TERNENGO (BI) - Castello Avogadro
Eretto
per difesa, il Castello di Ternengo sorge tuttavia in una posizione defilata e
strategica e risulta non essere stato teatro d’eventi bellici. Costruito come
rocchetta, fu utilizzato per lo più,
secondo
la definizione dei Conti, come “residenza castellata” ed é di una tipologia
rara da trovare in questa zona. La scarsa documentazione disponibile parla di
castello, ma non divulga notizie sulla fondazione. L’edificio fu nominato
solamente nei documenti d’investitura che si susseguirono dalla fine del Quattrocento
fino all’abolizione dei privilegi feudali. Nel documento datato 12 Ottobre
1562, che conferma il diritto di primogenitura in favore dei primogeniti maschi
di Casa Gromo, si
dice,
infatti, che Giorgio Gromo di
Ternengo “spontaneamente e di sua certa scienza et animo deliberato per Vittorio, suo figliolo maschio
primogenito legittimo e naturale, e successivamente altri primogeniti maschi
discendenti, informa a pieno et certificato d’un elettione e continuatione di
primogenitura del Castello, luogo et beni di Ternengo”. L’ipotesi dello storico
Torrione che il castello avesse
origini remote in quanto “sorto attorno ad una vetusta torre fatta erigere dai
Signori del luogo, i Casalvolone,
intorno al X secolo”, non ha finora trovato conferme nei documenti d’archivio. Sempre
secondo Torrione, sarebbe da attribuire agli Avogadro, nel XIII
secolo, la costruzione di una casaforte intorno alla torre e, successivamente,
un castello munito di torri. Secondo Giuseppe
Maffei, il maschio e la torre furono aggiunti nel 1400, alla parte orientale,
molto più antica. Le prime notizie scritte sul castello si hanno a partire dal
1498. Il primo documento è un’investitura del Duca di Savoia Filiberto II ai fratelli Bartolomeo, Bernardino e Giacomo, che ottennero di esercitare i
loro diritti “super castro, loco, hominibus iurisdicionibus et finibus dicti
loci Ternengi”. Da quest’anno in poi, in tutti gli atti pubblici e privati e
fino all’abolizione
dei privilegi feudali, i Signori del luogo saranno sempre ricordati come “Signori
del Castello e del luogo di Ternengo”. D’altra parte, i caratteri
architettonici e stilistici delle parti più antiche
dell’attuale castello sono chiaramente quattrocenteschi e Torrione, in
considerazione di ciò, sostiene che il castello pareva “atto più agli ozi
villerecci che non alla vita militare” e che sia la rocchetta
che la torre cilindrica erano più di vedetta che di difesa. Nel XVIII secolo si
deve a Pietro Gromo la
trasformazione della costruzione dei moduli che vediamo ancora oggi nella
casaforte. Dopo la restaurazione della monarchia Sabauda, il castello rimase ai
Gromo per alcuni decenni, durante i quali, insieme alle terre, fu dato in
affitto agli agricoltori del luogo fino al 1859, anno in cui fu venduto all’Ing.
Carlo Moglia per la somma
di 4.500 lire. L’utilizzo agricolo ne accentuò la decadenza poiché subì degli adattamenti
che modificarono l’aspetto originario, ulteriormente alterato
nei primi anni del Novecento. Secondo il Torrione, durante gli ultimi restauri,
andò distrutto un affresco di Bernardino
Lanino, del 1540, raffigurante un Cavaliere della Famiglia Gromo "genuflesso
in atto di rimettere la spada ad un giovane paggio biondo, vestito d’azzurro e
bianco, per mettersi, privo delle armi, in adorazione ed invocare Iddio”. Sugli
angoli di una delle torri si vedono ancora gli stemmi dipinti dei Savoia. Per
entrare dalla porta corazzata si passava attraverso un elegante peristilio
risalente al 1500, sostenuto da colonnette doriche di pietra verdastra. Sopra
lo sfondo arcuato della porta vi era l’affresco del Lanino. Il Maffei ne
descrive l’interno: “Da questa porta si saliva una scala fatta con embrici rosa
da cui si entrava in un vasto salone al primo piano, che occupava tutta la
perimetria quadrilunga del maschio. Un camino al centro e guarderobe del XVII°
secolo ne riempivano gli angoli e negli intervalli del muro v’erano ancora gli uncini
ai quali s’appendevano armature, spade e aste, i chiodi ed i canti delle quali
lasciavano l’impronta sull’intonaco…”. Nella rocca di Ternengo si radunavano,
per esercitarsi nel maneggio delle armi, tutti gli uomini validi di Bioglio,
Ronco, Pettinengo e Zumaglia sin dal 1300, perché erano tutti concordi nel
difendersi dalle scorrerie che facevano le famigerate soldataglie dei Fieschi, Signori di Masserano. Le
uniche avventure militari che poté vantare d’aver avuto il castello, oltre agli
attacchi dei Fieschi, furono quelle degli Spagnoli, che già assediavano il Castello di Zumaglia, e quelle dei Francesi del Maresciallo Brissac. Tutto il
complesso doveva essere circondato da un fossato, ancora ricordato nel 1701. Un
acquerello della collezione Torrione mostra il castello visto da Est:
si possono notare la rocchetta, ancora senza il balcone (poi costruito durante
il restauro), al suo fianco la svettante torre originaria con monofore fino al
quinto piano e terminata dopo una
fascia
di mattoni a dente di sega da una cella con una bifora per lato. Vi è
raffigurato anche il peristilio. Gli edifici restanti, più bassi, erano forse
adibiti ad usi rurali ed abitativi. In una litografia, Enrico Gonin raffigurò il castello, ma l’immagine che ne
abbiamo è contraddittoria: in alcuni punti coincide con l’acquerello del
Torrione (sono presenti la torre, la rocchetta, il peristilio, l’ingresso
laterale attraverso un portone di pietra) ma, a destra, si trova un fabbricato,
poco più basso della rocchetta, a due piani e con finestre rettangolari
incorniciate da archi acuti, che non è presente in nessun’altra raffigurazione.
Una stampa pubblicata nel 1891 da Strafforello
è particolarmente
chiarificatrice
per capire l’andamento dei lavori, in quanto raffigura un passaggio dal vecchio
impianto all’attuale. Ripreso da Ovest, si vede il balcone nella torretta, ma è
ancora presente la torre, erroneamente da molti considerata cilindrica. Si vede
solo uno dei fabbricati bassi dopo la torre e presenta già alterazioni nelle aperture.
E’ già scomparso il peristilio ricordato dal Maffei. E’
edificato
su pianta quadrilatera irregolare con corpi disposti attorno ad un cortile. Sul
lato della facciata posto a Sud-Est vi sono due torri, una a pianta quadrata e
l’altra circolare. Gli altri tre lati sono occupati dalla massiccia costruzione
della rocchetta. Le restanti parti fungono da collegamento tra le due torri e,
fra queste, la rocchetta che, giunta pressoché inalterata fino ai giorni
nostri, si eleva per quattro piani fuori terra ed è coronata da caditoie dal
lungo beccatello. Alcune delle sue aperture sono monofore strombate; altre,
molto più recenti, sono di forma rettangolare. La rocchetta è stata trasformata
solo nel tetto che è stato lievemente ribassato, secondo il tipo dei “manoirs” francesi,
vale a dire con il tetto molto ripido coperto di tegole squamate di colore
ardesia che fa del castello l’unico esempio, nel Biellese, di questo tipo di
costruzione. I corpi di collegamento tra le torri sono costruiti da tre piani
fuori terra ed interrotti da aperture a monofora, bifora e rettangolari. Nella
sommità corrono in aggetto una serie d’archetti in stile gotico, sormontati da
merli guelfi. Il tessuto murario si presenta ad intonaco a finta pietra o
liscio, mentre alcune parti presentano una muratura di mattoni a vista. Le due
torri, oggi visibili, furono edificate durante alcuni discutibili restauri
effettuati all’inizio del Novecento, quando fu abbattuta la più antica torre
cilindrica. La torre quadrata ha quattro piani fuori terra sormontati da un’altana
che ha, alla base, una decorazione d’archetti
gotici in aggetto. Anche la torre cilindrica consta di quattro piani fuori
terra, con aperture
circolari nella cortina all’ultimo piano; sopra queste vi sono delle caditoie
dal lungo beccatello che sostengono una struttura circolare che è il supporto
dell’altana merlata con merli guelfi. Partendo dal già citato Ing. Carlo Moglia, che acquistò il castello
nel 1859, altri proprietari si susseguirono nel corso degli anni. Il figlio unico
dell’Ing. Moglia, Ferdinando,
poco incline a curarsi dell’edificio e di salute cagionevole, finì col venderlo
al Conte Partini, costruttore
edile di Roma, in cambio di un vitalizio ed una residenza in Frazione Villa. Un
altro proprietario, dopo Partini, fu il Giudice
Vizzini il quale iniziò incautamente i lavori di manutenzione ma,
pare che, ben presto
il castello fu spogliato sia degli arredi interni sia delle essenze erbacee che
ornavano l’ampio parco circostante. Nel 1980 il castello fu acquistato dall’Architetto
Fiorentino Mauri, primo ed unico
tra tutti i proprietari, a redigere una serie di cartografie riguardanti
piante, facciate, interni e planimetrie. In questo modo, il Sig. Mauri appronta
un progetto di “restauro conservativo”, vale a dire il risanamento dell’edificio,
lasciando in vista la lettura dell’età del manufatto. Con tale progetto, la
Sovrintendenza alle Belle Arti ha rilasciato all’attuale proprietario il “nulla
osta perenne”. Tra le numerose opere di risanamento va citata la copertura del torrione,
con laterizio a “scandola” (un genere di copertura che troviamo soltanto in
Alta Savoia ed in Germania), riportandola a com’era originariamente. Sono stati
risanati i merli e la scala della torre cilindrica che erano stati demoliti da
un fulmine. Sul lato Ovest, durante le opere di restauro, è stata evidenziata l’antica
apertura del ponte levatoio. Internamente sono stati ripresi tutti i preziosi
affreschi con la tecnica dello “spolvero”: il disegno originale viene
recuperato prima su un foglio di plastica e dopo su un foglio da lucido che
viene bucherellato, applicato su soffitto e pareti e, tamponando con ossidi sui
buchi, si lascia, sotto il foglio, la traccia del disegno che, in seguito,
viene recuperato nella sua integrità. Sono stati, inoltre, ritrovati alcuni
spezzoni di cassettoni di legno decorati risalenti al 1600. Al momento sono in
progetto ulteriori lavori di ristrutturazione, tra i quali il recupero dei
pozzi (uno all’interno e l’altro all’esterno), rimasti inutilizzati per
moltissimo tempo. Ora è finalmente possibile ammirare il castello in tutta la
sua grazia: al centro di un ampio parco verde circoscritto da un fitto bosco di
castagni, adatto ad ospitare feste, matrimoni ed unico punto
strategico, nel paese, per l’atterraggio dell’elisoccorso.
All’interno troviamo un ampio salone affrescato e corredato di pertinenze che
lo rendono adatto ad accogliere meeting e convention. Una caratteristica è
rimasta immutata nel tempo ed è l’atmosfera di pace e serenità che si percepisce
all’interno del castello, come se quei muri fossero custodi fedeli di una
storia vissuta da esistenze, votate come citano i quattro motti iscritti nella
volta delle scale, ad “Opus,opes,studium,parcitas”,
e …… che tuttora ivi dimorano.
Fonti: http://www.castelloditernengo.com/utilities/storia_it.htm
(sito ufficiale), testo di Lorella Cav. Torelli su http://www.biellaclub.it/_cultura/libri/ternengo/libro-ternengo.pdf
Foto: la prima è presa da http://www.comune.ternengo.bi.it/Portals/351/Images/Castello.jpg,
la seconda da http://www.castelloditernengo.com/images/ter_3.jpg