venerdì 29 aprile 2022

Il castello di venerdì 29 aprile

 

                                       

PORTO VENERE (SP) - Torre Scola

La torre Scola o di San Giovanni Battista è un edificio fortificato costruito su di un isolotto poco oltre la punta nordorientale (punta Scola) dell'isola della Palmaria. Il nome “Scola” significa “parrocchia e cappella rurale”. Con esso si denominava la vicina punta dell’isola Palmaria. Qui sembra ci sia stata una fondazione religiosa e dove in seguito fu edificato il monastero Benedettino di San Giovanni Battista. Costruita dalla Repubblica di Genova nel 1606, la torre fa parte, assieme ai più recenti forti Cavour e Umberto I e alla Batteria del Semaforo, delle postazioni difensive della Palmaria. Come altre torri costiere e d'avvistamento e difesa del litorale ligure, anche la torre Scola fa parte di quel sistema difensivo deciso dal Senato della Repubblica di Genova tra il Cinquecento e il Seicento a protezione delle coste e dei borghi e villaggi. Secondo alcuni studi questa torre, costata secondo le stime 56.000 lire genovesi, fu edificata ai primi del XVII secolo adeguata sia alla nuova situazione politica, sia alle nuove tecniche militari e balistiche e che convinsero il Senato genovese ad adottare un analogo ammodernamento delle architetture dei siti difensivi già presenti e a crearne di nuovi e più moderni. La struttura, di forma pentagonale, poggia su un basamento realizzato con grossi conci quadrati. Ha un diametro esterno di 35 metri e raggiunge i 20 metri sopra il livello del mare. Lo spessore medio delle mura è di circa 4 metri. Ogni angolo aveva una torre sporgente a pianta poligonale o circolare. In ogni facciata era presente un’apertura che permetteva alla guarnigione di osservare le navi in transito. La torre era capace di ospitare fino a otto persone (sei soldati, un capitano e un mastro "bombardero") e dieci cannoni, e in grado di coprire "a fuoco" il braccio di mare tra la baia della Palmaria, la baia dell'Olivo a Porto Venere e il seno di Lerici. Con le prime guerre napoleoniche la torre fu al centro degli scontri navali del 23 gennaio 1800 tra le flotte inglesi e francesi, per allontanare queste ultime dal golfo spezzino. Per i danni subiti dalle cannonate (lo sventramento delle cortine di un lato della torre) ne fu deciso il totale abbandono, dopo una riparazione provvisoria, già nella prima metà del XIX secolo. Scongiurata nel 1915 la sua demolizione, prevista dalla Marina Militare, grazie all'esposto che Ubaldo Mazzini, ispettore ai monumenti, aveva presentato al Ministero della pubblica istruzione, fu deciso di convertire la torre alla funzione di faro di segnalazione. Tra il 1976 e il 1980 la struttura ha ricevuto radicali interventi di restauro e di consolidamento delle mura perimetrali. I segni delle numerose cannonate alla base della fortificazione non sono dovuti ad attacchi nemici, ma al fuoco della nostra artiglieria che, in tempi imprecisati, durante le esercitazioni, l'ha presa come bersaglio. La stessa sorte è toccata al Monastero del Tino. Torre Scola non è visitabile, in quanto edificio militare. La costruzione solitaria, vista da vicino, non è che ormai un agglomerato di sassi che però nasconde una sorpresa. La costruzione è aperta sul lato e al suo interno è cresciuta della vegetazione che crea una fusione tra natura e architettura militare davvero inaspettata. Quando il sole splende alto nel cielo, la luce illumina i resti della torre e rende tutto magico. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=yCR8B1vq88w (video di asafscher), https://youtu.be/a9wEhR_Lp-0 (video di A Kaboobi Joint)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Scola, https://siviaggia.it/posti-incredibili/scola-storia-torre-solitaria-mare-genova/264755/, https://www.sagicharter.it/2020/03/25/torre-scola/, https://www.lanostra.it/vacanze-cosa-visitare/laffascinante-torre-scola-portovenere/

Foto: la prima è di Norbert_frrk su https://www.ilmugugnogenovese.it/torre-scola-lultimo-baluardo-a-sud/, la seconda è presa da https://www.lanostra.it/vacanze-cosa-visitare/laffascinante-torre-scola-portovenere/

giovedì 28 aprile 2022

Il castello di giovedì 28 aprile

 


                                      

MONTECATINI TERME (PT) - Rocca e torri di Montecatini Alto

L’incastellamento di Montecatini avvenne tra il 1016 (ancora lo troviamo indicato come Villa) e il 1074, con la prima menzione del Castello. Nell’XI secolo appartenne alla Chiesa di Lucca (vescovo di San Martino) e alle consorterie dei “Lambardi” di Maona e Montecatini; poi divenne comune autonomo con propri consoli (nominato nel 1167 in un placito di Federico I). Sempre nel XII secolo prese parte alle guerre contro Pistoia a fianco dei Lucchesi: 1177-1179. Nel 1260 dopo aver accolto i fuoriusciti guelfi di Firenze e Lucca, fu di parte guelfa e per questo venne assediata e conquistata nell’agosto del 1315, dopo una sanguinosa battaglia. Nella stessa i guelfi persero molti uomini e i sopravvissuti furono imprigionati dal ghibellino Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e Lucca. Nel 1328, dopo la morte di Castruccio Castracani degli Antelminelli, si strinse in Lega con altri comuni della Valdinievole sotto il “protettorato” di Firenze. I ghibellini locali, però, non sopportarono questo dominio a lungo e dopo poco cacciarono i guelfi: nel 1330 assediata da Firenze per 11 mesi, la città capitolò e si sottomise definitivamente alla repubblica fiorentina. Nell’estate del 1554, durante la guerra di Siena, fu occupata da truppe mercenarie italo/francesi al soldo del fuoriuscito fiorentino Pietro Strozzi, ma venne riconquistata dalle truppe di Cosimo I de’ Medici e distrutta quasi completamente l’11 luglio dello stesso anno. Delle 7 porte che si aprivano nei circa due chilometri di mura poderose, l’unica rimasta è Porta di Borgo. Delle 25 torri ne rimangono invece alcune: talune incorporate nell’abitato, nella piazza, davanti al convento di S.Maria a Ripa (XVI sec.) e altre come il campanile della Pievania, nella Rocca, nella torre dei Lemmi (con l’orologio, detta anche “del Carmine”), ancora ben visibili. Del borgo di Montecatini Alto delle torri, che erano 25 in tutto prima della strage, ne sono rimaste 8. La torre più conosciuta è quella dedicata al medico Ugolino di Giovanni Caccini detto Ugolino da Montecatini, che per primo trattò lo studio delle acque termali in campo scientifico lasciando in eredità ai posteri il “Tractatus de Balneis”. Detta Torre è ubicata nella Piazza Giusti. La Torre del Carmine o dell’Orologio (XII-XIII secolo), appena restaurata, svolgeva una funzione esclusivamente militare, situata in posizione dominante verso la pianura. Da documenti del 1552 risulta che sul lato nord della torre, in modo da essere visibile a tutto il paese, si trovasse, come ancora adesso, un orologio. In seguito venne deciso di sostituire la suoneria con una nuova detta “alla romana” e cioè “all’antico sistema di battere le ore di 6 in 6”. Montecatini Alto rifiorì nel XVIII secolo ad opera della casa di Lorena che finalmente valorizzò le sue acque curative già famose da molti secoli, iniziando la costruzione della città termale. Con il nome di "Rocca" viene identificata la fortezza del Castello Vecchio corrispondente al primo insediamento posto nell’altura nord del paese. Oggi si presenta come una grande piazza d'armi completamente protetta da alte mura e dalla torre del Maschio e resa più suggestiva da una cerchia esterna di alti cipressi. L’attuale aspetto a forma pentagonale è dovuto a diversi interventi realizzati dopo la conquista fiorentina del secolo XIV. Dalle recenti campagne di scavo risulta che nella costruzione della fortezza furono inglobati tre diversi edifici a torre (dei quali ne resta uno solo) del XII secolo e altre strutture più ampie a forma rettangolare della fine del XIII secolo. Anche se la presenza di torri di dimensioni piuttosto ridotte e l’esiguità di aperture testimoniano una funzione difensiva, gli altri edifici ed il ritrovamento di diversi frammenti di ceramica invetriata verde di produzione magrebina o della spagna, databile ai secoli XI-XII, denotano abitazioni e residenze di gruppi sociali privilegiati. A dicembre 2021 la giunta comunale ha approvato il progetto definitivo/esecutivo realizzato dallo Studio associato Paolo e Giovanni Cardelli relativo alla sistemazione della Rocca, intervento che non si limiterà al ripristino del tratto di mura crollate nel novembre 2019 ma provvederà pure al consolidamento in tutto il loro sviluppo, nonché alla messa in sicurezza delle scarpate che delimitano il terrapieno sui lati est e nord. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=mPo5hLZhm_8 (video di dorumagda), https://www.youtube.com/watch?v=MQKpVV8LfTs (video di Albyphoto 2)

Fonti: https://www.toscana.info/pistoia/provincia/montecatini-alto/, https://www.montecatini-alto.it/luoghi-storici/rocca-e-torre/, https://www.mymontecatini.it/montecatini-alto.php, https://www.quellochece.com/montecatini-alto-perla-della-valdinievole/, https://www.comune.montecatini-terme.pt.it/servizi/Menu/dinamica.aspx?idSezione=616&idArea=37511&idCat=46580&ID=46596&TipoElemento=pagina, http://www.valdinievoleoggi.it/a96436-approvato-il-progetto-di-sistemazione-della-rocca-di-montecatini-alto-dallo-stato-arrivano-800mila-euro.html, https://www.visittuscany.com/it/attrazioni/montecatini-alto/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.qualcosadafare.it/29225

mercoledì 27 aprile 2022

Il castello di mercoledì 27 aprile

                                      


                                       

VIGNOLA (MO) - Rocca

Non è certa la data della sua costruzione, si presume successivamente all'età Carolingia per difendere l'abitato della cittadina dai barbari Ungari. Un documento risalente all'anno 936 attesta che la città di Vignola in quel periodo era sottoposta all'autorità del Vescovo di Modena. Un altro documento prova l'esistenza della Rocca almeno a partire dall'anno 1178. Fino al XV secolo la funzione della costruzione era esclusivamente militare. Nel 1401 il nobile ferrarese Uguccione dei Contrari ricevette in dono da parte del signore di Ferrara Niccolò III d'Este il feudo di Vignola. Nei venti anni successivi la rocca mutò profondamente la propria destinazione trasformandosi in sontuosa dimora della famiglia Contrari, che disponeva di elevate ricchezze. Nel 1575 i Contrari si estinsero per cui i beni feudali tornarono agli Estensi. Gli Estensi governarono Vignola solo per un biennio, in quanto nel 1577 il feudo fu ceduto a Jacopo Boncompagni, figlio naturale del futuro Papa Gregorio XIII, in cambio di 75.000 scudi d'oro ferraresi. La famiglia Boncompagni affidò la gestione della Rocca e di Vignola ad un amministratore, visitando sporadicamente la cittadina. Antonio Boncompagni, fu l'ultimo feudatario di Vignola, in quanto nel 1796, con l'arrivo di Napoleone Bonaparte decadevano i Boncompagni e subentrava un comitato repubblicano. Nel 1815 Vignola, non tornata marchesato, fu incorporata nei domini del duca di Modena, Francesco IV. Nel XIX secolo all'interno dell'edificio trovarono sede diverse istituzioni sociali e politiche: il Municipio, la biblioteca e la Cassa di Risparmio di Vignola che ha acquistato l'immobile nel 1965, che successivamente, nel 1998 è stato ceduto alla Fondazione della Cassa di Risparmio di Vignola. La Fondazione di Vignola, in collaborazione con gli Enti locali sta in questi anni portando avanti un ricco panorama di iniziative, in parte collegate alla valorizzazione di questa area geografica, in parte all’inserimento di Vignola in un più vasto circuito di cultura internazionale. La Rocca di Vignola, “forte fabrica all’anticha con due recinti di mura con tre torri et diverse altre commodità” si presenta al visitatore come un imponente quadrilatero, prodotto finale di tante fasi costruttive ed in particolare di quelle apportate dai Grassoni prima e dai Contrari poi, che l’hanno trasformata da roccaforte ad imponente residenza nobiliare. Sulla sinistra della facciata si apre l’androne d’ingresso anticamente difeso da ponti levatoi, fossato, portoni e saracinesche di cui restano oggi due portoni e le vestigia del resto. Sulla destra si innalza la torre del Pennello, dietro ad essa, nell’angolo del quadrilatero che guarda il fiume Panaro, la torre delle Donne ed ultima la torre denominata di Nonantola: la più antica ed imponente. Sul muro esterno che corre tra questa torre e l’androne d’ingresso si apre un bastione arrotondato chiamato Rocchetta, che per la forma singolare, si distacca dalla rimanente struttura architettonica. Quest'ultima fu fatta costruire dai Contrari a ridosso di un antico muro esterno della Rocca. Utilizzata come fortino, in passato era dotata di due ponti levatoi, uno dei quali portava ai giardini pensili ricavati dal rivellino medievale. I locali, in origine, non erano coperti e non erano illuminati dalle finestre, realizzate solo nel Seicento. Sulle pareti sono visibili le feritoie utilizzate per archi, balestre o pezzi d’artiglieria. Tra i cimeli oggi conservati nella Rocchetta si può osservare un cannone ad avancarica del 1819 e due coppie di campane. Il recente restauro della Rocchetta ha reso possibili nuovi percorsi di visita al suo interno. All’esterno della Rocchetta vale la pena di soffermarsi a considerare la Corte. Osservando le mura si notano subito i diversi materiali costruttivi utilizzati nel corso dei secoli: il sasso di fiume delle strutture più antiche e i mattoni in cotto delle ristrutturazioni successive, soprattutto di epoca Contrari. Da notare i due archivolti che ornano l’accesso alla Rocchetta e ai locali della Rocca: il primo con rose e rocchi sormontato dallo stemma dei Contrari, il secondo con gigli e aquile estensi. La Rocca, edificata su roccia calcarea, comunemente chiamata “tufo”, a strapiombo sul fiume, si configura oggi disposta su cinque piani, dai sotterranei, dove si trovano le Sale dei Grassoni e dei Contrari, ai camminamenti di ronda. La ristrutturazione dei sotterranei della Rocca ha permesso il recupero di una vasta area ora adibita a spazio culturale. É stato infatti possibile, superate le molteplici difficoltà di carattere tecnico, dovute alla particolare conformazione del terreno, caratterizzato dalla presenza di “sfarsein” (piccole sorgenti naturali), trasformare gli antichi scantinati, dove venivano conservate le derrate alimentari utili a provvedere al fabbisogno dell’intera corte, in due splendide sale. Particolarmente suggestiva la Sala dei Contrari, un tempo dispensa, ma anche sicuro rifugio antiaereo durante l’ultimo conflitto mondiale, si presenta maestosa nella sua armoniosa e severa struttura esaltata dall’alternarsi del sasso di fiume e del mattone rosso. La sala, a forma di elle, è inoltre particolarmente originale per la soffittatura a botte, che in corrispondenza dell’intersecarsi dei due bracci forma un’ampia e poderosa crociera. Per quanto concerne le sale e la loro funzione d’uso, al piano terreno si aprono quelle riservate alla rappresentanza, cioè adibite ai momenti pubblici ed ufficiali della vita di corte: banchetti, feste, musica, teatro. Spiccano la Sala dei Leoni e dei Leopardi, la Sala delle Colombe e quella degli Anelli. Il primo piano era, invece, dedicato al privato, agli appartamenti dei signori e dei loro ospiti. Al livello superiore vi sono le stanze probabilmente utilizzate per gli alloggi della servitù e delle truppe di stanza alla Rocca, ma anche i locali di servizio, indispensabili in un edificio di tali dimensioni. Questi spaziosi locali, pavimentati con ciottoli di fiume o cocciopesto, in tempi antichi erano dotati di camino per il riscaldamento e di una controsoffittatura atta a difendere gli occupanti dai rigori delle stagioni invernali, creando così ambienti relativamente confortevoli. Soltanto in epoca successiva, quando ormai la "sentinella" del Panaro aveva cessato il suo ruolo e quindi non necessitavano più truppe permanenti in Rocca, molte di queste stanze furono utilizzate come prigioni. Continuando a salire si raggiungono gli spalti, o camminamenti di ronda, che circondano tutt’attorno la Rocca, collegando tra loro le torri di Nonantola, delle Donne e del Pennello. Se ora li vediamo coperti e corredati da piccole finestre ad arco, avevano in origine ben altra fisionomia in quanto non esisteva soffittatura, ma solamente una solida merlatura ghibellina a "coda di rondine". Sino al Cinquecento, dietro i merli si potevano preventivamente concentrare e schierare le truppe che difendevano il maniero per impedire qualsiasi tentativo di scalata ostile, tenendo a debita distanza gli assalitori con linee multiple di tiro. Il pavimento dei corridoi mostra le ondulazioni regolari che in assenza del tetto convogliavano le acque piovane verso i fori di gronda aperti nei beccatelli. Dei camminamenti la parte sicuramente più suggestiva è indubbiamente il piccolo ballatoio (pugiuolo) che conduce alla torre di Nonantola. Nel corso del XIV essa fu elevata ed ampliata una prima volta, per poi essere innalzata e interamente consolidata con murature in mattoni nel periodo compreso tra il 1402 e il 1406. La torre delle Donne trae la sua denominazione dalla presenza al suo interno delle celle in cui, secondo alcune testimonianze (Belloj), venivano recluse le donne. Durante i restauri effettuati negli scorsi decenni, sono emerse le decorazioni ad affresco realizzate sia nelle spallature delle finestre, con tralci di foglie e melograni eseguiti a composizione libera, sia come riquadrature e contorni dei merli.
Delle tre torri, questa è l’unica ad avere al suo interno una scala che collega tutti i piani dell’edificio, dai camminamenti ai sotterranei, integrando il sistema di collegamenti verticali ed orizzontali che contraddistinguono la costruzione. La torre del Pennello, come quella delle Donne, fu innalzata ex novo nei primi due decenni del Quattrocento. Il suo nome deriva alla presenza di una garitta di avvistamento posta sulla sua sommità, che da lontano appariva come un "pennello". Questa torre si diversifica dalle altre per la sua pianta pentagonale. Negli ultimi decenni è stato messo in opera un attento e scrupoloso lavoro di restauro che ha consentito il recupero sia architettonico che pittorico della Rocca. Grazie ad attente ricerche storiche è stato possibile risalire al significato degli affreschi in gran parte databili al XV secolo che decorano le sale del piano terra e alcune stanze al primo piano (sale delle Dame, sala degli Stemmi e sala dei Tronchi d'Albero). La maggior parte degli affreschi riportano la storia della famiglia Contrari e provano il forte legame con gli Estensi. Nella Cappella della Rocca si può ammirare il prezioso ciclo di affreschi tardogotici commissionato da Uguccione Contrari, anch'esso recentemente restaurato. I dipinti raffiguranti le Storie di Cristo, sono attribuiti al Maestro di Vignola, personalità di spicco dell'arte emiliana dei primi decenni del XV secolo, di cui attualmente non si conosce il nome. Altro splendido ambiente affrescato è la sala del Padiglione, che deve il nome alla rappresentazione di una grande tenda, con i lembi aperti e finemente decorata, davanti alla quale sono raffigurati due personaggi che si ritiene identificare in Battistina Campofregoso e Ambrogio Contrari, sposi nel 1461. Proprio nella scena del loro matrimonio e rappresentato l'interno delle mura merlate che lasciano intuire la struttura di un giardino pensile, abbellito da melograni, tralci di fiori e foglie, oltre le quali appaiono molteplici varietà di piante da ornamento. Altri link proposti per approfondimento: https://www.icastelli.it/it/emilia-romagna/modena/vignola/rocca-di-vignola, https://www.cinziamalaguti.it/il-castello-di-vignola/, https://www.youtube.com/watch?v=fQZokXca_d4 (video di Pierangelo Magri), https://www.youtube.com/watch?v=o-n-vtdoFzg (video di paoloslavazza), https://www.terredicastelli.eu/comuni/vignola/ (video), https://www.youtube.com/watch?v=EBopQn3rwMo (video di Drone GABBYFLY)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Vignola, https://www.fondazionedivignola.it/rocca-di-vignola/visita-la-rocca/percorso-classico/, https://www.terredicastelli.eu/luoghi-di-interesse/rocca-di-vignola/

Foto:la prima è di Marco Albertazzi su https://www.pinterest.it/pin/753860425110177531/, la seconda è una cartolina della mia collezione. Infine, la terza è di Dario Perugini su https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10157670404745345/10157030003755345

martedì 26 aprile 2022

Il castello di martedì 26 aprile

 



MESTRINO (PD) - Castello di Arlesega

Il toponimo "Arlisica" compare per la prima volta nel 1033, quando Astolfo Vescovo di Vicenza, confermando al monastero vicentino dei Ss. Felice e Fortunato i beni che possedeva entro i confini della diocesi di Padova, nominò anche quelli esistenti appunto in "Arlisica". Il toponimo si crede derivi da "arx laesa", dove "arx" significa la parte fortificata o più alta del luogo, castello; "laesa", invece, significa zona danneggiata, rotta, rovinata. Infatti nel territorio di Arlesega, a presidio di quel territorio, fu costruito un castello (sec. XI-XII), a cura del libero comune di Padova, che fu tante volte distrutto, incendiato, e ricostruito. Fu dunque un'importante opera di difesa sul fiume Tesina al confine tra Padova e Verona-Vicenza. In quel castello - scrive il Cittadella - si custodiva il Carroccio Padovano parato e “adornato di finissimi panni et col stendardo della insegna – del comune di Padova posto tra gli stendardi dei quattro santi Protettori – della città - tirato da quattro para di bovi, ornati i rosso, et argento et attorniato a periti soldati, et otto trombette … accompagnato da un sacerdote, che quotidianamente lì diceva messa d’ordine della Repubblica Padoana”. Il castello di Arlesega non fu solo spettatore di tragiche vicende militari durante le guerre contro Vicenza, Ezzelino III da Romano, Cangrande della Scala, i Milanesi e i Veneziani, ma fu anche testimone dello spettacolare incedere del corteo imperiale di Federico II di Svevia, quando il 25 gennaio 1239, ad Arlesega, Ezzelino III da Romano accolse, proveniente da Vicenza, la splendida processione, dove il grande sovrano, avanzava con “molti Cremonesi ossia ambasciatori di quel comune e altri cavalieri cremonesi a onore dell’imperatore, Tedeschi, Pugliesi, Saraceni, alcuni barbari e anche alcuni Greci. Gli corsero incontro Ezzelino e i Padovani, mossero per cinque miglia fino ad Arlesega, mentre cavalieri e fanti esultavano di gran letizia con cembali e cetre e strumenti di vari genere, con il Carroccio ornato di molte ricchezze e decorazioni. Vi furono anche molte donne di straordinaria bellezza, splendide e rifulgenti di vesti preziose sopra adorni palafreni”. Il 7 ottobre del 1405, Zuane della Croce lo vendette per denari ai veneziani, così non venne distrutto. Iniziò però il suo lento declino. Il governo Veneto, pur mantenendo per qualche tempo un presidio militare e la sede di un posto di guardia, verso la fine del Cinquecento lo cedette ai Contarini, i quali lo inserirono tra le fabbriche della villa e dell’ampio giardino, trasformandolo e inglobandone il mastio tra le abitazioni.

Fonti: https://www.comune.mestrino.pd.it/home/vivere/storia/arlesega.html, https://www.magicoveneto.it/arte/infoCastle.asp

Foto: entrambe di alshiavo su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/267871 e su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/267208

giovedì 21 aprile 2022

Il castello di venerdì 22 aprile

 

                                                 


BUCINE (AR) - Castello di Rapale

Rapale è un borgo/castello che si trova nel comune di Bucine a cavallo tra le provincie di Arezzo e Siena. Questo suggestivo borgo, abitato da 12 persone, è adagiato su una collina a circa 500 metri di altitudine e costituisce uno dei luoghi più panoramici di tutta la zona. La sua conservazione è capace di catapultare chiunque in una dimensione magica senza tempo. I documenti più antichi risalgano al basso Medioevo, ma è ormai certo che l’insediamento esistesse giá in epoca romana. Il castello fu sotto la giurisdizione della famiglia degli Ubertini di Arezzo, come dimostrano i documenti relativi al trattato di Sarzana stipulato tra le città di Siena, Firenze, Perugia e Giovanni Visconti di Milano nel 1353. Nel detto documento, infatti veniva stabilito il controllo del Castrum Palazzoli da parte del Conte Biagio degli Ubertini il quale a sua volta possedeva anche il castello di Rapale in Valdambra. Rapale, come tutti i castelli della Valdambra si trovò coinvolto nelle lotte fra Guelfi e Ghibellini, fra Firenze da una parte e Siena e Arezzo dall’altra. Il castello ne subì molte volte le conseguenze come nell’anno 1307 quando, il giorno di venerdì 9 giugno, a causa dei patti che non furono poi rispettati, gli uomini di Rapale si ritirarono dal castello non opponendo resistenza ma i Fiorentini, contravvenendo appunto ai patti, lo stesso giorno lo bruciarono e distrussero con ogni suo edifìcio. Rapale nel tempo ha subito numerosi tentativi di incursione ma, grazie alle sue mura, seppe difendersi molto bene e divenne baluardo per tutti gli abitanti del luogo. Trovandosi molto vicino a Siena il castello di Rapale fu sede di intense lotte tra Fiorentini e Senesi. La Repubblica Fiorentina ne divenne proprietaria nel 1404, ma nel 1430 fu conquistata da Siena fino al 1433 quando tornò sotto il dominio di Firenze. Passò sotto il comune di Bucine come tutti gli altri castelli della zona alla fine del‘700. Il nome Ravale potrebbe dal latino erat vallis, cioè "qui c'era una valle". Nonostante tutte le distruzioni il paese mantiene ancora l’aspetto tipico del castello medioevale, in ciò facilitato dalla persistenza di una torre rotonda ancorchè ribassata, una porta ancora esistente e tratti di mura ben visibili anche se inseriti nelle abitazioni. Superata la porta, a destra si trova la chiesetta intitolata a San Miniato. Altro link consigliato: https://www.youtube.com/watch?v=-BVqU80RAHo (video con drone di Loriano Fly Video)

Fonti: testo di Gabriele Ruffoli, https://caivaldarnosuperiore.it/il-castello-di-rapale/

Foto: la prima è presa da https://www.visitvaldambra.com/borghi/rapale/, la seconda è di Rychoc su https://mapio.net/images-p/63152823.jpg. Infine la terza è di Gabriele Ruffoli.

Il castello di giovedì 21 aprile


 
ACIREALE (CT) - Garitta di Santa Tecla

Secondo alcuni (G.M. Calvaruso: "Santa Tecla", in rivista "Sicania", 1º luglio 1921 e 1º aprile 1922; Santi Correnti: "Acireale e le varie Aci, 1983) il nome del borgo deriva dalle parole arabe "Sciant Tagla", come riportate nel "Libro di Ruggero" del geografo arabo Al Idrisi (1154), che sarebbero traducibili in "luogo di approdo". Nel tempo e per assonanza la pronuncia sarebbe mutata in Santa Tecla, per cui vi fu costruita una chiesetta con tale nome. In merito, però, non esistono riferimenti storici certi. Le prime notizie storiche di Santa Tecla come borgo risalgono all'inizio del X secolo ed esattamente al 902, quando, secondo lo storico arabo Nwwayuri, vi sbarcarono gli Arabi provenienti da Taormina. Ciò dimostra che l'esistenza del borgo è anteriore a quella di Aquilia (l'attuale Acireale). datata approssimativamente nel XIV secolo. A causa delle scorrerie dei corsari turchi, che dal XVI secolo ivi "sogliono continoamente dare di terra et là rifrescarsi di tutte le vettovaglie" (Camillo Camilliani: "Descrizione delle torri marittime del Regno, 1584), il borgo venne dotato di una garitta di guardia, ancora esistente, costruita sulla punta dello scoglio dell'Apa. L'incursione più nota e meglio documentata (Vincenzo Raciti Romeo: "Aci nel secolo XVI, 1896) è quella del pirata Luccialì, che proprio lì sbarcò il 3 maggio 1582 al comando di sette galee e ben trecento pirati. La garitta di vedetta veniva costruita con lo scopo di proteggere una sentinella e consentirgli la difesa dell’area, oltre che offrirgli un’ampia visuale sull’orizzonte. In alcuni casi era dotata di feritoie che permettevano ad un balestriere di colpire il nemico, rimanendo al riparo. Durante il periodo della dominazione spagnola, soprattutto lungo le coste siciliane, vennero costruite garitte in abbondanza; ad oggi se ne contano oltre duecento. Quella di Santa Tecla è una delle tante torri costiere presenti in Sicilia, testimonianza di un funzionante sistema difensivo messo a punto fra 1500 e 1600 dai dominatori spagnoli, primo fra tutti, il vicerè di Carlo V, Ferdinando de Vega. Queste costruzioni sorgevano a poca distanza l’una dall’altra, ed erano perennemente in comunicazione fra di loro. La funzione principale di questa garitta era quella propria delle torri di avvistamento e di difesa costiera contro le scorribande dei saraceni. Venne costruita attorno al XVI secolo, su di uno scoglio presso lo Scalo Pennisi, conosciuto come scoglio dell’Apa, ricorrendo a pietrame lavico legato con malta e frammenti di tegole e cocci. Si tratta di una piccola torre a pianta quadrata di 3 metri per lato, alta 6 metri circa. La copertura è a piramide con volta a vela, sormontata da una sfera di basalto e decorata con quattro merli agli angoli. Si nota anche la presenza di intonaco rossastro sul tetto e di due piccole finestre (o feritoie) nella parte settentrionale. La porta d’accesso invece, è stata ricavata lungo la parete orientale. Il vano interno è spoglio. Oggi la costruzione è in ottimo stato.Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=upFeeEzEZjY (video con drone di Giuseppe Gagliano), https://www.youtube.com/watch?v=JiyiNsW-0mA (video di Armando Carnazza), https://www.youtube.com/watch?v=ytgLmAm7EEY (video di Italy Drone Travel)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Tecla_%28Acireale%29, https://catania.italiani.it/la-storia-della-garitta-di-santa-tecla/, https://www.visititaly.it/info/952194-torre-santa-tecla-acireale.aspx

Foto: la prima è presa da https://www.etnanatura.it/paginasentiero.php?nome=Torre_del_Greco, la seconda è presa da http://www.acirealemare.com/fotografie.htm

mercoledì 20 aprile 2022

Il castello di mercoledì 20 aprile

 



PREDAIA (TN) - Castel Coredo

Situato nell'omonima frazione, il castello sorge su un piccolo colle vicino al cimitero del paese, in posizione eminente sopra l’abitato, non lontano dall’antica chiesa parrocchiale. Venne menzionato per la prima volta in documenti scritti nel 1288, con Nicolaus de Corde in un documento redatto a Bolzano, e nel 1291, quando era di proprietà di un Paolo del fu Nicola di Castel Coredo. In seguito fu la dimora di vari rami della famiglia dei Coredo. Il complesso fortificato fu rimaneggiato poco dopo la metà del XV secolo per volere del principe vescovo Giorgio II Hack e affidato a un capitano. Nel 1477 venne occupato dai contadini in rivolta: restaurato nuovamente nel 1489, fu completamente distrutto da un incendio nel 1611 e abbandonato per più di un secolo. Solamente nel 1726 venne ricostruito nelle forme attuali, che però hanno completamente cancellato l'antica struttura medievale probabilmente più grande e estesa su tutta la sommità del colle. Questo anno è leggibile nell’iscrizione posta sopra il portale d’ingresso, accompagnata dallo stemma di Sigismondo Nicolò Coreth: a quest’ultimo personaggio, che si fregiava dei titoli di cavaliere del Sacro Romano Impero e consigliere dell’Austria Superiore, si deve la suddetta ricostruzione. Nel secolo scorso, forse per motivi di sicurezza, venne abbattuta una torretta, ultima superstite dell'antica fortezza medievale. Il compatto edificio a quattro piani è tuttora di proprietà dei conti Coreth zu Coredo und Starkenberg, che furono elevati al titolo comitale nel 1772 da Maria Teresa d’Austria. Al suo interno si conservano pregevoli arredi, trofei di caccia e una piccola quadreria, composta principalmente da ritratti di antenati ed esponenti della Casa d’Asburgo. L'appartamento padronale si trova al primo piano e di esso fa parte un grande salone a doppia altezza in cui si trovano i ritratti di famiglia e sul quale si affaccia il quadrante di un orologio, mentre sul soffitto è dipinto lo stemma della casata. Ha le finestre bianche e rosse come quelle di Castel Bragher. Le antiche mura sono riconoscibili solo a tratti, in particolar modo al piano terreno e nelle cantine. Del complesso fanno parte anche due edifici di servizio staccati dal corpo principale. Gli attuali proprietari nel 2019 hanno aperto il maniero a visite guidate.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Coredo, https://www.castellivaldinon.it/it/castel-coredo, https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/castelli/castel-coredo_md_7556881, http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castel-Coredo

Foto: la prima è presa da https://www.buongiornonatura.it/trentino-la-soprintendenza-per-i-beni-culturali-incontra-la-valle-di-non/castel-coredo_imagefullwide/, la seconda è di Nadia Simoncelli su https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/castelli/castel-coredo_md_7556881

martedì 19 aprile 2022

Il castello di martedì 19 aprile

 

                                       

ORVINIO (RI) - Castello di Vallebona

Vallebona, altrimenti conosciuto anche come Vallebuona, è un minuscolo borgo fortificato di epoca medievale, già in abbandono alla fine del XVI secolo, all’interno delle cui rovine si trova l’omonimo santuario mariano di origine seicentesca ma più volte rimaneggiato in epoca successiva e tuttora utilizzato come luogo di culto. Posti a circa 900 metri sul livello del mare sullo spartiacque tra il bacino imbrifero del fiume Turano, un affluente di sinistra del Velino, ad oriente ed il complesso sistema di torrenti tributari del fosso Corese, un affluente dell’Aniene, ad occidente, i ruderi di Vallebona dominano la porzione Nord-Occidentale dei monti Lucretili che ne rappresenta la loro parte dall’orografia più aspra e selvaggia e per questo meno antropizzata. Posto in posizione dominante lungo i fianchi del monte Castellano, dal fortilizio si poteva facilmente sorvegliare gran parte del sistema di torrenti le cui valli sfociano nel fosso Corese nonché la strada, ancora oggi esistente, che collega la parte Nord Occidentale dei Monti Lucretili con la Salaria attraverso Scandriglia e con la Tiburtina discendendo la valle del Licenza. L’origine del fortilizio sembra sia da collocarsi nel XII secolo quando venne costruito forse a protezione di Pietra Demone, originariamente costituito dal solo mastio a pianta rettangolare circondato da una palizzata quindi in seguito ingrandito con l’aggiunta di ulteriore edificio a pianta quadrata e forse di un piccolo cortile centrale, che è tutto ciò che ancora oggi ne resta. Il castello di Vallebuona appare per la prima volta in un documento scritto nella seconda metà del XII secolo quando è citato nel Catalogus Baronum. Nella prima metà del secolo seguente il borgo appartenne a Tommaso Mareri, al quale venne prima confiscato da Federico II, poi restituito da Innocenzo IV il 18 Ottobre 1251. Vallebona poi fu requisita al figlio di Tommaso, Filippo, da Carlo d’Angiò per aver parteggiato per Corradino e assegnata nel 1271 a Guglielmo Accroczamuro che però rinunciò al feudo all’inizio del 1279. Nel 1284 ne divenne titolare Giovanni Piccardo quindi passò ai Boccamazza di Roma e nel 1301 tornò di proprietà della famiglia Mareri che ne rimase proprietaria fino al secolo XVI quando il territorio del castello ormai in rovina viene incorporato a quello di Canemorto. Situato nella diocesi di Sabina, alla quale pagava 2 rubbie di grano, il castello di Vallebuona è incluso nella Visita pastorale del 1343. Esso possedeva allora, oltre alla parrocchiale di San Pietro, non meno di altre cinque chiese: San Giovanni, San Giusto, San Vittorino, S. Maria e San Pietro. Verso il 1363 è inserito nella lista del Sale e Focatico con una tassa di 10 rubbie ma non figura in quella del sussidio militare del comune di Roma relativa all’anno 1396. In tutte le liste del Sale e Focatico del secolo XV lo spazio riservato a Vallebona rimane in bianco segno tangibile del suo rapido declino economico. Nel 1440 è ancora citato in una lista di castelli dei Mareri che si posero in armi con il conte Giacomantonio. Di origine medievale – ma di epoca ignota – sembra sia stata anche la chiesa che occupava il luogo dove ora sorge il santuario e di cui non resta traccia perché l’edificio, in rovina alla metà del XVI secolo, venne poi pesantemente rimaneggiato all’inizio del XVI secolo quindi ricostruito completamente nel 1643. Alla metà del cinquecento la Sabina divenne definitivamente una terra tranquilla in cui il banditismo era ormai un fenomeno raro e circoscritto ai periodi di carestia, le guerre private fra i signori feudali un ricordo del passato e le rivolte contadine estremamente infrequenti soprattutto in montagna dove la popolazione restava assai scarsa. La pace generalizzata rese di contro inutili i fortilizi montani perché non esistendo più alcun pericolo esterno non erano più necessarie le strutture deputate ad avvistarlo e ciò rendeva non più giustificabili le spese necessarie a mantenerle in efficienza ovunque lo sfruttamento economico dei dintorni non fosse economicamente profittevole. Probabilmente già abbandonato in favore del più comodo abitato di Orvinio nella prima metà del XVI secolo, quando la chiesa dedicata alla Madonna venne restaurata una prima volta, Vallebona era sicuramente del tutto disabitato nel 1643 quando venne edificato il santuario ancora oggi visitabile. Allo stesso tempo, poiché l’abitato di Vallebona rivestiva un’indubbia importanza strategica come posto di sorveglianza almeno dell’alta valle del Fosso Corese, il luogo continuò ad essere debolmente popolato anche successivamente all’abbandono del forte medievale. Del vecchio paese di Vallebona, sorto nell’epoca dell'incastellamento, si conserva ancora quasi tutto il perimetro di cinta, i resti di tre torri di difesa, di cui quella principale si erge ancora per una ventina di metri. Questa ultima era sicuramente in origine un torre di avvistamento, divenuta poi il “mastio” del castello. Dentro il perimetro delle mura si possono osservare resti di murature e vani. Parliamo comunque di ruderi in pessimo stato di conservazione ed assolutamente non manutenuti, circostanza che rende pericoloso avventurarsi al loro interno. Al di sotto del castello restano tracce di alcuni edifici civili, più moderni ma di epoca indefinibile, alcuni dei quali in corso di restauro per essere probabilmente adibiti a seconde case.

Fonti: testo di Paolo Amoroso su http://blog.aioe.org/index.php/vallebona/,https://www.tesoridellazio.it/tesori/orvinio-ri-chiesa-di-santa-maria-di-vallebona-e-abitato-antico-di-vallebona/,https://www.comune.orvinio.ri.it/turismo-religioso/

Foto: la prima è di M. Pesci su https://www.tesoridellazio.it/outdoor/escursione-explora-tra-i-monti-lungo-la-valle-del-licenza-alla-ricerca-dei-castra-medievali/foto-per-trekking-explora-valle-del-licenza-tesori-del-lazio-foto-m-pesci/, la seconda è di Paolo Amoroso su http://blog.aioe.org/index.php/galleria-fotografica-di-vallebona/

venerdì 15 aprile 2022

Il castello di venerdì 15 aprile

                                       

                                      

POGGIBONSI (SI) - Rocca di Staggia Senese

Le prime notizie sul borgo fortificato risalgono al 994. I signori di Staggia (i Soarzi) divennero in seguito una delle più potenti consorterie feudali della Valdelsa, entrando a più riprese nelle lotte tra Firenze e Siena, poiché il loro territorio si trovava sul confine tra le due rivali. Il periodo di maggior splendore del casato fu il XII secolo, mentre nel secolo successivo, quando iniziava a svilupparsi il borgo ai piedi del castello grazie al passaggio di varianti della Francigena, decaddero gradualmente. Alla fine del secolo i Franzesi, famiglia originaria del Valdarno Superiore che si era arricchita con il commercio soprattutto con la Francia (da cui il nome), acquistò il castello, ingrandendolo e ristrutturandolo. Nel 1361 la famiglia subì il fallimento commerciale e la roccaforte venne comprata dai Fiorentini, come avamposto contro i senesi. Nel 1372 le mura vennero rafforzate, trovandosi spesso al centro di lotte di confine. Nel 1431, con la consulenza di Filippo Brunelleschi, le mura cittadine vennero raccordate al castello, che divenne "cassero". Con l'introduzione delle armi da fuoco e con la conquista di Siena (1555) le fortificazioni divennero sostanzialmente inutilizzate. Il castello ha la forma quadrilatero irregolare e sorge su di un'altura. Il mancato allineamento agli assi viari del borgo rivela l'origine indipendente dei due nuclei. Al centro sorge il mastio quadrato, risalente all'epoca dei Soarzi, circondato da due recinti, secondo una ripartizione rara in Toscana. Sul recinto più grande si ergono agli angoli due poderosi torrioni cilindrici, frutto delle aggiunte del XV secolo. Su questo lato si trovava il palazzo feudale del Franzesi, del XIV secolo, del quale restano alcuni portali, finestre lavorate e, all'interno del recinto, un grande caminetto. Sul torrione nord resta uno stemma. Il recinto minore era usato come ambiente di servizio e luogo di rifugio per la popolazione in tempo di guerra. Vi si trovavano torri quadrate simili a quelle delle mura, ma solo una è oggi ben conservata. L'accesso all'ingresso principale è unico nel suo genere, almeno in Toscana: avviene tramite una rampa che scavalca perpendicolarmente Porta Lecchi. Si erano creati così due livelli stradali che rendevano indipendente il traffico da e verso la città da quello del castello. Detta soluzione urbanistica era grandiosa per i tempi e ancora oggi attualissima, pensando al traffico caotico delle città moderne! Il castello fino ai primi anni duemila versava in stato di degrado, tuttavia era caratterizzato dalla presenza, al suo interno, di alberi da frutto (piantati quando vi alloggiavano contadini fino all'inizio degli anni ottanta) e da altri anche secolari, costituendo un ambiente molto suggestivo. Oggi appare nella veste dovuta ai restauri conclusi tra il 2005 e il 2006, durante i quali è stato eliminato tutto il patrimonio arboreo, al fine di consolidare le strutture sono stati eseguiti inserimenti in cemento e laterizi, mentre sul prospetto meridionale, che guarda verso il centro abitato, è stato collocato un camminamento in metallo. Il castello è di proprietà privata ed è gestito dalla "Fondazione la Rocca di Staggia". La Rocca di Staggia è aperta al pubblico per 365 giorni all'anno. Le mura sono oggi ben conservate e risalgono in gran parte all'intervento del 1372. Sono intervallate da torri di varia forma (quadrangolari, poligonali, oltre a una pseudo-ellittica non più esistente). Esistono ancora tracce del camminamento di ronda, posto all'interno a raccordare le torri, in particolare le mensole di sostegno in pietra. Il circuito murario è interrotto soltanto in corrispondenza dei due varchi di via Romana. Delle tre porte esistenti in origine (Porta Romana a sud, Porta Fiorentina a nord-ovest, Porta Lecchi a nord-est) restano soltanto le ultime due, entrambe a ridosso della rocca: Porta Romana fu fatta saltare dai tedeschi in ritirata nel 1944 assieme all'alto torrione che le sorgeva subito a ponente e agli edifici adiacenti. La rocca ha un sito web dedicato che consiglio di andare a vedere, per trovare informazioni, foto e video sul monumento: http://www.laroccadistaggia.it/. Altri link suggeriti: https://youtu.be/JQFlb5MBC28 (video di Valdelsa.net), https://www.comune.poggibonsi.si.it/eventi-e-turismo/i-luoghi/$209-castello-di-staggia, https://www.youtube.com/watch?v=BVUFOCwljYA (video di Fabio Balocchi), https://www.youtube.com/watch?v=DCQnEMy9Gbc (video di Marco Birigazzi), https://www.youtube.com/watch?v=btKLvdEmQ00 (video di Fabrizio Borghini), https://www.youtube.com/watch?v=wkxdm6MZVho (video di FREE FPV Films)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Staggia_Senese, https://castellitoscani.com/staggia/

Foto: la prima è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini, la seconda è presa da https://www.visittuscany.com/it/eventi/visita-alla-rocca-di-staggia/. Infine, la terza è una cartolina della mia collezione.

giovedì 14 aprile 2022

Il castello di giovedì 14 aprile




NAPOLI - Castel dell'Ovo

Il Castel dell’Ovo (in latino, castrum Ovi), è il più antico castello di Napoli che sorge sull’isolotto di Megaride dove, secondo la leggenda, vi approdò la sirena Partenope che diede il primo nome alla città antica, primo insediamento dei greci, i Cumani (di origine greco-euboica), nella metà del VII secolo a.C. Prima della fondazione di Castel dell’Ovo, nel I secolo a.C., l’isola e la terraferma vennero collegate dal patrizio Lucio Licinio Lucullo, il quale fu un precursore nel rendersi conto delle enormi potenzialità del posto: acquisito un fondo molto vasto proprio in quel lembo di terra circondato dal mare, egli vi eresse la sua incantevole villa, nota come "Castellum Lucullanum". Nel suo sfarzoso castello, Lucullo diede vita a studi filosofici e storici, a dimostrazioni di ricchezza anche attraverso infiniti banchetti, danze, spettacoli di intrattenimento, giochi ed altri eccessi, i quali, appunto, generarono l’aggettivo “luculliano” per indicare questo appariscente modo di vivere. Già allora, nella Villa di Lucullo, erano presenti allevamenti di murene, alberi da pesco, giunti dalle terre persiane e ciliegi, importati da Cerasunte, oggi Giresum, capoluogo dell’omonima provincia turca. La villa di Lucullo subì diversi attacchi sia in epoca angioina, sia aragonese e questo richiese frequenti interventi di ristrutturazione per attribuirle nuovamente il suo originario aspetto normanno. Ripercorrere e narrare la storia di Castel dell’Ovo è tutt’altro che semplice, per il fatto che si tratta di un continuum succedersi di fatti storici, miti popolari, aneddoti e leggende che si intrecciano sin dalla sua fondazione e fino ai giorni nostri. Una delle più fantasiose leggende napoletane farebbe risalire il suo nome all'uovo che Virgilio avrebbe nascosto all'interno di una gabbia nei sotterranei del castello. Il luogo ove era conservato l'uovo, fu chiuso da pesanti serrature e tenuto segreto poiché da "quell'ovo pendevano tutti li facti e la fortuna dil Castel Marino". Da quel momento il destino del Castello, unitamente a quello dell'intera città di Napoli, è stato legato a quello dell'uovo. In realtà sembra che l’origine del nome Castel dell’Ovo sia dovuta al fatto che Ruggiero I Normanno costruì su delle rovine preesistenti la fortezza dandogli la forma ovulare. Il Castrum era la villa più nota di tutto il Golfo di Napoli, si ergeva dalla montagna di Pizzofalcone fino a Piazza del Municipio, dove oggi è presente il Maschio Angioino. In questa imponente villa furono raccolte opere d’arte giunte dalle province asiatiche, esisteva una imponente biblioteca presso la quale si recavano intellettuali e uomini di scienza provenienti da ogni luogo. Erano qui allevati pesci rarissimi e la villa fu dotata di peschiere capaci di fruttare milioni di sesterzi. Alla morte del console la Villa di Lucullo fu acquisita dall’impero per lungo tempo e fu Valentiniano III a fortificarla, fino al momento in cui divenne addirittura la sede dell’esilio di Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore romano d’occidente, il quale morì proprio all’interno di queste mura, nel 476. Dal V al X secolo, la villa divenne poi un eremo per monaci basiliani provenienti dalla Pannonia: essi adottarono la regola benedettina e idearono lo scriptorium, anche grazie alle immense opere bibliotecarie lasciate in eredità dallo stesso Lucullo. Nel X secolo, i monaci dovettero abbandonare il castello dopo l’arrivo dei saraceni, quando i Duchi di Napoli lo trasformarono in fortezza e avamposto destinato alla difesa della città. I religiosi lasciarono il complesso monastico per rifugiarsi a Pizzofalcone. Dei documenti risalenti a 1128, narrano dell’esistenza di una fortezza creata dai monaci basiliani e chiamata "Arx Sancti Salvatoris" e della quale è giunto a noi solo il frammento di un ingresso con grandi archi nel loggiato. Con la giunta dei normanni molte amministrazioni relative al commercio e allo sviluppo furono delocalizzate da Castel dell’Ovo a Castel Capuano. Nel 1139, Ruggero il Normanno conquistò il Ducato di Napoli e diede il via alla costruzione del Castello, in modo da avere un luogo di avvistamento in posizione strategica. Nel 1154, Guglielmo il Malo fece costruire la prima torre di avvistamento, chiamata Torre Normandia. Il castello venne fortificato ancora una volta sotto il regno di Costanza d’Altavilla, regina degli svevi, dallo stesso Federico II, il quale eresse Torre di Colleville, Torre di Mezzo e Torre Maestra. In questo periodo il maniero fu adoperato come reggia e come prigione di stato. Nel 1370, un terremoto fece crollare l’arco naturale del castello che unisce i due scogli sul quale esso è costruito e la regina Giovanna I da un lato ne ordinò la ricostruzione in muratura e dall’altro colse l’occasione per restaurare anche le costruzioni normanne. Ella fu costretta a dichiarare solennemente di aver provveduto a sostituire l'uovo per evitare che in città si diffondesse il panico per timore di nuove e più gravi sciagure, nel caso si fosse rotto. La monarca visse qui come sovrana, per trovarvi poi la prigionia fino all’esilio di Muro Lucano, in conseguenza del tradimento del suo stesso nipote. Ulteriori ricostruzioni ebbero luogo per volere di Alfonso V d’Aragona, il quale fece ripristinare il molo, potenziare la difesa abbassando le torri e in generale, donando maggiore ricchezza al palazzo reale; il castello cadde in mano francese e per riappropriarsene, suo figlio Ferrante I, decise di farlo attraverso l’utilizzo di pesanti bombardamenti. L’ultimo re aragonese fu spodestato dalla Spagna; successivamente le torri furono danneggiate e ricostruite ancora una volta, per apparire come le vediamo oggi: a forma ottagonale, con le mura rese più spesse e resistenti e con le strutture difensive orientate verso il basso e non verso il mare. L’avvento dei viceré spagnoli prima e dei Borbone dopo, comportò la creazione di due ponti levatoi e di un’ulteriore fortificazione con batterie. Dal XVIII secolo Castel dell’Ovo smise di essere definitivamente la sede dei reali e fu adibito esclusivamente ad avamposto militare, ad accantonamento e a prigione: qui trovarono la reclusione Tommaso Campanella, prima della condanna a morte e diversi carbonari, giacobini e liberali. Dopo l’Unità d’Italia fu studiato un piano di risanamento che doveva mutare tutto l’aspetto di Napoli e che comprendeva l’intero abbattimento del castello per sostituirlo poi con un nuovo rione; fortunatamente non si proseguì con questo proposito, sebbene la fortezza rimase in totale abbandono fino ai restauri che ebbero luogo nel 1975. Oggi Castel dell’Ovo, sede della Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggisti della Regione Campania, è visitabile e fa parte del rione di Santa Lucia: al suo interno, nelle bellissime sale si svolgono manifestazioni, convegni, meeting e mostre. Come accennato, di fronte alle mura c’è il porticciolo di Borgo Marinari, sede della movida napoletana e di vari importanti circoli nautici. L’unica strada interna nel castello è quella che attraversa la Torre Normandia, la quale si posa su archi in piperno e mostra un’antica merlatura guelfa inserita in un rialzo successivo. Dopo la torre si incontra la Chiesa di San Salvatore, la quale si posa su colonne fatte in granito, ha capitelli di spoglio di matrice romana e conserva al suo interno degli affreschi tardo bizantini. La terrazza dei Cannoni è la zona più alta del castello e la vista che si apre davanti agli occhi dei visitatori lascia senza fiato, soprattutto durante le ore del tramonto. La vista del Golfo di Napoli è infine offerta dalle due terrazze note come Loggiato ovest e Loggiato est: la prima offre una visuale che guarda verso la città partenopea ed è adiacente alle sale interne di Compagna, Antro di Virgilio e Megaride, le quali vengono spesso sfruttare per congressi e meeting. Il Loggiato Est è rivolto verso il golfo ed occupa parzialmente uno spazio della Chiesa di San Pietro, la quale fu costruita dai monaci di San Basilio ed oggi è quasi del tutto distrutta. Del complesso monastico restano i “romitori”, ovvero le celle scavate nella roccia in tufo: alcune sono semplici cavità, altre hanno un soffitto a volta e probabilmente erano adoperate come altari. Le celle sono unite da cunicoli e sono state riportate alla luce nei primi del novecento. La cella più adornata è quella dedicata a Santa Patrizia. Tra le più belle del castello, c’è la Sala delle Colonne, nella quale sono presenti appunto varie colonne che si posano su archi a sesto acuto. I rocchi sono parte delle colonne maggiori, hanno scanalature a spigolo vivo e esibiscono un candore marmoreo che fa da contrasto al tufo giallo. La sala, suddivisa in varie navate, sebbene appaia come una sorta di chiesa, era quasi certamente destinata a refettorio dei monaci. I materiali spesso riutilizzati nelle ristrutturazioni del castello, ricordano la villa originaria del I secolo a.C. di Lucullo. All’altezza del bastione di ingresso, è presente una sala in tufo che prende il nome di Carcere della Regina Giovanna. La Sala delle Prigioni è fatta con un ampio vano centrale dal quale partono diversi corridoi che portano verso le finestre sui fronti ovest ed est del castello. Questa sala è nata probabilmente come fortificazione, per essere poi adibita a custode dei tesori e dei documenti, come gli archivi segreti dello Stato. La Sala Italia, con il bel soffitto a volta, è la più ampia e prestigiose tra tutte, segue la Sala Sirena, del tutto scavata nella roccia in tufo. L’Antro di Virgilio comprende un salone principale e due salette minori, le quali si prestano per diventare delle segreterie, zone buffet o dei guardaroba. L’Antro di Virgilio è sottostante alla Sala Compagna, più moderna rispetto alle altre e situata nella zona più alta del castello: si giunge ad essa attraverso due ascensori, oppure percorrendo un suggestivo cammino interno al castello. Alle spalle di della Sala Compagna giace la Sala Megaride, composta da una saletta interna adatta per depositare i materiali e da una sala capace di contenere una platea di 80 persone. Altri link proposti per approfondimento:https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_dell%27Ovo, https://www.facebook.com/watch/?v=347582566090701 (video), https://www.beniculturalionline.it/location-1009_Castel-dell'Ovo.php, https://youtu.be/vJjJm6xKGNc (video di Pupia Campania), https://www.facebook.com/watch/?v=482147836821086 (video), https://www.youtube.com/watch?v=Fd_OfXrJWnE (video di Comune di Napoli), https://www.youtube.com/watch?v=WZ8ewjuvHMk (video di Renzo Manganotti), https://www.youtube.com/watch?v=asW6QiCCmUo (video di Massimo Nalli)

Fonti: https://www.comune.napoli.it/casteldellovo, https://www.napolike.it/turismo/place/castel-dell-ovo-napoli/#Storia_del_Castel_dellOvo, https://www.tiportoanapoli.it/castel-dell-ovo-napoli-storia-leggenda/, https://www.campania.info/napoli/cosa-vedere-napoli/castel-dell-ovo/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.mardeisargassi.it/napoli-tra-storia-e-leggenda-castel-dell-ovo/castel-dellovo_optimized/. Infine, la terza è presa da https://www.primapress.it/cultura2/cultura/a-castel-dell-ovo-il-recital-poetico-promosso-dall-instituto-cervantes-con-autori-italiani-e-spagnoli.html

mercoledì 13 aprile 2022

Il castello di mercoledì 13 aprile

 


SANT'AGATA FOSSILI (AL) - Castello di Podigliano

Località del Vescovato di Tortona, e come tale ricordata nel privilegio di papa Adriano IV nel 1157, munita di importante fortilizio, Podigliano venne investita ad una famiglia signorile di origine manfredinga, ramo o quantomeno affine ai Montemerlo, che assunse la denominazione del luogo. Il castello nel 1305 era in possesso di Benedetto Busseti q. Melchiorre, già feudatario di Stazzano, al quale gli arbitri milanesi Mosca e Guido della Torre imponevano di consegnarlo nelle loro mani. Nel 1409 era dei Rampini di S. Alosio insieme con Malvino, Cuquello, Carezzano Superiore e Inferiore e Ripario. Anticamente Podigliano fu capitale del Vescovato e come tale, sede del Vicario temporale: non è noto per quali tragici eventi, probabilmente nella seconda metà del sec. XIV, la località decadde a tal punto che il capoluogo del dominio episcopale dovette essere trasferito a Carezzano. Il castello di Podigliano, che possedeva un grosso torrione, fin tanto che potè assolvere ai suoi compiti di difesa, fu riservato a residenza dei Vescovi di Tortona, che vi si rifugiavano nei momenti di pericolo o per la villeggiatura durante la bella stagione. Nella seconda metà del XV secolo, mons. Michele Marliano (1461-1475) chiese a Galeazzo Sforza l’autorizzazione a riedificarlo nelle forme primitive, ma non abbiamo notizie che l’istanza sia stata accolta. La torre del castello o quanto rimaneva dell’antico maniero, diroccò in seguito al terremoto del 1828, cosicché il materiale risultante venne utilizzato per il restauro della chiesa parrocchiale di S. Agata, che nello stesso evento aveva riportato gravi danni. Il maniero attuale, sul sedime dell’antico, fu edificato, in epoca recente, dalla famiglia del comm. Bottaro, sua attuale proprietaria, incorporando nella costruzione una superstite torre – colombara dell’antico castello. Di proprietà privata, non è possibile visitarlo.

Fonte: testo di Giampaolo Pepe su https://storiediterritori.com/2019/07/15/podigliano-frazione-di-santagata-fossili/

Foto: la prima è di livius2 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/331967/view, la seconda è presa da https://www.fondocasa.it/immobile_minisito.php?rif=304316

martedì 12 aprile 2022

Il castello di martedì 12 aprile

 

CORCIANO (PG) - Castello di Solomeo

Il castrum Solomei, fortificazione a difesa della campagna, venne edificato nel 1391 da Meo di Giovanni di Nicola Galassi e Pietro Tanoli, su richiesta dei magistrati di Perugia. Gli abitanti del luogo furono obbligati a lavorare, pena la prigione, mentre i tre richiedenti, proprietari di quelle terre, non potevano sollecitare a Perugia alcun contributo essendo la fortificazione utile a loro. Alla fine del ‘300 il castello era ultimato in forma quadrangolare con due ingressi: uno sul lato orientale e l’altro a sud in direzione di Monte Frondoso. Nel 1402, con la sottomissione di Perugia a Gian Galeazzo Visconti, tutto il territorio subì scontri e devastazioni tra le truppe pontificie di Bonifacio IX e quelle fiorentine guidate da Grasso da Venosa e Bindo da Monopoli. Anche Solomeo insieme all’Ospedale di Fontignano, a Morleschio Solfagnano Montali e Montesperello, subì la stessa sorte ma gli invasori furono scacciati dai popolani perugini. Gli abitanti del castello, però, non vollero sottostare alle imposizioni dettate dalla Camera apostolica per cui si ribellarono. Il 16 dicembre 1402 la rivolta fu sedata e i priori perugini concessero a messer Coluccio di Arquata la facoltà di inquisire i rivoltosi, i forestieri e gli abitanti del contado contrari al nuovo regime. Nel 1495 era ancora considerato castello, quattro anni dopo villa e nel 1501 nuovamente castello. Questo cambiamento di status in così breve tempo potrebbe essere dovuto all’invasione del territorio perugino nel 1498 da parte di Guidubaldo da Montefeltro che, con l’aiuto del cognato Giovanni della Rovere, aveva messo insieme un poderoso esercito contro i Baglioni.
Partite da Gubbio, le milizie si rivolsero contro tutti i castelli del contado saccheggiandoli, depredandoli e scaricando anche le strutture difensive. Il 15 dicembre del 1503 il consiglio dei priori approvò la realizzazione di un pozzo di 50 piedi (m 18) nelle vicinanze del castello con lo stanziamento di 16 fiorini. Constatata l’indigenza in cui versavano gli abitanti del luogo, Simone de Fumagiolis si accollò l’onere di integrare di tasca propria quanto stanziato dal governo perugino. Il 4 marzo 1578 furono concesse dai magistrati perugini alcune licenze per edificare abitazioni a ridosso delle mura di cinta del castello. Durante la Repubblica Romana (1798-99) fece parte del cantone di Perugia e, insieme ad Agello, Mugnano, San Mariano, Mandoleto e Capanne, fu retto dall’edile Sante Santicchi e dell’aggiunto Francesco Boni. Il borgo conserva intatto il suo impianto medievale, e ad oggi risulta completamente restaurato e riportato all’antico splendore per opera di Brunello Cucinelli, nato a Castel Rigone nel 1956, uno dei più grandi stilisti del mondo nel settore del cachemire che ha recuperato con pazienza, intelligenza e grande senso umanistico tutta la struttura castellana facendone la sede della propria attività in cui lavorano 500 addetti (https://www.brunellocucinelli.com/it/hamlet-of-the-spirit.html). Del piccolo castello di poggio di forma rettangolare resta un nucleo di edifici raggruppati attorno a un cortile. La parte più antica si può probabilmente individuare nella torre alla quale si appoggiano gli altri edifici del castello. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=Mfq6Ogxh8pA e https://www.youtube.com/watch?v=3yQwLbD3Ukg (entrambi i video di Claudio Mortini), https://www.youtube.com/watch?v=tar9v7opBDM (video del Comune di Corciano)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Solomeo, https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-solomeo-corciano-pg/

Foto: la prima è presa da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/02_alto_tevere/00029/index.htm, la seconda è presa da https://solomeo.it/it/luoghi-e-paesaggi/borgo-dell-armonia

lunedì 11 aprile 2022

Il castello di lunedì 11 aprile

                                      


                                                 

BERNATE TICINO (MI) - Palazzo Visconti

Nel Medioevo Bernate veniva chiamato Brinate come appare da una carta del 1045, ricordata da Giorgio Giulini (Memorie ecc. 1ª ed. Vol III, p. 427) in cui Enrico III confermava ai monaci di S.Dionigi a Milano la badia con la chiesa di S.Maria in Solariolo e alcune terre. Ebbe rinomanza in quei secoli il castello e se ne trova menzione in una carta del 1098 contenente una vendita che Algerio figlio del fu Vallone del luogo di Brinate aveva fatto ad Ariberto prete per 40 libbre di denari. In tale vendita aveva egli compreso tutte le sue case beni e diritti che possedeva in Inveruno e Trecate e nel luogo di Bernate eccettuato il castello. Il Giulini ci tramanda anche un successivo documento: è il testamento che il prete Ariberto compratore dei fondi suddetti, fece alcuni mesi dopo (gennaio 1099). In esso si dice che lasciò usufruttuaria di tutti quei beni la madre del defunto Algerio, che si chiamava Otta, fino alla di lei morte. Della proprietà dei beni stessi, escluso il porto della riva del fiume Ticino, ne fece due parti: "la prima ordinò che fosse di quella porzione della chiesa di San Giorgio di Bernate che apparteneva al monastero di San Vincenzo di Milano, e la seconda fosse delle altre porzioni della stessa chiesa che non erano soggette a iuspatronato di alcuna persona". A questo periodo risalgono le prime notizie relative alla famiglia Crivelli. È infatti nell'anno 1150 che Giovanni del monastero di S. Ambrogio investì Domenico, Pietro, Pastore e Gualla Crivelli delle rive, ghiaie e boschi che sono nei territori di Brinasca (altrimenti Bernate) e Cusionno (Cuggiono). L'autorità della famiglia Crivelli si ingrandì quindi a due feudi. Fu nel 1186, quando sul soglio pontificio sedeva col nome di Urbano III Uberto Crivelli che ebbe luogo la fondazione della canonica regolare presso la chiesa di San Giorgio. Al 25 novembre 1186 Urbano III con una bolla si rivolgeva al prevosto e ai canonici regolari di S. Maria di Crescenzago e, dopo aver esposto che la chiesa di San Giorgio di Brinate, fondata su un terreno paterno si trovava priva di beni e sprovveduta di possessioni, assegnava alla chiesa di San Giorgio i beni comprati dalle monache di Caronno eccettuato il porto e la ghiaia del Ticino e quelli che aveva comprato dai monaci di San Vincenzo o dai militi di Arconate o da quelli di Dugnano. Con tanta abbondanza di beni il pontefice fondò presso la chiesa di Bernate la congregazione canonicale secondo la regola di Sant'Agostino. Gian Galeazzo Visconti lasciò molti fondi agricoli di Bernate alla Certosa di Pavia. Il Palazzo Visconti costituisce la parte residenziale del complesso legato alla chiesa, e viene detto anche "Castello" per via delle sue forme che ricordano molto il vicino castello di Cusago. E' un tipico esempio quattrocentesco, posto agli inizi dello sviluppo della villa: rappresenta cioè una costruzione di transizione tra il castello fortificato e la villa rinascimentale di residenza. Ha infatti la pianta quadrata a cortile chiuso che lo apparenta alle costruzioni castellane ed una grande loggia aperta verso il Naviglio Grande, che scorre non lontano, come negli edifici di "villeggiatura" ed in modo simile all'aspetto primitivo di "Villa Gaia" a Robecco. Mostra evidenti in facciata, sotto il loggiato al piano nobile, le tracce di precedenti fasi costruttive. All'interno è adornato con splendidi soffitti a cassettoni d'epoca, oltre a numerose decorazioni murarie a graffito e pregiati camini scolpiti. L'esterno è scandito da preziose finestre ad arco rivestite in cotto, mentre la facciata è contraddistinta dalle tipiche decorazioni a losanga realizzate a graffito su intonaco, che si possono riscontrare in molte altre costruzione della zona, risalenti alla medesima epoca. La vicinanza con la chiesa e i documenti d'archivio pervenutici, fanno pensare oggi che la struttura possa essere stata utilizzata come sede canonicale affidata ai religiosi locali unitamente alla gestione della chiesa parrocchiale.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Bernate_Ticino,http://www.comune.bernateticino.mi.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=28997&IDCat=4413, https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-00699/, https://www.cittametropolitana.mi.it/export/sites/default/portale/territorio/comuni/Bernate-Ticino/

Foto: la prima è di Skukifish su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:PalazzoViscontiBernateTicino.JPG, la seconda è presa da https://fondoambiente.it/luoghi/antica-canonica-e-palazzo-visconti?ldc. Infine, la terza è di Marco Ferrara Jokrah su https://mapio.net/pic/p-62756759/

giovedì 7 aprile 2022

Il castello di venerdì 8 aprile


 
FERRARA - Castello Este

E' un gioiello dell'architettura castellana italiana, che rappresenta l'evoluzione da torre a palazzo rinascimentale. Venne edificato nel 1385 come strumento difensivo di controllo politico e militare per volere del marchese Nicolò II d'Este su progetto di Bartolino da Novara, a seguito di una pericolosa rivolta. La prima pietra fu posata simbolicamente il 29 settembre, giorno di San Michele, protettore di porte e rocche urbiche: ecco perchè il Castello estense è detto anche "castello di San Michele". Bartolino costruì il Castello incorporando la preesistente Torre dei Leoni, che faceva parte della cinta muraria medievale, ed innalzando tre nuovi torri collegate da ampi corpi di fabbrica intorno ad un cortile centrale, il tutto circondato da un fossato. Le altre tre torri sono: a sud-est la Torre Marchesana e a sud-ovest la Torre di San Paolo, a nord-ovest la Torre di Santa Caterina. Divenuta a fine Quattrocento la residenza degli Este, una delle più prestigiose famiglie dell'epoca rinascimentale, subì una serie di modifiche che lo trasformarono in una sfarzosa dimora di corte. Se già alcuni documenti dell’inventario di Nicolò III attestano una ripartizione delle sale e appartamenti divisi secondo la loro funzione, solo con il duca Borso d’Este il Castello iniziò ad avere una dimensione abitativa acquisendo le caratteristiche di residenza, o comunque di palazzo con funzione di rappresentanza. Dalla morte di Borso (1471), si intensificarono gli interventi nell’edificio voluti dal duca Ercole I con la creazione di appartamenti per la moglie Eleonora d’Aragona, al quale si lavorò, con la decorazione dell’oratorio, fino al 1491, e infine per il figlio Alfonso, l’erede del Ducato. Fra il 1471 e il 1473 cominciò anche la costruzione della “via coperta nuova”, ovvero un rifacimento in chiave monumentale del passaggio che collegava la medievale residenza degli Este al Castello. Il corridoio coperto venne dotato di un poggiolo il cui soffitto è ripartito a riquadri ed è decorato con le armi ducali e con due riquadri che rappresentano le fatiche di Ercole, eroe eponimo del duca le cui immagini appaiono anche nelle decorazioni successive. Fu sotto Alfonso I (1505-1534) però che la vita cortigiana si spostò dal palazzo di piazza al Castello, grazie all'allestimento di stanze di rappresentanza. Inoltre, vennero costruiti le altane sopra le torri, i balconi di marmo, il cortile d'onore di linee cinquecentesche e i fastosi appartamenti affrescati, ancor oggi visitabili all'interno del percorso museale. Gli interventi di restauro si concentrarono nel primo Cinquecento, dove figurano l’appartamento per Lucrezia Borgia, seconda moglie del duca Alfonso dal 1502, vennero costruite le cucine ducali sulle fondamenta della porta del Leone e si iniziarono i lavori per il giardino pensile, sotto la direzione dell'architetto ducale Biagio Rossetti. Ma soprattutto fu in questo periodo che ebbero inizio i lavori per gli allestimenti delle prime importanti raccolte ducali: lo Studio dei Marmi e il Camerino delle Pitture, due progetti ai quali il duca si dedicò a partire dal 1505 e che sono noti come i Camerini d'alabastro. Tra i pittori di cui il duca si circondò all’interno della corte vi era in primo luogo Tiziano, cui venne affidata in gran parte la decorazione del Camerino delle Pitture, per la realizzazione di un ciclo di dipinti ispirati al mito di Bacco, i celebri Baccanali, a cui presero parte anche Dosso Dossi e Giovanni Bellini. Di Tiziano il Cinti scrive “che dimorò a Ferrara alla corte del Duca, con sei pittori di seguito. Nell’Archivio Estense è dimostrato dai libri della Spenderia e della Canova, che in castello aveva vitto e dimora, e che oltre i tre famosi suoi Baccanali, vi eseguì due ritratti di Alfonso I, e quello di Ercole II, d’Alfonso II, di Lucrezia Borgia, di Laura Eustochio e quello infine di Ludovico Ariosto”. Il Castello mantenne le antiche funzioni militari: prigione, deposito di polveri, fucina per armi e cannoni, laboratori artigiani, alloggi per la guarnigione. Nella Torre dei Leoni erano rinchiusi dal 1506 don Giulio e don Ferrante, fratelli del duca Alfonso I, condannati per aver attentato alla vita del duca e dell'altro fratello Ippolito, del cui episodio Ariosto si fece interprete all’interno della sua Egloga e nello stesso Furioso. I lavori di restauro avevano reso il castello una residenza sicura per la famiglia d’Este ma non per la cittadinanza. Il fossato che circondava la fortezza non presentava alcuna forma di recinzione. Nel 1507 venne eretto il muretto di protezione del fossato in seguito alla caduta, nelle acque, della carrozza della contessa Caterina dei Sacrati. Il Castello frequentato da Ariosto era una fabbrica in continuo lavorio, dove ogni duca salito al trono procedeva con nuovi lavori e allestimenti, spesso sostituendoli a quelli realizzati dai predecessori, e procedendo con l’ampliare nuovi spazi per sé e per i propri parenti. Non passava anno, infine, senza che attorno al Castello si aprisse un nuovo cantiere edilizio. A seguito della devoluzione del Ducato allo Stato della Chiesa nel 1598, gli Este lasciarono Ferrara e da quel momento ebbe inizio la dispersione del loro patrimonio. Dal Seicento fino alla seconda metà dell'Ottocento, ad esclusione della parentesi napoleonica, il Castello divenne sede dei cardinali Legati. Dopo l'Unità d'Italia il Castello fu acquistato dalla Provincia di Ferrara, che ne è l'attuale proprietaria, e che si occupò di importanti interventi di restauro. Dalla Torre dei Leoni, la più antica tra i quattro torrioni che impreziosiscono il Castello Estense, si può godere dello spettacolare panorama di Ferrara, salendo uno dopo l'altro ben 120 gradini. Entrare nell'antico maniero, che si staglia imponente, circondato dal fossato colmo d'acqua, connotato da rossi mattoni ed eleganti balaustre bianche, significa anche visitare il Museo del Castello, allestito dall'architetto Gae Aulenti: offre un percorso narrativo che consente di approfondire la conoscenza dell'edificio - dalle cupe prigioni agli splendori dei saloni affrescati -, della storia dei vari poteri che l'hanno utilizzato, della città di Ferrara e del suo territorio, riconosciuti dall'UNESCO Patrimonio dell'Umanità. Al di sotto del livello del cortile, sono state recuperate ampie sale, suggestive per la loro copertura a botte e l'originale pavimentazione in cotto, dall'antica funzione di magazzini e di accesso al pontile, da cui si poteva lasciare il castello a bordo di piccole barche o di bucintori (da qui il nome "imbarcaderi"). Le prigioni del castello, poste al livello del fossato, si trovano nei sotterranei della torre dei Leoni. Gli Estensi vi rinchiusero spesso personaggi d'alto rango, prigionieri per cui occorreva una sorveglianza speciale. La sale, tutte comunicanti, possono essere utilizzate singolarmente o insieme e costituiscono uno spazio multifunzionale adattabile a sede di cerimonie, riunioni, cene, buffet, convegni. Ecco il sito web ufficiale del castello: https://www.castelloestense.it/it. Altri link suggeriti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Estense, https://www.youtube.com/watch?v=b0fp_0U_JVM (video di Massimo Nalli), https://www.youtube.com/watch?v=eBASj1TtXPc (video di Gran Tour Project), https://www.youtube.com/watch?v=yEO5KEfFPYY (video di Comune di Ferrara), https://www.youtube.com/watch?v=eRjykjIl_pw&t=20s (video de I Castelli di Ferrara), https://www.youtube.com/watch?v=heb3IwVO7LQ (video di loresamba), https://www.youtube.com/watch?v=ddZp55ku8kA (video di light2tube)

Fonti: https://castelliemiliaromagna.it/it/s/ferrara/6024-castello_estense, https://www.beniculturali.it/luogo/castello-estense, https://www.ferraraterraeacqua.it/it/ferrara/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/castelli-torri-campanili/castello-estense, http://www.museoferrara.it/view/s/06d50b24c13947b58c7ecf4ee0069e19

Foto: la prima è presa da https://www.paesionline.it/italia/monumenti-ed-edifici-storici-ferrara/castello-estense, la seconda è una cartolina della mia collezione