venerdì 31 ottobre 2014

Il castello di sabato 1 novembre






MONALE (AT) – Castello Scarampi (di Mimmo Ciurlia)

Imponente costruzione di impianto medievale, domina il territorio circostante dall’alto, offrendo un magnifico panorama sulle Alpi. Un documento del 1161 parla del castello che sorgeva al culmine del Bricco di San Giovanni, descrivendolo come una costruzione dotata delle più moderne difese dell'epoca. Da allora, insieme con il feudo di Monale, anche il castello passò nelle mani di vari proprietari, seguendo le alterne vicende della storia. Fu dei Montenatali, del Vescovo di Asti, del Comune di Asti (a cui lo assegnò il Barbarossa), passò ai Gardini, fu teatro delle lotte fra ghibellini e guelfi. Venne distrutto  nel 1305 durante l’attacco fatale da parte dei guelfi capeggiati da Guglielmo di Mombello e successivamente riedificato dagli Asinari per essere poi ceduto agli Scarampi, ricchi banchieri astigiani che ne conservarono a lungo la quota maggiore. Nel 1796, soppressi i feudi, gli Scarampi rimasero proprietari del castello. Le ultime rappresentanti della famiglia Scarampi di Monale furono due sorelle, Paola ed Adele. Adele, donna di grande bellezza e spirito, sposò il Conte Carlo Gani, diplomatico, filantropo già console di Spagna a Torino, portando in dote con sè il castello, e da allora l’edificio appartiene alla famiglia Gani. Proprio i Conti Gani, restaurarono la costruzione secondo il gusto del tempo, evidenziando l'aspetto medievale piuttosto che quello settecentesco. Quasi isolato sul costone orientale della collina l'imponente castello domina la valle fondendo la forma austera del medioevo con l'armoniosità del Settecento. Costruito in mattoni, massiccio, su pianta ad "U", è circondato da un giardino cintato, in parte pianeggiante, ricavato nel XVII secolo spianando un versante della collina sulla quale è stato costruito. La merlatura bifida, che orlava cortili e torri, è stata otturata da un sopralzo, ma è ancora ben visibile su tutto il lato sud ed in altre zone. Ben conservato è il doppio fregio a denti di sega, che corre sotto la merlatura lungo le facciate sud ed est e che costituisce motivo peculiare di questa ed altre costruzioni della zona. All'interno sono ben conservate le cantine, i sotterranei e le pitture di alcuni soffitti di epoca relativamente tarda (a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo), il parco caratterizzato da alberi secolari ed un viale di olmi e frassini che termina con una balaustra da cui si spazia a 180° sulle Alpi. All'interno troviamo il Salone del camino che conserva un grande camino decorato; la Biblioteca, con centinaia di volumi antichi, ha un soffitto stupendamente affrescato, la Sala da Pranzo con la boiserie del XVIII secolo e gli stemmi di famiglia conferiscono a quest'ambiente un fascino particolare. Nel cortile interno, molto suggestivo, troviamo un pozzo ed un roseto nella parte centrale. Il castello Scarampi è stato inserito nel sistema dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte. Ha inoltre un suo sito web: http://www.castello-scarampi.it/


Il castello di venerdì 31 ottobre






TOLENTINO (MC) - Castello della Rancia

E' uno dei simboli della città, posto a metà strada tra il mare Adriatico e i monti Sibillini, lungo la via Lauretana. Esso è situato nella contrada Rancia, sulla pianura situata alla sinistra del fiume Chienti. Probabilmente il termine "Rancia" è una corruzione della parola grancia, ovvero granaio, dal francese grange, mutuato dal latino granica, nome che i Camaldolesi e altri ordini monastici danno alle loro fattorie fortificate. Costruito come fattoria fortificata nella metà dell'XI secolo il Castello della Rancia era inizialmente una sorta di casa-torre con strutture autonome per la difesa delle derrate agricole. Il maniero venne ampliato e adattato nel XIV secolo (1352-1355) per volontà di Rodolfo II da Varano, senza perdere la sua funzione originaria, e utilizzato come dimora signorile. Ricoprì un ruolo primario nelle vicende storiche del luogo fino alla metà del XVI secolo e nel 1581, gestito dai Gesuiti, ritornò ad essere casa colonica e deposito alimentare a seguito della pacifica dominazione della Chiesa. In seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, disposta dal papa Clemente XIV nel 1773, la proprietà del castello passò alla Camera Apostolica che nel 1829 lo vendette al nobile casato dei marchesi Bandini, ora principi Giustiniani Bandini. Date importanti da ricordare sono il 2 e il 3 maggio del 1815, giorni della furibonda battaglia detta "della Rancia" o di "Tolentino" quando l'intera zona divenne campo di scontro tra l'esercito francese di Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato di Napoleone, e le truppe austriache del generale Federico Bianchi. L'importanza di quest'evento nella storia d'Italia fu tale da essere ritenuto l'esordio del Risorgimento italiano. Nel corso dei secoli, al Castello della Rancia si sono soffermati personaggi illustri come Braccio da Montone, Francesco Sforza. Tra questi, anche Papa Pio VI, la cui sosta al castello venne celebrata dal marchese Bandini nel 1782 con la costruzione di un arco trionfale situato a pochi metri dal castello e che ancora oggi è visibile lungo la Strada Statale 77. Il castello, di forma quadrangolare, è composto da una cinta merlata rafforzata da tre torri angolari. A difesa dell'ingresso principale si eleva una delle torri a cui si accedeva mediante un ponte levatoio, sostituito in seguito da uno in muratura. Il mastio è alto venticinque metri ed è costituito da quattro piani, di cui i primi tre sono voltati a crociera. Il piano seminterrato del mastio, illuminato da due alte feritoie a bocca di lupo, fu un tempo usato come prigione come indicano i grossi anelli in ferro infissi alle pareti. Su due lati adiacenti della corte, provvista al centro di una profondissima cisterna, s'innalzano due porticati con archi a tutto sesto sorretti da pilastri cilindrici in laterizio. Al primo piano (fornito di un ampio camino e raggiungibile tramite una scala a chiocciola in pietra) un altro porticato affianca un ampio salone, probabilmente la parte del castello che aveva funzione di residenza. Dal cortile si accede a una cappellina barocca eretta dai gesuiti. Testimonianze non confermate sostengono l'esistenza, al centro del cortile, di un'altra cisterna dove sembra vennero sepolti molti dei caduti durante la Battaglia di Tolentino nel 1815. Secondo la tradizione esisterebbe inoltre una galleria medievale che dovrebbe congiungere il castello alla basilica di S. Nicola. Attualmente l'edificio è di proprietà del Comune di Tolentino e dal luglio del 2000 ospita il Museo Civico Archeologico “Aristide Gentiloni Silverj”. Ecco una guida per visitarlo, ricca di notizie: http://www.tolentinomusei.it/sites/tolentinomusei.it/files/articoli/allegati/Pieghevole%20A3_ok.pdf
Il castello ha anche una pagina Facebook: https://it-it.facebook.com/pages/Castello-della-Rancia/371635582975561
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.tolentinomusei.it/it/castello-della-rancia, http://www.incastro.marche.it/incastro/tolentino/castello.STM
Foto: una cartolina della mia collezione mentre la seconda è presa da http://www.artestoria.com/immagini/rancia.jpg

giovedì 30 ottobre 2014

Il castello di giovedì 30 ottobre






CASTROCARO TERME E TERRA DEL SOLE (FC) – Rocca di Monte Poggiolo

Il Monte Poggiolo (212 mt s.l.m.) è una collina appartenente all'Appennino forlivese, a una decina di chilometri da Forlì, sulla sinistra orografica del fiume Montone. L'altura è importante per la presenza, sulla sua vetta, di una rocca medievale. Nata probabilmente come torre di vedetta della cittadella di Castrocaro, i primi documenti storici che riportano indirettamente informazioni su questa rocca portano la data del 906 e citano un tal «conte Berengario del castello di Montepoggiolo». Collocata in posizione strategica elevata, la Rocca di Montepoggiolo fu contesa nei secoli dalle varie signorie di Forlì, Faenza e Castrocaro. Vicende cronologiche del castello di Monte Poggiolo:
  • Nel 1080 il castello di Monte Poggiolo passò dagli Ordelaffi agli Orgogliosi.
  • Nel 1124 passò ai Conti Pagani, cui il pontefice Gregorio VII aveva concesso il feudo di Castrocaro.
  • Nel 1179 venne incendiato e distrutto dalle truppe ghibelline.
  • Nel 1185 venne ricostruito dai Pagani che vi si erano rifugiati dopo essere stati cacciati da Castrocaro dal Cardinale Ottaviano degli Ubaldini.
  • Dal 1234 al 1317 rimase in possesso della città di Faenza.
  • Nel 1317 passò agli Ordelaffi che lo vendetter alla città di Forlì.
  • Nel 1382 Francesco Paulucci di Calboli che era signore di Monte Poggiolo cedette la rocca alla città di Firenze.
  • Nel 1403, insieme al castello di Castrocaro, fu annesso al Granducato di Toscana.
  • Nel 1471 venne deciso il suo ampliamento da semplice torre a rocca vera e propria, sotto la direzione dell'architetto Giuliano da Maiano.
  • Nel 1482 il castello di Monte Poggiolo fu riconosciuto ai fiorentini.
  • Nel 1564, con la costruzione di Terra del Sole a brevissima distanza, la rocca di Monte Poggiolo ne divenne vedetta.
  • Nel 1661 la rocca di Monte Poggiolo fu danneggiata dai terremoti che colpirono il territorio romagnolo in quell’anno.
  • Edoardo Warren descrisse così la Rocca di Monte Poggiolo nel 1748: "Questo posto scuopre tutta la pianura della Romagna papale da Faenza fino a Ravenna e l'Adriatico, di modo che non è possibile far passare fra questo mare e Terra del Sole di piano alcun corpo considerabile senza esserne avvisati".
  • Nel 1772 il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo I disarmò la città-fortezza di Terra del Sole e la rocca di Monte Poggiolo.
  • Nel 1782 a seguito della vendita all’asta delle proprietà demaniali del Granducato di Toscana la rocca di Monte Poggiolo venne acquistata da privati. Il primo proprietario fu don Bagio Magli che la comprò per 300 scudi toscani.
  • Ad oggi il castello è chiuso al pubblico e recintato, poichè pericolante, ma mantiene ancora inossidabile il suo fascino.
La Rocca di Montepoggiolo, costruita in mattoni, si presenta tuttora con una pianta romboidale. Dispone di quattro torrioni cilindrici agli angoli del fortilizio, tre dei quali alti 12 metri, caratterizzati da grandi muri a scarpa, secondo un modello diffuso nelle cosiddette fortificazioni di "transizione" sorte con l'avvento delle armi da fuoco. La costruzione presentava infatti anche elementi tipici delle fortificazioni medievali come il camminamento di ronda su beccatelli a mensole. Un grande torrione cilindrico, la torre principale, alto circa 18 metri, svolge le funzioni di mastio del complesso fortificato. I solai del mastio e del torrione nord-ovest erano irrobustiti da travi di legno ancora visibili. Gli scudi esterni delle cannoniere sono di pietra arenaria con foro tondo, secondo il più diffuso tipo del ‘400; all’interno le cannoniere sono a pianta trapezoidale, costruite con lastre di pietra inclinata, sopra di esse ci sono sfiatatoi rettangolari. I beccatelli sono di mattoni in laterizio posti tra gli archetti. I corridoi interni della rocca sono a volta bassa, costruiti in arenaria come le porte visibili tuttora. Alcune cannoniere sono dentro al fossato, cioè alla base dei torrioni e sono più di quattro all’interno di essi. La rocca ha due ingressi, uno al centro del mastio e l’altro nella cortina ovest: il primo ha due porte, superata la seconda il passaggio diventa stretto e basso fino ad arrivare ad un terzo portone. La seconda porta, nella cortina, ha un’altezza di 1,50 metri e non si vedono resti di ponti levatoi, perché era nascosta nel fossato. La pianta originaria mostra che il piano terra era adibito a scuderia ed il piano superiore a dormitorio e comunicante con la scala a chiocciola del torrione nord-ovest. Purtroppo la parte sud, rovinata, è irriconoscibile. Probabilmente le cortine nord ed est erano affiancate da un ballatoio di servizio e usate come magazzino. Nel cortile si aprono tre botole quadrate: una adibita a silos interrato, una seconda apertura si presenta come un tombino profondo circa 10 metri, usato come filtro delle acque piovane, l’ultima è cilindrica, alta circa 2 metri. Una scala porta al cammino di ronda, che è continuo fino al Mastio dove c’erano due cannoniere. Le casematte dei torrioni hanno pareti di circa 2,50 metri di spessore a volta emisferica, con corridoi che sfociano nei reparti adibiti alle cannoniere. Alla base della Rocca di Monte Poggiolo è stato ritrovato nel 1983 quello che a tutt’oggi si ritiene essere il più antico sito preistorico europeo. Nel quadro delle fortificazioni difensive preposte al controllo armato del territorio circostante, Monte Poggiolo rappresenta la tipologia più classica di avamposto militare collegato ad un più ampio e articolato sistema difensivo capace di trasformare, in caso di necessità, la rocca in una vera e propria "macchina da guerra", seppure quest'opera fortificata non fosse molto ampia e abbracciasse un perimetro di m 146,85. Oggi si presenta in stato di abbandono e degrado strutturale anche se sono stati avviati vari interventi di restauro parziale che non hanno però ancora restituito la rocca alla sua antica bellezza. Circa trent’anni fa la rocca fu acquistata dall’architetto bolognese Luigi Vignoli, che tentò di iniziare il restauro, ma il progetto venne respinto. Quindici anni dopo il complesso fu acquistato da Enrico Schiavina di Bologna, già vice-presidente dell’Associazione Italiana Castelli. Su suggerimento della Soprintendenza Archeologica egli intendeva alloggiare nella Rocca anche i reperti del Paleolitico ritrovati sul posto. Il costo dell’opera, con le restrittive prescrizioni imposte dalla Soprintendenza, apparve ancora troppo alto, quindi nulla di fatto. Alla Rocca di Monte Poggiolo è legata una leggenda che narra dell’esistenza, ai tempi di Caterina Sforza, di una galleria che dall’interno conduceva fino alla rocca di Ravaldino, a Forlì. Vi è poi il mistero di una foto, scattata (non si sa da chi) alla fine del 1800 e trovata per caso sul banchetto di un rigattiere nella Piazza "del ferrovecchio" di Forlì pochi anni fa. In essa, alle spalle del personaggio in primo piano con zoccoli ai piedi, bastone sottobraccio e baffoni, sul rudere della garitta posta sopra la porta del castello, è affacciata una figura di donna con un camice bianco; una osservazione più attenta fa capire che non si tratta di una donna "in carne ed ossa" ma quasi certamente di una figura femminile "eterea" ovvero un fantasma. Da qui la leggenda del fantasma di Monte Poggiolo. Vi è anche un gruppo Facebook dedicato alla rocca: https://it-it.facebook.com/pages/Rocca-di-Monte-Poggiolo/257683267740537


Foto: di Franco Mercuriali su http://www.fotografieitalia.it e di Vasco Bartoletti su http://www.emiliaromagnaturismo.it/it/galleria-fotografica/681-la-rocca-di-monte-poggiolo

mercoledì 29 ottobre 2014

Il castello di mercoledì 29 ottobre






CASTROCARO TERME E TERRA DEL SOLE (FC) – Fortezza

Pressoché sconosciuta al grande pubblico per la sua prolungata inagibilità, è invece considerata dagli esperti uno dei più significativi esempi di architettura fortificata composita, dove gli ampliamenti strutturali, succeduti nel tempo, si sono adattati alle esigenze belliche e alla morfologia del terreno. Nel cuore della Romagna forlivese, dove il fiume Montone scorre lento e sinuoso, e la valle si dilarga tra le pendici degli ultimi contrafforti dell'Appennino, si erge la caratteristica rupe su cui, da oltre un millennio, vigila la Fortezza di Castrocaro. Questo singolare ed accentuato affioramento di roccia carsica, detto localmente sasso spungone, è ciò che resta di una antichissima scogliera sottomarina di età pliocenica (10 milioni di anni fa), formata da calcarei arenacei organogeni, ricchissimi di resti fossili marini di notevole interesse geologico. Grazie alla sua posizione elevata e di difficile accesso, quindi facilmente difendibile, la rupe ebbe valore strategico sin dalla preistoria, offrendo, nelle diverse grotte ancora visibili, un sicuro rifugio ai suoi abitatori. Di essi è attestata la presenza fin dal neolitico, palesata dal ritrovamento in loco di numerosi reperti, tra cui una bella accetta in diorite verde. La rupe assolveva inoltre molto efficacemente alla funzione di avvistamento, necessaria per sorvegliare il passaggio di uomini all'imbocco della vallata. Nell'Alto Medioevo la rupe su cui si erge la Fortezza segnava il confine che divideva il regno Longobardo dai domini bizantini. E' in questo periodo che probabilmente vennero poste le prime pietre della torre che ancora oggi domina il paese. La prima testimonianza scritta dell'esistenza di un “castrum” fino ad oggi conosciuta è una pergamena che risale al 1.059, quando il fortilizio era abitato da una famiglia comitale dell'entourage degli imperatori tedeschi. Dal 1118 il castello risulta appartenere ai Conti, infeudati dall'Arcivescovo di Ravenna, vassallo, a sua volta, dell'imperatore. Una conferma di questo stato di cose, anche se per ora ha soltanto carattere di ipotesi, potrebbe venire da quest'evento: Matilde di Canossa nel 1118 tenne un placito nella Pieve di Santa Reparata per dirimere una controversia dovuta al fatto che il vescovo di Forlì - secondo la querela della controparte, cioè la badia benedettina di Santa Maria foris portam di Faenza - aveva occupato i beni e le rendite della pieve di Santa Reparata che i suoi predecessori avevano donato al monastero fiorentino; il giudizio di Matilde fu a favore dei monaci di Santa Maria; suo garante ed esecutore venne designato proprio Bonifacio, conte di Castrocaro. Fu probabilmente i Conti di Castrocaro, una delle famiglie più agguerrite dell'Appennino romagnolo, a trasformare la primitiva torre in una solida rocca, in grado di ospitare e proteggere la corte feudale, amministrare politicamente ed economicamente il territorio, controllare militarmente l'accesso alla valle. In breve il castello di Castrocaro raggiunse una determinante rilevanza strategica, tanto che nel 1160 e nel 1164 ospitò anche l'imperatore Federico Barbarossa, a conferma dell'importanza che il fortilizio aveva ormai acquisito. Un documento del 1177 ci ricorda l'alleanza dei Conti di Castrocaro con il Barbarossa contro la Lega Lombarda. Nel 1179 il castello fu assediato dall'esercito imperiale per il sospetto di contatti fra Castrocaro e la Lega Lombarda, ma resistette grazie anche all’appoggio dei Faentini. Altri documenti ci ricordano che nel 1188 la Rocca era abitata dal conte Bonifacio. Per la sua rilevanza strategica la Rocca fu sempre nelle mire del Papato, che più volte ne reclamò invano i diritti. Per questo motivo nel 1212 l'imperatore Ottone e i Conti di Castrocaro incorsero addirittura nella scomunica. Nel 1213 il castello fu assediato dai forlivesi nel tentativo di estendere il loro controllo sul contado. Nel 1220 l'imperatore Federico II riconfermò il feudo al conte Bonifacio. Lo stesso anno il cancelliere imperiale Cristiano di Magonza dispose che il rettore imperiale della Romagna dovesse insediarsi nella Rocca di Castrocaro. Nella seconda metà del XIII secolo Castrocaro fu un possedimento Gianciotto Malatesta (marito di Francesca da Polenta, la celeberrima Francesca cantata da Dante Alighieri). Con la morte di Federico II (1253) e il disorientamento imperiale che ne seguì, il potere papale assunse maggior prestigio, e grazie all'aiuto militare angioino gran parte della Romagna finì sotto il potere temporale della Chiesa. Nel 1282 fu la volta dei Conti di Castrocaro, che furono costretti a sottomettersi al papa Martino IV. Quell'anno il castello passò sotto il diretto controllo della Chiesa, che vi insediò proprie milizie ed un castellano. E' questa una data storica per Castrocaro, poiché la Fortezza cessò di essere residenza feudale, per divenire presidio militare e sede di tribunale. Per diversi anni la Rocca fu sede del Rettore di Romagna, individuato dal papa nella persona del Re di Napoli Roberto d'Angiò. Sono di questo periodo sostanziali trasformazioni al complesso, che lo resero inespugnabile, se non col tradimento: “ il detto castello non si potea combattere … ed era molto forte di sito in tale modo che non si vedea che per battaglia si potesse vincere” (Anonimo fiorentino). Nel Trecento, per la sua strategica posizione, la Rocca fu oggetto di aspre contese tra i signori locali e lo Stato della Chiesa. Subì assedi nel 1310, 1334 e nel 1350. Alla metà del XIV secolo il cardinale Egidio Albornoz riportò Castrocaro e il suo contado sotto il controllo della Santa Sede. Il successore del cardinale Albornoz, Anglico de Grimoard, nuovo legato pontificio della provincia di Romagna, fu incaricato dalla Santa Sede di censire la presenza di città, il numero di nuclei abitativi, fortilizi, suddivisioni feudali, forze finanziarie e capacità contributive dei singoli centri e dei presidi militari della Provincia. La relazione, denominata Descriptio provinciae Romandiolae, fu pubblicata nel 1371. A custodia della rocca è posto un castellano con venti soldati e una provvisione annuale di 10 fiorini. Negli anni seguenti la situazione sociale e politica della Romagna peggiorò ulteriormente, a tal punto da rendere impossibile un efficace controllo militare della Romandiola. Papa Bonifacio IX, col proposito di rimpinguare le Casse della Camera Apostolica, nel 1394 impegnò ai Fiorentini il castello e il contado di Castrocaro per la somma di 18.000 fiorini d'oro. Ma al momento di consegnare la Rocca ai Fiorentini il castellano pontificio, Tommaso conte di Novi, che reclamava il pagamento di mensilità arretrate, si oppose. I Fiorentini tentarono quindi di conquistare la rocca con l'uso delle armi, ma inutilmente. Solo nel 1403, dopo lunghe trattative, e con il pagamento di altri 2000 fiorini, Firenze poté entrare in possesso dell'ambito fortilizio. La storica consegna della Rocca ai Fiorentini avvenne “Sabati die 19 mensis madii: et fuit in dicto Castro gaudium magnum, et nos de Forlivio e converso doluimus”. Nel 1403, con la definitiva annessione alla Repubblica di Firenze, iniziò per Castrocaro un periodo ricco di eventi di rilievo, sul piano politico, culturale e sociale. Grazie alla sua posizione decentrata rispetto alla capitale, sui confini con il dominio papale, Castrocaro fu elevata a capoluogo dei territori fiorentini in terra romagnola, la Provinciae Florentiae in partibus Romandiolae , con sede di capitanato e tribunale. E' l'atto di nascita della Romagna toscana, che diede modo ai fiorentini di inserirsi definitivamente nella vita politica romagnola, aprendo una importante via commerciale verso l'Adriatico. Per circa 200 anni Castrocaro fu il capoluogo della Romagna toscana. Secondo gli Statuti del Comune di Firenze del 1415 nella Fortezza era di stanza una guarnigione di 8 uomini, al comando di un castellano, chiamato il Capitano del Cassero di Castrocaro. Per tutto il Quattrocento e la prima metà del Cinquecento il grande fortilizio rupestre fu interessato da importanti modifiche strutturali, fatte apportare dagli architetti militari fiorentini per adeguarlo alle nuove esigenze belliche, sorte in seguito all'introduzione delle armi da fuoco. La Fortezza fornì infatti buone prove della propria efficienza, resistendo efficacemente all'assalto di diversi eserciti al soldo della Chiesa, che a più riprese tentarono invano di conquistarla. Fu l'unica tra le rocche della Romagna toscana a resistere agli assedi del 1425 (di Agnolo della Pergola e di Cecco di Montagnana), 1450 (di Nicolò Piccinino), 1467 (di Bartolomeo Colleoni ) e 1529. Di questo periodo sono gli Arsenali Medicei, straordinaria e ciclopica costruzione cinquecentesca, (unica in Italia per ampiezza e tipologia, oggi la definiremmo un prototipo) alla cui costruzione contribuirono famosi architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio, Giovan Battista. Belluzzi (detto il Sammarino), Gabrio Serbelloni, Bernardo Buontanenti. Agli inizi del Seicento, in seguito alla nuova politica territoriale del Granduca di Toscana, che si espresse nella “rifondazione portuale” di Livorno (1587-1609), la Romagna toscana venne relegata definitivamente ai margini dello Stato mediceo. Dopo la costruzione di Terra del Sole, conclusasi verso la fine del Cinquecento, la Fortezza di Castrocaro iniziò il progressivo disarmo e l'inesorabile abbandono. Nel 1676 venne ceduta a livello, e nel 1782 venduta a privati. Nei secoli successivi non venne mai più utilizzata, né per scopi militari, né per usi residenziali e abitativi, non subendo, quindi, modifiche né superfetazioni. Venne invece utilizzata come cava di pietre, e alcune sue parti subirono così lo scempio degli indifferenti e le offese del tempo. Il suo inutilizzo ha comunque preservato il grande maniero dalle pesanti trasformazioni strutturali che invece hanno interessato numerosi castelli italiani, la cui funzione residenziale ha portato a inevitabili modifiche, eseguite secondo il gusto, gli stilemi dell'epoca e le esigenze del vivere quotidiano. Per questo motivo la Fortezza di Castrocaro è rimasta pressoché immutata, e così oggi ci troviamo di fronte ad un unicum di notevole pregio architettonico, un autentico complesso fortificato medievale che si è salvato dall'oblio del tempo, come se fosse stato “congelato” per secoli. Il 10 settembre 1923 la Fortezza venne acquistata dal Comune, che nel 1980 deliberò il restauro dell'imponente struttura fortificata. Nel 1982 ebbero inizi i lavori di ristrutturazione, individuandone il nuovo destino in un utilizzo culturale e turistico. A lavori ultimati (primavera del 2000) la Fortezza è stata affidata in gestione alla Proloco di Castrocaro affinché vi realizzasse un progetto di riuso culturale e turistico dalla stessa redatto, che prevedeva l'allestimento di un Museo storico, di una Enoteca, lo svolgimento di iniziative di valorizzazione dell'enogastronomia locale, convegni e intrattenimenti culturali, stages e spettacoli di falconeria. Tali attività hanno avuto inizio il 23 aprile 2000. Unica nel suo genere, per tipologia e ampiezza, la Fortezza di Castrocaro è composta da tre distinte opere architettoniche e difensive: il Girone, la Rocca e gli Arsenali Medicei. Il Girone costituisce la parte più antica della Fortezza, ed è caratterizzato dalla presenza del Maschio, l’imponente e ardita torre con pianta pentagonale, alta 32 metri, che risale a prima del Mille. La prima notizia documentata della sua esistenza è del 1059. Fanno parte del Girone anche il Corpo di Guardia, la Cortina sud, la Cortina nord, la Cortina est e la Corte Alta, con il cosiddetto "pozzo a rasoi". La Rocca non è altro che l’espansione due-trecentesca del Girone; comprende le Porte d'ingresso (la prima con ponte levatoio), il Cammino di Ronda, il Corpo di Guardia (protetto da un gigantesco portone corazzato),  la Piccola Corte (nella quale si aprono tre grotte trogloditiche, il pozzo-cisterna e due sale sotterranee: frigidario e camerone dell'aceto), la Corte Grande (con il pittoresco ulivo del sec. XVII e la Chiesa di Santa Barbara), la Cortina nord, la Cortina est, il Palazzo del Castellano, e la Torre delle Segrete (con la Terrazza panoramica e la Sala dei Tormenti). Gli Arsenali Medicei, o Cannoniere, rappresentano una straordinaria novità nel campo dell’architettura fortificata rinascimentale. Furono gli architetti militari fiorentini a sperimentare alcune geniali soluzioni innovative nella costruzione degli Arsenali Medicei, ideate per adeguare le strutture fortificate alle sempre più potenti artiglierie. Caratterizzati dall'enorme muraglia in cotto, gli Arsenali Medicei, sono formati da tre vasti ambienti, il primo a cielo aperto, gli altri due con grandi volte a botte. Nella parete di fondo della terza è situato un grande e scenografico camino, e una vasca di raccolta dell'acqua potabile. Sotto ancora è il cosidetto sotterraneo della Fonte. Dopo oltre quattro secoli di abbandono, solo la Rocca è stata dunque resa agibile, e affidata in gestione alla ProLoco di Castrocaro, che ha reso visitabili il  Palazzo del Castellano, il Cortile delle Armi, la Piccola Corte, la Corte Grande, la Chiesa di Santa Barbara, la Torre delle Prigioni, gli Spalti delle Bombarde, le Grotte trogloditiche. Nelle belle sale del Palazzo del Castellano, fresche di calce, la Pro Loco ha quindi allestito il Museo del Castello e una Esposizione storica Permanente, dal titolo  L'AQUILA LE CHIAVI IL GIGLIO, la millenaria storia della Fortezza di Castrocaro, ove sono esposte armi, maioliche, dipinti, arredi e suppellettili antiche. Nello stesso Palazzo la Proloco ha inoltre allestito l’Enoteca della Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli di Forlì e Cesena. Assai interessante è la Corte, punto centrale della rocca, un tempo deputato allo svolgimento delle varie attività di servizio del castello, dove si trova la secolare pianta di ulivo del sec. XVII. Qui si effettuano ora spettacoli musicali, teatrali, animazioni e stages di falconeria, con voli acrobatici di uccelli rapaci addestrati. Notevole la Chiesa di Santa Barbara, delizioso tempietto sacro dalle armoniche proporzioni, suggestivamente incastonato nella rude architettura della fortificazione medievale. Affascinante la Torre delle Segrete e dei Tormenti, la visita della quale spaventa l'animo, al pensiero degli infelici che lì finirono i loro giorni, torturati dalla fame, dal freddo, dal buio, dal silenzio e dall'immobilità. Indimenticabile la Terrazza panoramica dove la vista che si gode è di notevole suggestione: a nord il castello di Montepoggiolo, ad est la vicina città di Forlì e oltre Ravenna e il mare Adriatico. Nel grande maniero fortificato la ProLoco svolge inoltre un intenso programma di convegni, congressi, conferenze e seminari di vario genere. Si racconta che in certe notti girando per le sale del castello par di udire il piantodi Margherita de Conti, suicida per amore alla vigilia delle nozze, che si lasciò cadere nel vuoto dalla torre più alta del castello. La fortezza di Castrocaro ha anche un gruppo su Facebook: https://it-it.facebook.com/pages/FORTEZZA-MEDIEVALE-DI-CASTROCARO/112382948846120


Foto: da http://www.guidaturisticaromagna.it/castrocaro-terra-del-sole/ e da http://www.forli24ore.it

Il castello di giovedì 12 maggio



CORTONA (AR) - Castello di Pierle

Esisteva già nel X secolo ed era proprietà dei marchesi di Monte Santa Maria Tiberina. Il primo documento che si conosca riferito ad esso risale al secolo X ed è il testamento di un Marchese del Colle e Monte Santa Maria. Di questa primitiva rocca non sappiamo molto, solo che appartenne anche agli Oddi di Perugia e che andò distrutta in uno dei frequenti scontri dell’epoca. All’inizio del XIII secolo Cortona riuscì a sottomettere i marchesi di S.Maria, faticando non poco, e da allora il destino della valle fu legato a quello della vicina città. I Casali, signori di Cortona, ne entrarono in possesso infatti fin dal 1236 e nel 1371, Francesco Casali costruì l'attuale castello su progetto di Raniero Casali, sulle rovine del primo. La sua funzione era quella di proteggere Cortona dalla nemica Perugia ma nella sua storia non sono ricordate particolari battaglie o importanti fatti d'arme se non quello di una strage di congiurati (ben 60) del 1387 avvenuta per mano di Uguccio Casali che li fece rinchiudere nel maniero. All’inizio del Quattrocento l’epoca dei Casali volse al tramonto con l’aiuto di Ladislao d’Angiò Durazzo, re di Napoli, che nell’intento di diventare, più o meno, re d’Italia , dopo aver messo le mani su Milano, Roma, sulla Romagna e sulle Marche, si accingeva a marciare su Firenze e su Siena. Fermato dalla resistenza delle due città , puntò su Arezzo e si accampò ai piedi di Cortona. I Cortonesi, confidando nel suo aiuto, si ribellarono ai Casali e, liberata la città, gliela consegnarono. Ma la loro libertà fu di breve durata, Ladislao dovette venire a patti con Siena e Firenze ed i Fiorentini pagarono 60.000 fiorini per ottenere Cortona e 1.200 per il castello di Pierle. Qui vi installarono una guarnigione a garantire l’ordine pubblico e la linea di demarcazione che si andava delineando tra Toscana e Umbria. In realtà il Castello non ebbe più alcun peso strategico e fallì come baluardo a difesa della valle tanto che le bande armate che vollero attraversarla, lo fecero senza incontrare resistenza alcuna. La rocca, senza più importanza, divenne ricetto di sbandati, fuorilegge e fuggiaschi. Il castello fu volontariamente distrutto nel 1587 dal Granduca di Toscana Francesco dei Medici proprio per evitare che in esso trovassero rifugio i nemici della Signoria. Per questo atto, il più bel Castello della valle è giunto fino a noi con la qualifica di rudere. Nonostante sia in rovina, la fortificazione riesce a sprigionare ancora tutta la sua grande potenza. Pierle è certamente uno dei più belli e potenti esempi di castello feudale presente in Toscana, allo stesso tempo la sua locazione defilata e la mancanza di interventi conservativi non gli ha mai permesso di emergere dallo stato di abbandono e degrado in cui versa ormai da secoli. L'aspetto è quello del classico castello-recinto. Il circuito esterno delle mura, alte dai 5 agli 8 metri, ha una forma a quadrato irregolare, smussato agli angoli, adattata perfettamente allo sperone roccioso su cui è costruita, ed è dotata di tre possenti torrioni quadrati: in quello a monte, eretto in corrispondenza dell'ingresso principale del mastio, si apre una postierla, unico ingresso al recinto. Rimangono ben evidenti ancora, oltre alle torri delle mura rimaste, le guardiole, il camminamento, la scanalatura del ponte levatoio, i condotti per acqua piovana, le finestre a mo' di feritoie. Le imponenti mura sono state ordite in bianchi blocchi di pietra calcarea lavorata a mano, le cantonate e i vari portali sono stati invece realizzati in pietra serena così da creare un evidente contrasto cromatico di notevole bellezza. All'interno sorge il mastio-palazzo residenziale: questo è uno dei più grandi ancora visibili in Toscana, sebbene siano giunte a noi solo le mura esterne, ed è posto nella parte del recinto più a monte. Aveva in origine sette piani: il primo, terzo e quinto a grosse volte di pietra, e gli altri quattro piani a legno; aveva sotterranei con alte volte e, nella torre ancora esistente, vi era un trabocco ossia un pozzo con aculei di ferro e con copertura a bilico, dove si facevano cadere i malcapitati. Delle sue particolari rifiniture restano ormai solo alcuni beccatelli in pietra che sostenevano l'apparato difensivo a sporgere dell'ingresso principale. Il cuore del castello ha forma rettangolare e dall'angolo di nord-est svetta la slanciata torre di guardia. Attorno alle mura si è sviluppato un piccolo borgo con la bella chiesa romanica, originaria dell' 11° secolo ma ricostruita nel 1505, di S.Biagio a Pierle, dotata di un'unica navata e campanile a vela. La Rocca di Pierle oggi è un monumentale rudere, visitabile solo dall'esterno, che si estende per una superficie complessiva di oltre 3000 mq netti, una dimensione tale da permettere molteplici destinazioni, da quella di maestosa dimora privata di rappresentanza, a quella di attività ricettiva, sede universitaria, multiproprietà, centro culturale.

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.luxuryitalianproperty.it/it/rocca_pierle_cortona/immobili_di_prestigio_vendita.php

martedì 28 ottobre 2014

Il castello di martedì 28 ottobre






SAN DANIELE DEL FRIULI (UD) - Castello

Non sono ben chiare le origini di San Daniele del Friuli né le vicende altomedievali del castello, che è ricordato nel sec.XI. Recenti scoperte acheologiche documentano la presenza umana almeno dall'800 a.c. Divenuto pubblico mercato (1139), il più importante del Friuli dopo quelli di Aquileia e di Cividale, il libero comune aveva voce nel parlamento della Patria del Friuli. La città fu occupata temporaneamente da Rizzardo da Camino (1309) d'intesa col conte di Gorizia e poi dallo stesso Goriziano (1349). Fu infine riconquistata dagli Udinesi (1350) a cui la tolsero i duchi d'Austria (Alberto II, 1350 e Rodolfo, 1361). Si oppose alla lega filo-veneziana del 1385 ma si unì a Udine (1392) in opposizione al patriarca. In difesa della "Patria" partecipò alla grande lega del 1401; si rifiutò di arrendersi nel 1410 alle milizie ungare del conte Ortenburg; nel 1420 passò sotto il dominio veneziano, divenendo successivamente, assieme ad Aquileia e San Vito, feudo patriarcale: fu quindi assicurata una certa autonomia e prosperità ad un centro che si è sempre distinto per l'impegno culturale e per la grande nobiltà dell'ambiente. A destra del Duomo di San Michele Arcangelo, percorrendo via Roma e continuando a salire per via San Sebastiano, si giunge in cima alla spianata del colle di San Daniele del Friuli, dove sono visibili i resti del castello. Dell'antico maniero posto sulla vetta del colle cittadino, sicuramente precedente al 1267, rimangono oggi solo una torre e i resti dei terrapieni. In cima alla scalinata, sulla sinistra si trova la chiesa di San Daniele Profeta, il cui campanile è ricavato da una torre castellana. L'area circostante è sistemata a parco pubblico, qui vi si trova anche un belvedere che permette di godere della magnifica vista sulla pianura sottostante.
 
Fonti: http://www.turismofvg.it/Castelli/Castello-di-San-Daniele-del-Friuli, http://www.museosandaniele.it/ita/territorio/09Castello.html, http://www.comune.sandanieledelfriuli.ud.it/

Foto: una cartolina postale (ma non fa ancora parte della mia collezione...) e l'altra è presa da http://www.girovagate.com/2013/10/san-daniele-patria-del-prosciutto-medio-friuli.html

lunedì 27 ottobre 2014

Il castello di lunedì 27 ottobre






TORRE DE' PASSERI (PE) - Castello Gizzi

Chiamato popolarmente "Castelluccio", domina, dalla sua posizione collinare, la cittadina di Torre De' Passeri. Fu edificato nel 1719 per volontà della famiglia Mazara di Sulmona, sotto l'egida della marchesa Smeralda. Come risulta dalla lettura del Chronicon Casauriense, la sua non fu una vera e propria costruzione ma piuttosto una ristrutturazione, poiché sorse sulle fondamenta di una delle antiche torri di difesa dell' Abbazia di San Clemente a Casauria, risalente al XII secolo, della quale sono ancora presenti tracce delle mura basamentali e del muro di cinta del piazzale, oltre che elementi gotici, come l'ingresso a sesto acuto, nella zona della cantina. La fortificazione originaria era destinata a segnalazione e sorveglianza della via Valeria Claudia. Altra prova inconfutabile di questa osservazione ci viene dalla lettura del portone principale dell'abbazia di San Clemente, dove è raffigurata la torre dell'attuale castello. Oltre al castello vero e proprio, una dependance, una cantina ed un ampio parco (al cui interno vi era un sistema di fontane, ora distrutte, che servivano una conceria, una pescheria e un'osteria) formano quello che risulta essere un vero e proprio complesso, tuttora vincolato dal Ministero per i Beni Culturali. Il Castello o "casa palaziata", così com'è definito negli atti del catasto onciario, è composto da quattro livelli, di cui i primi due, interrato e seminterrato, erano adibiti alla trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli. Al piano terreno e al piano nobile sono localizzati gli ambienti di rappresentanza e residenza. Si evidenzia il cortile stuccato e pieno di decori, il grande portale d'ingresso di pietra, sormontato da un balcone su cui campeggia lo stemma dei marchesi Mazara, e una serie di cinque archi continui medievali aperti in un muro di cinta. All'origine esisteva un'altra sopraelevazione abbattuta in seguito ai danni subiti dalla fabbrica nel sisma del 1915. Nel piazzale antistante la costruzione sono presenti un sarcofago del IV sec. a.C. e due rocchi di colonne di epoca imperiale. Da esso si accede in uno spazioso belvedere il quale continua in un ampio viale, limitato da una parte da un filare di alberi, dall'altra da un'alta costa tufacea costellata di grotte. Il viale si snoda in un parco di sette ettari, sboccando in una piazzetta del paese, per mezzo di un cancello settecentesco. Nel 1967 la proprietà del castello passò dall'ultimo erede dei Mazara alla famiglia Gizzi, per divenire sede, nel 1979, dopo essere stato ristrutturato, dell'Istituto di Studi e Ricerche Casa di Dante in Abruzzo. Attualmente le sale del castello ospitano l'Istituto di Studi e Ricerche Casa di Dante in Abruzzo, fondato legalmente a Pescara il 28 dicembre 1979, nello studio del notaio Francesco Anchini, da Corrado Gizzi, Ermanno Circeo, Luigi Iachini Bellisarii, Piero De Tommaso, Dante Marramiero e Giuseppe Profeta. Nel castello sono inoltre presenti il museo dantesco "J. Bellonzi" e la biblioteca "M. A. Caldora".

Fonti: http://www.fondazionepescarabruzzo.it/fondazione%20casadidante/storia.html, http://www.comune.torredepasseri.pe.it/index.php?option=com_content&task=view&id=12&Itemid=70, http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=castellope&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuCast4184&tom=184

Foto: da http://www.pagineabruzzo.it e da http://www.pescarainnova.it

sabato 25 ottobre 2014

Il castello di domenica 26 ottobre





ROVESCALA (PV) – Castello dei Conti di Rovescala

Rovescala fu donata nel 943 dai re d'Italia Ugo e Lotario al vescovo di Pavia; da questi fu successivamente infeudata ai discendenti di Bernardo, di stirpe carolingia, conte di Parma e Pavia, che, già conti di Sospiro nel Cremonese, furono in seguito detti Conti di Rovescala, venendo annoverati, con i Langosco, i Gambarana e gli Sparavara, tra l'ampio consortile dei conti palatini di Lomello. Contesa tra Piacentini e Pavesi, Rovescala passò nel 1164 sotto il dominio di questi ultimi, che vi nominarono podestà e castellani, ma i conti continuarono a conservarne il possesso effettivo. Capi del partito guelfo e duramente ostili alla crescente influenza viscontea nella Lombardia meridionale, i Conti di Rovescala esercitarono per buona parte del XIII e XIV secolo una grande influenza su tutto l'Oltrepò, scontrandosi con i Malaspina di Varzi e i Landi di Piacenza. Banditi nel 1315 da Pavia (della quale avevano la cittadinanza) con le altre principali casate guelfe, i conti nel 1358 riottennero i loro beni sequestrati, ma nel 1370 sostennero una dura guerra contro Galeazzo Maria Visconti, che devastò gran parte dei loro possedimenti. Perdonati una prima volta dal signore di Milano, alla sua morte si ribellarono nuovamente al dominio visconteo (1405-07), finché nel 1416 Filippo Maria Visconti non marciò contro di loro, impadronendosi di Rovescala. Imprigionati e privati dei loro beni, donati dal duca a Giorgio Aicardi, detto Scaramuzza Visconti, i conti si trasferirono a Pieve Porto Morone, sulla sinistra del Po, sempre in territorio pavese, ottenendo in seguito, nel 1427 e poi nel 1456, la reintegrazione dei loro possessi, ma non del castello e della signoria di Rovescala, rimasta alla discendenza di Scaramuzza. Nel 1482, morto Gasparino Visconti senza eredi, il duca Gian Galeazzo Sforza vendette per trecento ducati la signoria di Rovescala al nobile piacentino Gherardo Pecorara, concedendogli l'investitura feudale e la separazione del territorio dalla giurisdizione di Pavia e di ogni altra città, quale corpo separato. Il fatto che i maggiori proprietari terrieri continuassero ad essere gli antichi conti, fu causa di una lunghissima serie di controversie legali con i nuovi feudatari, che più volte degenerarono in scontri armati tra gli opposti partigiani. Nel 1491 i conti rientrarono temporaneamente in possesso del castello, ma negli anni '30 del Cinquecento i Pecorara riuscirono definitivamente ad imporsi quali signori del feudo, grazie anche ad una serie di accordi matrimoniali con gli antichi conti, ormai in progressiva decadenza. Retto in condominio da diversi rami della famiglia Pecorara (dal 1536 annoverata tra la nobiltà decurionale di Pavia), nel 1623 il feudo fu interamente acquistato da Pietro Paolo Pecorara, restando alla sua discendenza fino alla morte, nel 1783. In mancanza di eredi diretti, il re di Sardegna Vittorio Amedeo III (nei cui stati l'Oltrepò pavese era pervenuto nel 1739) tre anni dopo investì Rovescala al giureconsulto pavese Gerolamo Pecorara, come più prossimo affine, il quale fu anche l'ultimo feudatario. Il castello di Rovescala fu distrutto e ricostruito più volte. Dell'antico maniero è però visibile la torre, che appartiene al periodo della denominazione viscontea, attualmente inglobata in un grande edificio settecentesco eretto proprio sul perimetro dell’antico castello. Il vano passante della torre, alta una ventina di metri, presenta un soffitto a volta, incerta testimonianza di una preesistente cappella. Degni di nota gli affreschi e le tele del XVIII secolo, in esso conservati. Notizia curiosa: poco tempo fa è stato scoperto, all'ingresso di sinistra del triportico, un vero e proprio trabocchetto medievale, consistente in un pozzo circolare di profondità non precisata, che si apre all'interno del locale, appena dopo la soglia. Attualmente l’edificio è una residenza privata.

Foto: una cartolina della mia collezione

Il castello di sabato 25 ottobre






CELENZA VALFORTORE (FG) – Castello Gambacorta

Nel periodo bizantino il nome venne modificato in Celentia in Capitanata. Fino all'avvento della Repubblica Partenopea, alla guida di Celenza Valfortore si alternarono diversi feudatari (Margherita di Manforte, Girolamo Tuttavilla, i Mazzaccura, i Giliberti) tra i quali si distinsero per un notevole arco di tempo gli esponenti della nobile famiglia pisana dei Gambacorta (XV e XVI secolo). Nel XVI secolo venne cambiato nuovamente il nome in Celenza valle Fortore e si adottò la dea Cerere come simbolo cittadino, simbolo che si ritrova tuttora nel gonfalone della città. Il castello dei Gambacorta, presenta la classica disposizione topografica. Ubicato sulla cima della collina con due torri e tre bellissime logge, è al centro del tipico rione medioevale da cui si dipanano i vicoli lungo i quali si sviluppa la parte feudale del paese con case arroccate l’una all’altra, attraversata da caratteristiche stradine. è proprio qui, nel cuore di Celenza che si respira l'atmosfera antica di un passato custodito. Nel borgo ci sono la Chiesa Madre, la piazza, le botteghe, le lampade e i suoi angoli più pittoreschi. La costruzione (di epoca aragonese) fu iniziata nel 1467 da Giovanni Gambacorta, sui ruderi di un preesistente castello distrutto dal terremoto del 1456. Le cronache dell’epoca riportano che il 5 e 30 dicembre 1456 si registrarono due eventi sismici violentissimi che causarono morti e distruzioni: “La Celenza fu tutta ridotta in piano insieme colla Fortezza, dove essendo morta la moglie, il fratello, la figliuola e tutta la famiglia, solo rimase il Conte Signore della Città, che si salvò in camicia, e 1200 vi morirono”. Giovanni Gambacorta e sua moglie Margherita di Monforte iniziarono la ricostruzione del paese. Si deve all’opera dei rappresentanti di questa nobile famiglia la costruzione delle chiese, monasteri, del castello e degli altri edifici storici presenti a Celenza. Prova ne è la presenza  degli stemmi di famiglia su tutti gli edifici ricostruiti. Il castello venne completato nel 1519 dal figlio Carlo, come attestato dalla lapide presente sul loggione dell’edificio, che fu poi trasformato nel 1575 dal nipote Carlo Gambacorta di Gianpaolo in dimora gentilizia. Andrea Gambacorta (1600), esperto di architettura, pittura e scultura, rifece le mura del giardino pensile, completò gli appartamenti del palazzo baronale, arricchendolo di pitture ornamentali. Oggi Celenza conserva ancora gran parte del piccolo centro storico feudale tra cui alcuni portali risalenti ai secoli XVI e XVII, oltre a due delle quattro porte di accesso al palazzo baronale (Porta Nova o Nuova e Porta S. Nicolò). Annessa al castello è una maestosa torre cilindrica a base scarpata e con cornicione merlato. In realtà l’edificio è dotato anche di una  seconda torre. Non si è sicuri, però, se questa è nata insieme al castello o è stata costruita postuma, ad esempio insieme alla costruzione della adiacente Porta Carlina. Di sicuro aveva un aspetto e funzione diversa dall’altra, visto che nel Tavolario Galluccio del 1702 non se ne fa un descrizione accurata. Di essa si fa menzione in un documento del 1759 ed era sede del carcere. Questa torre nel 1799, durante i moti della Repubblica partenopea,  subì un incendio ed andò parzialmente distrutta. Le torri antiche inizialmente erano cinque come si rilevano dallo stemma di Celenza. L’ultimo barone che dimorò nel castello fu Orazio Giliberti che nel 1808 lo vendette  al Notaio Michele Iamele. Da quel momento, gli interventi fatti dai nuovi proprietari e dai loro eredi hanno modificato sia internamente che esteriormente l’originaria struttura. Poco o nulla è rimasto degli antichi ambienti e arredi. Anche esteriormente, interventi di “modernizzazione” ne hanno ridotto il valore storico e architettonico.
Fonti: http://www.sipuglia.com/Itinerario/Castelli/Foggia/Celenza-Valfortore/Castello-dei-Gambacorta/235.html, http://it.wikipedia.org, http://www.dauniadafavola.it/monti-dauni/celenza-valfortore, http://www.viapuglia.it/celenza_valfortore.htm, http://archeocelenza.altervista.org/castello-celenza-valfortore/ (di cui consiglio la visita perché riporta altre notizie ed immagini interessanti),

Foto: entrambe sono cartoline della mia collezione


venerdì 24 ottobre 2014

Il castello di venerdì 24 ottobre






TRIESTE - Castello Basevi

Le origini dell'Osservatorio Astronomico risalgono al 1753, quando l'imperatrice d'Austria Maria Theresia istituì la Scuola Nautica di Trieste. Per alcuni decenni essa fu ospitata presso il locale Collegio dei gesuiti vicino alla chiesa di S. Maria Maggiore. Nella scuola veniva insegnata l'astronomia quale disciplina curricolare per la formazione dei capitani marittimi. Nel 1817 la scuola venne trasformata in Accademia di Commercio e Nautica e trasferita nella nuova grande sede di palazzo Biserino, nell'odierna piazza Hortis. Un vero e proprio osservatorio astronomico, sebbene a interim, fu installato nel 1851; esso divenne stabile nel 1866 come istituto della marina mercantile, incorporando poco dopo anche la stazione meteorologica. Nel 1898 l'Osservatorio si staccò definitivamente dall'Accademia, diventò autonomo e, diretto da Ferdinand Anton, si trasferì in un nuovo, grande edificio di cinque piani eretto con lo  stile di un palazzotto medievale in periferia della città, preso in affitto. Si tratta del palazzo (detto castello) Basevi, tra il colle di San Giusto e quello di San Vito, dove l'Osservatorio tuttora risiede. Sulla torre dell’edificio principale fu installato un telescopio rifrattore da 16 cm, adatto soprattutto all’osservazione di comete. Sotto la direzione di Eduard Mazelle fu arricchito di nuova, moderna strumentazione per l'astronomia (il cerchio meridiano di Troughton e Simms), la sismologia e la meteorologia, comprendendo così nella sua attività lo studio del cielo, dell'aria e della Terra. Nel 1904 fu anche acquisito il rifrattore Reinfelder, adoperato da Johann Krieger in una cupola vicina per il disegno del suo perfezionato Atlante lunare. Lo strumento fu installato sulla nuova cupola sovrastante il padiglione neoclassico nella zona alta del giardino, prospiciente l’odierna via Besenghi. Nel 1919 Trieste passò all'amministrazione italiana e così fece l'istituto, sotto la direzione di Luigi Carnera. Fu nuovamente inaugurato nel 1925 con un nuovo telescopio riflettore Zeiss da 50 cm che però non fu possibile usare con profitto. Nel 1932 il direttore Favaro tentò senza successo di trasferire l'Osservatorio in una località dell'altipiano, lontana dall'inquinamento luminoso della città; in conseguenza di tali difficoltà per molti anni furono condotte solamente osservazioni visuali, soprattutto a opera di Giovan Battista Lacchini durante la seconda guerra mondiale. Bombardato nel settembre 1944, l'Osservatorio fu ristrutturato e messo nuovamente in condizioni operative tra il 1947 e il 1952. Il nuovo direttore, Ettore Leonida Martin, ricoprì anche la cattedra di astronomia alla neonata Facoltà di Scienze della locale università e, in quel periodo di amministrazione anglo-americana, l’edificio fu acquistato dal Ministero dell’Istruzione italiano, cessando quindi il contratto di affitto. Subito dopo due nuovi ricercatori intraprendevano nuovi progetti di ricerca nel campo della fotometria fotoelettrica di stelle binarie. La rinascita dell'Osservatorio continuò dopo il 1964 con il grande sviluppo della strumentazione, della ricerca e del personale promossa da Margherita Hack, nominata in quell'anno nuovo direttore. In questo stesso periodo fu iniziata la costruzione di una stazione osservativa nuova, a Basovizza sul Carso triestino, circa 400 metri s.l.m. Negli anni successivi le dimensioni in termine di personale crebbero portando l’Osservatorio Astronomico di Trieste in linea con quelle degli altri maggiori osservatori astronomici italiani. A partire dal 1999 l’Osservatorio Astronomico di Trieste è entrato a far parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. Il castello e il castelletto Basevi rappresentano un pittoresco esempio di villa padronale dell'Ottocento in stile eclettico, costruita ad imitazione di un castello medioevale con elementi architettonici gotici e tardo barocchi. Nel 1893 la famiglia Basevi divenne proprietaria dell'area su cui sorgeva la villa dei Pontini, appartenuta anche ai marchesi Diana, e il vasto bosco circostante. Il complesso fu realizzato nel 1895-96 su progetto dell'ingegnere Eugenio Geiringer, trasformando e ampliando delle costruzioni preesistenti di fine Settecento. Il primo proprietario era Giuseppe Basevi, da cui prese il nome l'immobile, in seguito passò agli eredi. Nel 1925 risultava di proprietà di Frida Panfili e, nel 1941, di Enrico Ferluga. Da quando è la sede dell'Osservatorio Astronomico di Trieste, al suo sono ospitati gli uffici e il laboratori del centro più locali abitativi per il personale. Il complesso è costituito da tre edifici: il castello, il castelletto e la rimessa con alloggio del costude. Il castello, addossato ad un muro di sostegno di terra, comprende un pianterreno, aperto su due lati e due piani elevati da cui si innalza una torretta poggiante sul corpo della scala principale. La zoccolatura e la torretta hanno murature in conci squadrati d'arenaria, mentre il portico presenta colonne in pietra bianca con archi ribassati in mattoni. Anche le merlature sono realizzate in mattoni, mentre i balconi sono in legno. Il castelletto, che poggia in parte su un ripiano elevato del terreno, presenta uno scantinato, aperto su un lato e un primo piano sul quale si eleva solo parzialmente un secondo piano. Le rimesse fanno parte del muro di cinta, si sviluppano per due livelli fuori terra ed hanno una facciata con aperture a feritoia verso la strada. Il parco, strutturato a terrazzamenti, attualmente si presenta ridotto rispetto al giardino originario. Spiccano all'esterno un grande stemma e altri elementi ornamentali.
Fonti: http://www.oats.inaf.it/it/sedi/272-note-storiche-basevi, http://gcesare.provincia.venezia.it/e_ep/e_ep2/triangolo.htm, http://biblioteche.comune.trieste.it/Record.htm?idlist=2&record=19222806124910400889
Foto: da http://www.inaf.it/it/notizie-inaf/allasta-villa-bazzoni-e-castello-basevi-di-trieste e da http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Castello_Basevi_(Foto_von_Isabella_Taxacher).jpg

giovedì 23 ottobre 2014

Il castello di giovedì 23 ottobre






TERNI - Fortificazioni in località Rocca San Zenone

La Rocca di San Zenone si trova lungo la strada pedemontana che attraversa tutte le pendici nord della conca. La sua posizione lungo un percorso antico è testimoniata dalla sua vicinanza ad un cimitero, forse lo stesso dove nel 273 furono sepolti i martiri ternani Saturnino, Castulo, Magno e Lucio. Le strutture attuali sono collocabili tre il XIII ed il XV secolo, a quota 508 m slm c’è una torre di avvistamento isolata fisicamente ma in collegamento ottico con la Rocca, che sorge sulla cima di uno sperone roccioso alle spalle del paese. Il castello subì diverse modifiche ed ampliamenti. Nel 1624 la sua comunità era talmente impegnata al restauro del paese da chiedere, alla congregazione nel 1631 di poter vendere il legname delle proprie selve, per far fronte al restauro. In questo periodo si ampliò e ristrutturò la porta medievale occidentale del castello, dove si ricavarono gli ambienti per le guardie. Anche la chiesa arcipresbiteriale di San Giovanni venne ampliata. Nel borgo (extra castrum) esisteva nel 1592 un piccolo oratorio della società laicale di Santa Maria. Oggi rimangono soltanto isolati ruderi dell'impianto di controllo e di avvistamento composto da una serie di cinque torri, collegate da una cinta muraria. Era un presidio di avvistamento perché la Rocca di San Zenone, posta all'ingresso della Val di Serra, doveva vigilare sugli agguerriti vicini di Spoleto. L'impianto è di epoca medievale, ma non è escluso che si sia sovrapposto ad un preesistente insediamento umbro, l'oppidum di Vindena. Altre notizie e foto al seguente link: http://roccasanzenone.altervista.org/

Fonti: http://www.umbriaonline.com/Terni_rocca_zenone.phtml, http://it.wikipedia.org, http://cms.provincia.terni.it/on-line/Home/TurismoTerni/Luoghi/Roccheecastelli/Roccheecastelli-Ternano.html,
Foto: entrambe di Claudio Vagaggini, condivise nel gruppo Facebook "CASTELLI - ROCCHE - FORTEZZE in Italia"

mercoledì 22 ottobre 2014

Il castello di mercoledì 22 ottobre




CHIAUCI (IS) – Palazzo Baronale Gambadoro

Chiauci ha antiche origini, esisteva sicuramente in epoca normanna, col nome di Clàvicia. Ne era feudatario Oderisio de Rigo Nigro, esponente di una famiglia che conservò i possedimenti anche nella successiva epoca Sveva. Il feudo conobbe le dominazioni dei Bucca dal 1269 per privilegio di Carlo I d'Angiò, dei Del Bosco che la ottennero da Carlo II, della famiglia dei conti di Montagano fino al 1447, dei Sanfelice di Bagnoli del Trigno che la persero per codardia nel 1530 (Antonio Sanfelice fu dichiarato fellone e privato dei feudi per essere stato sostenitore del re di Francia). Il toponimo intanto si evolveva in Castello Clavizia, Clavicij, Clavico, Chiavicas. Ai Sanfelice successero i Greco di Montenero Val Cocchiara fino al 1626, i Petra di Caccavone (l'attuale Poggio Sannita) e Vastogirardi, i Capuano fino al 1700, quando il feudo fu venduto a Maria Felicia Cocco della famiglia genovese dei de Mari, cui successero i Gambadoro. Il nome della località cambiò ancora in Chiavico, Clauce e finalmente nell'attuale. Al centro storico si accede passando sotto gli archi delle antiche Tre Porte che hanno dato il nome alla parte alta del paese. Il castello ha perso nel tempo il suo ruolo difensivo e si è trasformato in una residenza baronale: Palazzo Gambadoro, di proprietà degli ultimi feudatari di Chiauci, il cui stemma è ancora visibile all’ingresso. L’attuale edificio è di impianto seicentesco, ma più volte ristrutturato.


Foto: entrambe di Felice Iacobucci, riportate sui siti www.id-chiauci.it e www.mondimedievali.net

Il castello di martedì 21 ottobre





CHATILLON (AO) – Castello Passérin d'Entrèves (o castello di Chatillon)

Collocato in pieno centro del paese, a ridosso della chiesa parrocchiale, e immerso in un bel parco, l’edificio si presenta ai visitatori con una lunga ed interessante storia che pare risalga all'epoca romana, poiché il nome stesso di Châtillon, che trae origine da "castrum" (castello), indica una località in cui sorgeva un accampamento. Nel luogo in cui si eleva l'attuale castello, doveva quindi esserci una fortezza romana. Dopo essere passato tra le mani di diverse famiglie nobiliari, alla fine del XIV secolo il castello divenne proprietà dei Visconti di Aosta, in seguito divenuti Signori di Challant. Nel 1400 Jean de Challant lo fece ingrandire. Di quest'epoca rimangono ancora la sala dell'archivio con il soffitto in legno e gli affreschi delle pareti, simili a quelli del castello di Fénis. Nel 1435, François di Challant, si fece autorizzare dai Savoia a fare testamento a favore delle figlie. Catherine ne divenne dunque l'erede, ma gli altri membri della famiglia richiesero nuovamente l'intervento del Duca di Savoia che, allora, nominò nuovo erede Jacques de Challant, nipote di Jean, e dichiarò ribelli Catherine e il suo sposo Pierre d'Introd. I due, decisi a resistere, fortificarono il castello di Châtillon, ma poco dopo dovettero arrendersi all'esercito di Jacques, che demolì le mura di cinta e danneggiò seriamente il maniero. Da Jacques il castello passò a Louis che lo restaurò completamente. Nel 1502 Philibert di Challant fece decorare l’interno della cappella tutt’ora esistente e nel 1678 Georges de Challant vi fece rappresentare l’effigie della Sacra Sindone sull’arcata di vetro, a ricordo di una sosta della reliquia durante il trasferimento da Chambéry a Torino dove si trova ancora oggi. Durante le invasioni francesi del 1691 e del 1704 le truppe si installarono nell’edificio con conseguenze disastrose sia per la costruzione sia per gli alberi del parco e nel 1717 Paolina Solaro di Govone, moglie di Georges-François, intraprese la terza ricostruzione del castello. Modificato e ampliato, non solo cambiò il suo aspetto esterno ma divenne anche molto più confortevole. A Paolina si deve anche la realizzazione del viale dei tigli e del giardino alla francese. Nel 1770 la Contea passò a François-Maurice che morì un anno dopo la nascita del suo unico figlio Jules-Hyacinthe. Quest'ultimo ne divenne quindi l'erede universale sotto la tutela della madre Gabriella Canalis di Cumiana; ma il 2 maggio 1802, all'età di sette anni, anche l'ultimo dei discendenti dei Challant morì. Nel 1814, dopo 18 anni di vedovanza, Gabriella sposò Aimé Passerin d'Entrèves, discendente di una famiglia originaria di Firenze che, verso il 1400, a causa delle lotte fra Guelfi e Ghibellini, si era stabilita sulle montagne della Valtournenche. Nel 1841, dopo la morte della moglie, Aimé ereditò tutto il patrimonio degli Challant. I suoi discendenti fecero eseguire altri lavori: la demolizione della torre esagonale situata all'ingresso e del ponte levatoio, sostituiti con l'edificio del custode, la serra e le stalle. Fecero inoltre costruire una torretta finestrata per illuminare la grande scalinata che conduce al piano superiore e delimitarono il parco con una recinzione. L'ultimo Passerin d'Entrèves che abitò il castello di Châtillon fu Ettore-Onorio, nato a Torino nel 1914. È possibile visitare solamente il parco in quanto il castello, abitato in alcuni periodi dell'anno, è di proprietà privata. Il castello è uno dei più antichi della Valle d’Aosta, malgrado conservi poco dell'aspetto originario di castello medievale e nulla delle strutture preesistenti sul promontorio. Si presenta come un complesso compatto di pianta rettangolare, con due torri che sporgono a ponente e un ulteriore struttura a levante, detta torre orientale, per la foresteria e la cappella. Per approfondire, consiglio la visita del seguente link: http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Passerin_d’Entrèves_(Châtillon)
Foto: di Jacques Bottel su www.flickr.com e di Patafisik su http://it.wikipedia.org