L'emiro
Giafar II, che governò la Sicilia dal 996 al 1018, giunto a Misilmeri, fece
costruire un grande castello dove dall'alto delle torri si ammirava uno
splendido panorama: dalla vallata del fiume Eleuterio sino al mar Tirreno. In
seguito, alle pendici del castello si formò un villaggio; da qui il nome
Misilmeri
che deriva dall'arabo
Menzel-el-Emir e che significa appunto
villaggio
dell'Emiro. Nel 1068 Misilmeri fu teatro di una battaglia tra i Normanni di
Ruggero d’Altavilla e gli Arabi, con la vittoria dei Normanni. La prima chiesa
cristiana fu costruita prima del 1123 e intitolata a Sant’Apollonia, come
citato in una bolla di papa Callisto II. La Misilmeri attuale venne fondata nel
1540 dal barone Francesco Del Bosco, il quale trasformò il paese in un cantiere
edile; nel 1553 fece costruire la nuova parrocchia di San Giovanni Battista, la
Madrice, nel 1575 aprì la strada di accesso al castello, la
Strada Grande.
La ricostruzione del paese proseguì con un'altra chiesa, quella di Santa
Rosalia, la prima ad essere dedicata alla Santa eremita palermitana che dal 1625
al 1671 fu patrona di Misilmeri, conosciuta più comunemente come la chiesa di
San Paolino. Nel 1692 con il supporto morale ed economico di Giuseppe del
Bosco, principe della Cattolica, Francesco Cupani fondò a Misilmeri il più
grande orto botanico d’Europa nel Giardino Grande, del quale oggi non rimane
niente. Lo scopo di questo orto botanico era di coltivare erbe e piante per
alleviare le sofferenze fisiche della povera gente di Misilmeri. Attirava molto
l'attenzione del mondo civile di allora poiché questo tipo di istituzione
umanitaria era davvero una cosa rara. Nel 1795, fondato l'Orto botanico di
Palermo, più di 2000 piante di quello di Misilmeri vi furono trasferite. Nel 1896
venne collocata a Misilmeri una lastra marmorea incisa in memoria di questo
primato scientifico. Re Vittorio Amedeo II di Savoia volle visitare per questo
motivo il paese. La storia del Castello di Misilmeri è legata agli uomini che
lo hanno abitato e posseduto, la sua bellezza al luogo verde e rigoglioso in
cui sorse. Adagiato sullo sperone di Villalonga, il Castello di Misilmeri
sovrasta solitario la valle dell'Eleuterio. Per la sua particolare posizione il
castello fu in ogni epoca conteso, desiderato e rafforzato. Esistono diverse
ipotesi sulla sua costruzione: la prima inquadra l'inizio della sua
edificazione con la presenza del solo torrione nel periodo arabo, la seconda è
che la costruzione sia avvenuta ad opera di Manfredi Chiaramonte intorno
all'anno 1391. Attraverso diversi documenti ritrovati si può affermare che il
castello non venne costruito interamente dagli arabi, ma ampliato in tempi
diversi e a distanza di secoli. Il primo impianto è di origine araba, infatti
si deve a loro il nome “Castello dell'Emiro”, Qasr al Amir. Inizialmente la sua
struttura era composta solamente da una torre, detta Saracena, e da mura di
cinta. A questa prima matrice spaziale si fusero altre aggiunte successive
erette da coloro che lo hanno abitato, ed ognuno di essi ha impresso il proprio
stile di appartenenza, trasformandolo, abbellendolo attraverso restauri e
ampliamenti, rendendolo più forte e maestoso. Il primo restauro della fabbrica
avvenne nel XIV sec. ad opera della famiglia Chiaramonte (in precedenza il
complesso era stato donato da Ruggero Altavilla all’ammiraglio Giorgio
d’Antiochia che a sua volta lo aveva donato alla diocesi di Palermo per poi
finire in mano ai Chiaramonte a partire dal 1340). I primi interventi
riguardarono la torre saracena, riadattata e ristrutturata; l'intera fabbrica,
a differenza dei fortilizi dell'epoca, non si presentò mai come una struttura
regolare circondata da mura e torre angolari a causa della topografia del luogo
che fu sempre vincolo e causa dell'irregolarità dell'impianto. La torre più che
un'abitazione divenne una fortezza e le mura esterne vicine alle zone più
scoscese vennero spostate sull'orlo del promontorio in modo da avere una
maggiore funzione strategica. Con l'avvicendarsi di diversi proprietari si susseguirono
le trasformazioni. Nel 1486 Guglielmo Aiutamicristo, per abbellire le sue terre
con maestosi edifici, chiamò alle sue dipendenze i migliori artisti dell'epoca
tra cui il maestro Matteo Carnilivari, che diresse personalmente i lavori di
restauro e abbellimento del castello. Ancora attualmente identificabile c'è la
cappella del castello che si trovava a primo piano con una copertura ogivale
sostenuta da robusti costoloni leggermente smussati e poggianti su colonnine
angolari, delle quali solamente due sono rimaste ancora in sito. Le dimensioni
della fortezza raggiunsero proporzioni imponenti tanto da poter accogliere il
barone con tutta la sua famiglia e la schiera di servitù e soldati, che
vivevano nelle ventitrè stanze. La pietra usata dal Carnilivari veniva estratta
da Portella di mare e/o da Aspra, era di tufo calcareo compatto di color
giallino, di origine marina. In seguito alle spese sostenute e alla vita
lussuosa trascorsa tra i salotti nobiliari di Palermo e Napoli, la famiglia
Aiutamicristo dovette indebitarsi, così i baroni di Misilmeri e Calatafimi,
furono costretti ben presto a vendere entrambe le baronie a Francesco del Bosco.
Alla morte di Giuseppe del Bosco, 1721, il ducato di Misilmeri con il suo
castello passarono al nipote Francesco Bonanno, unico erede degli immensi beni
del duca. Con la famiglia Bonanno si chiuse il capitolo del feudalesimo per il
paese ma anche la fine del castello. La famiglia Del Bosco-Bonanno non seppe
gestire e mantenere il potere e perse molte ricchezze. Il castello, durante
questi anni, continuò ad essere utilizzato come carcere e agli inizi del
1800 il castello venne occupato da ufficiali borboni e i loro soldati lo trasformarono
in polveriera. Nel 1812, il Parlamento di Sicilia, approvò la legge
sull'abolizione dei diritti e dei privilegi baronali, sicché Giuseppe Antonio
Bonanno-Branciforti, ultimo signore di Misilmeri, perse tutti i privilegi
feudali sulle sue numerose baronie; di conseguenza venne meno la manutenzione
ordinaria del castello, che abbandonato a se stesso fu preda di saccheggi degli
stessi misilmeresi, che lo ridussero ad un cumulo di rovine. Dopo più di un
secolo e mezzo di incuria e di abbandono, nel 1980, è stato dichiarato
monumento nazionale. Il 27 marzo 2010, in occasione di una delle giornate di
Primavera del Fai, si è tenuta l'inaugurazione del castello di epoca
arabo-normanna dopo i lavori di restauro che hanno riportato all'antico
splendore il maniero e la sua storia. Dopo più di 200 anni hanno rivisto la
luce pavimenti, muri, decorazioni, graffiti che nemmeno i più ottimisti
pensavano potessero riemergere da un passato secolare. Chi aveva memoria del
castello, delle escursioni e degli aquiloni, dovrebbe fare un profondo reset e
sintonizzarsi su un’altra frequenza, perché quello che finora hanno restituito
gli scavi è tutt’altra cosa. Le foto possono dare solo una piccola idea. Quello
che si incontra appena superata la rampa di accesso, è un ampio ingresso
pavimentato con pietre sagomate che si chiude con un colonnato a 4 colonne. E
poi, inaspettatamente, i graffiti risalenti al 1700, dentro una segreta dove
erano reclusi delinquenti comuni e dissidenti: incisioni o scritte con
carboncino che indicano date, cognomi, rudimentali calendari, messaggi lasciati
ai posteri su fustigazioni e percosse, croci cristiane e palme. Una evidenza
tutta da scoprire. Ciò che ha fatto venire in rilievo questa prima campagna di
restauri è che occorreranno nuovi finanziamenti per portare alla luce l’immenso
patrimonio che, paradossalmente, i crolli e le macerie accumulate hanno
salvaguardato. La
fantasia del
misilmerese è stata sempre molto spigliata. Attraverso i secoli ha
anche inventato leggende, spettri,streghe e fantasmi o “
travatura”un po’ dappertutto, ma in particolare riguardo al Castello.
Raccontano i vecchi ai piccoli di aver visto di notte passeggiare
tra i ruderi del Castello dei
fantasmi
avvolti in bianche lenzuola,come dei truci volti degli Emiri, armati di
scimitarra, seguiti da una schiera di donne del loro “
harem” che in tono lamentevole invocavano ancora:
“Allah”! “Allah”! e Maometto è il suo
Profeta ! Altri dicono di aver visto i potenti
Baroni che lo possedettero, che ancora severi e arcigni, guardano
dall’alto in basso il paese di Misilmeri, che si estende ai loro piedi,
minacciando severi castighi a tutti coloro che non ubbidivano e che non
pagavano le continue tassazioni che i Baroni imponevano. Altre apparizioni
vengono tramandate su conto di tutte le altre famiglie che hanno abitato il
Castello, dai
Chiaramonte agli
Aiutamicristo, dai
Del Bosco ai
Bonanno. Più preziose sono invece le
Leggende sul Castello. Secondo
il
Pitrè, sono i famosi
incantesimi dei Castelli o “truvaturi”. L’innato desiderio di arricchirsi, in
una fantasia grandemente esaltata come quella del volgo ignorante e credulo, ha
creato tesori in ogni più riposto angolo della Sicilia. Là dove dove sono
presenti
ruderi di antichità
greche o avanzi di denominazione araba o r
esti di un vecchio Castello, si è certi di trovare tesori nascosti
dai padroni che li possedettero e che non poterono trafugarli in un'altra terra
o portarseli all’altro mondo. Nella fantasia popolare detti “truvaturi” sono
pieni di monete d’oro,rubini, diamanti ,perle e pietre preziose.
Però ogni “travatura” è incantata e l’incanto
fu operato nei tempi antichi, uccidendo su di essa un uomo , lo spirito del
quale restò sulla “travatura” legato col sangue che la bagnò. Quindi essa resta
e vaga intorno fino a quando il deposito non venga preso. Molte volte il
custode di questi tesori
incantati è un
dragone o
un
diavolo, il Castello
dell’Emiro di Misilmeri ha uno di questi famosi “
truvaturi”, a guardia del quale, di tanto in tanto, compare
un uomo vestito di bianco, come
giurano in molti di aver visto. Per poter spezzare questo
incantesimo ed impossessarsi della famosa
pentola piena di marenghi d’oro e di brillanti,
che vi è nel maniero, bisogna fare una cosa relativamente semplice:
basta riempire un bicchiere d’acqua
fino all’orlo alla Fontana Grande ch’è in Piazza Comitato, allo scoccare della
mezzanotte, e poi di corsa salendo per la “strada grande” ossia per la via La
Masa, arrivare al Castello, senza però far cadere una goccia d’acqua. L’avidità
di denaro ha persuaso molti in passato a tentare la sorte, ma tutt’oggi sempre
senza risultato, forse dicono alcuni, perché gli cadde qualche goccia d’acqua
lungo il percorso, altri invece dicono, perché gli mancò il coraggio nel
carpire al momento opportuno il tesoro che sta lì ad aspettare il
fortunato possessore. Di certo in passato a tempo di guerre
e di colera in Sicilia, molte volte la gente fuggendo da Misilmeri, nascondeva
nelle mura delle case, nei
sotterranei o nelle campagne le loro
monete o quanto aveva di prezioso, nella speranza di prenderli al loro ritorno.
Ma molte volte morivano e non ritornavano più, sicchè i tesori restavano
nascosti fino ai nostri giorni. Tra le f
antasticherie
popolari dei misilmeresi va ancora oggi in giro la notizia che nel Castello
vi sia un lunghissimo
sotterraneo che
di lì giunge sino in Piazza Comitato. Niente è impossibile su questa
supposizione, dal momento che moltissimi antichi Castelli avevano di questi
sotterranei, costruiti per mettere in salvo
i Signori in caso d’assalto al castello in tempo di guerra. Ecco
un interessante video, di Gasman0049, sul castello in questione:
https://www.youtube.com/watch?v=llSmRZINUgI