoltre che proprio la famiglia Zoccolo, prima proprietaria del castello abbia trovato origine nei signori di Livo. Oggi a causa dell’incuria il castello sta crollando letteralmente a vista d’occhio. L’edificio presenta notevoli tracce del suo antichissimo passato, il lato nord ribassato nel tetto negli anni Cinquanta, dopo che nel 1880 fu rasa la torre, è il più spoglio anche se appare ancora una finestrella inferriata; un forte terrapieno si affianca alla strada comunale che gira intorno al muro basso di cinta e scende alla località Pil, è il risultato di anni di accumulo rottami dell’edificio. L’accesso odierno come in antico è posto a nord, salendo una rampa che parte da una piccola edicola votiva in pietra; in quel punto era un tempo la cinta muraria con un arco carrabile in pietra appena al di là di un ponte levatoio, che isolava la collinetta. L’arco smontato nel 1880, è ora rimontato in una casa nel centro di Livo al n.12, conserva anche lo scudetto degli Zockel Thun, scolpito nella chiave di volta dell’arco. Salendo verso ovest, si nota nel muro al primo piano, lo sporto del forno da pane, a circa tre metri di altezza, ormai semidistrutto nella sua voltina tufacea. Il portale di ingresso, è in pietra con arco a pieno centro, nella chiave di volta conserva il monogramma IHS; il cortile, anticamente ciottolato, ombreggiato da monumentali alberi di robinia, ontano e noce; l’edificio a sinistra nord, ormai in rovina, aveva due stanze a “stube” con voltine a crociera; al lato nord era la torre antica, alta ben 16 metri, demolita in parte nell’800, poco più sotto si scendeva ad un secondo portale che dava direttamente sul giardino a sud ovest, primitivo ingresso dalla strada proveniente da sud. A sud sud-est, l’edificio residenziale a tre piani, crollato nel 1990, si apriva in finestre rivolte sia a ovest che a est; all’estremo sud l’edificio finiva con uno sperone pentagonale, alla base quasi arrotondato e diviso in quattro vani ad uso di magazzini; al piano di sopra un piano unico, che fungeva fino a qualche anno fa da fienile, vi si accede oggi salendo un ponte in cemento. L’insieme dello sperone, a sud e a ovest, è fortemente suggestivo se visto dalla strada sottostante, costeggiata dal forte muro che era la prima cinta del castello; da quel lato esiste dentro le mura una cisterna per la raccolta dell’acqua, che fu riempita di rottami negli anni Cinquanta.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Livo_(Trentino-Alto_Adige), http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castel-Zoccolo, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Trentino/trento/provincia000.htm#zoccol

Foto: la prima è di Burgenfuzzi su www.panoramio.com, la seconda è presa da https://www.fondoambiente.it/luoghi/castel-zoccolo?ldc

Il castello di mercoledì 26 maggio


 
AURIGO (IM) - Palazzo De Gubernatis-Ventimiglia

Le prime notizie documentate sul borgo e territorio di Aurigo risalgono al XIII secolo quando per la sua posizione fu scelto dai conti di Ventimiglia per la costruzione di un castello. Fu proprio la sicurezza offerta dalla postazione difensiva che permise alla popolazione di andarsi a porre sotto il fisico controllo del maniero, edificando un borgo allungato su di uno sperone collinare e lasciando il primitivo nucleo - insediatosi più a monte - di cui rimane la chiesa e santuario di Sant'Andrea, quest'ultima citata in un documento del 1242. L'attività della comunità aurighese nel periodo medievale era legata all'agricoltura, soprattutto nella coltivazione dei cereali e degli uliveti del territorio, alla produzione di vino locale e all'allevamento del bestiame (bovini) grazie alla vasta prateria ubicata tra il Colle San Bartolomeo e la zona dell'attuale nucleo frazionario di San Bernardo di Conio (Borgomaro).E risale proprio al 2 dicembre 1242 la stipula di un atto di dedizione (e di relativi Statuti) delle due comunità di Aurigo e Poggialto al conte Filippo di Ventimiglia, famiglia che quindi deteneva la proprietà feudale sul territorio. Intorno al 1270 questa zona fu attaccata e conquistata dalle truppe di Carlo d'Angiò che assoggettò Aurigo al suo volere fino alla riconquista, nel 1273, da parte dei conti ventimigliesi anche grazie all'aiuto prestato da Genova; la dominazione dei Conti perdurò fino e senza più contrasti fino al XV secolo. Nuovi scontri e assedi interessarono ancora il borgo di Aurigo sul finire del Quattrocento quando il signore del Maro Giovanni Antonio di Tenda, figlio di Onorato e di Margherita Del Carretto, per rivendicare antichi e presunti diritti sulla zona compì un vero e proprio assalto al locale castello dei conti di Ventimiglia (distrutto nel 1480) obbligando questi ultimi alla resa e alla fuga da Aurigo. La nuova proprietà feudale dei Lascaris di Tenda fu tale fino al 1511 quando, con l'aiuto di Renato di Savoia, i conti ventimigliesi tornarono in possesso del loro feudo aurighese. Nel 1555 la zona feudale di Aurigo, del Maro e di Prelà entrarono nei possedimenti del Marchesato di Dolceacqua che nel 1575, così come tutta la valle di Oneglia, entrò a far parte dei domini di Emanuele Filiberto di Savoia. Nello stesso periodo risale il passaggio di Aurigo al ramo familiare dei Lascaris di Ventimiglia, conti di Tenda, che nella parte più alta del borgo aurighese edificarono un nuovo palazzo signorile a poca distanza dai ruderi dell'antico castello dei Ventimiglia distrutto nel XV secolo.Rientrato stabilmente dal XVIII secolo nei possedimenti del Ducato di Savoia, il feudo di Aurigo fu ancora amministrato per conto dei sovrani sabaudi dai conti Lascaris di Ventimiglia e dai collaterali De Gubernatis di Ventimiglia, questi ultimi poi imparentati poi con i marchesi Ferrero di Alassio dando vita al ramo dei Ferrero De Gubernatis di Ventimiglia.Interessato dagli scontri tra gli eserciti franco-spagnoli nella guerra di successione austriaca (1747), il territorio aurighese pagò caro i nuovi assalti correlati alle campagne napoleoniche in Italia. Nel particolare viene documentato un gravoso episodio che sconvolse il paese il 14 aprile 1800 quando, su ordine del generale delle truppe austro-russe Stanislao Jablonoski, le case furono date alle fiamme dai soldati che pure infierirono sugli inermi abitanti aurighesi. Il palazzo De Gubernatis-Ventimiglia venne costruito nei pressi delle rovine dell'antico castello (collocate sotto l'asfalto della piazza e nel giardino di casa Ferrero De Gubernatis Ventimiglia) a partire dal XVII secolo, con i materiali di recupero da esso provenienti. Impreziosito da un portale d'accesso, l'edificio, caratterizzato da vani ariosi e maestosi all'interno e da un aspetto rustico in pietra all'esterno, è abitato dalla famiglia Bianco di San Secondo De Gubernatis Ventimiglia. È comunque possibile che già da tempo, prima dello smantellamento del castello, i Ventimiglia disponessero di una residenza civile in condizioni di abitabilità migliori rispetto al piccolo maniero del paese. Questo almeno a confronto con quella che era stata la dimora di Lavina in valle di Rezzo, citata negli Statuti trecenteschi di quel paese. Il documento in oggetto è inoltre di notevole importanza in rapporto alla definizione seicentesca dei volumi dell’edificio. Se il De Moro, nel suo lavoro su Aurigo, già colloca i lavori di sistemazione interna e forse di ampliamento del palazzo attorno al 1690, dopo il matrimonio della figlia di Ruggero con Gio Battista de Gubernatis (1689), è ora possibile chiarire che almeno una parte di tali interventi era già stata posta in opera precedentemente. Infatti l’inventario cita due stanze settentrionali al piano superiore, tuttora individuabili in pianta, ancora “rustiche”, cioè prive di intonaco, utilizzate come deposito di arredi inutili e di altri materiali. Tra questi vi erano anche « centri con arco per armare le volte », stimati 13 £, residui del recente cantiere. Vero è, però, che la giovane coppia può aver continuato questi lavori, sistemando anche la parte occidentale del complesso, situata oltre il passaggio pensile sopra la strada pubblica. Ulteriori esigenze d’uso hanno poi modificato la disposizione dei vani rispetto alla definizione riscontrabile nel testo documentario del 1684. Tramezze e variazioni degli accessi non aiutano certo nel riconoscimento degli spazi in modo assolutamente sovrapponibile a quanto notato nel documento in oggetto 3. L’andamento dei piani era già definito nel 1684. A ponente l’immobile oltre la strada ospitava a livello del suolo con ogni probabilità un frantoio “a sangue” (mosso da trazione animale) al livello del suolo. Di fronte, il piano terreno era contraddistinto dall’elegante atrio di ingresso. Il portale rivela tuttora una fattura accurata, dal portone a battenti in legno con elegante “mostra” sagomata al sopraporta in pietra, con volute che accompagnano l’arma De Gubernatis-Ventimiglia. Lo spazio d’ingresso è risolto in funzione dello schema tipico del palazzo signorile minore di tradizione genovese, con giro di scale laterale introdotto da una colonna caposcala. Questo piano è poi destinato a spazi di servizio, con la cucina, la dispensa, la “crotta” settentrionale che serve pure da dispensa, la « stanza di Magalino », destinata alla servitù, nonché la cantina interrata detta « l’infernetto per l’estate ». Si noterà poi quanto fossero necessari ampi spazi per la conservazione di derrate alimentari secche o salate, olio e vino, utilizzato, sia per l’approvvigionamento del complesso, ove si trovavano mediamente almeno una decina di persone (undici nel 1670) 4, sia per motivi commerciali connessi con lo sfruttamento delle proprietà comitali. Il forno « per cuocere il pane » è opportunamente posto nella cosiddetta « casa dell’Emerigo », un immobile attiguo all’edificio principale, confinante a monte 5. Per ovvie ragione è anche isolato dal palazzo, all’interno dell’area di giardino antistante a meridione, un “sito”, verosimilmente una sorta di stalla « per l’animale porco », presenza di indubbio interesse etnografico e culinario. Al primo piano si trovano le stanze d’uso più comune. La ridotta altezza dei solai ne consiglia la frequentazione in tutti i periodi dell’anno ed in particolare durante i mesi freddi. Non a caso qui si trovano le principali camere da letto, la stanza ove è morto il conte, il guardaroba, una stanza da lavoro usata da entrambi i coniugi conti. Un armadio a muro rigurgita di documenti, un baule di libri di contabilità. Una prima sala distributiva fa intuire la presenza di una simile situazione al piano superiore. Quest’ultimo per altezze di luce e per arredamento rivela un uso estivo e soprattutto di rappresentanza. Vi si trova la sala grande con il prezioso « scagnetto », « la camera grande », l’ufficio per trattare gli affari, ove, tra l’altro, sono custoditi i gioielli di famiglia, la « galleria », elegante sito ove, tra l’altro, viene redatto il documento di cui si tratta.Altro link suggerito: http://www.terrediriviera.it/contenuto/comuni/aurigo.ashx

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Aurigo, https://sites.google.com/a/centrostudiventimigliani.com/www-centrostudiventimigliani-com/contact---recensioni/a

Foto: la prima è presa da https://sites.google.com/a/centrostudiventimigliani.com/www-centrostudiventimigliani-com/contact---recensioni/a, la seconda è presa da http://www.terrediriviera.it/contenuto/comuni/aurigo.ashx

martedì 25 maggio 2021

Il castello di martedì 25 maggio



BARBANIA (TO) - Torre-porta

Barbania esce dall'anonimato alla fine del X secolo, quando compare in un documento come feudo di Emerico, signorotto borgognone di Camagna. Altre notizie risalgono al 1329: esistevano due parrocchie, una dedicata a Sancta Maria de Rucha Veteri e l'altra a San Giuliano. La prima esiste tuttora, ha pianta rettangolare ed è orientata lungo l'asse est-ovest, come i templi celtici; la chiesa di San Giuliano è un piccolo edificio in legno. Dopo l'anno mille i popolani di Piemonte e Lombardia, stanchi delle angherie dei feudatari, iniziarono a lottare per ottenere condizioni di vita dignitose. Sorsero, i Liberi Comuni. La croce bianca in campo rosso, simbolo delle libertà comunali, che dichiarava al mondo il valore della collaborazione e della democrazia, sventolò per secoli anche in Barbania. Gli abitanti cintarono di mura il borgo, scavarono fossati e innalzarono una torre-porta, che esiste tuttora, per difendere il ricetto. Nel 1305 Filippo II Acaja si mosse verso il Canavese, giungendo di fronte alla torre-porta di Barbania, che trovò sbarrata e affollata di gente armata. Filippo fece avanzare il suo esercito e i borghigiani decisero di aprire la porta invece di spargere inutilmente sangue. Poco dopo scoppiò una rivolta popolare contro i conti di Valperga. Il Canavese, al grido di "Tucc un" insorse nel Tuchinaggio. Anche Barbania partecipò attivamente alla lotta, che terminò nel 1392, con la concessione di molti privilegi ai Comuni: i barbaniesi non potevano venire imprigionati ed il processo si poteva svolgere solo nel paese. In seguito i Savoia iniziarono a vendere titoli di nobiltà. I Barbaniesi, orgogliosi di non aver mai dovuto sopportare feudatari, raccolsero il denaro necessario ed acquisirono la signoria del loro paese. Dopo due secoli di pace e prosperità giunse la Rivoluzione francese. Nel 1240 esisteva un “Hospitium de Guiaz de Barbania”, cioè una struttura dove il signore ospitava servi o coloni, che venne citato ancora nel 1302. Nel 1378 venne distrutto in parte dai San Martino di Front; l’anno successivo i conti di Rivara presero possesso del sito, che venne incendiato dai Valperga alla fine del secolo. Solo nel 1447 un documento parla di “ricetto”, che coincideva con il centro abitato fortificato che sorgeva sull’area sopraelevata di circa quattro metri a fronte della piazza attuale. Il ricetto era fornito di mura, fossati, due torri-porta d’accesso e piccoli edifici interni destinati ad abitazione e magazzino, separati tra loro da strette vie. Non è più possibile evidenziare tracce del nucleo antico e delle altre fortificazioni precedenti le distruzioni del XIV secolo. Si è invece conservata, nella parte più elevata dell’abitato, una torre-porta, una massiccia mole parallelepipeda a cortina laterizia, che risale alle fasi ricostruttive della fine del XIV secolo. Questa costruzione era l’elemento su cui si reggeva la difesa del ricetto e dava accesso al suo interno mediante un ponte levatoio manovrato da bolzoni del quale restano i tagli di manovra e le mensole reggi ponte. All’altezza dei tagli di manovra e superiormente corrono fasce di dentelli. Ha un rivestimento in mattoni risalente alla ricostruzione a seguito delle distruzioni e degli incendi subiti alla fine del 1300, ma conserva tracce della più antica struttura con muratura di ciottoli a spina di pesce e massi lapidei di spigolo. La torre-porta terminava con una merlatura bifida di cui restano tracce ed era aperta verso l’interno, con impalcature lignee ai vari piani. Nel XVII secolo fu aggiunto un tetto in coppi per adibirla a torre campanaria, funzione che mantenne fino al 20 febbraio 1955 quando venne inaugurato il nuovo campanile a lato della Chiesa di san Giuliano martire. La torre è stata recentemente restaurata. Costruita su tre piani collegati da scale a pioli, presenta finestre e feritoie per il controllo del territorio, mentre è aperta verso l’interno. Il quadrante di un orologio nella parte interna della torre-porta testimonia la presenza di un orologio meccanico da torre, citato fin dal 1600 negli archivi comunali e conservato al suo interno fino al 2008, anno in cui sono iniziati i lavori di restauro della torre-porta. L’orologio meccanico da torre datato 1793 è ora collocato nel Palazzo Comunale di Barbania. Il 1° marzo 2017 è stato installato un orologio elettrico completo di lancette.

Fonti: https://www.comune.barbania.to.it/it-it/vivere-il-comune/storia, https://www.comune.barbania.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/torre-porta-dell-antico-ricetto-di-barbania-42652-1-e0dd27ed14f127448c14dc0478222483, http://archeocarta.org/barbania-to-torre-porta/

Foto: la prima è presa da http://archeocarta.org/wp-content/uploads/2014/11/Barbania_ciocher.jpg, la seconda è presa da https://www.comune.barbania.to.it/it-it/vivere-il-comune/galleria-foto/antica-torre-ciocher

lunedì 24 maggio 2021

Il castello di lunedì 24 maggio


VILLANOVA D'ALBENGA (SV) - Cinta muraria

La zona dall'XI secolo fu in possesso dei monaci benedettini dell'abbazia di San Martino dell'isola Gallinara assieme a tutto il territorio ingauno. Risale al 7 dicembre 1250 l'atto ufficiale del Comune di Albenga con il quale venne sancita la fondazione del nuovo borgo di "Villanova". Una costruzione quella degli Albenganesi voluta per contrastare il vicino dominio dei marchesi di Clavesana e dei vari signorotti del territorio legati alla famiglia, in una nuova politica d'espansione non più legata alla costa ponentina, ma all'entroterra della piana ingauna. Il nucleo villanovese fu dotato di mura e torri difensive - ancora oggi presenti e in alcuni punti del borgo ben conservate nella loro originarietà - dove anche gli abitanti dei piccoli centri vicini potevano trovare rifugio e/o contribuire con l'allevamento e il lavoro agricolo al sostentamento della comunità. Il territorio di Villanova d'Albenga e delle "ville" minori furono quindi amministrati secondo le leggi e le autorità albenganesi che inquadrarono questa zona del distretto albenganese come un'unica circoscrizione amministrativa. Negli Statuti di Albenga de 1288 si evince un grosso capitolo finanziario impegnato da Albenga per la costruzione. Occupato per un breve periodo del XV secolo dai signori di Calizzano, il borgo seguì nei secoli successivi le vicissitudini storiche di Albenga e della Repubblica di Genova. In una delle tante battaglie tra lo stato genovese e il Ducato di Savoia, nel corso del XVII secolo, anche Villanova fu interessata dal passaggio delle truppe e dai relativi scontri che però non minarono la fedeltà della comunità verso Genova. L'impronta medievale del borgo è rimasta intatta e ben conservata nel tempo. Il suo carattere di vera e propria fortezza a pianta poligonale emerge dalle alte mura, ancora ben visibili in buona parte, che circondano e proteggono la città. Le mura si elevano fino a superare i sette metri di altezza e sono sormontate da merli guelfi. Lungo il perimetro si ergono dieci imponenti torri di forme differenti (a base quadrata o rotonda), sei agli angoli del borgo e quattro in corrispondenza dei punti cardinali; le due poste agli estremi di Via Garibaldi hanno funzione di porta cittadina. Un'unica via attraversa in senso orizzontale il paese e su di essa si aprono ortogonalmente dodici vicoli, creando isolati rettangolari. Due delle torri presentano una fattura totalmente diversa dalle altre e sono poste al margine del fronte nord della cortina muraria: la prima cilindrica, la seconda a sezione pentagonale, secondo un modello in voga nell'architettura militare duecentesca, come è possibile notare se visitando anche i siti di Arcola e Vezzano inferiore nell'estremo levante ligure. Al centro del borgo si conserva il pozzo medievale, divenuto simbolo di Villanova e fino agli anni trenta del XX secolo l'unico distributore d'acqua potabile per gli abitanti, con le catene e i secchi d'epoca. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=aOh-tIKre5Q (video di Un mare di lana), https://www.youtube.com/watch?v=1yMU5BQlKUk (video di Eats&Travels)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Villanova_d%27Albenga, http://www.liguriadiponente.it/villanovadialbenga.htm, https://www.villanovadalbenga.com/turismo/index.php/villanova-storia/centro-storico, http://www.liguriaheritage.it/heritage/it/liguriaFeudale/Savona.do?contentId=30031

Foto: la prima è di Davide Papalini su https://it.wikipedia.org/wiki/File:Villanova_d%27Albenga-mura_e_torri8.jpg, la seconda è presa da http://www.liguriaheritage.it/heritage/it/liguriaFeudale/Savona.do?contentId=30031

domenica 23 maggio 2021

Il castello di domenica 23 maggio



RIVERGARO (PC) - Castello di Ancarano

Documentato nel 1466 come di proprietà di Giovanni Della Guardia, il castello in seguito passò al figlio Giuliano, al quale però (per l'efferato fratricidio commesso) il Duca di Milano lo confiscò in favore di Giacometto Latella. Il borgo e il castello di Ancarano subirono gravi danni attorno al 1521, quando vennero attaccati da truppe francesi (comandate da Giovanni da Birago e reduci da un assalto alla rocca di Rivalta) e nel 1526 dai Lanzichenecchi. Data l'importanza strategica del castello, le milizie del conte Federico Dal Verme, nel 1516, dopo averlo conquistato e perpetrato violenze di ogni genere, uccisero il castellano. Secondo le cronache dell'epoca, i seguaci del Dal Verme rubarono argenteria, armi, casse colme di panni di lana e seta, arnesi della casa, cibarie e 1800 ducati. L'ingente bottino fu trasportato alla Rocca d'Olgisio. In seguito venne istituito un processo contro Jacopo Dal Verme ed egli venne condannato, ma non scontò mai la pena comminatagli in virtù delle sue potenti amicizie. Da un atto notarile dell'epoca si rileva che il castello era però già in rovina; negli estimi di circa un secolo dopo risulta addirittura diroccato e coperto da una intricata vegetazione. Nei secoli seguenti la costruzione passò più volte di proprietà: nel 1704 accanto alla fortezza sorse l'oratorio. Fra le vicende successive si ricorda l'acquisto del castello da parte della marchesa Teresa Tedaldi, maritata al conte Scotti di Vigoleno. L'edificio è composto da una parte antica con due torrioni rotondi e mura scarpate in sasso e una parte più recente, risalente al periodo a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, di gusto rinascimentale. In quest'ultima si notano, oltre il coronamento della merlatura e delle belle finestre. Il castello è adibito ad abitazione privata. Altro link suggerito: https://www.preboggion.it/Castello_di_Ancarano.htm (varie foto)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rivergaro#Architetture_militari, http://www.altavaltrebbia.net/castelli/bassa-val-trebbia/2054-castello-di-ancarano.html, http://www.comune.rivergaro.pc.it/cultura/monumenti/ancarano.html

Foto: la prima è presa da https://new.turismopiacenza.it/itinerari/rivergaro/castelli/castello-di-ancarano/, la seconda è di Massimo Antoniotti su https://www.tourer.it/scheda?castello-di-ancarano-ancarano-sopra-rivergaro

sabato 22 maggio 2021

Il castello di sabato 22 maggio



VIZZOLA TICINO (VA) - Castello in frazione Castelnovate

La località di Castelnovate è citata negli statuti delle strade e delle acque del contado Milanese, nonché tra quelle che contribuivano alla manutenzione della strada di San Pietro all'Olmo (1346), e faceva parte della pieve di Somma (1558) e successivi aggiornamenti dei secoli XVII e XVIII, Estimo di Carlo V, Ducato di Milano, cartelle 45-46, parte I). La comunità risultava tra le terre censite che pagavano il censo del sale (1634). Nel 1786 Castelnovate entrò per un quinquennio a far parte dapprima della Provincia di Gallarate (1786-87) poi di quella di Varese (1787-91). Sotto il governo cisalpino, il comune di Castel Novate venne inserito nel distretto di Somma (1798), poi in quello di Gallarate, Dipartimento di Olona. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava un Comune di Terza classe, inserito nel Cantone V di Somma, Distretto IV di Gallarate, Dipartimento d'Olona (decreto 8 giugno 1805) e contava ancora solamente 95 abitanti, confermando la sua natura di piccolo borgo boschivo. Il castello di Castelnovate (noto anche come Castelàsc in dialetto lombardo occidentale) è di probabile origine alto medievale, forse innalzato sui resti di un tardoantico castrum romano. La denominazione del borgo stesso come "Castelnovate" lascia intravedere le due parole castrum e novum ovvero castello nuovo, quindi edificato sopra un preesistente edificio. I pochi resti oggi visibili, posti tra il paese ed il Ticino, sono suggestivamente invasi dalla vegetazione e danno solo parzialmente l'idea della struttura nel suo complesso che fiorì tra il XII ed il XIII secolo quando Castelnovate, insieme a Pombia, era uno dei più importanti punti di guado esistenti sulla strada Como-Novara, in posizione dominante sopra una stretta ansa del Ticino. Il castello era all'epoca di proprietà dei conti Tabusi, discendenti di una nobile famiglia milanese, che lo avevano eretto su una precedente struttura del V-VI secolo. Il nuovo edificio subì quindi la trasformazione, consueta per l´epoca, da pura fortificazione a residenza signorile fortificata. Già dalla fine del Trecento, ad ogni modo, per cause ad oggi sconosciute, il castello e l'intera località di Castelnovate erano entrate in decadenza. Ciò è testimoniato da un atto di vendita del 1389 in cui alcuni edifici interni al Castrum erano giá definiti come "dirupti". Inoltre nel XVI secolo delle sette chiese restavano solo S. Stefano, S. Naborre, S. Vittore e S. Rocco (non citata nell´elenco del 1200): le ultime tre giá quasi distrutte, come appare dalla relazione delle visite pastorali dell´epoca di S. Carlo Borromeo. La struttura, le cui mura sono realizzate a spina di pesce, è costituita da ciottoli di fiume; la pianta è quadrangolare, con due robusti torrioni. Altri link per approfondimento: http://www.ilvaresotto.it/PDF/Castelnovate_e_il_suo_castrum_colpevolme.pdf, http://www.ilvaresotto.it/PDF/Castelnovate_e_il_suo_castrum_colpevolme%20(2).pdf

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castelnovate, http://www.comune.vizzolaticino.va.it/c012140/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/20001

Foto: entrambe di Ivan S. su https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g1077495-d15609980-Reviews-Castello_di_Castelnovate-Vizzola_Ticino_Province_of_Varese_Lombardy.html#/media-atf/15609980/364161682:p/?albumid=-160&type=0&category=-160

venerdì 21 maggio 2021

Il castello di venerdì 21 maggio


VOBBIA (GE) - Castello della Pietra

Il territorio si formò riunendo antichi beni dell'abbazia di San Colombano di Bobbio con la corte di Clavarezza (Clauereza) (oggi in Valbrevenna) e Noceto (Nuseto), dell'abbazia di Precipiano e dei Fieschi di Lavagna, divenendo possedimento feudale dei vescovi di Tortona poi, dal 1164 proprietà della famiglia Malaspina. I marchesi di Gavi aggiunsero la valle ai loro possedimenti fino al 1252, anno in cui il territorio e il locale castello passarono alle dipendenze di Opizzone della Pietra, quest'ultimo signore del feudo di Mongiardino in consorzio con gli omonimi signori locali. Un successivo documento del 1253 cita inoltre il possedimento territoriale del castello sui borghi di Vobbia, Vallenzona, Arezzo, Costa di Vallenzona, Salmorra e Berga. Una parte consistente del feudo entrò quindi in possesso di Barnaba Spinola dal 1296 e molto probabilmente, non esistono infatti documenti certi, acquisì completamente tutto il territorio feudale all'inizio del XIV secolo. La proprietà di una parte della signoria di Mongiardino, comprendente anche Vobbia, fu ceduta per eredità della madre Tommasina Spinola, il 16 aprile 1678, ai figli Innocenzo e Gerolamo Fieschi, famiglia che esercitò su tutto il territorio un dominio pressoché assoluto fino al 1797, anno della soppressione dei Feudi Imperiali. Il Castello della Pietra, il principale e più caratteristico monumento dell'entroterra genovese, è un polo d'attrazione culturale e paesaggistico del Parco naturale regionale dell'Antola ed è inserito nella lista dei monumenti nazionali italiani. Situato su una roccia bifida, in una pittoresca posizione elevata tra due speroni di conglomerato roccioso (puddinga) che ne costituiscono i naturali bastioni, domina la strada che fiancheggia il torrente Vobbia risalendone il corso da Isola del Cantone. Il castello è raggiungibile soltanto a piedi tramite un sentiero nel bosco, ed una scalinata, dopo venti minuti di suggestivo cammino partendo dalla strada provinciale. È possibile raggiungere il sito anche seguendo un altro percorso, un po' più lungo, che parte dalla frazione Torre di Vobbia, detto Sentiero dei Castellani. Nel 2014 si sono svolti lavori straordinari lungo il sentiero e alla struttura con la temporanea chiusura del sito al pubblico. Non esistono ancora oggi sufficienti ed esaurienti documentazioni storiche in merito alla reale data di edificazione, pertanto si è ipotizzato che la costruzione possa essere risalente al 1100 o ad una data ancora precedente, ma finora rimane il mistero. Anticamente fin dall'epoca longobarda, vi erano i monaci dell'abbazia di San Colombano di Bobbio, a cui apparteneva la zona, che come da altre parti edificavano eremi in grotte od in posti elevati ed impervi; come avvenne per l'eremo di San Colombano. Alcuni documenti del 1252 nominano il feudatario Opizzone della Pietra, la cui famiglia assunse tale appellativo di "della Pietra", proprio per il legame con l'ardita fortezza. Secondo i celebri "Annali" dello storico Caffaro di Rustico da Caschifellone già nel XIII secolo il castello presentava le stesse caratteristiche strutturali e architettoniche di quelle attuali e la sua giurisdizione comprendeva l'Alta Val Borbera travalicando il colle di San Fermo. A seguito della morte di Guglielmo della Pietra, il maniero passò di proprietà della famiglia nobiliare Spinola fino al 1518, quando fu ceduto per disposizione testamentaria agli Adorno; il testamento è datato al 7 giugno 1518 e si specifica il volere di Tolomeo Spinola in favore dei fratelli Antoniotto e Gerolamo Adorno. Prospero Adorno ne ottenne l'ufficiale investitura il 17 gennaio del 1565 e dieci anni dopo (1575) la proprietà passo nelle mani del fratello Girolamo Adorno. Nel 1579 fu espugnato da alcuni malviventi, ma venne riconquistato da Giorgio Centurione su incarico del Senato della Repubblica di Genova. Nel 1620 l'imperatore Mattia d'Asburgo lo annesse al feudo Pallavicino in val Borbera perdendo così ogni potere giurisdizionale autonomo, ma costituendo fino alla fine del Settecento una enclave tra i più grandi feudi dei Fieschi e degli Spinola; sotto la sua giurisdizione rientravano Torre di Vobbia, Pareto in Val Brevenna e Gordena in Alta Val Borbera. In seguito divenne proprietà dei Botta Adorno. Nel 1797, le truppe francesi giunsero sull'Appennino e, per volere di Napoleone Bonaparte, vennero soppressi i Feudi Imperiali. Il maniero fu così abbandonato dall'ultimo carismatico castellano, Michele Bisio e dopo qualche anno fu dato alle fiamme decretandone così la progressiva rovina. Il bronzo dei cannoni fu prelevato dal vescovo di Tortona per essere poi utilizzato per la fusione delle campane della chiesa di Santa Croce di Crocefieschi. I ruderi dell'antico castello restarono comunque di proprietà dei Botta Adorno fino al 1882 quando fu ceduto alla famiglia Cusani Visconti. Il 21 maggio del 1919 il proprietario Luigi Riva Cusani lo vendette a Giovanni Battista Beroldo di Vobbia. La famiglia Beroldo lo donò poi al Comune di Vobbia nel 1979. Nel 1981, due anni dopo la cessione verso il comune vobbiese, la provincia di Genova, su stimolo del Centro Studi Storici per l'Alta Valle Scrivia (Busalla), avviò diversi interventi di restauro recuperando le antiche macerie ed effettuando rilievi per comprendere meglio l'intera struttura nel suo complesso. Il castello, dal 1994, è aperto al pubblico per visite guidate al suo interno e fino al Torrione Grande. Dal 2008 il castello è gestito dall'Ente Parco dell'Antola che tramite la Cooperativa "Castello della Pietra" organizza visite guidate nel periodo aprile-ottobre ed un programma di manifestazioni storiche nel periodo estivo, durante il quale funziona anche un punto ristoro che promuove i prodotti tipici del Parco. Il castello si articola in due corpi impostati a quote differenti. Si accede dall'avancorpo i cui tre piani di calpestio sono stati ripristinati con una struttura metallica a griglia. Dall'ultimo piano dell'avancorpo si passa all'ampio salone centrale a pianta quadrata e soffitto voltato. Con il rifacimento della copertura è stato ripristinato un sottotetto raggiungibile sia dal vano centrale sia dal cammino di ronda. Una caratteristica fondamentale per l'autonomia del castello è la cisterna scavata nella roccia ai piedi del "torrione", ovvero lo sperone roccioso naturale a ovest, in cui erano convogliate le acque piovane dei tetti, anche per mezzo di canali di raccolta scavati nella roccia, ancora in parte visibili; la cisterna è accanto al salone centrale sotto il cui pavimento è presente una seconda cisterna. In questo video (di Esperienza-Drone) ci sono riprese suggestive dell'antica e particolarissima costruzione: https://www.youtube.com/watch?v=JoYQTTuvFtc&feature=youtu.be. Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=Ulx73Cd8NtA (video di Outdoor-TV), https://www.youtube.com/watch?v=AGXTgWW7Tsc (video di Città Metropolitana di Genova), https://www.youtube.com/watch?v=ng9mtIBoQTA (video di Pierre Greppi), https://www.youtube.com/watch?v=2MXecLOA26w (video di Terre di Castelli), https://www.icastelli.it/it/liguria/genova/vobbia/castello-della-pietra

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Vobbia, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_della_Pietra, https://act.unilink.it/castello-della-pietra-vobbia-genova/, https://www.tastingtheworld.it/castello-della-pietra-vobbia/7263/

Foto: la prima è di Paolo De Lorenzi su http://www.paesiabbandonati.it/2014/07/castello-della-pietra-di-vobbia.html, la seconda è di Grifo su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/21004/view

mercoledì 19 maggio 2021

Il castello di giovedì 20 maggio



DESENZANO DEL GARDA (BS) - Castello in frazione Rivoltella

Rivoltella era dotata di un castrum. È attestato che la famiglia ghibellina dei Boccacci ne ebbe possesso nel 1167, quando ospitarono i fuggiaschi bresciani scacciati dai Guelfi. Durante la signoria di Pandolfo Malatesta i Boccacci tentarono una rivolta, ma furono sconfitti e dovettero fuggire a Verona. Con la riconquista del bresciano da parte dei Visconti (1419) riottennero il fortilizio per poi perderlo con l'arrivo dei veneziani. Nel 1439, il Castello fu impiegato da Niccolò Piccinino come base. L'anno seguente presso la Chiesa di San Biagio, il Ducato di Milano e la Serenissima stipularono l'accordo che stabiliva come frontiera tra i due stati l'Adda. La stessa chiesa, il 18 ottobre 1448 fu sede dell'accordo tra Francesco I Sforza e i veneziani in cui questi ultimi concedevano al primo l'assalto contro la Repubblica Ambrosiana di Milano che questi fece nel 1448/49, poi senza di loro. Il castello fu realizzato dal re longobardo Desiderio nel 760 e potenziato nell'anno 900, dopo un passaggio degli ungari. Vennero realizzate le cinque torri di difesa e il rio Venga fu deviato in località Bus del Gat per allagare il fossato. Attualmente (2010) del castello non rimane che una sola torre, chiamata torre civica, trasformata in campanile, poche mura e i resti che si vedono nel sottostante lago, che ha inghiottito pure la strada romana. La torre, alta 21,7 metri, fu sede campanaria addirittura dal 1492: ai primi del ’900 era ancora sprovvista dell'orologio (che all’origine era di forma quadrata con funzionamento di tipo meccanico. All’interno della torre è ancora visibile un pezzo dello stesso), ma dotata di una campana in bronzo. Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, la campana fu sradicata dai tedeschi e poi fusa, utilizzata per costruire materiale bellico. Il paese rimase senza rintocchi per 20 anni: il 16 marzo 1964 gli alpini issarono in cima un nuovo bronzo ribattezzato la «Campana dei Caduti». Da decenni circola la voce di una pendenza della torre (nel 1988 il livello d’inclinazione fu calcolato in poco più di un grado, 32.5 centimetri dal suo baricentro) e l'ipotesi di una instabilità strutturale della costruzione che farebbe temere per il suo futuro. Altri link da consultare per approfondimento: https://www.gardatourism.it/castello-di-rivoltella/, https://www.youtube.com/watch?v=lSLv5W9_LiI (video di Rino Polloni),

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoltella_del_Garda, https://www.bresciaoggi.it/territori/sebino-franciacorta/la-torre-di-rivoltella-pende-1.4442449, articolo di Alessandro Gatta su https://www.bresciaoggi.it/territori/sebino-franciacorta/la-torre-di-rivoltella-pende-1.4442449?refresh_ce, http://www.anarivoltella.it/images%5Cvarie%5C2014%5Canniversari%5Canniversari.html

Foto: la prima è presa da https://www.comune.desenzano.brescia.it/Amministrazione/Luoghi/Parco-della-Torre, la seconda è di Alessandro F su https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g194965-d10701588-Reviews-Castello_e_torre_di_Rivoltella-Desenzano_Del_Garda_Province_of_Brescia_Lombardy.html#photos;aggregationId=&albumid=101&filter=7

Il castello di mercoledì 19 maggio


PORTOBUFFOLE' (TV) - Torre Civica

Un documento del 997, per l'esattezza un contratto di affitto tra il vescovo di Ceneda Sicardo e il doge Pietro II Orseolo, cita il "castro et portu...in loco Septimo", provando l'esistenza di un luogo fortificato e di un porto fluviale. A conferma della sua importanza strategica, durante l'epoca feudale il castello passò sotto il controllo di numerose autorità, sia signorili che religiose. Forse all'inizio fu dei Carraresi, essendo poi del Patriarca di Aquileia. Dal 908 l'imperatore Berengario lo donò al vescovo di Ceneda Ripalto. Nel 1166 il centro cadde nell'orbita del comune di Treviso, ma nel 1242 tornò sotto Ceneda. La bastia venne quindi distrutta dal trevigiano Gerardo de' Castelli, per poi essere ripresa e restaurata dal vescovo di Ceneda. Il 2 ottobre 1307 Portobuffolé venne assegnato a Tolberto da Camino, marito della nota Gaia, figlia del "... buon Gherardo... ", immortalata da Dante nel XVI canto del Purgatorio. Ma le dispute non cessarono. Samaritana Malatesta da Rimini, seconda moglie di Tolberto, sentendosi minacciata, dopo la morte del marito, dai parenti Rizzardo e Gerardo da Camino, temendo anche per la vita del giovane figlio Biancoino, raggiunse Venezia e chiese protezione al doge Dandolo. Samaritana, con l'appoggio dei veneziani, potè rientrare nel castello solo nel 1336. Questo evento aprì le porte della città alla Serenissima e il 4 aprile 1339 essa venne dichiarata parte della Repubblica, con decreto del senato Veneto e con delibera del Maggior Consiglio di Treviso. Più tardi i Genovesi obbligarono i Veneziani a cedere la Marca trevigiana all'arciduca d'Austria, che la vendette a Francesco di Carrara. Una rivolta popolare riportò Portobuffolè, ancora una volta, a Venezia. Dopo una breve parentesi di dominazione turca, Portobuffolè conobbe, sotto il dominio veneto, un periodo di grande splendore. La Repubblica Veneta concesse il titolo di Città, lo stemma gentilizio ed un podestà, che rimaneva in carica solo 16 mesi, con ampie mansioni politico-amministrative. Portobuffolé visse il suo periodo d'oro: divenne sede di una podesteria e ottenne un Consiglio Civico, un Consiglio Popolare e un Ordine dei Nobili; al contempo, si affermava come importante centro commerciale e culturale. Dal 1797 Portobuffolé fu controllato dalla Francia rivoluzionaria che aveva invaso il Veneto. Divenne sede di comune e, a capo di un'ampia giurisdizione, manteneva il suo ruolo di importanza essendovi istituito un tribunale civile e criminale. La situazione durò pochi mesi poiché, con il trattato di Campoformio, la Repubblica di Venezia cadeva definitivamente e i suoi territori passavano all'Arciducato d'Austria, per poi tornare francesi nel 1806. La città fortificata era circondata da un canale, ricavato deviando il fiume Livenza, e da possenti mura intervallate da sette torri. L’unica torre giunta fino alla nostra epoca, detta Comunale o Civica, presenta la cima modificata secondo il gusto rinascimentale. La sua persistenza è dovuta al fatto che è stata utilizzata come prigione fino all’inizio del secolo scorso. Lungo ciò che resta delle antiche mura, si può scorgere una botola, la quale conduce ad una galleria sotterranea che collegava i due porti della Città, quello della Piazza principale e quello di Via Rivapiana. Questo tunnel nei secoli ha avuto, poi, diversi usi, come ad esempio quello di sfogo per le tubature fognarie, e dalla popolazione è da sempre ricordato con il nome di Slondrona. Attualmente nella Torre ha sede il Museo della Civiltà Contadina e dell’artigianato dell’Alto Livenza, ampia raccolta di attrezzi e oggetti della casa contadina. L'elevazione di oltre ventotto metri, ci porta ad osservare i fregi cinquecenteschi, che sostituiscono le medievali merlature. Al suo interno, presso il meccanismo dell'orologio, rinnovato nel 1879, si trovava un foro da cui venivano calati i condannati nella sottostante prigione. Dalle antiche finestre e feritoie si può ammirare un panorama incantevole. La casa ai piedi della torre era un tempo il Palazzo del Governo. Sopra la porta del Monte di Pietà, fondato nel '500 dai Veneziani, vi e' un raro esempio di "leon in moeca", quello dall'aspetto terrificante che veniva rappresentato in tempo di guerra. Il Ponte Friuli e l'omonima Porta sormontata dal Toresin erano la principale via d'accesso alla città fortificata. L'aspetto attuale risale al loro rifacimento, avvenuto nel 1780. L'odierno ponte è il primo costruito in pietra sul fiume Livenza, in sostituzione del precedente in legno. Prima ancora fu ponte levatoio a protezione del castello. Il corso del Livenza circondava in passato il nucleo storico di Portobuffolè, ma fu deviato nel 1913 per la sicurezza della città contro le frequenti esondazioni. Sopra il portale d'ingresso campeggia il Leone di San Marco con scritta postuma, che richiama i princìpi rivoluzioni francesi. Alla destra del ponte sono visibili i resti delle antiche mura della città medievale, lungo le quali si trova murata una piccola Bocca della Verità di origine romana. Altri link suggeriti: https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0500663465, https://www.youtube.com/watch?v=fDJ_lKdnn98 (video di Guido Zamai), https://www.youtube.com/watch?v=85xcmD36Fqc (video di ItalianVita)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Portobuffol%C3%A9, http://www.comune.portobuffole.tv.it/zf/index.php/storia-comune, http://www.comune.portobuffole.tv.it/c026060/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/151, https://www.microturismodellevenezie.it/scheda/torre-civica/, http://www.centrometeo.com/articoli-reportage-approfondimenti/meteo-cronache-ambiente-immagini/4655-portobuffole-gioiello-veneto, http://davetto.altervista.org/foto/treviso/portobuffole/index.html

Foto: la prima è presa da http://davetto.altervista.org/foto/treviso/portobuffole/index.html, la seconda è presa da http://altolivenza.com/portobuffole-2/

martedì 18 maggio 2021

Il castello di martedì 18 maggio



POLVERIGI (AN) - Castello

Dopo l'anno mille i monaci Avellaniti si trasferirono nell'attuale Polverigi dove fondarono la chiesa di Sant'Antonino, e nello stesso tempo iniziava la costruzione del "Castello", suffragato ciò dal ritrovamento d'una moneta del doge Falerio, ed un mattone recante incisa la data del 1141. L'edificazione terminò dopo il XII secolo, e proprio qui nel 1202 venne stipulato l'accordo di non belligeranza tra le città di Ancona, Osimo e Fermo. L'arco d'entrata con forma a volta, una volta munito di saracinesca e ponte levatoio, è tutto ciò che resta dell'antico castello, che ha visto le proprie mura, torri e merlature trasformate in case abitative. Nel 1323 a causa delle frequenti guerriglie tra guelfi e ghibellini venne fatta strage della popolazione ed il paese fu spogliato dei propri beni ad opera di un avventuriero chiamato "Lo Schiavo". Per questi fatti successivamente preferì mettersi sotto la protezione di Ancona, con la quale ebbe sempre ottimi rapporti e fu a causa di questi che nel 1517 fu saccheggiata da Ludovico di Fermo durante la guerra del ducato di Urbino. In questo periodo Polverigi divenne uno dei circa venti castelli di Ancona. L'antico castello di Polverigi realizzato nell'XI-XII secolo, ha le mura a cortina. Si tratta quindi non di un vero e proprio castello bensì di un borgo fortificato come tanti altri nelle Marche. La sua forma è ovoidale e sorge adagiato su una collinetta con un' unica porta sul versante ovest. Alla fine del '300 dopo l'invenzione delle armi da fuoco, le mura furono trasformate in fondazioni per gli edifici soprastanti mentre il lato ovest fu occupato dal Palazzo Comunale, costituito da un corpo di fabbrica e da una torre civica. Le parti più imponenti (non agevolmente visibili) delle sue mura, sono quelle su Via Fossarile, ma la cerchia muraria prosegue ininterrottamente fino a Piazza Umberto I dove si ricongiunge al Palazzo Comunale. Della sua antica struttura interna rimangono due soli edifici e una curiosità sono le numerose grotte, scavate sotto quasi tutti gli edifici, ed una neviera recentemente riscoperta. Infine le torri. Erano due, probabilmente tre e l'unica rimasta intatta è la torre civica. Della seconda rimane la base e della terza, esiste solo una riproduzione quattrocentesca. Oggi il Castello, chiamato affettuosamente "Roccolo" per la sua forma rotonda, è il centro storico del comune, da sempre silenzioso ed ameno testimone dei principali avvenimenti cittadini. Lo possiamo vedere bene in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=Ow0sSNLcQpk (di Michele Luconi)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Polverigi, https://www.rivieradelconero.info/it/polverigi-un-borgo-da-scoprire-a-due-passi-dal-mare/, http://www.comune.polverigi.an.it/vivere-polverigi/turismo/castello

Foto: la prima è presa da http://www.comune.polverigi.an.it/vivere-polverigi/turismo/castello, la seconda è presa da http://www.themarcheexperience.com/2018/05/nella-terra-dei-castelli-tra-ancona-e.html

lunedì 17 maggio 2021

Il castello di lunedì 17 maggio

                                          


CORIGLIANO D'OTRANTO (LE) - Castello de' Monti

Attestato sul versante sud-est dell'antica cerchia muraria, il Castello de' Monti rappresenta, secondo le parole di G. Bacile di Castiglione, il «più bel monumento di architettura militare e feudale del principio del Cinquecento in Terra d'Otranto», ed è sicuramente il modello più compiuto del trapasso dalle torri quadre a quelle rotonde: il castello ha infatti impianto quadrangolare con quattro torri angolari a base scarpata e a tre livelli di fuoco, circondato da un profondo fossato. Di impianto medievale, il castello fu radicalmente ristrutturato e ampliato tra la fine degli anni Novanta del Quattrocento e i primi del Cinquecento (1515-19) da Giovan Battista de' Monti che lo adeguò alle esigenze belliche ed ai princìpi dell'arte militare del tempo avvalendosi di maestranze locali. È interamente circondato da un fossato e si sviluppa su una pianta quadrata ai cui angoli si innestano quattro poderosi torrioni circolari; a questi era affidata la maggiore efficacia dell'intero sistema difensivo, come denotano le numerose cannoniere che si aprono lungo i fianchi in corrispondenza delle casematte interne disposte a piano terra ed a primo piano. Ogni torrione presenta l'araldica dei de' Monti di Capua accompagnata dalle raffigurazioni allegoriche delle quattro virtù cardinali e dai bassorilievi di altrettanti Santi sotto la cui protezione è posto ciascun torrione. Guardando la facciata principale, il torrione a sinistra è intitolato a San Michele Arcangelo la cui effigie è affiancata dall'allegoria della fortezza; il torrione a destra è intitolato a Sant'Antonio Abate al quale è affiancata, anche se ormai praticamente cancellata per l'erosione del materiale lapideo, l'allegoria della temperanza. Gli altri torrioni sono intitolati a San Giorgio e a San Giovanni Battista, ai cui bassorilievi sono associate, rispettivamente, le raffigurazioni allegoriche della prudenza e della giustizia. Venuta meno l'originaria funzione difensiva che sicuramente restò di primaria importanza per tutto il Cinquecento, alla metà del Seicento il castello fu adattato, secondo la moda del tempo, ad esigenze estetiche e di rappresentatività della famiglia del feudatario. Infatti Francesco Trane, barone di Tutino e signore dello Stato di Corigliano, appartenente alla famiglia feudataria che nel 1651 aveva acquisito il feudo dall'ultimo dei de' Monti, nel 1667 ingentilì l'austero edificio militare facendo costruire una nuova facciata, sovrapposta alla preesistente, sulla quale schierò una serie di statue allegoriche accompagnate da iscrizioni celebrative e dai busti dei grandi condottieri del passato (le statue, poste all’interno di nicchie, rappresentano virtù e personaggi dell’epoca, mentre sugli architravi trionfano i motti del poeta coriglianese Andrea Peschiulli, ormai indecifrabili, ma già presenti e rimasti intatti nonostante la ristrutturazione del castello); al centro fece porre la sua statua affiancata dalle allegorie della giustizia e della carità. La targa epigrafica posta ai suoi piedi informa sulle sue doti e sui suoi titoli nobiliari: "PONDERAT HEC CULPAS HEC EXIBET UBERA NATIS / HIC ASTREA MICANS HINC PELICANUS AMANS / FRANCISCUS TRANUS BARO TUTINI AC DOMINUS / STATUS COROLIANI CASTRUM HOC EXORNANDUM CURAVIT 1667" ("questa giudica i misfatti, quest'altra porge le mammelle ai figlioletti; da un lato la splendente Astrea, dall'altro l'amorevole Pellicano; Francesco Trane barone di Tutino e signore dello Stato di Corigliano si prese cura di abbellire questo castello nel 1667"). Dotò pure la nuova facciata principale di un balcone a sbalzo delimitato da un'elegante balaustra in pietra leccese riccamente decorata da fregi, animali fantastici e motivi floreali al centro dei quali fece incastonare l'arme del proprio casato. La facciata barocca posta in corrispondenza del ponte d'accesso è opera del 1667 di maestranze locali dirette dal mastro coriglianese Francesco Manuli. Sempre in quel periodo, il ponte levatoio fu sostituito da uno in pietra e il fossato perimetrale parzialmente incluso nel giardino. All'interno della struttura oggi sono presenti una biblioteca, un museo multimediale dedicato alla storia del castello (che sorge su un luogo ben più antico, visti i ritrovamenti nel cortile di ceramiche preistoriche, anfore romane e reperti medioevali), un book shop. Altri link per approfondimento: https://www.salento.com/2019/10/12/la-storia-del-castello-di-corigliano-d-otranto/, https://www.youtube.com/watch?v=wuyxGtwVTLs (video di Città aperte in rete), https://www.salentoacolory.it/castello-di-corigliano-dotranto/, https://www.youtube.com/watch?v=wjFyasLpvwI (video di Gruppo ComunicareITALIA),https://www.youtube.com/watch?v=X0nm-1cKI1E (video di SALENTO.IT), https://www.facebook.com/watch/?v=142664203732121 (video di Castello Volante di Corigliano d'Otranto)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Corigliano_d%27Otranto#Architetture_militari, https://www.viaggiareinpuglia.it/at/1/castellotorre/662/it/Castello-de--Monti-Corigliano-d-Otranto-(Lecce), https://www.cortedelsalento.net/salento-dintorni/il-castello-di-corigliano-d-otranto, https://www.lacasarana.it/un-gioiello-architettonico-nel-cuore-della-grecia-salentina-il-castello-di-corigliano-dotranto/

Foto: la prima è presa da https://www.icastelli.it/it/puglia/lecce/corigliano-dotranto/castello-di-corigliano-dotranto, la seconda è presa da https://bblacortellenica.it/il-castello-di-corigliano-dotranto/

domenica 16 maggio 2021

Il castello di domenica 16 maggio


PREZZA (AQ) - Palazzo Baronale

Del 1097 è un interessante episodio riportato nel Chronicon Casauriense e legato alla famiglia dei castellani di Prezza della fine dell'XI secolo, feudatari dell'Abbazia di San Clemente: il violento e rapace capitano normanno che imperversava nell'Abruzzo pedemotano e costiero dal 1066, Ugo o Ugone detto Malmozzetto (cioè "brutto ceffo"), nel disegno di lasciare a tutti e sette i suoi figli maschi castelli e contee in eredità alla sua morte, si dedicava da decenni all'assedio e alla rapina delle rocche, ed in particolare aveva da poco scacciato da Prezza il suo Signore; la sorella di costui, però, donna particolarmente bella ed intelligente, escogitò un tranello; chiestogli un appuntamento per concordare il suo matrimonio con uno dei Baroni normanni alle dipendenze del Malmozzetto, lo sedusse e lo fece catturare dal fratello, che lo imprigionò quel tanto che bastò a liberare tutti i castelli della zona, che erano stati da lui occupati. Il feudo cambiò il nome nel XV secolo in Rocca di Sale, per via delle decime che si pagavano per il possesso, e solo due secoli più tardi prese il nome attuale. Nel 1706 il castello fu distrutto da un forte terremoto, e rimase solo la torre campanaria della chiesa madre di Santa Lucia. Il paese, situato su uno sperone di montagna della catena del Sirente, guarda l'intera Valle Peligna, ed a buon ragione viene definito "il terrazzo della Valle Peligna". Posto a 580 metri sul livello del mare, conserva un centro storico medioevale, caratterizzato da una funzione prevalentemente residenziale per una popolazione appena superiore ai 1000 abitanti. Da vedere sono: la chiesa di Santa Lucia (XV secolo) protettrice del paese, la chiesa di San Giuseppe (1300-1400), il Palazzo baronale ed i sottopassaggi e gli archi disseminati all'interno del centro storico. Il castello di Prezza fu il primo dei quattro castelli edificati nella Valle Peligna; gli altri tre erano quelli di Popoli, Pettorano e Pacentro. I primi feudatari di Prezza furono i Sansoneschi che, intorno all’anno 887, vendettero la terra di Prezza ai monaci benedettini dell’Abbazia di San Clemente a Casauria, conservando comunque il potere sul feudo sino al 1200 circa. La terra fu teatro di contese in cui furono coinvolti anche i Normanni, finchè ai Sansoneschi subentrarono vari signori. Nel 1305, era signore di Prezza il conte Rainaldi-de Letto, il quale diede in dote la terra del feudo alla propria figlia Gemma, andata in sposa al duca di Popoli Giacomo Cantelmo, che divenne così il nuovo feudatario. Nel 1580, Domenico Antonio De Sanctis, già barone della vicina Roccacasale, acquistava dai Cantelmo i diritti feudali ed i beni della terra di Prezza. Nel 1626, il nobile capitano Eliseo Grazia sposò Margherita De Sanctis, figlia del barone Domenico Antonio De Sanctis, ricevendo in dote il medesimo feudo. Nel 1690, il figlio di Eliseo Grazia, e cioè il barone Giuseppe, diede in moglie la propria figlia Giovanna al nobile dottore U.I.D. Marino Tomassetti di Pescina, che subentrò quindi nei diritti feudali. Tali diritti furono così trasmessi ai suoi discendenti fino ad arrivare alla baronessa Maria Tomassetti, ultima intestataria del feudo di Prezza, fino all’eversione della feudalità che avvenne nel 1806. Il castello di Prezza fu costruito sotto il protettorato dei monaci benedettini di San Clemente a Casauria a partire dal secolo XI (1096 circa). Il palazzo aveva già perso tutta la sua importanza, non essendo più sede residenziale del padrone, quando il terremoto del 1706 danneggiò gravemente l’edificio. Fu abbattuta così la torre più alta e vennero ridimensionati i locali ed il palazzo assunse l’aspetto di un fabbricato comune, come appare oggi al visitatore.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Prezza, http://www.visit-prezza.it/poi/877/palazzo-baronale/9#sthash.Gp4XMu33.dpbs, http://www.giovannitabassi.it/?page_id=452, https://abruzzoturismo.it/it/prezza

Foto: è presa da http://www.visit-prezza.it/poi/877/palazzo-baronale/9#sthash.hQWnkuFR.dpbs

Il castello di sabato 15 maggio


CERESARA (MN) - Palazzo Secco-Pastore in frazione San Martino Gusnago

San Martino Gusnago è attestata fin dall'epoca longobarda, nell'VIII secolo, come sede di una chiesa alle dipendenze del monastero femminile di San Salvatore, dedicata a San Martino, che con il tempo darà il nome anche all'abitato. Tre documenti parlano di questa località, dal 760 al 771. Sconfitti e tacitati i Longobardi, si spegne ogni voce anche su Gusnago e sulla sua chiesa. Per sapere qualcosa bisogna attendere il testamento del bresciano Bilongo, vescovo di Verona, che nell'847 lega ad alcuni parenti l'usufrutto dei suoi beni nel fondo di Gusnago. A questa pergamena segue un altro secolo di buio documentale. Nel 961 ci si imbatte in un'altra carta relativa a Gusnago, ossia la vendita effettuata dal conte di Seprio Nantelmo al conte Attone di Lecco di proprietà nel vico e nel fondo di Gusnago. La chiesa compare di nuovo solo nella donazione operata dai marchesi Obertenghi Adalberto e Adelaide nel 1033, quando è presente, nel loro patrimonio disponibile trasferito al monastero di Castione Marchesi, anche San Martino in Gonsenago. Il documento fornisce un dato decisivo perché, per la prima volta, indica il nome del luogo anteponendogli il titolo della chiesa, probabilmente sorta per volontà delle badesse del cenobio di San Salvatore tra il 760 e il 765, e in seguito non più attestata. In una carta successiva del marzo 1037, l'imperatore Corrado II riconosce a Istolfo vescovo di Mantova i beni e i diritti della chiesa mantovana, e tra le altre cose elenca le 35 pievi che spettano alla diocesi. Tra queste vi è la plebem de Gulsfenago, ossia la pieve di Gusnago. Sul confine nordoccidentale della diocesi, la pieve di San Martino in Gusnago estende la sua autorità e amministra il battesimo su una circoscrizione piuttosto vasta che include certamente i territori di Ceresara, Villa Cappella e Piubega, con le rispettive chiese che le sono soggette. Altri documenti aiutano a chiarire quale fosse la situazione delle proprietà esistenti in San Martino Gusnago nei secoli dall'XI al XIII negli stessi giorni dell'anno 1037, il medesimo Corrado II, con un diploma conferma, per il monastero mantovano di San Ruffino, i beni di Gussenago. È proprio questa presenza di diritti appartenenti a enti benedettini che spiega il sorgere, non lontano da Gusnago, di un'area denominata Benedesco. A San Martino Gusnago però ancora nell'XI secolo, almeno sulla carta, permanevano pertinenze del monastero bresciano di Santa Giulia. Nel 1060 una bolla di papa Niccolò II, tra i beni di quel cenobio, conferma anche la corte di San Martino Gusnago. Una successiva bolla di papa Pasquale II del 1106 registra come appartenente al monastero anche la stessa chiesa di San Martino, Cusenagum cum ecclesia S. Martini. Da questi dati emerge che la documentazione relativa all'appartenenza ecclesiastica della chiesa di San Martino è, per questi secoli XI e XII, contraddittoria: da una parte – quella costituita dalle carte imperiali destinate all'episcopio di Mantova - Gusnago è incluso nei confini mantovani e staccato dalla originaria dipendenza dalla diocesi di Brescia e dal monastero di S. Salvatore-S. Giulia; dall'altra – con i papi a garantire per S. Giulia – la chiesa di San Martino è confermata al monastero bresciano. Non ci sono tuttavia documenti espliciti che dimostrino che Gusnago sia stato oggetto di vere e proprie controversie tra la diocesi di Mantova e il monastero benedettino di Brescia. Così nel 1132 il conte Abate di Sabbioneta, della stirpe degli Ugonidi, può affermare che i beni da lui donati alla chiesa mantovana di San Pietro, posti tra Gusnago e Casaloldo, sono in comitatu et episcopatu mantuano. I restanti documenti duecenteschi sulla pieve di Gusnago riguardano infine tutti il clero plebano. I conti di San Martino Gusnago, come i conti di Casaloldo, di Montichiari, di Asola, di Mosio, di Marcaria e di Redondesco, sono una famiglia che si afferma alla metà del XII secolo, discesa dalle stirpi dei cosiddetti conti di Sabbioneta e dei conti Arduini di Parma, chiamate nel loro insieme Ugonidi. Ognuna delle famiglie citate per distinguersi prende il nome dal feudo sede della sua residenza o dei suoi principali interessi, pur rimanendo in possesso comune e porzionario del comitatus. Nel corso del XVIII secolo il territorio di San Martino Gusnago fu assegnato dall'imperatore Giuseppe d'Asburgo (unitamente alla Corte di Soave) in feudo a Carlo Antonio Giannini Conte del Sacro Romano Impero e quindi scorporato amministrativamente dal Ducato di Mantova. Estinti i Giannini, il territorio fu inglobato di nuovo nel mantovano. Il Palazzo Secco-Pastore fu edificato nella seconda metà del XV secolo per volere del condottiero Francesco Secco d'Aragona su progetto dell'architetto Luca Fancelli, che pose la sua inconfondibile firma nella facciata con merlatura cieca. Il Secco era amico e confidente del marchese Ludovico III Gonzaga e nel 1451 sposò Caterina, sua figlia naturale, dalla quale nacque Paola, che maritò Marsilio Torelli, conte di Montechiarugolo. In questo palazzo, il 15 giugno 1491, furono ospiti di Francesco Secco per un sontuoso convivio il duca di Ferrara Ercole I d'Este e Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova, che intendeva riconciliarsi con il Secco. Ma costui, nello stesso anno, ebbe contatti segreti con Lorenzo de' Medici per passare al suo servizio e per questo Francesco Gonzaga operò la confisca di tutti i suoi beni, compreso il suo palazzo di San Martino Gusnago, che venne venduto a Caterina Pico, consorte di Rodolfo Gonzaga. Agli inizi del Cinquecento pervenne, con Aloisio, al ramo dei “Gonzaga di Castel Goffredo”. Il terzogenito Orazio Gonzaga lo cedette alla famiglia Furga alla fine del Cinquecento. Passò quindi in proprietà agli Orsini di Bracciano, baroni romani, i quali esercitarono il loro potere su di esso per oltre cento anni. Nel 1709 l’imperatore d’Austria nominò San Martino Gusnago feudo imperiale e per questo motivo il palazzo divenne la sede del feudatario conte Carlo Antonio Giannini. Alla fine del Settecento venne acquistato (con il vasto latifondo che vi era annesso) dalla famiglia Pastore, che modificò la struttura, aggiungendo due lunghi corpi di fabbrica al nucleo centrale originario. Nel 1889 morì nel palazzo Cesare Pastore, senatore del Regno d'Italia. In origine doveva esistere un portale di ingresso alla corte che nella seconda metà del Settecento venne abbattuto da una tromba d'aria e mai più ricostruito. L'edificio a 3 piani è caratterizzato da una volumetria poderosa e squadrata, rimasta tale, nonostante i rimaneggiamenti successivi. Presenta elementi tipici delle residenze castellate gonzaghesche quali la merlatura chiusa la fascia a dentelli (il blocco originario è però limitato alla fascia orizzontale), i comignoli a torretta (ma ne resta uno solo) e altri elementi stilistici. Rifacimenti successivi hanno infatti modificato la disposizione delle aperture. L'interno è affrescato secondo gusto mantegnesco. Di notevole interesse, oltre agli affreschi quattrocenteschi che decorano alcune sale, sono anche la galleria e gli ambienti ottocenteschi, ben conservati. Tuttora di proprietà della famiglia Pastore, l'edificio è aperto al pubblico una sola volta all'anno per la rievocazione storica del convivio del 1491. Ecco un video girato al riguardo: https://www.facebook.com/compagniadelletorri/videos/convivio-a-palazzo/1537469679649298/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/San_Martino_Gusnago, https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Secco-Pastore, https://web.archive.org/web/20110420201315/http://www.mantovabox.it/index.php?micro=25&macro=5&what=detailalign&type=news&id=115, http://www.comune.ceresara.mn.it/index.php?option=com_content&%20view=article&%20id=195:palazzo-secco-pastore&%20catid=58&%20Itemid=127, https://www.fondoambiente.it/luoghi/palazzo-secco-pastore, https://catalogo.reggedeigonzaga.it/it/sirbec/nome=palazzo_secco_pastore_a_san_martino_di_gusnago%7Cid=24%7Ctipo=MSCH_ARCH%7Ccomune=ceresara#

Foto: entrambe prese da http://www.terrealtomantovano.it/luogo/palazzo-secco-pastore/