venerdì 31 marzo 2023
Il castello di venerdì 31 marzo
TRENTO - Castello in frazione Gardolo di Mezzo
Il castello medievale, ormai in rovina, si trova sul Dosso della Purga, sopra l'abitato di Gardolo di Mezzo, quartiere del comune di Trento. Un tempo si ergeva a difesa della via Rossa, non era molto grande ed era dotato di una torre risalente probabilmente a un periodo antecedente al XII secolo. Viene citato per la prima volta in un testo del 1161 del principe vescovo di Trento Adelpreto II. Nel 1184 risulta annotato che il vescovo Alberto Madruzzo acquisì i feudi da Wasengerino di Gardolo e una sola parte del suddetto castello, per quaranta marche d'argento. Il 14 di novembre 1212, metà del castello fu venduta da Guitoldo di Trento e suo nipote Milone al vescovo Federico Vanga per 2250 lire veronesi. Le ultime tracce scritte risalgono al 1376. A partire dai secoli successivi fu definitivamente abbandonato e cadde in rovina.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Gardolo, https://www.loquis.com/it/loquis/454004/Castello+di+Gardolo,
Foto: la prima è di Francesco Serra su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Gardolo#/media/File:Castello_di_Gardolo.jpg, la seconda è presa da https://parrocchiamadonnadipompei.it/castello-di-gardolo-10668427397061918709/
giovedì 30 marzo 2023
Il castello di giovedì 30 marzo
VALSAMOGGIA (BO) - Castello di Zappolino
A partire dal VI secolo a Zappolino sorse una fortificazione a difesa dell'Esarcato di Ravenna. Un vero e proprio castello è però documentato dal 1155: nei secoli seguenti esso ricoprì un ruolo primario nel conflitto fra Bologna e Modena. La sua importanza tuttavia diminuì dal XV secolo in poi, finché venne distrutto dal terremoto del 1929, che causò il crollo dell'antico torrione pentagonale (visibile nel disegno di Vittorio Lenzi) e della chiesa. Sul colle Zappolino, dunque, sorgeva un vasto e munitissimo castello: un fortilizio che vantava quasi mezzo chilometro di circonferenza e che si estendeva lungo il crinale della montagna tra due porte opposte. Nella sua maggiore estensione era lungo circa 350 metri e largo 152, con doppia cinta muraria, la più esterna delle quali aveva una circonferenza di circa 950 metri. Le cinte murarie terminavano da una parte con due baluardi e una torre, mentre agli angoli opposti v'erano due mezze torri. La vasta estensione perimetrale delle mura è testimonianza dell'importanza della roccaforte, all'interno della quale vi erano forse terreni coltivabili, che assicuravano grande autonomia in caso d'assedio nemico. Nel centro vi erano altre fortificazioni e una grande torre. Quest'imponente castello dominava, dall'alto del colle ove oggi sorge la chiesa del paese, le vallate del Volgolo e del Samoggia. L’ingresso presentava una successione di due porte archiacute, precedute da un ponte levatoio e, di quel che ne rimane, ancor oggi affiancate dal cassero. Questa torre di forma irregolarmente trapezoidale, in cui risiedeva il Castellano, venne costruita nel 1227 dai bolognesi per potenziare la struttura difensiva. Le vicissitudini storiche (specie il terremoto del 1929) non hanno però consentito che si conservasse, della costruzione originaria della rocca, poco più del basamento. Molto prima del terremoto, nel 1451, già la parte superiore venne distrutta per ordine del Senato bolognese e ricostruita nel 1523. Ben più recenti sono invece gli inserti delle finestre e i merli angolari che risaltavano con i loro mattoni in cotto sul paramento murario in pietra. Lasciando il cassero che tutt'oggi rimane alle proprie spalle, si incontra ancora sul lato sinistro della strada principale un settecentesco palazzo signorile, interamente costruito in cotto. L’assenza di intonaco sulla facciata e sui lati minori lascia scorgere il tamponamento di un precedente edificio porticato con tre arcate a tutto sesto. Il prezzo maggiore di questo palazzo, di impianto abbastanza semplice, è un originale uso decorativo dei materiali costruttivi. Le cornici delle finestre simulano il disegno di conci orizzontali e diagonali grazie a un abile utilizzo del cotto; analogamente il cornicione superiore, pur notevolmente frammentato, conferma l’impiego di maestranze specializzate nella realizzazione di queste decorazioni architettoniche. Restando al bivio con Via Boccadiferro è interessante notare anche il primo edificio sulla destra in cui, sotto ad un cornicione medievale con filari di mattoni disposti a T e a denti di sega, sono visibili alcuni rimaneggiamenti (la chiusura di un arco a tutto sesto e di un paio di monofore ogivali). Dell'antico castello restano invece solo alcuni tratti delle mura e gli archi d'ingresso (di fronte ai quali è ancora riconoscibile un vecchio sentiero detto "il Cavarolo"), nonchè quella che è una delle costruzioni più antiche della zona: Cà dei Casini, che dietro a una facciata del 1200 nasconde quella che forse fu una delle prime costruzioni di Zappolino, e sotto il cortile della quale sono stati trovati reperti antecedenti l'epoca romana; è quindi probabile che questa sia stata la prima costruzione, attorno alla quale si sviluppò il nucleo fortificato. Altri link di approfondimento: http://www.zappolino.it/storia.htm, http://www.zappolino.it/immagini.htm, https://www.youtube.com/watch?v=cFCIOGbl-Xs (video di lorenzo lory)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Zappolino, testo su https://www.icastelli.it/it/emilia-romagna/bologna/castello-di-serravalle/castello-di-zappolino, http://www.zappolino.it/castello.htm
Foto: la prima è presa da http://web.tiscali.it/zappolino/sub/casini.htm, la seconda è una foto d'epoca presa da http://www.zappolino.it/immagini.htm
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Zappolino, testo su https://www.icastelli.it/it/emilia-romagna/bologna/castello-di-serravalle/castello-di-zappolino, http://www.zappolino.it/castello.htm
Foto: la prima è presa da http://web.tiscali.it/zappolino/sub/casini.htm, la seconda è una foto d'epoca presa da http://www.zappolino.it/immagini.htm
mercoledì 29 marzo 2023
Il castello di mercoledì 29 marzo
VARESE - Castello di Masnago
Detto anche "Castello Castiglioni-Mantegazza", è una fortificazione medioevale, trasformata in villa dalla famiglia Castiglioni nel XV secolo, e abbellito con un importante ciclo di affreschi profani in stile gotico cortese. Sito su un'altura, in posizione dominante, all'interno del parco omonimo in via Cola di Rienzo 12, l'attuale castello ha origine da una torre di avvistamento, risalente al XII secolo, ancor oggi esistente. Originariamente inserito nel sistema di fortificazioni facenti capo alla torre di Velate, il castello apparteneva in principio alla famiglia dei Marliani. A questi ultimi subentrarono i Castiglioni, che fecero erigere una villa attorno alla torre. Rielaborazioni architettoniche si registrarono nei secoli XVI e XVII. Nel Settecento il marchese Giuseppe Castiglioni e la moglie Paola Litta lo trasformarono in villa di delizia, aggiungendo l’ala ovest e il giardino all'italiana. La famiglia Castiglioni Stampa, cedette il castello nel 1934 al varesino Angelo Mantegazza, che nel 1937, durante alcuni lavori di ristrutturazione, scoprì il celebre ciclo di affreschi. Nel 1981 fu acquistato dal Comune di Varese, e dal 1995 è aperto al pubblico quale sede del Museo Civico d'Arte Moderna e Contemporanea, che ospita opere di autori come Giuseppe Pelizza da Volpedo, Fontana e Balla. Il castello si presenta con un'ala tardomedievale, alla quale sono annessi alcuni rustici e un corpo di fabbrica seicentesco con pianta ad "L". Le varie strutture sono disposte in modo tale da formare un cortile quadrangolare, aperto in corrispondenza dell'estremità nord-occidentale dello stesso cortile. Il Castello di Masnago è conosciuto soprattutto per i cicli di affreschi della Sala degli Svaghi e della Sala dei Vizi e delle Virtù, che furono scoperti nel 1938, vengono considerati esempi artistici di grande suggestione e raffinatezza e possono essere riferibili alla tradizione cortese del Gotico Internazionale, stile diffuso tra la fine del 300 e la metà del 400 nelle corti di tutta Europa ed in Italia. La Sala degli Svaghi conta di mirabili affreschi raffiguranti i passatempi di corte che le hanno fatto guadagnare appunto la denominazione. Da menzionare tra i soggetti dipinti nella sala una dama intenta a suonare l'organo, immersa in un incantevole luogo naturale, sulla cui sommità è posta una bandiera con lo stemma della famiglia Castiglioni. In un'altra scena la stessa dama è rappresentata mentre, cavalcando in compagnia del consorte, si dedica alla caccia con il falcone. La Sala dei Vizi e delle Virtù, presenta una grandiosa decorazione che ha per tema il “confronto” tra Vizi e Virtù, un argomento allegorico e didascalico, tipicamente medievale. Adiacente questa sala si trova la Sala della Musica, originariamente uno studiolo, decorato all’inizio del XVI secolo con spiccato gusto rinascimentale, che prende il suo nome da alcuni dettagli dipinti, come uno spartito e alcuni strumenti musicali. La Sala della Crocifissione viene ritenuta probabilmente una cappella e la Sala delle Colonne è infine la più tarda del ciclo, realizzata intorno alla metà del Cinquecento. Altri link suggeriti: https://www.beniculturalionline.it/location-275_Castello-di-Masnago.php, https://www.youtube.com/watch?v=tFcH2nudfJQ (video di ESPLORANDO-IT), https://www.youtube.com/watch?v=2VuQYkEOnas (video di Rete55)Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Masnago, https://www.icastelli.it/it/lombardia/varese/varese/castello-di-masnago, https://www.museivarese.it/sedi/castello-di-masnago/,
Foto: entrambe sono prese da https://www.museivarese.it/sedi/castello-di-masnago/
martedì 28 marzo 2023
Il castello di martedì 28 marzo
BORGOROSE (RI) - Castello di Poggiovalle
Ad ovest del monte Rosa sopra l'antico villaggio, sul colle "La Corte", s'innalza la diruta rocca medioevale di Poggiovalle mentre gli altri ruderi del castello sono frammisti alle abitazioni dell'attuale villaggio. Edificato nel XII secolo, sappiamo che nel 1279 apparteneva a Stefano Colonna. In seguito entrò a far parte dei domini dei Da Poppleto, signori del castello di Corvaro e ne costituì l’eredità per i suoi discendenti, i Mareri. La rocca si presenta a tre sezioni. Quella ad est era una grande sala, che la tradizione dice sia stata la residenza della regina di Napoli Giovanna Iª d'Angiò, intorno a cui le persone di Poggiovalle hanno fantasticato, in modo inverosimile. In seguito, detta sala venne trasformata in chiesa fino al terremoto di Avezzano del 1915. Nel punto più alto e centrale della rocca si notano muri più elevati e robusti, resti di una grande torre, forse il "mastio" che serviva per l'avvistamento, per l'estrema difesa e per l'abitazione del feudatario. Sotto i resti di questa grande torre c'è una botola che immette alle carceri, tuttora in buone condizioni. Ad ovest si notano i ruderi in pietra dell'ultima sezione della rocca, che sembrano raccontare la storia tragica e grandiosa dalla sua ascesa alla sua caduta. Del castello rimane anche la chiesa castrale, che conserva affreschi su pilastri relativi a immagini sacre.
Fonti: http://www.prolocoborgorose.eu/Tutto%20Paesi/Tutto%20Poggiovalle/home%20page%20poggiovalle.htm, testo di Monsignor Giovanni Maceroni su http://www.riservaduchessa.it/storia/poggiovalle.html, https://www.visitborgorose.it/tutte-le-frazioni.php
Foto: è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Lazio/rieti/poggioval02.jpg
lunedì 27 marzo 2023
Il castello di lunedì 27 marzo
CAPALBIO (GR) - Forte di Macchiatonda
Nota anche come torre o casale di Macchiatonda, è una fortificazione costiera situata sull'omonimo tratto litoraneo del territorio comunale di Capalbio. Il complesso fu costruito dagli Spagnoli sulla spiaggia di Macchiatonda nel corso del Seicento, per implementare il sistema difensivo all'estremità meridionale dello Stato dei Presidii. Adibito a funzioni di avvistamento pur apparendo come un casale residenziale, il fortino fu dismesso nella prima metà dell'Ottocento, quando l'intera zona entrò a far parte del granducato di Toscana ed erano oramai terminati i rischi di eventuali azioni piratesche. Da allora il complesso è andato incontro a un lungo periodo di degrado. Nell'estate del 1969 il forte venne utilizzato come scenario per il film di Marco Ferreri "Il seme dell'uomo" (https://www.dagospia.com/mediagallery/Dago_fotogallery-238137/917757.htm). Visionando la pellicola è interessante rilevare lo stato di erosione dell'arenile avvenuto nel corso di quarant'anni, oltre al degrado generale delle strutture murarie dell'edificio. Dopo essere stato sottoposto nel 2016 ad un importante progetto di ristrutturazione per un restauro conservativo, diventando così un punto di riferimento per gli amanti del territorio della Maremma, oggi il casale è la sede del country club Circolo La Macchia (https://www.circololamacchia.com/). Il forte di Macchiatonda si presenta come un edificio a pianta quadrangolare che si articola su due livelli. L'aspetto leggermente fortificato è conferito al complesso dai quattro pilastri obliqui angolari che sembrano abbozzare i vertici di un basamento a scarpa inesistente al primo livello, ove si aprono i portali d'ingresso architravati per accedere all'interno della struttura. Al livello superiore si aprono alcune finestre di forma quadrangolare lungo le pareti rivestite in intonaco. La parte sommitale, priva di coronamenti, culmina con un tetto di copertura a quattro spioventi.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Forte_di_Macchiatonda, https://www.maredellatoscana.com/vacanze/forte-di-macchiatonda/, https://maremmap.org/ITEM/capalbio-macchiatonda-forte-di-macchiatonda.html
Foto: la prima è presa da http://www.poderesantapia.com/album/capalbio/fortedimacchiatonda.htm, la seconda (realizzata il 25/03/23) è del mio amico, e inviato speciale del blog, Claudio Vagaggini
venerdì 24 marzo 2023
Il castello di venerdì 24 marzo
REINO (BN) - Castello
Verso il Mille, si sa essere giuridicamente costituita la comunità di Reino, vista la citazione di alcuni suoi abitanti nell’atto di costituzione dello scomparso insediamento di "Fragneto Rapinella". Dai documenti storici risulta che il feudo reinese e la sua rocca sono appartenuti nel XII secolo, durante la dominazione normanna, allo stratigoto Girardus de Marchia, ricordato nelle fonti archivistiche per la sua donazione, nel 1122, a favore dell'abbazia beneventana di S. Sofia della chiesa di S. Maria «de Sipagno foris in flnibus de castello nostro Regino», possesso, quest'ultimo, che rimase per vari secoli tra i beni abbaziali. In epoca angioina il feudo fu nelle mani del «miles et familiaris Eustasio de Erdicurt». Nel 1420 la regina Giovanna II lo concesse poi a Nicola Pagano di Salerno; quindi il feudo passò a Tommaso Carafa e nel 1530 a suo nipote Tommaso II. Appartengono alla stessa famiglia gli eredi: Ferrante (1546), Carlo (1566), Eleonora (1568), Fabrizio (1576), Tiberio fino al 1592, e altri eredi sino al 1614, quando il feudo fu acquistato da Giovan Geronimo Nani di Savona, il cui figlio Giovan Battista, caduto in disgrazia, fu costretto a vendere a Nicola Maria di Somma, al cui casato il feudo rimase sino all’abolizione della feudalità. È da precisare che uno dei motivi per cui il castello si trova oggi in rovina è proprio il fatto che i di Somma lo abbandonarono al suo destino, scegliendo come dimora il bastione di Circello. Il tempo e i terremoti hanno poi fatto il resto. Il castello è ubicato su un altopiano che raggiunge una quota massima di m. 402 slm, sovrastante il borgo medievale; il maniero si erge su uno sperone roccioso naturalmente protetto da forti pendii di difficile accesso, con un dislivello di circa 20 metri rispetto alla base. Tale contesto geomorfologico ha favorito la scelta del sito per la costruzione di una fortezza a difesa e controllo del territorio sottostante dove, da un lato scorre il torrente Reinello (affluente del Tammaro) e dall’altro, a poche centinaia di metri, si dirama il tracciato del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela. La componente difensiva è fortemente rappresentata dalla imponente cortina muraria che cinge circolarmente l’intero perimetro dell’altopiano, proteggendo il complesso militare e residenziale presente all'interno. Il Castello nacque in epoca Normanna (XI-XII sec.) come molti altri castelli della zona, pur non potendosi del tutto escludere un precedente insediamento longobardo nel sito. Certamente esso esisteva nel 1122 poiché Girardus de Marchia, feudatario del tempo, ne parla come “castello nostro Regino”. Il castello nacque con funzioni militari ed era inizialmente costituito da una torre quadrangolare -adibita ad abitazione del Cavaliere feudatario- con sottostante cisterna (in cui le acque piovane venivano raccolte dalle coperture degli ambienti sovrastanti tramite tubuli di terracotta) nonché, presumibilmente, da una palizzata perimetrale successivamente diventata muro, e qualche piccola stanza di servizio. In epoca Angioina (XIII-XIV sec.) subì un primo rifacimento ed un ampliamento: la torre quadrangolare (probabilmente danneggiata dai movimenti della roccia sottostante o da un terremoto) venne sostituita da un mastio circolare tuttora esistente, solo parzialmente sovrapposto alla antica cisterna che mantenne la sua forma originale. Vennero addossate alla nuova torre alcune stanze, fu realizzato il battifredo (torretta esterna) nel quale stanziava un milite a difesa della strada di accesso in salita e due ripari "sotto roccia", con la tecnica della sagomatura degli speroni rocciosi, che probabilmente ospitavano servitori con la funzione di azionare la porta che fungeva da ponte levatoio a protezione dell’accesso al castello. Nel periodo Rinascimentale (XVI sec) con i Carafa, il castello assunse le sembianze oggi osservabili, in quanto essi realizzarono il definitivo e maggiore ampliamento dell'edificio che perse la sua funzione militare e si trasformò in residenza signorile che presentava una complessa struttura castellare, dettagliatamente descritta da Nicola Maione nel suo “Relevio” del 1630, finalizzato allo “apprezzo” (stima) del feudo in vista della vendita di esso. Fu in questa fase che venne realizzato lo scalone d’ingresso scavato nella roccia mentre venne abbandonato il precedente sentiero acciottolato che portava al Mastio, di cui sono state trovate tracce evidenti nel corso degli scavi che hanno riportato alla luce numerose stanze e il secondo muro esterno a protezione della strada di ingresso. Lungo questa strada “pennice” (in pendenza), come annotato da Maione, ancora nel 1630, si trovavano tre porte di cui la prima fornita di "funicella" per suonare un campanello nella camera del Barone, una costituita da “un ponte di tavole con maniglia per posserlo alzare nei bisogni” ed infine una “porta forte” (oggi diremmo ‘blindata’) con sovrastante saettera a sua difesa. Insomma il “forte e comodo castello” – come lo definisce Maione- era anche molto ben protetto… Esso, dopo la trasformazione operata dai Carafa, contava una quarantina di stanze di varia grandezza, aveva due cortili di cui uno scoperto parzialmente mattonato, un "gallinaro", una “grande cocina con forno focolaro” e poi una “camera per tenere robba” oltre ad una piccola Cappelletta “dove stà il quadro de San Giovanni Battista et ivi si celebra ogni giorno a devozione della baronessa” mentre la Torre era stata trasformata in carcere. Il Castello fu pesantemente danneggiato dal fortissimo terremoto del 5 Giugno 1688 e non più recuperato, al pari della antichissima chiesa di Santa Maria in Gruttis, poco distante. Entrambi i manufatti divennero fonte di approvvigionamento di pietre per la costruzione di nuove abitazioni e furono via via spogliati di ogni elemento costruttivo o di arredo che potesse essere riutilizzato. Ricoperto da terra di riporto e fitta vegetazione nel corso di oltre tre secoli, si era persa cognizione della sua maestosa grandezza e bellezza finché i recenti scavi -peraltro non ancora conclusi- promossi dal Comune di Reino con la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta-Benevento, non ne hanno riportato alla luce le fattezze, restituendo ai Reinesi un elemento fortemente sentito come identitario dalla comunità e all’intera Regione un pezzo della sua storia. Altri link proposti:https://fondoambiente.it/luoghi/castello-di-reino?ldc, https://www.ntr24.tv/2020/08/29/a-reino-torna-a-splendere-il-castello-di-origine-medioevale/ (video), https://www.offtec.it/progetti/rupe-del-castello-di-reino/ (foto)Fonti: https://www.comune.reino.bn.it/c062056/images/90x60_lato%20A.pdf, scheda di Michele Calzone su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Campania/benevento/reino.htm
Foto: la prima è presa da https://www.ottopagine.it/bn/attualita/227525/castello-medievale-di-reino-rinasce-grazie-al-restauro-foto.shtml, la seconda è presa da https://www.ntr24.tv/2020/08/29/a-reino-torna-a-splendere-il-castello-di-origine-medioevale/
giovedì 23 marzo 2023
Il castello di giovedì 23 marzo
RUVO DI PUGLIA (BA) - Castello
Fu probabilmente costruito in età normanna con pianta quadrangolare costituito da due edifici al cui centro si innalza la torre tuttora esistente. Inizialmente questa fortezza era costituita solo dalla torre, risalente al X o XI secolo, da cui era possibile controllare le quattro porte della città e le vie alle quali era collegata: a ovest era possibile controllare la via Traiana verso Canosa di Puglia, dalla trifora a nord e dalla bifora a sud si poteva tenere sotto controllo la via per Gravina e le coste del mare Adriatico, mentre dalle monofore e dalle logge ad est si poteva guardare il centro abitato. Nel XV secolo fu costruita la cannoniera e divenne roccaforte prima dei francesi e poi degli spagnoli. Dal 1510, il Castello perse la sua funzione militare e divenne residenza conteale dei Carafa. Col passare del tempo il complesso fu totalmente rivoluzionato e i due settori del Castello che si diramavano dalla torre quadrangolare, furono ristrutturati e adibiti a palazzi. Infatti, tra il 1809 e il 1811 i Carafa cedettero il giardino orientale e il Castello a Cesare Montaruli per la costruzione del Palazzo della Principessa Melodia, nipote di quest'ultimo. Dell'antica costruzione è tuttora esistente soltanto la torre e l'atrio, al quale si può avere accesso attraverso l'Arco Melodia. Qui si possono notare le scale addossate alla torre e un arco a sesto acuto che costituiva uno degli ingressi. La torre e l'arco erano inseriti in un sistema difensivo più ampio e complesso, costituito da mura e torri circolari e quadrangolari, alcune delle quali ancora esistenti: si vedano le torri aragonesi di Via Rosario e Via Fornarello e la torre quadrangolare di Via Parini. Nel XIV secolo, sotto la dominazione angioina, fu aggiunta ad ovest la torre di Pilato. Questa, di forma circolare, alta 30 metri e munita di un bastione poligonale, cedette nel 1881 dopo che venne abbattuto il suo bastione qualche anno prima. Altri link suggeriti: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/ruvo.htm, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/fortezze-e-castelli-di-puglia-il-castello-di-ruvo-di-puglia.html, https://www.youtube.com/watch?v=tO9ZGUtq_rI&t=79s (video di News Di Feste Patronali e Tradizioni Pugliesi)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_difensivo_di_Ruvo_di_Puglia#La_cinta_muraria, http://cartapulia.it/dettaglio?id=127840, https://www.catalogo.beniculturali.it/approfondimento/elenco-degli-edifizi-monumentali-italia-del-1902/puglia-provincia-bari/castello-ruvo-puglia
Foto: la prima è di Forzaruvo94 su https://www.catalogo.beniculturali.it/approfondimento/elenco-degli-edifizi-monumentali-italia-del-1902/puglia-provincia-bari/castello-ruvo-puglia, la seconda è presa da https://www.ruvoviva.it/notizie/il-castello-di-ruvo-di-puglia-apre-eccezionalmente-le-sue-porte-ai-visitatori-1/
mercoledì 22 marzo 2023
Il castello di mercoledì 22 marzo
ASSISI (PG) - Castello di Armenzano
Il nome Armenzano deriva dal latino "armentum", che vuol dire mandria di buoi, cavalli, ... La risorsa principale del paese fu infatti, per molto tempo, l'allevamento anche perchè la sua conformazione geologica, fortemente scoscesa, si presta ai pascoli ma non all'agricoltura. La sua popolazione nel periodo medievale si componeva di circa 400 persone (40 fuochi); nel 1950 contava 550 persone, ora ridotte ad una trentina. Uno dei signorotti che nel medioevo comandava il castello era Napoleone di Umbertino dei Monaldi, figlio di Libertino, che dominava anche sui castelli di Nottiano, Rocca Paida, Villa Caberta, Villa Marforio e Serra di Valtopina. Aveva inoltre la sua residenza in Assisi, con uomini d’arme e famiglia; anzi due di questi ultimi, Benvenuto e Leonardo “serventes Nepuleonis” furono cacciati dal Comune per aver ucciso Buono di Oportolo. Tumultuoso era l’animo di Napoleone d’Armenzano; egli ospitava nel suo castello San Francesco di, cui era amico ed ammiratore, tutte le volte che il Santo si recava a predicare nella zona. Ma l’affetto per il Santo non aveva mitigato la violenza di quel temperamento. Troviamo infatti il nome del Conte in una accesa controversia con la cattedrale di San Rufino, a causa di alcuni diritti sul castello di Serra di Valtopina. Tuttavia grande era il suo prestigio: nel 1232, essendo tra i notabili, è elencato come primo tra tutti i cittadini che assistettero nella Cattedrale di Assisi alla solenne processione fatta dai rappresentanti del Comune di Todi per liberare la città di Perugia dalle obbligazioni da essa assunte verso il Pontefice. Innocenzo IV, nel 1249 ordinò ai canonici di Assisi di accogliere come scolaro Ugolino nipote del “dilecti filii nobilis viri Neapolionis de Armezzano“. Alla morte di Napoleone avvenuta il 16 Giugno 1255, la famiglia decise di vendere la Rocca Paida; venti anni dopo, nel 1271 anche il castello di Armezzano venne ceduto dietro compenso al Comune di Assisi. Conosciamo i nomi dei figli di Napoleone: Bonconte, Ugolino, Ubertino, Angeleia, Elena, rispettivamente sposati a Palmira, Bionda, Aldobrandina, Nicola di Cristiano, Ermannino di Bevagna. Dagli atti notarili risultano anche quelli dei suoi nipoti Adeleta, sposa di Guidone d’Andrea, Nopoleuccio, Dialta, Cristianuccio, Francesco e Giovanni. Dialta, ancora fanciulla, appena Chiara degli Scifi fondò l’ordine delle Monache Clarisse, entrò in convento cambiando il suo nome profano, celebrato nelle danze e nelle canzoni d’amore, in quello di suor Lucia. Nelle Riformane, in data 14 ottobre 1380, si ha ancora la discendenza di questa famiglia, trovandovi un certo “Iohannes Cecce Napulutii, costellanus castri Armenzani, comitatus Asisii”; pur non avendo più la sua dimora privata ad Armezzano, egli fu qui in veste di castellano della contrada, indicata chiaramente nel testo con il vocabolo “castri”, ossia luogo chiuso e fortificato, secondo le definizioni del tempo. Dei luoghi intorno alle dipendenze del castello si ricorda Nottiano, che diede origine al beato Giovanni il semplice, seguace di san Francesco episodio raccontato in questo sito riferito al Castello di Nottiano. Edificato lungo la strada che unisce Spello ad Assisi, Armenzano è adagiato su un colle dal quale si gode lo splendido panorama delle colline e dei monti nocerini e della verde valle del torrente Anna. Il poggio su cui Armenzano sorge, tondeggiante e ristretto, ha reso obbligatoria la costruzione delle case in due cerchi concentrici; più in alto svetta isolata l'abitazione del signorotto medievale. Le mura che cingevano il castello sono ora completamente diroccate. La porta del castello è posizionata a sud-ovest e, una volta superata, si apre una stretta via a spirale delimitata da case in pietra che guardano all’esterno verso le colline e sale fino al Cassero che emerge sull’intero abitato e ancora costituisce l’immagine più tangibile del potere feudale. L’arco della porta di fattura etrusca a tutto sesto fu costruito originariamente in pietra serena, con il passare del tempo la poca manutenzione portò, nei primi anni 50 al crollo e gli abitanti del paese ricostruirono in laterizio l’arcata esterna, mentre quella interna è stata ristrutturata in pietra serena. Altri link consigliati: http://cultura.ilsentierodiarmenzano.it/castello-armenzano-assisi/, https://www.youtube.com/watch?v=zHa_732jL-k&t=48s (video di Vania Cavicchioli in cui si vede il castello nei primi 23 secondi)
Fonti: http://www.armenzano.it/paese.asp, https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-armezzano/
Foto: entrambe prese da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/03_folignate-spoletino/00048/index.htm
martedì 21 marzo 2023
Il castello di martedì 21 marzo
CIGLIE' (CN) - Castello
Sul ciglione di alte rocce tra il Tanaro: questa sembra l'origine del nome Cigliè. Il borgo in origine era compreso nel contado Bredulese, sotto i franchi. Passato poi a Bonifacio del Vasto e di Savona, divenne una roccaforte del marchesato di Ceva. A fine 1200 Terre e Castello vennero venduti a Guglielmo dei Borghesi prima al Comune di Mondovì poi, per finire a metà 1400 a Giacomo della Torre, che decise di acquistare questo Comune piemontese. La storia di questo piccolo comune fu scossa da passaggi continui, tra cui quello al cardinale della Rovere; nel 1532 passò ai Pensa di Mondovì. Dopo il 1550 fu trasformato in dimora rinascimentale. Dal 1612 passò in feudo alla famiglia Capris ed attualmente è utilizzato come abitazione privata dall’ultima discendente. Nel 1631, con il trattato di Cherasco, Cigliè fu annesso da Vittorio Amedeo I nei domini di Casa Savoia. "Maestosa si presenta all’occhio la mole di questo edificio che alto si innalza sopra le umili case fra le quale convien passare per avvicinarvisi…”. Questa descrizione di un viaggiatore ottocentesco si adatta perfettamente all’imponente costruzione medioevale che domina Ciglié. La sua costruzione può essere fatta risalire nel periodo compreso tra il 950 e il 1000. Oggi, come detto, è proprietà privata e non ne è consentita la visita. Tuttavia una stradina consente di costeggiarne l’intero perimetro, ammirandone, anche se a distanza, sia l’ingresso che le torri, tra cui spicca il mastio centrale, massiccio ma nel contempo slanciato. Sulla piazza particolarmente interessanti alcune antiche abitazioni, rara testimonianza di edilizia non rurale della zona. Altri link per approfondimento: https://www.fungoceva.it/vallate_paesi/CIGLIEcast.htm, https://www.youtube.com/watch?v=ZdTJ1oMw1mE&t=4s (video di Valter Parola), https://www.youtube.com/watch?v=Lx6zV0RCh50&t=1s (video di Dragonfly Cuneo)
Fonti: https://www.welcomelangheroero.com/ciglie, https://langhe.net/sight/castello-di-ciglie/, https://www.comune.ciglie.cn.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=33012&IDCat=5070,
Foto: la prima è presa da https://www.facebook.com/photo/?fbid=479963347647345&set=a.479963334314013, la seconda è presa da https://www.fungoceva.it/vallate_paesi/CIGLIEcast.htm
lunedì 20 marzo 2023
Il castello di lunedì 20 marzo
CITTADUCALE (RI) - Castello di Calcariola
Sopra l’abitato di Grotti, sulla destra, si nota il Castello di Calcariola “l’opidolum”. Era un villaggio fortificato per difendere le popolazioni dalle scorrerie e dalle incursioni dei nemici. Alcuni video del bel borgo reatino: https://www.youtube.com/watch?v=OQi7uqfNlQU&t=199s (di Stefano Perrotta), https://www.youtube.com/watch?v=sbTgPkAZKMM (video di Antonello Massimi), https://www.youtube.com/watch?v=iA0PEFVMfxY (video con drone di Davide Falasca), https://www.youtube.com/watch?v=Ozm4C-9xUKI (video con Marco Miluzzi)
Fonte: https://www.facebook.com/profile.php?id=100064403001257&sk=about_details
Foto: la prima è presa da http://www.giobbe.org/NORCIA-CULTURA/Contenuti/Lazio/Cittaducale/Calcariola/Calcariola.html, la seconda è di Dario De Carolis su https://www.facebook.com/photo/?fbid=10216735534954736&set=gm.900270373703547
venerdì 17 marzo 2023
Il castello di venerdì 17 marzo
SARTEANO (SI) - Castello
Il Castello di Sarteano sorge su di un poderoso masso roccioso di travertino circondato da una rigogliosa vegetazione che nei secoli ha contribuito alla sua inespugnabilità e che oggi costituisce un parco naturale con i suoi lecci secolari. E' una fortezza cinta da doppia cerchia di mura con il maschio quadrato (con le mura alla base spesse addirittura sette metri) e torri rotonde ai lati. La prima traccia documentaria della Rocca risale al 1038, e sappiamo che fino al 1280 esso fu possesso dei conti Manenti e da questi ceduta al comune di Sarteano. Nel 1408, un poderoso esercito condotto da Ladislao di Durazzo, re di Napoli, nel tentativo di estendere i confini del proprio regno, si accampò in Val di Chiana nelle rocche di Ossaia e Valiano, in attesa di portare a termine l'impresa con la conquista della Repubblica di Siena e del Ducato di Firenze. Qui rimase per oltre due anni, compiendo devastazioni e razzie delle messi nelle campagne circostanti, tali da meritarsi l'epiteto di re guastagrano, rimasto a lungo nella memoria di quelle popolazioni. Nel mese di giugno 1409, le milizie di Ladislao mossero dagli accampamenti e, dopo aver occupato Cortona, assediarono il castello di Sarteano, che venne prontamente difeso dalle milizie locali impedendone l'espugnazione. Nel 1455 il Castello subì un nuovo assedio da parte dei mercenari della Compagnia di ventura condotta dal perugino Jacopo Piccinino, rivoltatosi contro il governo senese dal quale pretendeva un pagamento per liberare il territorio repubblicano dalle sue masnade. Anche in questa occasione i sarteanesi seppero sconfiggere il nemico e, per celebrare la vittoria, eressero un altare di cui ancor oggi appare traccia nel cortile interno della rocca. Da quel 29 giugno, giorno della ritirata del Piccinino, la popolazione tributò per lunghi anni una processione annuale di ringraziamento che, partendo dall'abitato sottostante il castello, risaliva fino alla porta interna. Nel 1467, il Comune di Sarteano, liberatosi delle passate difficoltà, concluse con il governo senese un contratto di accomandigia perpetua, che prevedeva la protezione diplomatica e militare da parte della Repubblica di Siena in cambio dell'ingresso a pieno titolo del Comune di Sarteano nella Repubblica stessa. L'attuale aspetto della fortificazione è dovuto ad una totale ristrutturazione ad opera dei senesi nel 1469, secondo le tecniche di costruzione messe in atto in Toscana dall'architetto Baldassarre Peruzzi. Così Sarteano ebbe la sua "cittadella" capace di resistere agli attacchi delle nuove armi (bombarde ed archibugi) portate in Toscana dall'esercito di re Alfonso di Napoli. Pare che anche il noto architetto senese Lorenzo di Pietro di Giovanni di Lando detto "Il Vecchietta" (1410-1480) contribuì al progetto, realizzando uno degli esempi costruttivi che mostra il passaggio al gusto rinascimentale fiorentino dopo i secoli dello stile gotico. Altri artisti che contribuirono alla trasformazione del cassero furono Guidoccio d'Andrea e Antonio Federighi. Il mastio centrale fu dotato di una cinta muraria intervallata da due torrioni circolari e interrotta nel punto di ingresso da un portone con ponte levatoio. Nel passato, il castello di Sarteano era dotato di un fossato che all’occorrenza veniva riempito di materiale incendiabile. Una volta appiccato il fuoco, in caso di assedio il castello era pressoché inespugnabile. Il mastio fu inoltre reso capace di ospitare stabilmente una guarnigione di soldati armati con armi da sparo; cunicoli sotterranei percorribili da soldati furono collegati con le porte di accesso dell'abitato. Il castello resistette a molti importanti assedi tra i quali quello ad opera di Cesare Borgia nel 1503 e quello dell'esercito spagnolo nel 1552, finché nel 1556 passò sotto il dominio mediceo segnando definitivamente la fine della Repubblica di Siena. Nel 1617 fu infine donato in uso perpetuo a Brandimarte Fanelli, per i servigi prestati, e tutti i suoi discendenti che lo ebbero in proprietà fino al 1997, anno in cui fu acquistato dall'amministrazione comunale e restaurato. Oggi la fortezza è stata acquistata dal comune di Sarteano per essere usufruita dalla cittadinanza. La sua struttura, massiccia e imponente, permette una visita che riporta alle suggestioni della vita delle guarnigioni che ospitava, sia percorrendo i passaggi di ronda fino ai torrioni laterali, sia salendo le ripide scale del mastio fino a giungere alla sommità da cui si gode un bel panorama. Anche il parco intorno al Castello, composto di lecci secolari, amplifica la bellezza del luogo, creando un distacco e un isolamento dal paese sottostante che rende ancora più suggestivo l'insieme e permettendo momenti di pace e di relax nell'attiguo Parco della Pace. L'interno del cassero è costituito da quattro piani e un terrazzamento finale a coronamento del mastio centrale, dal quale si può ammirare un'ampia porzione del territorio circostante. Molto interessante è la scala a chiocciola, composta da 134 gradini in travertino, che attraversa verticalmente l'edificio. Essa costituiva l'ultima via di fuga in caso di assedio poiché, partendo dall'alto, collegava direttamente l'ultimo piano del castello con il pianterreno conducendo in aperta campagna. Nel corso dell'anno, all'interno della struttura e del parco, si svolgono eventi culturali ed enogastronomici: storia, arte, tradizione, ambiente per fare del centro di Sarteano un territorio vivace ed accogliente. Altri link suggeriti per approfondimento: https://castellitoscani.com/sarteano/, https://tuttatoscana.net/itinerari-2/il-castello-di-sarteano-e-la-leggenda-della-lupa-senese/, https://www.flyworks.it/shop/sarteano-castello/ (foto aeree), https://www.youtube.com/watch?v=BvH6B-JzXuU&t=2s (video di Claudio Mortini), https://www.facebook.com/CastelloDiSarteano/videos/1112266608853427 (video), https://www.youtube.com/watch?v=usvZzeW9BCo&t=1s (video di Ali per Viaggiare)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sarteano, https://www.comune.sarteano.si.it/il-comune/strutture-comunali/castello-di-sarteano, https://www.fortezze.it/rocca_sarteano_it.html, https://www.vacanzenelmistero.com/castello-di-sarteano/
Foto: la prima è presa da https://www.quinewsvaldichiana.it/sarteano-giostra-del-saracino-cercasi-palio.htm, la seconda è una cartolina della mia collezione
giovedì 16 marzo 2023
Il castello di giovedì 16 marzo
SANT'ANDREA DI CONZA (AV) - Castello Episcopio
Le radici di Sant'Andrea di Conza affondano nel primo medioevo allorquando il Conte Gionata di Balvano, nel 1161 donò la chiesa e il territorio del casale, con tutti i suoi abitanti, alla Mensa arcivescovile di Conza, di cui Sant'Andrea divenne feudo. Il centro feudale ha seguito le vicende del territorio alternando la sua dipendenza tra antiche famiglie feudali e la Chiesa di Conza. Tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV secolo fu posseduto dalla famiglia Poncelly di origine francese, che costruì una fortezza (dalla peculiare forma a “C”) per difendere l'abitato. Il castello passò alla famiglia Del Balzo e nel XV secolo alla potente casata Gesualdo nel 1389, quindi alla famiglia Sinerchia che la tenne con titolo di Conte sino al 1485 anno in cui ne fu spogliata a seguito della partecipazione alla Congiura dei baroni. In seguito passò alla Regia Camera e poi nuovamente alla Mensa arcivescovile di cui ha seguito le vicende storiche e amministrative fino all'abolizione della feudalità nel 1806. Nel XVI secolo il castello divenne vescovado; restaurato nel 1980, a causa del sisma, oggi ospita gli uffici comunali ed è possibile osservare due torri cilindriche: una posta all'ingresso principale, l'altra affaccia sul panorama e sul giardino pensile, nel quale si può ammirare la fontana monumentale. Circondata da una balaustra realizzata interamente in pietra calcarea locale, essa è caratterizzata da tre cascate gradonate: la più grande, posta centralmente, è affiancata dalle due laterali, di dimensioni più piccole, e reca sulla sommità lo stemma vescovile. Altro elemento caratteristico è il portale d'ingresso in pietra, risalente al XVII secolo e sovrastato da uno stemma arcivescovile in pietra e da una lapide, recante un’incisione latina. Il centro ha rivestito un ruolo religioso e culturale di rilievo nel circondario in quanto fu scelto in seguito come luogo di residenza dagli arcivescovi conzani, per le superiori condizioni di vita rispetto alla vicina Conza, i quali vi fecero edificare l'episcopio ed il seminario. L'Episcopio, infine, dispone di una splendida vista dal giardino pensile e ospita un teatro all’aperto, sede di numerosi spettacoli che testimoniano la lunga tradizione teatrale, vanto dell'intera comunità. Altri link proposti per approfondimento: https://www.santandreadiconza.info/index.php/paese/luoghi/26-episc#nota1, https://www.irpiniaworld.it/episcopio-latmosfera-magica-di-santandrea-di-conza/, https://fondoambiente.it/luoghi/episcopio-sant-andrea-di-conza, http://www.irpinia.info/sito/towns/sandreaconza/episcopio.htm
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sant%27Andrea_di_Conza, https://it.wikipedia.org/wiki/Castelli_della_provincia_di_Avellino#Sant'Andrea_di_Conza, http://www.castellidirpinia.com/santandrea_it.html, https://sistemairpinia.provincia.avellino.it/it/luoghi/episcopio-di-santandrea-di-conza, https://www.youtube.com/watch?v=zCUqun2XFDw&t=49s (video di ITV online)
Foto: la prima è un particolare di quella di Salvatore Cassese di su https://sistemairpinia.provincia.avellino.it/it/comuni/santandrea-di-conza, la seconda è presa da https://www.santandreadiconza.info/
mercoledì 15 marzo 2023
Il castello di mercoledì 15 marzo
LAURIANO (TO) - Castello
Lauriano (già Lavriano) compare con la denominazione “Lavriana” nell’editto (7 Maggio 999) emesso da Roma dall’imperatore Ottone III. Con quell’atto venivano confermati vasti territori a favore del Vescovo Leone della Chiesa di S. Eusebio di Vercelli. Durante la lotta fra Arduino d’Ivrea ed il Vescovo Pietro I di Vercelli, fra i suoi fautori e alleati figuravano anche Isacco Aldone e i suoi fratelli e suo figlio Bennone, signori di Lavriano e delle terre vicine (insieme a Lianfredo e Aribaldo di Brosolo, Costanzo di Palazzolo, Rozone e Hugo di Montiglio, Astolfo, Umberto, Lanfredo di Cunico, e molti altri.). La lotta intrapresa da Arduino finì con l’occupazione di Vercelli, con l’assalto alla casa del Vescovo che fu ucciso e bruciato nella chiesa nella quale si era rifugiato (febbraio 997). Per reazione il Papa Gregorio V e il suo immediato successore Silvestro II scomunicarono Arduino; e l’imperatore confiscò tutte le proprietà di lui e dei suoi fedeli, dandole, con il citato editto, al nuovo Vescovo Leone. Tali concessioni erano confermate dal diploma del 1014 dell’imperatore Arrigo, nel quale compare il nome di “Levranum”. Il principe Guasco di Bisio aveva rilevato però che da atti vercellesi Lavriano risultava infeudato nel 1002 a Lianfredo di Brosolo. Lo tennero poi i suoi discendenti, sotto vari nomi, per due secoli, anche come vassalli del Vescovo o del Marchese di Monferrato. Anche contemporaneamente, infatti notiamo come nel 1164 Federico I Barbarossa, nipote del Marchese di Monferrato Guglielmo IV “il vecchio”, gli concedeva o confermava molte terre, fra cui anche il luogo di “Labriano” (queste differenti scritturazioni spesso sono dovute a imprecisioni degli amanuensi, i quali scrivevano anche sotto dettatura e quindi con irregolarità fonetiche). Nel 1224 Federico II riceveva dal marchese Guglielmo IV, in garanzia per un prestito di 9.000 marche d’argento, molte terre, fra cui anche quelle in vassallaggio a dei generici “Domini Lauriani”. Tuttavia notiamo che nel 1349 erano vassalli del Vescovo vercellese Fieschi i fratelli Lucchino, Antonio, Francesco, Facino, Nicolino e Gianchetto di Cavagnolo i quali detenevano i diritti della chiesa “de Plano Lauriani”. E diritti sulla zona di Lauriano da parte del Vescovo di Vercelli sono attestati ancora nel 1355. Ma possiamo elencare i seguenti passaggi feudali, anche parziali, ed anche abbinati a Monteu. Nel 1419 era consignore Pietro De Spagnolino detto Planta. Il 6 dicembre 1422 erano investiti i fratelli Delfino e Giacomo Rossi. Il 12 febbraio 1472 entravano Scozia Giorgio e Bartolomeo, zio di nipote. E il 5 agosto 1532 erano pure consignori i fratelli Bartolomeo e Melchiorre Provana. Il loro feudo era tolto il 1° maggio 1628 a Giorgio Provana (per fellonia) e dato a Re Francesco. Questi lasciava il suo feudo al genero Ferrero Giovanni, contadone da Buttigliera il 22 dicembre 1637. Il suo feudo, signorile, veniva elevato alla dignità comitale il 3 giugno 1648. Risulta che nel frattempo porzioni di territorio avessero i signori di Verolengo, e già i Morra di Moncalieri. Ma fu il 26 aprile 1777 che il tenente G. Battista Morra divenne feudatario col titolo di Conte. Il borgo di Lauriano ebbe molte traversie militari (saccheggi, occupazioni, incendi, distruzioni) da parte degli occupanti di turno, milizie e soldatesche che scorrazzavano per il Monferrato e il Piemonte, specie intorno al 1625, in dipendenza degli assedi al castello di Verrua (spagnoli, uomini di Tommaso di Savoia, del Maresciallo Villa, del comandante Vialles, del Reggimento “Novara”). Gli abitanti furono sempre poco più di un migliaio, anche se dopo la grande alluvione del 1835 erano rimaste in piedi solo 40 case. Sulla cima della collina più alta di Lauriano rimangono, sotto un intrico di vegetazione, soltanto le rovine dell’antico “castrum”, che era probabilmente un complesso fortificato del XII secolo con strutture difensive, avente la funzione di ricetto, cioè luogo di deposito di prodotti agricoli e di rifugio per la popolazione in occasione di pericolo. Si hanno notizie di questo edificio da una sorta di elenco delle mura e fortificazioni del Ducato di Mantova e Monferrato compilato nel 1597-1598. Dai documenti che si riferiscono a Laurino, in latino ed in italiano, risulta, il 7 Febbraio 1598 a firma di Alex Ferrero, giurisdicente di Lauriano, che già sul finire del XVI secolo l’ “antiquum castrum” era da tempo abbandonato e ridotto a “castello ruinato”, in rovina probabilmente a causa del prelievo di materiale per nuove costruzioni. Già allora le rovine erano circondate da rovi: “rippagi pieni di spine”! In un documento del 17 Novembre 1714 la struttura viene descritta come “castello antico di detto luogo e affatto demolito, cioè il sitto del medesimo al presente del tutto rimboschitto in misura di giornate due”. Tale descrizione, se esatta, ci fornisce la ipotetica estensione del sito fortificato circa mq. 7.600. Oggi sotto l’intrico di rovi è possibile vedere i ruderi del castrum e intorno alla sommità della collina un muro a secco formato da pietre e mattoni di recupero alto all’incirca m. 3 e con spessore di base superiore al metro. Ecco un interessante video (di Albyphoto 2) dedicato, anche, all'antica costruzione di cui stiamo parlando: https://www.youtube.com/watch?v=i8_NG_Y6w8s
Fonti: https://www.comune.lauriano.to.it/Guidaalpaese?IDPagina=34990&IDCat=5433, http://archeocarta.org/lauriano-to-resti-castrum/
Foto: la prima è presa da https://zaubee.com/biz/rovine-del-castello-di-lauriano-g12ho43b, la seconda è di Sergio Sapetti su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Antico_castello_di_Lauriano.jpg
martedì 14 marzo 2023
Il castello di martedì 14 marzo
MONTALCINO (SI) - Castello Romitorio
L'edificio sorge sulla sommità di una collina in bella posizione panoramica sulla Val d’Orcia e su Montalcino. Il Poderoso fortilizio, circondato su tre lati da lecci, è a pianta quadrata con quattro grosse torre angolari, edificato con pietrame grezzo e dotato di fasce marcapiano in cotto. Le fondazioni del Castello Romitorio risalgono probabilmente ad epoca romana, forse come prigione di soldati disertori di fede cristiana. Fu questo un periodo di grande sviluppo economico e di commercio, facilitati dalla posizione della Val d’Orcia, attraversata dai fiumi navigabili dell’Ombrone, dell’Arbia e dell’Orcia. Resti archeologici rivelano la presenza di coltivazioni agrarie, miele e vino, prodotti su cui si fondava l’economia della zona. Il Castello venne trasformato in monastero almeno fino al XII secolo, quando iniziarono le dispute tra Firenze e Siena. Fu allora fortificato per la sua posizione strategica, al centro delle vie di comunicazione tra la costa e il centro Italia e tra il nord e il sud della penisola. L’attuale edificio, imponente e solitario, affiancato da una piccola cappella, è di costruzione trecentesca. Montalcino e il complesso di fortificazioni di cui il Castello Romitorio faceva parte furono sempre fieri della propria libertà: nel 1559, quando si arresero ai Medici, rappresentavano l’ultimo Comune libero d’Italia. È a questo periodo a cui risalgono le prime testimonianze scritte del Brunello, con cui i difensori di Montalcino si «arrubinavano il volto». Recuperato come maniero e villa patrizia già nell’Ottocento, il Castello Romitorio fu abbandonato nel secondo dopoguerra, e rimase disabitato per lunghissimo tempo. Divenuto ospizio per pastori e armenti, negli anni ’70 divenne proprietà del Barone Giorgio Franchetti, luminare del collezionismo d’arte e del recupero di edifici storici. Non essendo mai riuscito a completare il suo piano di sviluppo e restauro, il Barone vendette il castello in stato di rudere all'artista Sandro Chia nel 1984, momento in cui è iniziata la seconda vita di Castello Romitorio. Quest'ultimo ne fece la sua residenza e il suo laboratorio artistico. Assieme al Castello, Chia rilevò vigneti, boschi di lecci e gerbidi. L’obiettivo fu subito chiaro: Romitorio poteva tornare a splendere solo se, al recupero del Castello, fosse stata ripristinata la sua antica vocazione alla viticoltura. La nuova cantina venne inaugurata nel 2005.
Fonti: https://www.castelloromitorio.com/origini.aspx, http://www.valdorciasenese.com/castello-romitorio-p-10_vis_9_474.html
Foto: la prima è presa da http://www.valdorciasenese.com/castello-romitorio-p-10_vis_9_474.html, la seconda è presa da https://www.consorziobrunellodimontalcino.it/news/?p=17616&lang=it
Fonti: https://www.castelloromitorio.com/origini.aspx, http://www.valdorciasenese.com/castello-romitorio-p-10_vis_9_474.html
Foto: la prima è presa da http://www.valdorciasenese.com/castello-romitorio-p-10_vis_9_474.html, la seconda è presa da https://www.consorziobrunellodimontalcino.it/news/?p=17616&lang=it
lunedì 13 marzo 2023
Il castello di lunedì 13 marzo
MONTEFERRANTE (CH) - Castello Di Sangro
Collocato su un colle roccioso alla destra del Sangro, il comune di Monteferrante nacque nel XV secolo come borgo fortificato. Arroccato attorno al castello medievale della famiglia D’Aragona, prese parte del nome da Ferrante I D’Aragona. Le prime notizie risalgono al XII secolo come proprietà di Robertus de Monteferrante, feudatario di Symon conte di Sangro. Nella Generalis Subventio degli angioini risalente al 1320 il valore del paese ammontava a 5 once e 4 tari. Nel XIV secolo viene menzionato per le decime dovute alle chiese: S. Johannis, s. Petri e S. Leucite in Monteferrante. Dal XV secolo fino all'eversione dei feudi fu feudo dei Caracciolo. Nella parte alta del paese si intravedono i pochi ruderi del piano dell’antico castello della famiglia dei Di Sangro. Le informazioni di questo castello restano quasi esclusivamente nella memoria popolare come luogo in cima al colle. Rimangono invece alcune tracce delle antiche mura, dove sono ancora visibili un breve tratto di fortificazione e una piccola porta d’accesso collegata alla chiesa di San Giovanni Battista. Trattasi, in dettaglio, di una piccola porta urbica con una fornice ad arco a tutto sesto e di un breve tratto della cinta muraria. Le mura sono realizzate in tecnica irregolare mediante pietre sbozzate. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=gTANT9Srtj8 (video di Luciano Giannobile), https://www.youtube.com/watch?v=kebJL64Ie8M e https://www.youtube.com/watch?v=9GqBov5OGSA (entrambi i video di Raffs Drone Lens), http://www.bassosangrotrigno.it/comuni/monteferrante/8100108396_a28e5393c3_z/
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Monteferrante, http://www.comune.monteferrante.ch.it/territorio/, https://sangroaventinoturismo.it/monteferrante
Foto: l'unica trovata è presa da http://www.bassosangrotrigno.it/comuni/monteferrante/8100108396_a28e5393c3_z/
venerdì 10 marzo 2023
Il castello di venerdì 10 marzo
PALERMO - Castello dell'Uscibene
Detto anche Palazzo Scibene o palazzo dello Scibene, è uno degli antichi Sollazzi Regi dei re normanni in Sicilia, situato nel quartiere Altarello di Baida. Un palazzo “reale” di cui non si hanno fonti storiche che consentano di datare con certezza la sua origine, ma che, insieme a quello di Maredolce, del Parco (oggi Altofonte), la Cuba Sottana, la Cuba Soprana, la Piccola Cuba e la Zisa, costituivano i sollazzi o “palazzi di piacere”, residenze reali destinate allo svago e al riposo specie nei periodi più caldi. Per questo erano costruiti nella Piana di Palermo, attorniati di giardini rigogliosi, e acque che rendevano più piacevole la residenza. Da un’analisi stilistica, si presume che l’edificio appartenga al regno di Ruggero II (XII sec.) dal momento che non vi è alcuna documentazione che testimoni che il palazzo esistesse già nel periodo islamico. La sua costruzione sarebbe databile secondo alcune interpretazioni tra il 1130 ed il 1154, ma è anche possibile che questa sia ritardabile di alcuni decenni nel periodo compreso tra il 1154 ed il 1189. Il monumento è il frutto di una storia stratificata di trasformazioni e di restauri che lo hanno interessato dall'Ottocento ad oggi. Nel livello inferiore della costruzione troviamo ancora oggi la presenza di un îwân a pianta quadrata con due ampie sale attigue simmetriche. La copertura con volta a crociera ha tre nicchie, una di fondo e due laterali, coperte da semicalotte, nella calotta di fondo in pietra e stucco restano alcune tracce di muqarnas con alveolature, mentre nelle due nicchie laterali, costituite da catini a ombrello rivestiti di stucco, ancora in parte riconoscibili muqarnas scanalati a sezione triangolare. A modello del sistema idrico della Zisa o del Castello della Favara o di Maredolce, dalla parete di fondo, in prossimità della muqarnas fuoriusciva un rivo d’acqua che attraversava l’ambiente e, oltrepassato il portale d’ingresso, andava ad alimentare la pescheria. Al livello superiore si accede da una scalinata ricavata nei vani all’îwân centrale, dove rimane solo la cappella con i muri perimetrali arricchiti da arcate cieche disposte secondo il consueto stile decorativo normanno. Nel 2018 un dibattito tra le istituzioni e la città, ha rimesso in primo piano l'esigenza di un progetto di restauro del monumento, che comprenda il restauro dell'intero complesso architettonico e la valorizzazione del paesaggio urbano e agricolo che lo contiene. Dibattito animato anche da contributi scientifici, sull'intero complesso architettonico, che restituiscono una ricca presenza di personaggi importanti per la storia del restauro siciliana, quali Francesco Saverio Cavallari, Francesco Valenti, Mario Guiotto e Giovan Battista Filippo Basile, uniti a osservazioni e rilievi dello stato attuale, studio ancor più significativo se inquadrato alla luce del rinnovato riconoscimento dei monumenti «arabo–normanni» di Palermo da parte dell’UNESCO. Si tratta in origine di un piccolo padiglione privato della famiglia Scibene collegato con la sottostante azienda agricola (oggi vignicella dei gesuiti) (intervento di Francesco Lopiccolo al Convegno sullo Scibene del 2014 presso fac. ingegneria). La tenuta agricola passata alla nobiltà normanna fu donata agli arcivescovi di Palermo che provvidero alla realizzazione della cappella e del palazzo sopra il padiglione realizzando così un'ampia terrazza panoramica verso il mare. Successivamente gli arcivescovi abbandonarono il luogo per un altro spazio di villeggiatura (Baida) e la tenuta fu affittata decadendo progressivamente. Nel tempo (1568 circa) i gesuiti acquisirono la tenuta maggiore (Scibene inferiore) e provarono ad acquisire la tenuta superiore con il padiglione e il palazzo vescovile entrando in rotta di collisione con il principe di Villafranca che ne ottenne il possesso. Restaurò l'edificio e impiantò il giardino sia realizzando una camera dello scirocco nell'antico jiwan, sia ripristinando il laghetto e impiantando due monumentali fontane di "crocchiole" cioè conchiglie (ricerche di Angheli Zalapì). Il giardino era "aperto al pubblico" suscitando le ire dei gesuiti che alla fine riuscirono ad impadronirsene e il luogo fu abbandonato probabilmente come sede del "peccato". Al centro è presente una fontana simile a quella del castello della Zisa e si trova in una sala cruciforme, vi sono anche delle piccole volte di tipo orientale poste anche in altri edifici contemporanei. Ad una estremità dell'edificio c'è una piccola chiesa con volte a botte. In realtà il tetto era ligneo con maggiore altezza sul santuario (ril Cavallari , Goldsmidt ecc) a seguito di crolli e ristrutturazioni il tetto della navata è stato abbassato (esisteva ancora al tempo del Goldsch.) e dopo il crollo il soprintendente dell'epoca progettò un tetto "innovativo" sul santuario: volta a botte in c.a recentemente con un restauro "filologico" è stato definitivamente restaurato l'ingresso. L'edificio è in totale stato di abbandono, stritolato dalla vegetazione e dai detriti. Necessiterebbe di interventi di manutenzione e ripristino. Inoltre la cappella è stata posta sotto sequestro per mancata tutela nel 2014. Il monumento è stato riaperto in occasione dell'evento "Le vie dei tesori" tenutosi nel 2017, che ha riaperto per la prima volta il monumento al pubblico. L'edificio oggi (2022) è in fase di restauro sebbene non si sia tenuto conto dei rilievi di Cavallari, di Basile, di Goldschmidt. Altri link per approfondimento: https://www.italianostra.org/beni-culturali/palazzo-delluscibene-a-palermo-pa/, https://www.siciliaweekend.info/2021/03/08/castello-uscibene-palermo/, https://www.youtube.com/watch?v=JmDOcV-zHqM (video del C.R.I.C.D.), https://www.youtube.com/watch?v=x6Pjgt44oTA (video di Regione Siciliana), https://www.palermotoday.it/video/castello-uscibene-fruibile-vie-dei-tesori-.html (video)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_dell%27Uscibene, testo di Maria Angela Pileri su https://www.palermoviva.it/palazzo-delluscibene/
Foto: entrambe prese da https://www.italianostra.org/beni-culturali/palazzo-delluscibene-a-palermo-pa/
giovedì 9 marzo 2023
Il castello di giovedì 9 marzo
DOMUS DE MARIA (SU) - Torre Aragonese di Chia
L'attuale paese ha avuto origine nel XVIII secolo grazie all'insediamento dei padri Scolopi e ad un gruppo di famiglie provenienti dai territori limitrofi che si stabilirono nella zona per sfuggire alle continue incursioni barbaresche. L'abitato che si sviluppò fu incorporato nella baronia di Pula, dipendente dal marchesato di Quirra, feudo prima dei Centelles e poi degli Osorio, ai quali fu riscattato nel 1839 con la soppressione del sistema feudale. La torre di Chia si erge su un promontorio che nell'antichità era l'acropoli di Bithia, città punico-fenicia del I millennio a.C. Si raggiunge a piedi attraverso un sentiero di circa 20 metri ed è la testimonianza di un passato più recente che risale al XVI secolo, quando la Sardegna divenne terra di conquista spagnola. La torre fu edificata nel 1578 per volontà del viceré spagnolo De Moncada, con l’obiettivo di difendere la foce del Rio di Chia, punto di approdo dei commerci e spesso nel mirino delle scorribande piratesche che in questa area del Mediterraneo durante i secoli del Rinascimento italiano erano molto numerose. Nel 1592 la torre era detta de "I Santi de Quaranta de Quia", forse per la presenza di una chiesa altomedioevale dedicata ai quaranta martiri di Sebaste. Prima della costruzione del baluardo (1572), l'area era detta anche "la guardia maestra". Già nel 1594 la torre era operativa. Quando venne costruita, la torre di Chia fu attrezzata come una "torre de armas", cioè "armata", perché munita di cannoni del calibro di 6 e 8 libbre sempre pronti a far fuoco e di feritoie di avvistamento dalle quali le guardie davano l'allarme. Ospitava una guarnigione di 5 persone, più altre due per ciascuna delle due "guardie morte" (cioè le postazioni di vedetta mobili, senza torre). La struttura non poteva contenere più di 5 uomini; infatti, gli uomini delle vedette di Las Cannas e di capo Spartivento, che di notte riparavano nella torre, erano costretti a dormire nel terrazzo sotto la mezzaluna (tettoia di canne e coppi sovrastante la terrazza all'aperto, così detta per la forma a semicerchio). È stata edificata in pietra calcarea, ha un'altezza di circa 13 m e un diametro di oltre 10 m. Ha una forma a tronco di cono ed è dotata di una scala interna che congiunge il piano rialzato con la sommità. Secondo uno schema collaudato e diffuso nell'intero settore S/O, presenta una zoccolatura di base molto pronunciata e all'interno del primo piano la volta è sostenuta da una massiccia colonna centrale. L'ingresso si apriva a circa 5 m dal suolo in direzione N. Lo spessore murario è di circa 2,5 m d'ampiezza, nel cui interno si sviluppa la scala di accesso al terrazzo, costruita in gradini di pietra e coperta in origine con tavole di ginepro. Le mura esterne sono caratterizzate, come le torri di San Macario e del Coltellazzo, da conci di arenaria calcarea ben squadrati, provenienti dall'antica città di Bithia, e da ciottoli arrotondati. Nel 1605 si ha notizia dei primi restauri. Nel 1614 la torre - essendo "alcaide", (comandante della torre) Leonardo Lucio Obino - aveva subito un incendio probabilmente ad opera dei barbareschi che ne assaltarono gli spalti. Nella piazza d'armi sono visibili le tracce di tre cannoniere e di due garitte lignee, che proteggevano i boccaporti e di cui si ha notizia dal 1767. In epoca sabauda la guarnigione scese a tre torrieri più l'artigliere e l'alcaide. Nel 1720 la fortezza era in buono stato. Durante questi anni la torre mantenne la sua importanza e la sua presenza favorì la nascita, nel XVIII secolo, dell'abitato di Domus de Maria. Nel settembre del 1769 l'ingegnere Perin e il misuratore Girolamo Massey preparano un intervento di restauro per le torri di Chia e del Coltellazzo, ma le stesse nel 1773 ebbero bisogno di altri lavori secondo la relazione del misuratore Viana. Un intervento fu realizzato nel 1784, ma già nel 1786 l'alcaide lamentava che la nuova santabarbara fosse già diroccata. Altri lavori furono effettuati con cadenza periodica dal 1806; successivamente nel 1818 dall'architetto Girolamo Melis e nel 1840 dal mastro Rafaele Fadda. Dopo la dismissione, conseguente alla fine dell'Amministrazione delle Torri, fino agli anni '50 del XX secolo, la Torre di Chia fu utilizzata dalla Guardia di Finanza, per contrastare il contrabbando. Nel 1988 e all'inizio degli anni '90 ha subito un pesantissimo restauro, grazie al quale la torre ancora oggi gode di un buono stato di conservazione. Dall'alto della sua maestosità si può contemplare un meraviglioso panorama che regala ai forestieri una visione d'insieme del paesaggio da togliere il fiato. Ecco alcuni video sulla torre: https://www.youtube.com/watch?v=d7m16vtVF6c (di Thesilentube83), https://www.meteoweb.eu/2017/04/sardegna-domus-de-maria-e-la-torre-di-chia-viste-dallalto-video/891478/, https://www.youtube.com/watch?v=wZheDK_CygE (di Destination Sardinia), https://www.youtube.com/watch?v=WYC2zeRnbwM (di AllWays Sardinia)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Domus_de_Maria, https://www.chiasardegna.net/it/articles/52/la-torre-di-chia-tracce-di-un-passato-aragonese.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Chia, http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=17857&v=2&c=2466&c1=2640&visb=&t=1
Foto: la prima è di Rsroberto su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Domus_de_Maria_Torre_di_Chia_3.jpg, la seconda è presa da https://www.itbeach.it/torre-di-chia-acropoli-di-bithia-domus-de-maria/
mercoledì 8 marzo 2023
Il castello di mercoledì 8 marzo
CADEO (PC) - Castello di Zamberto in frazione Roveleto
Un tempo in queste terre “feracissime” di Saliceto e nelle sue fattorie e monasteri “incastellati” (fortificati) tra cui lo erano anche Selvareggia o Selvarezza, Tornora e Zamberto vivevano circa 1300 persone che si dedicavano all’agricoltura e all’allevamento mentre, nel resto del comune di Ca’ Deo gli abitanti residui ammontavano a 2000 circa nel 1890. Dunque, questo comunello, era veramente molto importante, in quanto si trovava in una zona importantissima di collegamento tra Piacenza e Cremona, tra le vie romee Emilia e Postumia, tra Piacenza, Cremona e Fidenza (Fiorenzuola al tempo era ancora un semplice ma importante “mansio”, una stazione di cambio dei cavalli di alto livello imperiale). Zamberto, di conseguenza, rappresentava un fortilizio “agrario” di notevole importanza per il ruolo di “fabbrica del cibo” che la sua fortunata posizione gli permetteva. Il palazzo fortificato di Zamberto è una magnifica villa incastellata, uno splendido gioiello barocco che prende il nome dalla famiglia Zamberti, che ne fu proprietaria a partire dal Cinquecento, Il conte Paolo Camillo degli Zamberti lasciò scritto che, in mancanza di discendenza maschile, la grande proprietà incastellata fosse ceduta, alla sua morte, ai nobili Nicelli o alla contessa Paola Nicellli sposata con il conte Ignazio Rocca, i quali si sarebbero dovuti impegnare a dare alla loro discendenza maschile il cognome Zamberti.; con l'estinzione della famiglia, avvenuta nel 1770 l'edificio passò al conte Giuseppe Rocca, erede del ramo della famiglia Nicelli, a sua volta estinto, che vantava il diritto di subentrare alla famiglia Zamberti. Così avvenne nel 1770 quando morto l’ultimo erede maschio del casato degli Zamberti, il canonico Giuseppe, la proprietà passo ai Rocca essendosi estinta nel frattempo anche la discendenza dei Nicelli. Il discendente diretto della contessa Rocca, nata Nicelli, conte Giuseppe Rocca ereditò tutto fino a quando nel 1831, Gian Antonio Rocca, cedette il complesso all'Opera Pia Alberoni. L'edificio si compone di un monoblocco con quattro torri circolari angolari, ciascuna di dimensioni diverse. All'interno sono presenti dei camini in arenaria decorati da motivi floreali. Il complesso include un oratorio di struttura poligonale che presenta sul portale di accesso uno stemma degli Zamberti rappresentante un pappagallo ed è sormontato da una snella lanterna. A differenza del resto del complesso, l'oratorio, in particolare l'interno decorato con stucchi, si trova in cattive condizioni di conservazione. Altri link per approfondimento: https://www.liberta.it/news/cronaca/2013/12/28/fantasmi-presenze-rilevate-nel-castello-di-saliceto-incontro-organizzato-da-spazio-tesla/, https://valdarda.wordpress.com/2012/05/10/cadeo-lo-zamberto-tra-un-maschio-erede-e-labbandono/
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cadeo, https://new.turismopiacenza.it/itinerari/roveleto-di-cadeo/palazzi/palazzo-fortificato-di-zamberto/, https://www.altavaltrebbia.net/2020/11/14/palazzo-fortificato-di-zamberto/
Foto: è presa da https://new.turismopiacenza.it/itinerari/roveleto-di-cadeo/palazzi/palazzo-fortificato-di-zamberto/
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cadeo, https://new.turismopiacenza.it/itinerari/roveleto-di-cadeo/palazzi/palazzo-fortificato-di-zamberto/, https://www.altavaltrebbia.net/2020/11/14/palazzo-fortificato-di-zamberto/
Foto: è presa da https://new.turismopiacenza.it/itinerari/roveleto-di-cadeo/palazzi/palazzo-fortificato-di-zamberto/
martedì 7 marzo 2023
Il castello di martedì 7 marzo
SACILE (PN) - Castello
Si ipotizza che Sacile sia stata fondata nell'VIII secolo come avamposto militare collocato presso un'isola artificiale (un "sacco", da cui il toponimo) ottenuta grazie all'escavo di una diversione del Livenza. Mantenne a lungo una condizione di centro di confine, stretto tra le giurisdizioni del castello di Cavolano, a sud, e del castello di Caneva, a nord e, dal punto di vista ecclesiastico, tra le diocesi di Ceneda e di Concordia. Il fortilizio doveva essere ancora in piena attività nel X secolo, quando avrebbe sostenuto l'invasione degli Ungari, tuttavia con il tempo cominciò ad affiancare alle funzioni militari quelle di centro industriale e commerciale. Grazie alla presenza del Livenza che forniva l'energia meccanica necessaria, il borgo poté arricchirsi di impianti per la lavorazione dei metalli e la molitura. Lo stesso fiume, grazie ad alcune opere idrauliche, venne reso navigabile fino al mare, aprendolo ai traffici. Discorso diverso per i mercati i quali, per questioni soprattutto igieniche, non potevano tenersi all'interno della città. La zona extramuraria, come si è visto, ricadeva però sotto altre giurisdizioni e i Sacilesi dovettero quindi faticare non poco per ottenere concessioni dai vicini, che talvolta si risolvevano in violenti liti. A partire dall'XI secolo la città poté godere di ulteriori vantaggi in concomitanza con la formazione dello Stato patriarcale. I principi-vescovi, infatti, scelsero Sacile per trascorrervi lunghi soggiorni durante i quali emetteva sentenze, incontrava ambasciatori, organizzava feste. Nel 1190 l'abitato ottenne le libertà comunali, ovvero la concessione dell'autonomia amministrativa mediante la stesura di propri statuti. In età medievale, dunque, Sacile rappresentava un centro aperto e dinamico, decisamente opposto alle ristrette realtà dei feudi confinanti. Nel 1366, precisamente l'8 novembre, a Sacile furono promulgate le Constitutiones Patriae Foriiulii (Costituzioni della Patria del Friuli) una delle più antiche costituzioni scritte della storia. Nel 1420 Sacile, come il resto del Friuli, venne annessa alla Repubblica di Venezia; durante il periodo veneziano ci fu un grande sviluppo grazie ai commerci, soprattutto fluviali e molte famiglie nobili eressero i loro palazzi lungo il fiume e i suoi canali. Nel 1797, alla caduta della Serenissima, Sacile perse il potere sui territori dei paesi vicini ed entrò in una crisi economica. La nascita del piccolo castello sull'isola del Livenza va ascritta alla fine del secolo X. Sappiamo che nel 1207 il patriarca Volfero convocava la Curia vassallorum nel castello di Sacile. In quel tempo il complesso era costituito dal Castelvecchio e dal Castello di corte, cinti da mura e da fosse con due porte d'accesso, una verso il Friuli, denominata Borgo Ricco, l'altra diretta nel Trevigiano, chiamata Inferiore o di San Gregorio. Il patriarca Gregorio a metà del 1200 spese ingenti somme per fortificare i castelli friulani, tra questi anche quello di Sacile, spesso danneggiati a seguito degli assalti di Ezzelino da Romano. Per le minacce derivanti dai Caminesi e dagli Scaligeri, dopo un periodo di abbandono, i fortilizî furono potenziati nelle difese nel 1274 e nel 1325 per volere rispettivamente dei patriarchi Raimondo e Pagano della Torre; ulteriori migliorie si ebbero nel 1347, allorché il patriarca Bertrando di Saint Geniès fece costruire le mura di cinta che dal castello arrivavano fino al porto (ovvero l’altra isola sulla quale approdavano le barche mercantili), e nel 1409 ad opera del patriarca Antonio Panciera. Nel 1422 il Castel Vecchio venne rinnovato. Nella seconda metà del 1400 vennero costruite due ali di muro per unire Castelvecchio alla terra, una si estendeva verso Borgo Ricco e l’altra verso quello di S. Gregorio. La più completa descrizione delle fortificazioni di Sacile si deve a G. Marchesini: illustrando il sito (1957) scrive che "le rovine dell'antichissimo castello ancor vedonsi intorno al tempio maggiore della città". Del vecchio castello oggi restano solo pochi ruderi, ovvero il torrione mozzato e resti delle mura di cinta. Degli originari cinque torrioni, oggi ne sono rimasti tre, quello più antico di Castelvecchio, il torrione di S. Rocco e quello del Foro Boario. In particolare sull’imponente torrione di S. Rocco è presente il Leone alato di San Marco, segno della presenza a Sacile della Serenissima Repubblica di Venezia. Altri link suggeriti: https://www.visitsacile.it/arte-storia-fede/architetture/mura-e-torrioni/, https://condottieridiventura.it/morando-di-porcia/ (foto)
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sacile, https://consorziocastelli.it/icastelli/pordenone/sacile, https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/sacile-pn-castello/
Foto: la prima (torrione di Prà Castelvecchio) è presa da https://www.asasacile.it/archivio/2015/, la seconda (torrione del Duomo) è presa da https://souvenirdiviaggio.it/sacile-cosa-vedere-in-un-giorno-poche-ore/
lunedì 6 marzo 2023
Il castello di lunedì 6 marzo
MERANO (BZ) - Castel Trauttmansdorff
La storia di Castel Trauttmansdorff risale attorno al 1300, quando nel luogo dove ora sorge il castello ne fu edificato un altro, chiamato Neuberg, che ebbe fra i proprietari gli Angerheim e i Suppan. La famiglia Trauttmansdorff lo acquistò nel 1543 mentre si trasferiva dalla Stiria nel Tirolo meridionale, oltre a due castelli nei pressi di Trento. Franz, il figlio dell'acquirente, lo fece ampliare. Due generazioni più tardi questo ramo della famiglia Trauttmansdorff si estinse, segnando il tramonto di un'epoca: la nobiltà perse interesse per i castelli di sua proprietà e si ritirò nelle residenze urbane. La conseguenza fu il decadimento del castello Neuberg nell'anno 1777. Tra il 1777 e il 1778 crollarono la torre e la cappella. Il maniero rimase in rovina, fino a quando nel 1846 il Conte della Stiria, Joseph von Trauttmansdorff, un parente della famiglia, si trasferì a Merano, neonata "città di cura", e ricomprò l'edificio 150 anni dopo che i suoi parenti l'avevano abbandonato. Ridotto a rovine, lo ampliò fino alle dimensioni che lo caratterizzano al giorno d'oggi, integrandolo con elementi neogotici. Il castello fu rinominato Trauttmansdorff e fu il primo esempio di castello neogotico nel Tirolo. Nel 1867 Joseph morì ed il suo corpo venne deposto nella cripta, situata attualmente sotto la cappella del castello. Morto scapolo, il suo ingente patrimonio passò in eredità al cavalier Moritz von Leon, molto probabilmente figlio illegittimo del conte. Nel 1870 ospitò Elisabetta di Baviera, la principessa d'Austria Sissi, durante le sue cure a Merano. Con le figlie Gisella e Maria Valeria, rispettivamente di 14 anni la prima e di 2 anni la seconda, l'imperatrice occupò l'ultimo piano dell'edificio. Questa visita rese la cittadina sudtirolese estremamente famosa come luogo termale. Vissero nelle stanze del secondo piano dell'edificio. Il seguito dell'Imperatrice era invece composto da 102 persone e fu sistemato in alcune residenze nei dintorni della struttura. Fu grazie all'Imperatrice Elisabetta che Merano divenne una nota "città di cura". A pochi mesi dal suo arrivo a Merano, infatti, i giornali viennesi annunciarono i progressi fatti dall'Imperatrice, che non godeva di ottima salute, beneficiando del clima mite presente nella città dove si stanziò per sette mesi. Nel settembre 1889 Elisabetta tornò per la seconda volta a castel Trauttmansdorff, otto mesi dopo che suo figlio Rodolfo d'Asburgo-Lorena, nonché principe ereditario, si era suicidato a Mayerling. L'ospite dell'imperatrice fu Moritz von Leon, che però fu costretto a rivendere tutti i suoi beni, compreso il castello e le residenze di Pienzenau e Fragsburg, con le relative tenute a Friedrich von Deuster di Kitzingen, proveniente da Kitzingen, non distante da Würzburg. Deuster partecipò attivamente alla vita della città di cura in pieno sviluppo. Diventò membro della direzione corse dell'ippodromo, acquistò Fragsburg, fece allestire frutteti e giardini tutto attorno al castello e rialzò l'ala orientale con una sala in stile neorococò. Questi portò il castello a nuovo splendore, che terminò con l'inizio della prima guerra mondiale. In seguito alla prima guerra mondiale e l'annessione del Tirolo meridionale al Regno d'Italia nel 1919/20, Friedrich von Deuster fu espropriato dei suoi beni, come molti cittadini germanici in Italia, sotto il Fascismo, e divenne sede dell'Opera Nazionale Combattenti e fu italianizzato in Castel di Nova (dal nome del torrente che scorre poco distante). Nel periodo caratterizzato dal fascismo gli arredi del castello furono quasi completamente perduti e l'edificio diventò cadente. L'ONC tentò di trovare un acquirente per la proprietà del castello, senza però riuscirci. Nel corso dell'occupazione tedesca della provincia dopo l'armistizio dell'8 settembre fu usato dalla Wehrmacht. Nel 1977 l'Associazione Nazionale Combattenti fu sciolta e la proprietà passò all'amministrazione provinciale. Nel 2003, all'interno delle antiche mura é stato inaugurato il primo museo dell'arco alpino dedicato esclusivamente alla storia del turismo, il Touriseum. Attorno al castello sono stati inaugurati nel 1994 i bellissimi Giardini Botanici di Trauttmansdorff, i quali occupano una superficie di ben 12 ettari e ospitano più di 80 esemplari di paesaggi naturalistici di tutto il mondo. Dai giardini ombrosi costituiti da alberi del nord e del sud America, grosse felci e "fossili viventi" del Mediterraneo, coloratissimi e profumati giardini, frutti e vigneti, fino ad esemplari artistici di giardini europei storici – tra cui anche un labirinto reale. Tutto ciò ha trovato qui a Merano il suo habitat naturale. Anche innumerevoli vigneti e frutti autoctoni hanno trovato il loro rifugio, ma anche il vigneto più grande e più vecchio al mondo (https://www.trauttmansdorff.it/it/i-giardini-di-castel-trauttmansdorff.html e un loro video di Renzo Manganotti: https://www.youtube.com/watch?v=AMdY7JR5Nmw). Altri link suggeriti: https://www.lorenzotaccioli.it/castel-trauttmansdorff-e-giardini-botanici-guida-completa/, https://www.suedtirolerland.it/it/video/i-giardini-di-castel-trauttmansdorff/ (video)
Fonti: https://www.suedtirolerland.it/it/cultura-e-territorio/castelli/castel-trauttmansdorff/, https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Trauttmansdorff, https://www.altoadige-tirolo.com/castell-trauttmansdorff-merano/
Foto: la prima è di Llorenzi su https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Trauttmansdorff#/media/File:Trauttmansdorff_Castle_panorama.jpg, la seconda è presa da https://www.meranerland.org/it/cultura-e-territorio/merano-citta-di-cura/i-giardini-di-castel-trauttmansdorff/
Iscriviti a:
Post (Atom)