martedì 31 maggio 2022

Il castello di martedì 31 maggio

 



RADDA IN CHIANTI (SI) - Castello di Albola

Albola, o meglio Albola Vecchia, sorge nel territorio di Radda in Chianti e si raggiunge dal capoluogo seguendo le indicazioni che conducono nel cuore della Valle del fiume Pesa. Albola viene citata per la prima volta in documenti risalenti all'XI e al XII secolo redatti nella badia a Coltibuono e nel monastero camaldolese di San Quirico a Foiano della Chiana. Nel 1376 si trova citato un comunello di Albola nell'elenco delle terre ribelli all'imperatore Carlo IV stilato al momento dell'elezione di suo figlio Venceslao e in quest'epoca doveva già essere fortificato. Per la sua posizione divenne uno dei capisaldi della Lega del Chianti, ai tempi in cui ne erano feudatari i nobili di Monterinaldi. Nel 1478 venne assediato dalle truppe aragonesi durante la seconda invasione del Chianti. Negli anni 1990 è stato interamente restaurato da Rüdiger von Pachelbel, un aristocratico tedesco che vi risiedeva. Il castello sorge nei pressi delle sorgenti del fiume Pesa, sui fianchi del monte Querciabella ed è un tipico esempio di insediamento fortificato d'altura risalente al XIII secolo. Si conserva in ottimo stato il torrione principale, il cassero, dove è posta un'apertura ad una certa altezza da terra. A fianco della torre sorge una costruzione recante sulla parete una porta ed un perimetro murario simile, probabilmente si tratta di una costruzione di origine medievale. Si conserva inoltre parte della prima cerchia muraria di forma ellittica. La chiesetta castellana è dedicata a San Salvatore ed era suffraganea della Pieve di Santa Maria Novella, diocesi di Fiesole.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Albola, http://www.lamiaterradisiena.it/I%20Castelli/Albola%20Vecchia/albolavecchia.htm, https://caivaldarnosuperiore.it/il-cassero-dalbola-radda/, https://gochianti.it/castello-di-albola/

Foto: la prima è presa da http://www.lamiaterradisiena.it/I%20Castelli/Albola%20Vecchia/albolavecchia.htm, la seconda è di Vignaccia76 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Albola#/media/File:Albola.jpg

lunedì 30 maggio 2022

Il castello di lunedì 30 maggio

 

CALTAGIRONE (CT) - Castello di Granieri (o Masseria Silvestri)

Le origini del feudo Graneri non sono certe, ma pare che sin dall'epoca normanna, rientrava nella vasta baronia di Fetanasimo, nei pressi di Caltagirone, da cui fu scorporato in epoca aragonese. A metà XIV secolo il feudo risultava essere di proprietà di Nicola Lancia, nobile di Siracusa e Maestro Razionale del Regno, che nel 1345 fu venduto per 200 onze a Riccardo Piza di Vizzini. Nel 1356, Corrado Piza, figlio di Riccardo, vendette il feudo per 100 onze a Ruggero Scolaro di Licodia. Lo Scolaro donò il feudo Graneri al Monastero di Santa Maria di Licodia; tale donazione fu confermata, fermo restanto l'obbligo del servizio militare, da re Federico IV di Sicilia il 16 maggio 1363, e fu riconfermata il 7 luglio 1365. La donazione fu fatta in base a "il patto della redenzione". Nel 1417, i Benedettini vendettero il feudo per 150 onze a Francesco Paternò Ventimiglia, barone d'Imbaccari e dei Supplimenti di Trapani, Sciacca e Mazzara, e Maestro di Campo del re Alfonso V d'Aragona. Il Paternò, sul feudo ebbe investitura al titolo di I barone di Graneri il 6 febbraio 1453. Successivamente i monaci vollero restituito il feudo e, dopo controversie, ne ottennero nuovamente il possesso che si mantenne fino alla confisca del 1866 in attuazione alle leggi eversive sui beni ecclesiastici. Il feudo Granieri, incamerato dal Regio Demanio, fu suddiviso in dodici quote, ognuno corrispondente alla contrada che lo costituiva, nel 1869 fu venduto all'asta per un importo complessivo di 421.000 lire. Le suddette quote furono acquisite all'asta da sei partecipanti, e cinque dei dodici lotti dell'ex feudo vennero aggiudicati al cavalier Antonino Silvestri da Palermo, che pagò 176.000 lire. Silvestri vi fece edificare nel 1885 una vasta masseria , che divenne la sede direzionale e logistica della nuova tenuta agricola. La masseria costituì il primo nucleo abitato di Granieri, e verso la fine del XIX secolo si insediarono alcune famiglie di contadini provienienti quasi esclusivamente da Ragusa, Comiso e Chiaramonte Gulfi. In base a disposizioni date dal barone Giovanni Silvestri, figlio di Antonino, prima della sua morte avvenuta nel 1923, che imponevano il popolamento dell'ex feudo con contadini, enfiteuti, mezzadri e braccianti, i figli Antonino e Michele, suoi eredi, diedero fondazione al nuovo borgo. Nel 1925, i fratelli Silvestri concessero in enfiteusi i primi otto lotti di terreno edificabile ad altrettanti enfiteuti, con l'obbligo, per questi, di edificare la casa per abitazione. Gli enfiteuti dovevano corrispondere un censo enfiteutico annuo nella misura di 20 lire. Le case furono costruite con il concorso finanziario degli stessi Silvestri, che in tal modo beneficiarono i primi costruttori del borgo. Edificato nel 1885 per volontà del cavaliere Antonino Silvestri, proprietario di buona parte del feudo Granieri, il "castello" sorge su un'altura a 351 metri s.l.m., delimitata dal vallone di Santa Venera a nord e da quello di Granieri a sud. La masseria, avente struttura di una fortezza, è ad impianto rettangolare con dimensioni di 70 x 100 m circa, e ai quattro angoli è caratterizzata dalla presenza di torri a pianta quadrata, e tra questi corre un muro di cinta alto circa 4 metri, privo di aperture verso la campagna ed allineato con i lati esterni delle torri. Le torri sono costruite con pietre irregolari di piccolo taglio cementate con malta, ma con cantonali ed aperture a bugne lavorate e sagomate, si conservano bene in tutto l'alzato (circa 8 metri), esclusa la merlatura. A pianta quadrata (6 x 6 metri), esse sono a due piani, dei quali quello inferiore è leggermente scarpato, con segnapiano formato da una coppia di listelli piatti e poco aggettanti che collegano i cantonali. In ogni lato si aprivano delle finestre rettangolari, di cui alcune sono state o ingrandite o murate o trasformate in circolari, sempre con orlo bugnato. Alla corte, munita di cisterna, si accede da due ingressi situati rispettivamente sui lati est e ovest. Nel lato rivolto a sud è una piccola loggia profonda 8 metri e lunga 12 in stile classicheggiante, forse per rispondenza ad un palazzo di molto posteriore alle torri. Essa è articolata con delle paraste agli angoli e un ingresso centrale sormontato da un arco a tutto sesto. Sul vasto cortile interno si affacciano i diversi locali adibiti ad alloggi e magazzini. Dal cortile si accede al palazzo padronale, posto sul lato nord, a pianta rettangolare a due elevazioni, addossato al muro di cinta sul lato nord. I locali al pianterreno erano adibiti ad uffici e locali di servizio dell'azienda agricola, il piano superiore era destinato ad abitazione della famiglia Silvestri. La masseria è attualmente in stato di abbandono. Il politico Mario Scelba, esponente politico della Democrazia Cristiana, di cui è stato parlamentare, ministro e capo del governo, visse la sua infanzia e la sua giovinezza con la famiglia all'interno della masseria, poiché il padre Gaetano era campiere del Barone Silvestri. Alla Masseria Silvestri furono girate alcune scene del film "Il garofano rosso" del 1976, diretto da Luigi Faccini. Altri link per approfondire: https://caltagironecittabarocca.it/beni-architettonici-02/castello-di-granieri-massria-dei-silvestri/, https://fondoambiente.it/luoghi/masseria-silvestri-granieri?ldc

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Granieri, https://www.icastelli.it/it/sicilia/catania/caltagirone/castello-di-granieri, https://www.comune.caltagirone.gov.it/Turismo/granieri.aspx

Foto: la prima è presa da https://www.wikiwand.com/scn/Granieri, la seconda è di Rosario Vizzini su http://www.foto-sicilia.it/foto.cfm?idfoto=8905&provincia=ct&citta=granieri

venerdì 27 maggio 2022

Il castello di venerdì 27 maggio

 

                                                

LUMEZZANE (BS) - Torre Avogadro

Già nota in epoca romana, di cui si possono ammirare gli acquedotti del primo secolo, il centro di Lumezzane fu poi sconvolto dai barbari e sottoposto al dominio longobardo e Franco. Nel secolo il IX passò sotto il dominio del Vescovo di Brescia e nel 1388 diventò feudo della famiglia De Vento, sotto investitura del vescovo Tommaso Visconti. Nel 1427 passò nelle mani della nobile famiglia Avogadro, in cambio del loro precedente feudo di Polaveno, su investitura della Repubblica di Venezia, particolarmente riconoscente per l'aiuto ricevuto dal nobile Pietro Avogadro nella lotta contro i Visconti. Il 23 gennaio 1528 il feudatario conte Francesco Avogadro emanò un proclama con il quale intimava gli abitanti di non osare più portare armi nelle assemblee comunali né di ricorrere ad offese o atti vietati nelle medesime. Rimase feudo Avogadro per oltre 300 anni, finché nel 1776 non passò per eredità, grazie al matrimonio tra Bartolomeo Fenaroli e Paola Avogadro, alla famiglia Fenaroli Avogadro. A inizio Ottocento il feudo cessò di esistere con la caduta della Serenissima per l'invasione francese. L'isolamento lumezzanese venne progressivamente meno, anche se le deficitarie vie di comunicazione rendevano in ogni caso difficili i collegamenti. La Torre Avogadro è il manufatto architettonico più antico del paese, che testimonia la signoria della famiglia Avogadro sul feudo di Lumezzane donato, come detto, dal doge di Venezia nel 1427. La costruzione di origine medioevale, che dalla sua posizione domina l'unico accesso alla valle, disponeva anche di un deposito chiamato "Fenaroli" in onore al matrimonio che aveva portato il feudo, nel 1740, ai Fenaroli Avogadro. Nel 1706 la torre fu sottoposta a radicali lavori di restauro e risistemazione con la realizzazione delle lesene in pietra locale (4 per parte) sulle facciate, del cornicione e del lanternino sul tetto (distrutto poi nel XIX secolo). A metà del Novecento divenne sede di una scuola elementare, successivamente trasformata in cornice per iniziative culturali. Giovanni Da Lezze la visitò nel 1609 e la descrisse come comoda dimora della famiglia: "Alloggiano quando vanno fuori in una torre in forma di Palazzo con buone commodità". Il fabbricato era circondato da un fossato che riceveva acqua dal torrente Regnone. Era quindi munita di un ponte levatoio, di una colombaia, e di un cornicione che risulta fosse presente ancora nel XIX secolo. Il fabbricato ha tre piani rialzati di cui quello nobile di doppia altezza. L'immobile aveva nel piano interrato la presenza di locali adibiti a carcere. Molte furono le famiglie proprietarie che si susseguirono nei secoli: i Lechi, i Facchinetti, gli Zani, fino a quando diventò nel 1865 di proprietà comunale. Attualmente la torre è la "Galleria Civica" del Comune, sede di mostre artistiche e di importanti manifestazioni culturali. Dopo il restauro la costruzione ha riacquistato tutto il suo splendore della sua origine medioevale. Scrisse Mons. Luigi Falsina su " Il Cittadino di Brescia" del 17 marzo 1926:"Benché decapitata dell'antica colombaia e raffazzonata nell'insulto coloristico delle sue vesti odierne, essa riesce ancora originale, solitaria e sdegnosa quale è affacciata al suo balcon di poggio, tra Piatucco, Pieve e Fontana.".

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Lumezzane, https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Avogadro, https://www.lumezzane.info/lumezzane_avogadro.htm, http://www.invaltrompia.it/rubriche/fortificazioni/lumezzanetorre.htm, https://www.comune.lumezzane.bs.it/cittadino/biblioteca/torre-avogadro

Foto: la prima è di Mik2001 su https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Avogadro#/media/File:Torre_Avogadro_Lumezzane_BS.jpg, la seconda è presa da https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/BS290-00245/

giovedì 26 maggio 2022

Il castello di giovedì 26 maggio



MONCALIERI (TO) - Castello della Rotta

E' un antico edificio di origine medievale situato nell'omonima frazione del comune di Moncalieri. Si raggiunge percorrendo una strada secondaria che si imbocca dalla SP393 in direzione Villastellone e che conduceva all'antico ponte templare sul torrente Banna di cui oggi rimangono soltanto pochi ruderi. L’insolito toponimo ha origine incerta e sono state ipotizzate molteplici spiegazioni: potrebbe derivare da rupta, ovvero una rovinosa sconfitta militare, oppure potrebbe derivare da rotha, antico termine che indicava una fossa irrigatoria, oppure ancora rotta potrebbe significare l'evenienza che avrebbe portato più volte alla rottura degli argini dei vicini torrenti Banna e Stellone ma sarebbe anche sinonimo di area paludosa, oppure luogo di un'importante strada da seguire. Tuttavia, da documentazioni catastali del XIII secolo, è noto che la costruzione venne denominata "Grancia Rupta", stando a indicare la grancia come sorta di fattoria fortificata. Quest'ultima sembrerebbe l’origine più recente del toponimo, il di cui edificio, convertito all'utilizzo rurale, si ergeva in una piana aperta e scarsamente abitata. La storia di questa dimora si perde nei secoli ma quando fu costruita era una modesta casaforte che tuttavia sorgeva in un punto strategico, poiché a difesa del vicino ponte sul torrente Banna, su cui transitava la strada romana proveniente da Pollentia. La presenza di questa strada potrebbe suggerire anche un'origine tardoromana dell'edificio come probabile statio, tuttavia non vi sono testimonianze concrete che confermino quest'ipotesi. Nel 1196 il vescovo di Torino Arduino di Valperga assegnò terreni e la proprietà dell'edificio ai Cavalieri Templari, che effettivamente erano già molto presenti nei territori di Testona, Villastellone, nella vicina Pancalieri e in varie aree dell'attuale Piemonte. L'edificio fu pertanto sede di un piccolo convento e di una guarnigione a protezione del vicino ponte sul Banna di cui sussistono i resti. In seguito allo scioglimento del suddetto ordine religioso, l'edificio venne acquisito dall'Ordine dei Gerosolimitani, così come anche la facoltà di esigere la gabella per il passaggio sul vicino ponte. Tuttavia nel XV secolo l'edificio, già noto come Grancia Rupta, subì rimaneggiamenti e fortificazioni in difesa dei briganti, poiché sussistevano conflitti tra comuni e feudi malgrado l'area fosse sotto la giurisdizione del Ducato di Savoia. Dal 1452 la dimora fu certamente un possedimento del conte e Gran Priore dei Cavalieri Gerosolimitani Giorgio Valperga di Masino, come testimonia una prima lapide (con iscrizione latina) che egli fece applicare. Fino al tardo XVI secolo l’edificio continuò a essere la dimora gentilizia della famiglia dei conti Valperga di Masino, come prova una seconda lapide affissa sul portale d'ingresso della casaforte, che raffigura lo stemma nobiliare. Nel XVII secolo, il castello rientrò nei molteplici possedimenti a disposizione della casata dei Savoia, divenendo altresì teatro di drammatici eventi e di due rovinose battaglie o, appunto, ruptæ: quella che Tommaso Francesco di Savoia principe di Carignano subì nel novembre del 1639 dall'armata francese capeggiata dal marchese D'Harcourt, che aveva liberato Torino dalle truppe «principiste» e che permise il ritorno della reggente Madama Reale Maria Cristina di Borbone; nonché quella a danno dell'esercito francese nel 1706, durante lo storico assedio di Torino, dove l’edificio fu adibito a deposito di polvere da sparo dalle truppe sabaude. Nella prima metà del Settecento l’edificio ospitò per poco tempo l'abdicatario re Vittorio Amedeo II, trasferito qui dal vicino Castello di Moncalieri, dove venne arrestato su volere del figlio Carlo Emanuele III dopo che Vittorio Amedeo II, ripensandoci, dichiarò nullo il proprio atto di abdicazione. In seguito Vittorio Amedeo II venne trasferito e confinato nel castello di Rivoli e poi nuovamente nel castello di Moncalieri, dove morì in preda alla follia il 31 ottobre 1732. Dopo circa un secolo di abbandono l'edificio fu acquistato da privati e sottoposto a restauri nel corso degli anni ottanta, che riportarono alla luce dettagli della quattrocentesca struttura. Nel corso di questa prima fase di lavori, durante le operazioni di scavo per l'allacciamento a condutture idriche, furono rinvenuti i resti di una sepoltura di quello che sembrava essere un cavaliere templare, poiché tra i resti dello scheletro dell'uomo vi era una vistosa croce di metallo e tracce di un'armatura, nonché le ossa di un grande animale, cui si ipotizza essere stato il suo cavallo. L'edificio sorge in un'area boscosa e ombreggiata. Esso è caratterizzato da prospetti in laterizio con tracce di un antico fossato che originariamente circondava completamente il perimetro dell'edificio. L'intera struttura si sviluppa su una planimetria a pianta quadrangolare caratterizzata da forme regolari e, ciò che distingue questo edificio da un comune casolare di campagna, sono alcuni dettagli architettonici quattrocenteschi come le due superstiti bifore a sesto acuto delle tre esistenti e le tracce di una merlatura sulla sommità del lato sinistro del maniero. La facciata principale è quella tipica di un edificio medievale a torre primitiva. Essa è asimmetrica ed è dominata dall'arcigno torrione quadrangolare con finestre munite di grate e sormontato da un piccolo campanile a vela. Le sue tre evidenti feritoie in laterizio rivelano l'originaria presenza di un ponte levatoio che conduceva al portale d'accesso. Sopra di esso è visibile una lapide in marmo bianco che riporta lo stemma nobiliare dei conti Valperga di Masino, mentre su uno stipite di pietra è visibile l'incisione di una croce di Malta, inequivocabile simbolo che lega il passato dell'edificio all'Ordine dei Gerolosomitani. Nel complesso la struttura versa in discrete condizioni, seppur con evidenti segni di rimaneggiamenti aggiunti nel corso del tempo, come le decine di finestre rettangolari distribuite in ordine sparso. Essa comprende svariati locali presumibilmente adibiti ad abitazione posti in corrispondenza del corpo principale accanto alla torre. Tuttavia anche i tre corpi di fabbrica di altezze differenti che si sviluppano attorno al cortile quadrangolare, dotato di una cisterna centrale, ospitano svariati ambienti. Queste ali laterali comprendevano originariamente l'antica area conventuale con il cellario, una sala di rappresentanza e una cappella con una volta ogivale. La struttura più bassa che si estende sul lato destro ospita le antiche stalle e alcuni magazzini in parte diroccati. Nelle ultime decadi del Novecento l'edificio si trovava in stato di degrado e ciò, unitamente all'ubicazione isolata e al legame con i Cavalieri Templari, favorì il sorgere di argomentazioni circa i presunti fenomeni soprannaturali che lo renderebbero uno dei manieri più infestati d'Italia, nonché meta di frequenti visite e sopralluoghi da parte di appassionati o semplici curiosi. Secondo alcune teorie occultistiche l'edificio godrebbe anche di una posizione astrologica favorevole all'apporto di energie naturali, poiché orientata strategicamente alla posizione del sole, della luna e dei pianeti, trovandosi altresì in corrispondenza di particolari linee di forza magnetiche terrestri. Queste particolarità avrebbero influito ad accrescere la sinistra notorietà della dimora, consolidandosi a partire dagli anni ottanta del Novecento, anche se, come spesso accade in questi casi, risulta difficile riscontrare un'effettiva veridicità delle pur numerose testimonianze di presunti eventi paranormali. Tuttavia molti testi specifici sull'argomento raccolgono indizi e testimonianze sul castello, tanto da contare numerose quanto presunte presenze che si manifesterebbero ciclicamente sia nelle proprie stanze che al suo esterno e annoverandolo, appunto, tra quelli più infestati d'Italia. Il già citato ritrovamento dei resti di una sepoltura parrebbe essere l'indizio che più potrebbe avere un possibile legame con il presunto fantasma del cavaliere templare avvistato da alcuni testimoni nel corso degli anni, tra cui uno dei proprietari succedutisi nel tempo; il suo spettro apparirebbe in sella al proprio destriero, completo di armatura e spada, e stazionerebbe presso il portale d'ingresso. Leggenda narra che in passato arrivò alla casaforte una giovane marchesa francese destinata a sposare il signore del castello. La ragazza però era innamorata di un giovane cavaliere, bello e coraggioso. Il signorotto, una volta scoperta la storia tra i due buttò la povera ragazza dalla torre del castello. Il cavaliere, quando seppe la terribile notizia si votò a Dio e partì per la Terra Santa per combattere gli infedeli. Leggenda vuole che che il fantasma col cavallo che si aggira per le sale della tenuta sia proprio questo cavaliere che volle farsi seppellire in questo luogo accanto alla sua amata.
Una altra leggenda legata sempre ai templari narra di un nobile, proprietario del castello, innamorato di un una bella nobildonna. Nel giorno della festa del fidanzamento dei due a corte, il palazzo fu assediato a sorpresa dai saraceni. Alcuni di questi inseguirono la giovane promessa sposa fino alla cima della torre dalla quale la ragazza si buttò per non cadere nelle mani del nemico. Il signore del castello combatté valorosamente tutta la notte e riuscì ad allontanare i nemici, ma all’alba vide la sua amata distesa senza vita sul ponte levatoio. Per il dolore e la rabbia il nobile cavaliere decise di partire per la Terra Santa facendosi monaco guerriero templare e per vendicarsi di tutti gli infedeli responsabili della morte della sua promessa.
- La leggenda del bambino e della nutrice
Si racconta che molto tempo fa nel palazzo vivesse un bambino molto dispettoso che era la croce della sua povera nutrice, costretta a rincorrerlo per tutto il maniero per evitare che si cacciasse nei guai. Un giorno la nutrice non riusciva a trovarlo e, arrivata nel cortile, esausta si fermò un momento per riprendere fiato. Ad un certo punto vedendo ricomparire dall’altra parte del cortile il bambino con un sorriso malizioso e di sfida, la nutrice si lasciò sfuggire un colorito rimprovero. All’improvviso però nel cortile arrivò una carrozza trainata da cavalli imbizzarriti che travolsero il povero bambino. La nutrice sconvolta, andò in cucina e si tolse la vita. Da allora, si dice che i fantasmi del bambino e della donna vaghino per le sale del castello, il primo vagherebbe alla ricerca della propria madre con il senso di colpa di essersi imprudentemente allontanato, la seconda in cerca del bimbo. Quest’ultima, oltre ai lamenti, lascerebbe dietro di sé un profumo di rose e gigli. Il maniero è protagonista di numerose altre storie e leggende sui fantasmi come ad esempio il sacerdote condannato ad essere murato vivo nel 1400 per aver commesso terribili crimini, un uomo giustiziato tramite decapitazione che ancora vagherebbe nel cortile interno con in mano la propria testa o ancora una bellissima donna bionda proprietaria del castello che si è tolta la vita a causa delle angherie di suo marito. Quest’ultima, si dice, vaghi per la pianura intorno alla tenuta. E poi ancora si racconta del fantasma di un prelato seduto e intento a leggere un grande libro, di quello di una figura vestita di nero che probabilmente ritornerebbe sul luogo della propria morte, di visioni di battaglie e di interi eserciti in marcia. Si narra inoltre che tutti questi spettri si riuniscano, ogni anno, per una vera e propria processione nella notte tra il 12 ed il 13 giugno, tutti diretti verso il maniero. Sfortunatamente il castello, essendo oggi proprietà privata, non è visitabile. La sinistra fama del castello con tutte queste sue ipotetiche presenze paranormali ha anche interessato il CICAP che, tuttavia, in un suo rapporto dei primi anni duemila, ha evidenziato come le leggende sui presunti fantasmi che infesterebbero questo edificio si siano diffuse soltanto a partire dagli anni ottanta del Novecento, a seguito dell'ultimo cambio di proprietà, senza particolari evidenze precedenti. Altri link proposti: https://torinostoria.com/il-misterioso-castello-della-rotta/, https://www.luoghimisteriosi.it/piemonte/moncalieri.html,https://www.youtube.com/watch?v=1l3QL-sEhaw (video di Mr.Anto), https://www.youtube.com/watch?v=JJNYS-iKSBo (video di Sara magic15), https://www.youtube.com/watch?v=FfQVh5eCwKs (video di Maurizio Raddo), https://www.youtube.com/watch?v=anEGlfcevNA (video con drone di Max Wave)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_della_Rotta, https://www.guidatorino.com/il-castello-della-rotta-a-moncalieri-fantasmi-e-leggende-del-luogo-piu-infestato-d-italia/

Foto: la prima è presa da https://atlas.landscapefor.eu/category/1400-1500/poi/6851-castello-della-rotta/10279-una-struttura-ancora-leggibile/, la seconda è presa da https://www.destimap.com/index.php?act=attraction&a=Castello-della-Rotta%2C-Moncalieri%2C-Italy

mercoledì 25 maggio 2022

Il castello di mercoledì 25 maggio

 

                                       

GRAFFIGNANO (VT) - Castello Baglioni in frazione Sipicciano

Sipicciano ebbe nei secoli passati ordinamenti comunali propri, un proprio Statuto ed un proprio sigillo municipale, al cui centro campeggiava una grande S con in tondo l’iscrizione «Com. Castr. Sipicciani». Viene menzionata per la prima volta nell'anno 840, in cui si cita un Fundo Sepiciano in un documento dell'imperatore carolingio Lotario I. Dotato di statuto comunale autonomo, il centro fu danneggiato varie volte nel XII secolo durante le guerre fra guelfi e ghibellini. Esso fu sotto il dominio comunale di Viterbo allorquando, nel XIII secolo, passò sotto quello della famiglia perugina dei Baglioni di Castel di Piero, "famiglia molto potente al di qua ed al di là del Tevere" che, con vicende alterne, influenzarono la vita e le sorti del paese. Il piccolo centro, prevalentemente agrario, rimase pressoché autonomo fino al 1872, quando fu aggregato al comune di Roccalvecce, oggi frazione viterbese situata fra Graffignano e Celleno. Dopo aver inoltrato domanda varie volte, a partire dal 1887, per l'aggregazione al comune di Graffignano, l'ottiene infine nel 1928. Il castello di Sipicciano, con le sue torri ottagonali, è già nominato in un documento del 1263 (processo di Selva Pagana). Nel secolo XII, durante le continue guerre fra i guelfi ed i ghibellini nate fra le famiglie dominanti Viterbo e la Tuscia, quali i Di Vico, i Gatti, gli Orsini, i Monaldeschi, Sipicciano subì notevoli danneggiamenti, il più grande dei quali il 20 giugno 1293, con la distruzione del borgo per opera delle truppe orvietane. Sipicciano ritornò definitivamente sotto la dominazione della Chiesa grazie all’intervento militare e politico del Legato del Patrimonio di San Pietro, cardinale Egidio Albornoz, e grazie anche all’aiuto del capitano Simonetto Baglioni di Castel di Piero il quale, in ricompensa, ricevette metà del castello di Graffignano. Il castello, oggetto di omaggi e ricompense per i servizi prestati alla Chiesa, passò dal capitano Angelo di Lavello detto il Tartaglia che lo possedeva nel 1414, a Giordano duca di Paliano nel 1420, per poi essere offerto da papa Martino V nel 1424 a Giordano Colonna, principe salernitano, che nello stesso anno lo cede ai conti di Capranica Pandolfo, Giovanni e Giacomo. Il 3 marzo 1431 papa Eugenio IV elevò a contea i feudi di Castel di Piero, Graffignano e Sipicciano, concedendo a Francesco o Cecco III, di Giovanni I Baglioni, il titolo di Conte, quale benemerenza che la stessa famiglia Baglioni aveva acquisito nel difendere i diritti della Chiesa. Con esso iniziò un lungo periodo di dominio sui tre castelli della Teverina da parte della famiglia Baglioni. Nel 1434 Cecco Baglioni pagò il censo dovuto per i diritti acquisiti su Selva Pagana, vasta tenuta tra i territori di Sipicciano, Graffignano, Montecalvello e Pian Torena, mentre si rafforzò con gli anni e con nuove nobili parentele il dominio su Sipicciano. Fu infatti il figlio Pandolfo a tenere il castello ancora nel 1464 insieme alla moglie Maddalena, figlia di Matteo Orsini di Mugnano e di Agnese degli Anguillara. Dopo una serie di controversie nate per la spartizione dei beni fra gli eredi, il castello di Sipicciano passò ai fratelli Giovan Paolo e Fierabraccio di Pandolfo, che ne furono Signori nel 1514, e successivamente ai figli di quest’ultimo, Giovan Carlo e Pirro I. Morto Giovan Carlo e con Pirro I privato dei suoi beni dopo gli oltraggi di lesa maestà da lui commessi nei confronti di papa Adriano VI, il castello passò ad un altro Baglioni, Alfonso figlio di Antonio e di Beatrice Farnese, e da questi alla sorella Ortensia Baglioni-Farnese che nel 1545 diede avvio ai lavori di ristrutturazione del castello di Sipicciano che completò nel 1548, avvalendosi di valenti maestranze del tempo, quali lo scalpellino Musacco da Settignano. Ma Ortensia, sposatasi per ben tre volte in pochissimi anni, lasciò il castello per andare a vivere a Vignanello, cedendo la sua quota di proprietà al cugino Alberto Baglioni di Pierbaglione, che ne diventò padrone assoluto dopo aver acquistato anche l’altra quota, appartenuta a Francesca Baglioni, figlia di Pirro I Baglioni. Alberto visse prevalentemente a Sipicciano, curando i molteplici interessi che aveva nella ricca valle Teverina e dando inizio ad importanti lavori, segno della sua potenza e sensibilità artistica, fra i quali il decoro dell’aula magna del suo palazzo (a. 1566) e la commissione ad affrescare la Cappella di famiglia (a. 1582) nella chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo. Morto Alberto il castello passò ai figli Federico e Pirro II i quali, oltre a terminare i lavori della Cappella commissionati dal padre, continuarono a curare i molteplici interessi che avevano non solo nella Teverina, ma anche a Viterbo, a Bolsena e nella Tuscia settentrionale. Ma la loro capacità amministrativa era di gran lunga inferiore a quella del padre, e per questi motivi il castello si avviò ad un lento decadimento ed a una lenta spogliazione, per via dei debiti e delle spese ormai insostenibili, anche da parte dei figli di Pirro II, Vincenzo e Paolo Antonio, a tal punto che i creditori fecero ricorso alla Congregazione dei Baroni. Il castello venne così venduto a Pietro d’Altemps, duca di Gallese, che nel frattempo si era offerto di comprare Sipicciano per la somma di 60.000 scudi, «cum pacto redimendi intra 8 annos...». I Baglioni si rivolsero successivamente al principe Barberini di Montelibretti offrendolo al prezzo di 90.000 scudi, di cui 30.000 per pagare le ipoteche e le cauzioni, e da questi Francesco Baglioni l’11 agosto del 1632, ricevuta la somma concordata, riscattò il castello a favore del principe Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII. Poco dopo moriva Francesco al quale succedettero i fratelli Vincenzo e Paolo Antonio i quali, il 15 gennaio 1633, confermarono la vendita al Barberini. Dal Barberini, che in quegli anni aveva dato in affitto il castello e le sue proprietà ai viterbesi Andrea Maidalchini e Tommaso Malvicini, Sipicciano passò il 19 dicembre del 1644 e per la somma di 90.000 scudi, a Prospero Costaguti del fu Antonio, patrizio genovese e cittadino romano, la cui famiglia tenne il castello sino all’anno 1879. Prima di essere ceduto all’Università Agraria di Sipicciano, nel 1923 il castello fu di proprietà anche delle famiglie Vanniccelli e Balestri. È da questa data che il piccolo castello godette della sua tranquillità. Sotto l’egida dell’Università Agraria, che ha una sua sede nel paese, il complesso è stato restaurato e adibito a museo archeologico, per i reperti provenienti dalla villa romana scoperta nella zona nel 2009. Le stanze presentano inoltre interessanti fregi affrescati raffiguranti membri della famiglia Baglioni. Altri link suggeriti: http://iviaggidiraffaella.blogspot.com/2018/03/sipicciano-sulle-tracce-della-famiglia.html, https://www.facebook.com/proloco.sipicciano

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sipicciano, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Sipicciano, https://fondoambiente.it/luoghi/sipicciano?ldc, http://proloco-sipicciano.blogspot.com/p/cenni-storici.html

Foto: la prima è di Luciano Trenta su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Sipicciano#/media/File:Castello_Baglioni_a_Sipicciano.jpg, la seconda è presa da https://fondoambiente.it/luoghi/sipicciano?ldc

martedì 24 maggio 2022

Il castello di martedì 24 maggio

 


                                       

PIETRACATELLA (CB) - Castello

Lo stemma del paese (a mt 725 sul livello del mare e a 32 km dal capoluogo molisano) reca una torre con merlatura guelfa ed un cane che tenta la scalata sul lato sinistro.Questo motivo vuole riferirsi forse alla inaccessibilità dell'antico castello che nel Medioevo dominava l'abitato. Il primitivo nucleo fortificato presente sull’altura è attribuibile al periodo normanno, anche se non è da escludere una prima fase di insediamento collegabile all’età tardoimperiale, quando il feudo era denominato Petra, e a detenere potere su questa terra era la famiglia dei Del Vasto o del Guasto che conseguì il feudo in seguito alla battaglia di Civitate (1053). Con ogni probabilità l’assetto maturo della fortezza si ebbe solo in epoca angioina al tempo della reggenza della famiglia di Sus-Gianvilla. Altre famiglie si succedettero a quella di Sus e il feudo toccò in dote ora alla famiglia Giorgio, ora a quella di Buccaplanola. Nel periodo Aragonese arrivarono i Di Capua conti D'Altavilla, poi i Carafa ed infine i Grimaldi. Dopo i Ceva Grimaldi, i marchesi vendettero a Guglielmo De La Feld e quest'ultimo ai Pasquale, famiglie molto note oggi a Pietracatella. Secondo quanto emerso in passato il castello di Pietracatella avrebbe, nel 1383, ospitato re Luigi d’Angiò assediato da re Carlo III di Durazzo. Si tratta di un insediamento fortificato in posizione strategica naturale in parte difeso dalla roccia stessa. Una posizione che permetteva il controllo diretto della valle del Tappino nonché del tratto sottostante del tratturo Castel di Sangro-Lucera, la via di comunicazione che assicurava i collegamenti con la Capitanata. Di quell'antico maniero rimangono oggi poche tracce; comunque, attraverso i residui della muratura, si può rilevare che doveva trattarsi di un castello di notevoli dimensioni. Il castello, merlato, aveva l'aspetto di fortezza ed era munito di camere di tortura, prigioni, alloggi per le guardie, scuderie, magazzini ed alloggi per i feudatari. Nel periodo rinascimentale, quando il feudo passò ai di Capua, furono apportate delle modifiche per adattarlo a dignitosa dimora. Esso aveva le caratteristiche delle fortezze normanne per l'ubicazione sulla sommità del monte, visibile a grande distanza e difeso dalla inaccessibilità del posto; inoltre vi dovevano essere numerosi sotterranei e gallerie, per permettere alle milizie dei feudatari di accerchiare alle spalle i nemici. Molte sono le vicende legate al castello di Pietracatella e, tra queste, è significativa la difesa opposta nel 1441 a due inutili assedi del re Alfonso d'Aragona. Nel secolo XVIII vi si amministrava la giustizia criminale, mentre nel secolo successivo esso fu abbandonato e cadde in rovina. Intorno al Mille il nucleo abitato del lato sud-est, ai piedi del castello, era compreso tra via Marconi e vico Marinelli. Lungo il perimetro si elevava una muratura a scarpata con piccole abitazioni addossate tra strette viuzze e vicoli. Si accedeva all'abitato tramite due porte: quella ad est, «Portella»,che oggi corrisponde a vico Lorio, e quella ad ovest, «Porta Vecchia», sul prolungamento dell'attuale via Porta Vecchia. Verso il Mille esistevano altri due nuclei urbani, quello di Catello e l'altro di Rocca Catella o Casalpiano. Catello era ubicato nell'agro di Monacilioni, mentre Rocca Catella era a circa 4 km da Pietracatella. Catello fu completamente distrutto dal terremoto del 1456. Delle mura e delle torri che dovevano costituire il primitivo nucleo di Petra restano solo alcune tracce ancora visibili; in Via S. Giacomo, infatti, è possibile notare sul lato di sinistra un avanzo di torre circolare mentre, alla parte opposta, inglobata alle case i resti una seconda torre, che probabilmente costituivano un primo complesso di difesa del castello. In Vico Antonio Cardarelli sono visibili i resti di una torre minore e quella che doveva essere la primitiva porta di accesso al borgo. Non è da escludere che anche la torre, tuttora visibile, detta in gergo Torretta, posta all’ingresso nord del paese, fosse parte integrante dell’antica cortina. Con lo spostamento della popolazione residente in altri feudi, sull’altura fu necessario, intorno al XV secolo, ampliare il perimetro urbano preesistente costruendo una nuova cinta di mura e nuove porte; queste ultime arrivarono a un numero complessivo di cinque. Le porte che permettevano l’accesso al borgo non mostrano gli stessi caratteri e le stesse dimensioni, segno quest’ultimo di continue modificazioni della cerchia muraria. Da est si incontrano: Porta da Capo, ora non più visibile perché minata dai tedeschi in ritirata nell’ottobre del 1943, Porta di Vico Monzillo visibile fino agli anni ’80 del XX secolo, Portella, di cui resta solo il toponimo, forse era già scomparsa nel 1871; in vico Mastro Michele è tuttora visibile un altro accesso al borgo in corrispondenza con la primitiva porta d’ingresso sita in vico A. Cardarelli e sovrastata da una torre a pianta quadrata. Porta d’Achille, abbattuta nel 1953 durante i restauri della Chiesa parrocchiale, fiancheggiava la facciata ovest della chiesa stessa; era di dimensioni maggiori rispetto alle altre e permetteva l’accesso tramite Via Piano Mercato al Palazzo marchesale costruito intorno al XVI-XVII secolo. Segue una torre a pianta quadrata in via Guglielmo Marconi, costituita nella parte inferiore da due arcate, la quale si può supporre appartenesse alla cortina muraria creatasi in una fase intermedia e porta Vecchia facente parte dell’abitato originario. In Vico Ferruccio vi è un’altra torre formata anch’essa nella parte inferiore da un’arcata, non allineata con le altre strutture difensive, sulla quale vi è un interessante bassorilievo lapideo, e infine Porta Nuova sita alla fine di Via Guglielmo Marconi, l’ultima delle cinque porte, costruita in seguito all’ampliamento dell’antica cinta fortificata intorno al XVII-XVIII secolo. Sul finire del XVI secolo, la fortezza divenne sede delle carceri. Fu definitivamente abbandonata dopo l’eversione della feudalità e fu utilizzata come cava di materiali e per il pascolo invernale delle greggi. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=isAVvZwJRW0 (video di Viaggia Con Wallace),https://www.youtube.com/watch?v=-R00aYZox3c (video di Borghi d'Italia)

Fonti: https://www.movio.beniculturali.it/ascb/leeccellenzedelmolise/it/32/pietracatella,https://www.comune.pietracatella.cb.it/pietracatella/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/20060, scheda di M.M. su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Molise/campobasso/pietracatella.htm

Foto: entrambe di Paolo Pasquale su https://www.turismoinmolise.com/pietracatella/

lunedì 23 maggio 2022

Il castello di lunedì 23 maggio

 

                                          


SAN MANGO PIEMONTE (SA) - Castello Merola (o Merla)

San Mango fu inizialmente un paese estremamente legato alle vicende della vicina città di Salerno distante soli 13 km, anche a causa delle piccolissime dimensioni del nucleo abitativo. Tuttavia nel XII secolo, assunse un ruolo importante nel sistema difensivo del Principato di Salerno, conquistando una forte identità che portò all'istituzione di una propria Universitas. Nel XII secolo Signore del Castello di San Mango era Filippo Guarna, fratello di Romualdo, arcivescovo di Salerno, come si legge in una antica pergamena conservata nell’Archivio Diocesano di Salerno. Ai Guarna subentrarono i De Cripta, ramo cadetto della nobilissima famiglia dei d’’Aquino, i quali assunsero da allora il nome di Santomagno o Santomango e furono tra le più potenti famiglie del Principato, tanto da opporsi alla famiglia degli Ajello in una lotta civile che durò dal 1334 al 1338 e cessò solo con l’intervento del sovrano e con un indulto generale. I Santomango diedero vita alla antica e importante Baronia di Santo Mango, staccatasi dal Principato di Salerno, che raggiunse nel XV sec. il suo massimo splendore, quando ai suoi discendenti furono riconosciuti dall’autorità regale numerosi privilegi. Quando nel 1458 la nobile Masella di Santomango, figlia del cavaliere Baldassarre, Signore di San Mango, sposò Niccolò Sannazzaro, si tennero nel Castello di San Mango grandi celebrazioni e qualche anno più tardi nacque a Napoli Jacopo Sannazzaro (1457-1530). Verso il 1470 il padre di Jacopo morì e la madre Masella preferì far ritorno a San Mango dove il poeta trascorse gran parte della sua adolescenza, all’ombra di quelle valli e di quei paesaggi da lui immortalati nell’Arcadia (III Elegia). Con la rovina dei Santomango, San Mango passò ai Sanseverino e poi ai Caracciolo (1700 c.), poi al Duca Luigi Poderigo (1728 c.) e poi ai Cavaselice, che si fregiarono del titolo di Marchesi di San Mango e ne furono signori fino all’inizio del XIX secolo. Il castello Merola venne costruito tra il XII e il XIII secolo sulla sommità del monte Magno, come luogo di avvistamento a difesa del confine meridionale del principato di Salerno: comunicava infatti con il vicino castello di Montevetrano (https://castelliere.blogspot.com/2013/01/il-castello-di-martedi-8-gennaio.html) tramite segnali di fumo o di luce utilizzando i riflessi di specchi. Dotato anche di una cisterna, il castello servì anche come luogo di rifugio. Dell'edificio rimane visibile una torre, edificata durante l'epoca angioina.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/San_Mango_Piemonte#Storia, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Merola, https://www.destinazionesalerno.info/Musei-e-Architettura/Castello-Merola.html, https://www.comune.sanmangopiemonte.sa.it/index.php?action=index&p=76

Foto: sono entrambe di Francesco La Manna, su https://mapio.net/pic/p-2916247/ e su https://mapio.net/pic/p-60698007/

venerdì 20 maggio 2022

Il castello di venerdì 20 maggio

 

                                            


ORTUCCHIO (AQ) - Castello Piccolomini

Il centro, situato a ridosso del colle che acquisì il nome di Ortuclae o Ortuclum, veniva chiamato in epoca medievale Ortygia. Posto nel lato sud-orientale della famosissima Piana del Fucino, era un punto altamente strategico, infatti il lago era circondato da una fittissima rete di roccaforti che venivano ad essere utilizzate per controllare il territorio. Questa è nello specifico la suddivisione delle fortezze: nella porzione settentrionale c’era il castello Piccolomini di Celano, nella porzione di ovest c’era il castello Orsini – Colonna di Avezzano, a sud è presente la torre di Trasacco, a sud-est la rocca Piccolomini di Ortucchio, e infine nella porzione ad est le fortificazioni di Pescina e di Venere. Tali fortificazioni, disposte quasi a scacchiera, facevano parte di un piano difensivo realizzato con grande intelligenza, non a caso sorgevano nei punti che nel rispetto delle strategie potessero aiutare a difendere nel miglior modo possibile il lago. Di sicuro è stata proprio la fortezza di Ortucchio a garantire la difesa alla zona da quegli attacchi che non di rado provenivano dalle zone della Valle del Sangro, ma anche dalle Puglie o dalle zone Sannitiche o Napoletane. Il nome del paese “Ortucchio”, deriva dal latino “Hortus Aquarum” che letteralmente significa “Giardino delle acque” proprio in onore di questa sua particolare collocazione, e furono probabilmente i romani a dare questo nome al paese, in quanto esso costituiva una penisola appartenente al lago anche se poi con il progressivo innalzamento delle acque la penisola divenne una vera e propria isola: sembra quasi strano riferirsi ad un paese in questi termini. Assoggettato a Ruggero conte di Celano, Ortucchio passò successivamente grazie a Ferdinando d'Aragona sotto la signoria di Antonio Todeschini Piccolomini. L'avvento dei Piccolomini mutò sensibilmente l'aspetto del paese, migliorando la condizione sociale. La dominazione spagnola e il successivo avvento dei briganti, legati alle rivolte napoletane di Masaniello, recarono devastazioni e gravi danni alla precaria condizione economica di quel periodo. A tutto ciò si aggiunsero la peste del 1656 e le devastanti e improvvise inondazioni del lago Fucino. Il terremoto della Marsica del 1915 causò circa 1.200 vittime su un totale di 2.534 abitanti e gravissimi danni al patrimonio architettonico di Ortucchio, in particolare alla chiesa di Sant'Orante e al castello Piccolomini. Il paese fu ricostruito nel corso del XX secolo. Il castello Piccolomini inizialmente sorgeva sull'isola di Ortucchio presso il lago Fucino. Erano proprio le acque di questo bacino che riempivano il fossato intorno alla struttura, scavato nella roccia, e che fungevano da via d’accesso al castello, costituendo insieme alle mura della fortezza una vera e propria peschiera dalle notevoli dimensioni che permetteva il passaggio ai livelli superiori della struttura. I locali del livello inferiore sono vicini ai due archi a sesto acuto. E' proprio questa caratterizzante immersione nelle acque da parte dell’edificio che lo rende speciale, soprattutto perché nel panorama italiano risulta uno dei meglio difesi, almeno fino al prosciugamento del Fucino avvenuto nella seconda metà dell'800 da parte di Alessandro Torlonia che rispolverò un progetto di epoca romana che fu messo in pratica già per esempio sotto Giulio Cesare, ma senza sviluppi positivi. Nel 1855, invece, iniziarono seri lavori per il definitivo prosciugamento che in realtà però si conclusero dopo circa venti anni: il Fucino infatti, essendo privo di canali di scolo, aveva una superficie variabile, ed anche la sua profondità era soggetta a numerosi cambiamenti, e di sicuro questo fatto non era positivo per coloro che vivevano nelle sue vicinanze, che dovevano fare spesso i conti con allagamenti immediati, soprattutto nei periodi in cui le piogge si facevano insistenti. Il prosciugamento fu accompagnato anche da un’opera di bonifica con la costruzione di canali per circa 285 chilometri e ponti. Con l'avvenuto prosciugamento, la protezione è venuta meno. Il castello ha una pianta rettangolare con massicci torrioni circolari agli angoli delle mura, notevolmente corrosi, con quello di nord-ovest del quale rimane solo il basamento (secondo fonti non certe, fu abbattuto per lasciare il posto ad una nuova struttura, probabilmente una piazza, mai realizzata però). Il portale d'ingresso al castello si trova sul lato delle mura verso il paese e sopra il portale è presente una lapide che riporta la data della ricostruzione da parte dei Piccolomini. Ad esso si accede tramite il ponte levatoio, unico ingresso alla struttura. Strana risulta essere la collocazione dell’ingresso su uno dei lati corti del castello e non su uno dei lati lunghi come solitamente accade e probabilmente questo aspetto è stato ereditato dalla struttura precedente. All'interno delle mura si trova il mastio, che rappresenta la struttura più antica del castello, risalente al tardo '400 e caratterizzato da una merlatura su tutto il suo perimetro. Che sia l'elemento più antico lo si deduce dalla particolarità che esso risulta inglobato nella cortina muraria, anziché essere in linea con la stessa, distinguendosi così dalla classica tipologia delle fortificazioni più tarde. Ancora oggi sono visibili le tracce dei muri e delle imposte delle volte che permettono di individuare facilmente gli ambienti che dividevano l’estensione del maniero: sono osservabili gli ambienti abitativi, quelli di guardia e di servizio fra cui i ricoveri ed i magazzini. Secondo le ricostruzioni effettuate anche la piccola porta di cui si avvalevano le guardie di ronda si trovava al di sopra del portale d’ingresso principale. La struttura in stile rinascimentale fu voluta nel 1488 da Antonio Todeschini Piccolomini, dopo la distruzione di una precedente fortificazione da parte di Napoleone Orsini per volontà di papa Pio II, avvenuta durante la guerra tra Ruggerotto Acclozamora, l’ultimo dei conti di Celano e della lunga dinastia dei conti dei Marsi e la madre Jacovella che il figlio vedeva come fedele alla casa aragonese, mentre egli era di fede angioina, dunque la fece imprigionare nel precedente edificio. Danneggiato dal terremoto del 1915 l'edificio è stato restaurato negli anni settanta e oggi è monumento nazionale. Il castello è dotato una sala convegni ed ospita frequentemente mostre ed incontri culturali. La leggenda narra che il fantasma della "Vergine pallida" compaia la notte sulla torre del Castello e con lei un uccello che canta una triste melodia. La Vergine è la figliola di un Signore di Ortucchio, che fu avvezzo a compiere ogni sorta di malefatte, innamorata perdutamente di un giovane ed ardito pescatore che, ogni notte, veniva a prenderla per condurla al centro del Lago dove si scambiavano eterne parole d'amore. Spesso, con la sua barchetta, si avvicinava al castello cantando stornelli d'amore perché la sua bella li udisse... Insospettito il Signore del Castello scoprì la tresca e diede in moglie la figlia al Signore del Castello di Celano. Prima di recarsi dal suo Sposo, la giovane fanciulla volle incontrare, all'alba, il suo amato per l'ultima volta. Arrivata a Celano, la giovane sposa si chiuse nel suo dolore finché, devastata dalla mancanza del suo amato, morì lanciandosi da una finestra del Castello, mentre il pescatore fu ucciso da suo padre in agguato. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=qgkd6t-Nr3A (video di Angelo Stornelli), https://www.youtube.com/watch?v=Cscp97-Q1Pg (video di Salvatore la capruccia), https://www.youtube.com/watch?v=_GR-kyuF93Q (video con drone di cvdigital Vinsent),https://www.terremarsicane.it/torri-borghi-e-castelli-medievali-il-castello-piccolomini-di-ortucchio/, https://www.dronicustomerservice.it/castelli-rocche-e-torri-dabruzzo/castello-medievale-di-ortucchio/ (foto aeree molto belle), https://www.youtube.com/watch?v=izQMrH5n5eM (video di Droni AltaVista)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Ortucchio, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Piccolomini_(Ortucchio), https://www.inabruzzo.it/ortucchio-aq-castello-piccolomini/, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Abruzzo/laquila/ortucchio.htm

Foto: la prima è di Giovanni Casale su https://abruzzoturismo.it/it/castello-piccolomini-ortucchio-aq, https://abruzzoturismo.it/it/castello-piccolomini-ortucchio-aq, la seconda è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini su https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10157696826090345/10152328054160345

giovedì 19 maggio 2022

Il castello di giovedì 19 maggio


 
SERRAMAZZONI (MO) - Torre della Bastiglia in frazione Ligorzano

Ligorzano compare per la prima volta in una carta dell’Archivio capitolare di Parma del 1039 col nome di Legorzanum Castrum, che indicava probabilmente l’antico fortilizio costruito a sostegno del Castello di Monfestino del quale rimane la torre merlata detta “Torre della Bastiglia”. La torre segnò per molto tempo il valore strategico di Ligorzano, soprattutto dall’ XI al XIII secolo. E' composta da 6 piani fuori terra. Nei pressi di essa alcuni edifici residenziali presentano portali in sasso scolpito con architravi lavorati di buona fattura e con incisa la data 1578. E' visibile solo dall'esterno.

Fonti: http://www.visitserramazzoni.it/ligorzano/, http://www.comune.serramazzoni.mo.it/territorio/bellezze_visitare/torre_della_bastiglia_1.aspx,https://www.inappenninomodenese.it/torre-della-bastiglia/, https://www.agenziademanio.it/export/sites/demanio/download/schedeapprofondimento/Torre_bastiglia.pdf

Foto: la prima è di Giovanna Barbieri su https://www.tourer.it/scheda?torre-della-bastiglia-ligorzano-serramazzoni, la seconda è presa da http://serra-viva.blogspot.com/p/serra-da-salvare-la-torre-della.html

mercoledì 18 maggio 2022

Il castello di mercoledì 18 maggio


BRESSANONE (BZ) - Palazzo Vescovile (o Castello)

Il Palazzo Vescovile, la cosiddetta Hofburg, conosciuto anche come il “Castello di Bressanone”, era l'antica residenza dell'ordinario della diocesi quando questa era ancora presso la cittadina altoatesina. La costruzione iniziò nel 960 allorché i vescovi di Sabiona si trasferirono nella conca bressonica. Poi, nel 1150 fu contornata di mura. Bressanone è rimasta ininterrottamente sede vescovile per otto secoli, fra il 1027 ed il 1803. Fin dal Medioevo, quando gli imperatori tedeschi dovevano andare a Roma, si facevano quasi sempre ospitare dai vescovi di Bressanone, facendovi tappa fissa. Costoro infatti non erano altro che principi dipendenti del regno germanico, e già in quello che oggi è il vecchio palazzo v'erano locali riservati agli imperatori ed al loro seguito, appositamente ricavati nell'angolo sud-ovest del castello. Nel Medioevo i principi vescovi di Bressanone nominavano in tutta piena libertà e discrezione i governatori e i consiglieri che li avrebbero sostituiti nell'esercizio del potere temporale quando fossero assenti o impediti. Un primo edificio in questo luogo venne eretto nel 1296 come residenza dei Signori di Bressanone. All'epoca si trovava adiacente all'angolo sud-occidentale delle mura. Nel 1595 il cardinale Andrea d'Austria, Principe vescovo di Bressanone, iniziò il grande cantiere di ristrutturazione per trasformarlo in una sontuosa residenza. Il progetto venne affidato all'architetto di corte Alberto Lucchese, che concepì un progetto italianeggiante, tardo-rinascimentale. Nel 1606, con la costruzione dell'ala orientale del palazzo si ottennero nuovi locali destinati alla Cancelleria aulica (la Hofkanzlei). Sia la sala del consiglio aulico che l'anticamera vennero rivestiti in cirmolo. Nell'anticamera sopra il rivestimento si trova il fregio con gli stemmi dei componenti del consiglio aulico dal 1543 al 1791. Il tavolo e le poltrone sono originali: le piccole differenze di forma delle sedie indicano l'ordine gerarchico dei singoli membri. Alla morte del cardinale Andrea, il suo successore Christoph Andreas von Spaur portò avanti i lavori di restauro del complesso, senza però seguire i piani del suo predecessore. Tra il 1707 ed il 1711 il principe-vescovo Kaspar Ignaz, che era anche conte di Künigl, sottopose il secondo piano dell'ala occidentale ad un'opera di ammodernamento tale da poter ospitare degnamente le visite dell'Imperatore. La zona imperiale, costituita da una sala di ricevimento, un'anticamera, una sala da pranzo, un soggiorno e un salottino cinese, venne appositamente arricchita di affreschi, stucchi e tappezzeria veneziana, ovviamente in seta orientale. Nelle due salette situate nella parte terminale della zona imperiale sono esposte l'argenteria da tavola, proveniente da Asburgo, e le porcellane di manifattura imperiale della corte di Vienna, comperate nel 1765 in occasione della visita dell'imperatrice Maria Teresa. Nelle sale dei ricevimenti e del cameriere sono esposti diversi ritratti di prelati e principi vescovi, mentre nel locale di ricreazione, poi studio privato del vescovo, è conservata una preziosa stufa in maiolica, realizzata nel 1546 da Bartlmä Dill Riemenschneider, con formelle dipinte raffiguranti la storia di Giasone e Medea. Vero e proprio gioiello del primo Settecento, la cappella aulica, intitolata all'Immacolata Concezione, è ubicata nell'ala ovest del palazzo vescovile ed è parte integrante del percorso museale. Ristrutturata nel 1707 per volere del principe vescovo Kaspar Ignaz conte di Künigl, la cappella custodisce al proprio interno, sulla volta, luminosi affreschi del pittore austriaco Kaspar Waldmann e quattro interessanti tavole, raffiguranti scene della vita di Maria, del medesimo artista. L'altare maggiore in marmo è opera di Cristoforo Benedetti, la decorazione in stucco di Bernardo Pasquale, mentre la pala d'altare è opera di Johann Georg Dominikus Graßmair. Il complesso vescovile è incentrato sul grande cortile chiuso da quattro ali di tre piani. Le facciate esterne del palazzo sono di color rosa tea con decorazioni in porpora. Le ali meridionali e settentrionali, presentano un triplice loggiato di epoca rinascimentale, mentre risultano barocche le facciate ad est ed a ovest. Tra le arcate del secondo livello dei loggiati, trovano posto 44 statue in terracotta rappresentanti i membri della famiglia degli Asburgo (la potente dinastia cattolica imperiale deposta da Napoleone), opera del 1600 dello scultore Hans Reichle. All'esterno, esattamente verso Bolzano, è collocato il “Giardino dei Signori”, straordinaria realizzazione floreale ricostruita alla fine del XX secolo sul progetto originale del 1831. Il giardino, che è racchiuso da mura alte due metri, è diviso in quattro sezioni con altrettante aiuole, dove crescono fiori ed ortaggi. Al centro delle aiuole vi è una fontana bronzea. Il palazzo fu residenza dei Principi-vescovi di Bressanone fino al 1973, dal 1976 è sede del Museo diocesano, che espone parti del Tesoro del Duomo di Bressanone, tra cui la casula col motivo dell'aquila del X secolo e le vesti del Beato Vescovo Hartmann del XII secolo, nonché opere d'arte dal Medioevo all'arte moderna. Il palazzo ospita anche una mostra permanente di presepi, una delle collezioni più importanti d'Europa, di cui uno dei maggiori promotori fu il principevescovo Karl Franz Lodron. Questa raccolta, in cui spicca un “Presepe annuale” con circa 5.000 figure, merita una visita non solo nel periodo natalizio. Altri link proposti: https://www.suedtirolerland.it/it/video/il-museo-diocesano-di-bressanone/ (video), https://www.rainews.it/tgr/bolzano/video/2021/05/blz-palazzo-vescovile-bressanone-mostre-raffaello-dante-novacella-efe967eb-f16c-4e43-aa23-cf0b1e91090f.html (video)

Fonti: testo di Stefano Favero su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Trentino/bolzano/bressanone.htm, https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Vescovile_(Bressanone), https://www.bressanone.holiday/palazzo-vescovile/

Foto: la prima è presa da https://www.sentres.com/en/poi/fortress/imperial-palace-of-bressanone-hofburg-brixen/61281711/, la seconda è presa da https://www.vivosuedtirol.com/it/musei/museo-diocesano-hofburg-bressanone/

martedì 17 maggio 2022

Il castello di martedì 17 maggio

 


CHIEUTI (FG) - Mura e torri

L' abitato sorge sulle antiche rovine di "Cliternia", proprio su uno sprone affacciato sul Mare Adriatico, fra il torrente Saccione ed il fiume Fortore. Verso la fine del 1470 la zona fu abitata da soldati a seguito di Giorgio Castriota Skanderbeg principe di Albania, accorso in aiuto dell’amico Ferrante I d’Aragona assediato a Barletta dagli angioini e dai feudatari ribelli. Quest’ultimo in segno di riconoscimento fece dono allo Skanderbeg di diversi feudi tra i quali ricordiamo Montesantangelo, Trani e San Giovanni Rotondo. Chieuti nel XVI secolo era un borgo fortificato e a testimonianza di ciò stanno le 4 torri ottagonali agli angoli (probabilmente fu ricostruito su un sito preesistente, di epoca sveva) e le mura che circondano il centro storico. Dopo la morte dello Skanderbeg e l’invasione dell’Albania da parte dei turchi si susseguirono le migrazioni di famiglie albanesi che fuggivano dalla loro Patria per non sottostare al dominio Ottomano. In età moderna fu feudo delle famiglie Carafa, de Guevara, Gonzaga, d'Avalos e Maresca. . Chieuti si presenta come un borgo fortificato. Infatti quello che oggi è il centro storico, è circondato dalle mura con quattro torri ottagonali agli angoli delle stesse.

Fonti: https://www.araldicacivica.it/comune/chieuti/, https://www.paesionline.it/italia/guida-chieuti, http://mondoarberesh.altervista.org/033.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Chieuti

Foto: sono entrambe di Vittorio Fuso Ph. su https://fondoambiente.it/luoghi/centro-storico-chieuti?ldc

lunedì 16 maggio 2022

Il castello di lunedì 16 maggio

NARNI (TR) - Castello in frazione Borgaria 

Il toponimo discende dalla parola arciporcaro, un termine con il quale, all'epoca della dominazione longobarda, si designava il sovrintendente dei boschi e pascoli destinati ai maiali, stanziato in questo piccolo paese appartenente al Ducato di Spoleto. All'inizio detta porcaria, in tempi recenti ha assunto il nome attuale. Durante il medioevo era un castello appartenente alla diocesi di Narni, già a partire dall'anno 1191. Durante l'anno 1291, partecipe con Narni ed Amelia della rivolta del pagamento del censo alla Chiesa, venne colpita da un interdetto. Più tardi, nel 1508, Papa Sisto IV impose l'obbligo collettivo di prestazione d'opera per costruire la porta delle Arvolte di Narni; un giudice, però, li liberò da questa imposizione in seguito alle richieste dei popolani. Dell’impianto medievale del castello, di base poligonale, e delle sue appendici rimangono pochi elementi: rimangono solo alcuni tratti di mura, una torre a pianta circolare, e i resti di una rocca (collocata in cima a un colle di fronte all’abitato e avente funzione di avvistamento). 

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Borgaria, https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-borgaria-narni-tr/, http://www.turismonarni.it/ita/19/territorio/ 

Foto: tutte e tre prese da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-borgaria-narni-tr/

giovedì 12 maggio 2022

Il castello di venerdì 13 maggio



RACCONIGI (CN) - Castello Savoia

Il Castello di Racconigi è una delle Residenze Reali d’Europa che ha più Storia e più storie da raccontare; e che propone, perfettamente conservati, splendidi decori di diverse epoche ed una miriade di mobili espressioni di gusti e stili eterogenei. Dal 1997 è iscritto nella Lista del patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO come parte del sito seriale delle residenze sabaude. Le prime notizie di una fortificazione presente a Racconigi risalgono all'XI secolo, epoca in cui il territorio era parte della Marca di Torino e dove Bernardino di Susa edificò o riadattò un'antica casaforte, sui resti di un precedente monastero. Nel 1091, alla morte della marchesa Adelaide di Susa, i territori furono occupati dal nipote Bonifacio del Vasto e il feudo di Racconigi entrò quindi a far parte dei possedimenti dei marchesi di Saluzzo. Successivamente, il nipote di Bonifacio del Vasto Manfredo II di Saluzzo ampliò la struttura esistente facendo innalzare un primo castello a pianta quadrata con cortile interno, destinandolo a difesa strategica per i territori del marchesato. Nel 1372 il marchese Federico II di Saluzzo cedette in pegno il castello ai conti Falletti ma dopo alcuni anni ritornò di proprietà dei Marchesi di Saluzzo. Infine, nella seconda metà del XIV secolo, un figlio illegittimo di Ludovico, ultimo principe di Savoia-Acaia, ottenne il feudo e il castello di Racconigi, dando inizio alla linea dinastica dei Savoia-Racconigi estintasi nel 1605. Nel 1620 il duca Carlo Emanuele I di Savoia ne fece dono a suo figlio Tommaso Francesco di Savoia, capostipite della dinastia Savoia-Carignano. A quel tempo la struttura appariva come un classico castello medievale: una massiccia fortezza in mattoni nudi a pianta quadrata, con quattro grandi torri angolari, il fossato, il ponte levatoio e un alto mastio laterale. L'impianto della struttura, rimasto pressoché invariato fino alla metà del XVII secolo, venne sottoposto ad un primo rimaneggiamento su volere del figlio di Tommaso, Emanuele Filiberto, che commissionò nel 1676 a Guarino Guarini la prima, completa trasformazione della fortezza in "delizia". Egli innalzò, sfruttando l'ampio spazio interno della corte, un grande corpo centrale con copertura «a pagoda»; inoltre, sulla base delle due torri angolari della facciata settentrionale, sviluppò i due padiglioni di quattro piani, sormontati da un tetto a cupola quadrangolare con lanterne in marmo bianco. Tuttavia, il grandioso progetto del Guarini non coinvolse soltanto l'edificio, ma vide anche l'affiancamento del noto architetto francese André le Nôtre, che si occupò della risistemazione del vasto parco. A lavori ultimati, il 7 novembre 1684 Emanuele Filiberto sposò a Racconigi Maria Caterina D'Este A partire dal 1757 Ludovico Luigi Vittorio di Carignano commissionò all'architetto Giovanni Battista Borra un notevole rimaneggiamento secondo il gusto neoclassico tipico dell'epoca, a cui si deve il rifacimento della facciata meridionale con l'aggiunta del pròtiro tetrastilo con colonne corinzie sormontate dal frontone triangolare dentellato di ispirazione palladiana e l'antistante scalone monumentale. Gli interventi interni, invece, interessarono il Salone d'Ercole, l'attigua Sala di Diana e l'allestimento delle stanze dell'Appartamento Cinese, decorate con preziose carte da parati in carta di riso. L'attuale aspetto dell'edificio è in gran parte frutto del rimaneggiamento voluto nel 1832 dall'ultimo principe di Carignano, nonché neo re di Sardegna, Carlo Alberto. Egli ritenne necessario ampliare e abbellire ulteriormente la residenza, che da quel momento in poi cessò di appartenere alla famiglia Savoia-Carignano per passare alla corona di Sardegna, assumendo così lo status di «residenza reale», nonché eletta sede delle «Reali Villeggiature». Il sovrano affidò i lavori all'ingegner Ernesto Melano, che innalzò ulteriormente l'antica struttura quadrangolare attorno al corpo centrale e sviluppò le due grandi maniche laterali del prospetto meridionale, riproponendo il tema della cupola «a pagoda» come copertura delle due torrette angolari. Inoltre, la sistemazione comprese il rifacimento del piazzale e l'edificazione dei fabbricati a "C" che raccordano le nuove ali del prospetto sud ai retrostanti padiglioni della facciata settentrionale. Contestualmente a quest'intervento, vennero anche demoliti un mulino e alcune abitazioni antistanti che nascondevano alla vista il castello, dando luogo all'ampia piazza davanti all'ingresso principale, in asse con il lungo viale alberato antistante. Gli interni furono invece riallestiti alle esigenze dell'epoca affidando l'opera a Pelagio Palagi, che riarredò i nuovi ambienti mantenendo la coerenza con il gusto neoclassico. Con lui operò anche l'ebanista astigiano Gabriele Capello, detto «il Moncalvo» di cui si ricordano, tra le numerose opere conservate nel castello, i preziosi intarsi che ornano gli arredi e le ante delle porte del Gabinetto Etrusco, studio personale di re Carlo Alberto. A partire dal 1834, la Galleria di ponente fu oggetto del lavoro del pittore Marco Antonio Trefogli, che la ornò con raffinate grottesche, raffiguranti frutta e volatili. Insieme a Luigi Cinnati, Trefogli inoltre realizzò ornati e arabeschi per la Sala di ricevimento e la Sala da pranzo. Per il bagno di Carlo Alberto, dipinse nelle fasce ornamentali dei motivi floreali, oltre a grottesche, anfore, conchiglie, cigni e grifoni, mentre nel fregio sopra il cornicione sono state inserite delle figure di draghi alternate a girali. La sistemazione del parco, invece, fu affidata al paesaggista tedesco Xavier Kurten, che trasformò la precedente opera di Le Nôtre a favore di un'impostazione romantica. È di questi anni anche il progetto e la costruzione della Margarìa, la cascina in stile neogotico collocata al fondo del parco, nuovamente frutto della collaborazione di Ernesto Melano e Pelagio Palagi. Proprio nei viali di questo parco il 19 agosto del 1840 avvenne il primo incontro, organizzato dalle rispettive famiglie, tra il principe Vittorio Emanuele, futuro primo re d'Italia e la sua prima moglie, nonché cugina Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena. I due convolarono a nozze due anni dopo (1842) presso la Palazzina di caccia di Stupinigi e dal matrimonio nacque, tra gli altri figli, il principe ereditario Umberto I. Negli anni successivi, i successori di Carlo Alberto frequentarono meno assiduamente la dimora; tuttavia, con l'avvento al trono di Vittorio Emanuele III nel luglio del 1900, la residenza tornò ad essere sede delle «reali villeggiature» nei mesi estivi e autunnali. Nel 1901 il castello venne dotato di impianti idrici e di energia elettrica, con un nuovo sistema d'illuminazione lungo tutta la cinta muraria del parco, e nel 1902 fu anche installato un ascensore Stigler. Sempre a Vittorio Emanuele III si deve la decorazione delle pareti interne dello Scalone d'Onore, in una delle quali è riportata una delle più complete raffigurazioni genealogiche della famiglia reale, opera di Adolfo Dalbesio, autore anche delle altre quattro grandi tele raffiguranti stemmi di Casa Savoia. In base alle nuove esigenze della famiglia reale, vennero ammodernati molti locali del castello, tra cui l'appartamento dei sovrani al secondo piano. Qui, alle 23.15 del 15 settembre 1904, nacque l'ultimo re d'Italia Umberto II e una serie di importanti eventi si susseguirono: nel 1909 la residenza fu sede della visita dello zar Nicola II per sottoscrivere il Trattato di Racconigi mentre nel 1925 si svolsero le nozze della principessa Mafalda. Nel 1930 il principe Umberto ricevette in dono la residenza, in occasione delle sue nozze con la principessa Maria José del Belgio, celebratesi a Roma. A lui si deve il minuzioso reperimento presso le altre residenze sabaude di numerosi dipinti di famiglia, oggi conservati nelle varie gallerie e nei numerosi corridoi, e una raccolta di documentazione sulla Sindone di Torino. Vennero inoltre ristrutturati alcuni blocchi di appartamenti del secondo piano, tra cui le sale da bagno dei principi di Piemonte e il salotto della musica, con soffitti e pareti decorati in stile futurista da Fiore Martelli, allievo dell'illustre Giò Ponti. In seguito ai risultati del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, il castello venne chiuso e avocato allo Stato italiano. Le principesse Jolanda, Giovanna e Maria e gli eredi della già scomparsa Mafalda intentarono una causa sull'illegittimità della donazione del 1930 a Umberto II. Difatti la Corte di cassazione nel 1972 decretò che solo un quinto del palazzo fosse confiscabile, cioè quello di proprietà di Umberto II, ma che allo Stato italiano doveva essere garantito il diritto di prelazione, in caso di vendita a privato. Nel 1980, dopo trentaquattro anni di esilio, Umberto II decise di vendere l'intera proprietà allo Stato, ponendo un'unica clausola: che la residenza e tutte le proprietà ad essa annesse fossero correlati al tema della «conoscenza» e, quindi, che ciò determinasse un utilizzo destinato ad attività culturali di tipo divulgativo. Riaperta il 23 maggio 1993 su iniziativa dell'assessore Pino Perrone tramite convenzione con la Soprintendenza Beni Ambientali, Croce Rossa di Racconigi e Volontari Vigili del Fuoco, la residenza è in gran parte visitabile ed è oggetto di costanti restauri di natura conservativa volti a preservare la struttura e a riportare agli antichi splendori i piani nobili dell'edificio. Il castello rappresenta una delle residenze sabaude meglio conservate, vantando un'apprezzabile dotazione di arredi, dipinti e suppellettili ed è costantemente sede di eventi ed attività culturali. Il castello custodisce ambienti realizzati nel Settecento, altri neoclassici, fino a comprendere sale di gusto déco risalenti alla prima metà del Novecento. Accuratamente restaurati, essi mantengono le decorazioni e gli allestimenti originali conservati nel corso dei secoli. Tra di essi i più rilevanti sono, in ordine cronologico: il salone d'Ercole, la sala di Diana, l'appartamento cinese (della metà del Settecento, con tappezzerie in carta di riso e porcellane antiche), la sala da pranzo, la sala da ricevimento (con il lampadario in cristallo di Boemia, i mobili dorati e le tappezzerie di damasco giallo), il celebre gabinetto etrusco (salottino privato del re), la biblioteca di Carlo Alberto, il gabinetto di Apollo, e la cappella reale, dedicata alla Madonna della Neve. Pregevoli anche la Sala della Musica, con il magnifico pianoforte Bechstein, la Sala del Mappamondo, la Galleria dei Ritratti, raccolta iconografica dei personaggi di casa Savoia, e le Sale cinesi .Al secondo piano nobile invece trovano luogo gli appartamenti rimodernati nei primi tre decenni del Novecento comprendenti: la camera da letto della regina Elena, il bagno di Umberto II e il salotto della Musica di Maria José. Troviamo anche la Camera da letto della regina Maria Adelaide, in cui accanto al letto in ferro battuto di F. Cambiaggio, è possibile ammirare la splendida culla ottocentesca utilizzata per Umberto I. Le camera situate al secondo piano, riservate ai momenti privati dei reali, sono meno sfarzose e più intime, mentre i sotterranei sono occupati dalle Cucine, impressionanti per la vastità degli ambienti. Il castello si affaccia a nord verso un imponente parco alla francese di circa 170 ettari, delimitati da un muro di cinta lungo in totale 6 km. Alla fine del Seicento il parco appariva secondo il rigore geometrico conferitogli dall'architetto francese André Le Nôtre, medesimo autore dei giardini della Reggia di Versailles. Circa un secolo dopo, su volere della principessa Giuseppina di Lorena-Armagnac, il parco vide una trasformazione ad opera di Giacomo Pregliasco, che ne riprogettò una parte offrendo nuovi percorsi immersi in una natura rigogliosa ed apparentemente selvaggia. Il completamento del parco in stile romantico, come appare oggi, lo si deve a Carlo Alberto, che nel 1836 affidò i lavori al paesaggista prussiano Xavier Kurten. Questi si dedicò alla risistemazione del lago, dei viali e dei corsi d'acqua e, con l'aggiunta di ponticelli, colline e nuovi filari d'alberi, ne fece un tipico parco del XIX secolo. Al Kurten successero nella direzione del parco i fratelli Roda: Marcellino dal 1843 al 1859 e Pietro Giuseppe dal 1860 al 1870. Sotto la loro conduzione il parco reale acquistò fama a livello europeo per la vasta produzione di fiori rari e piante da frutto esotiche che i due fratelli coltivavano nei giardini a fiori e a frutta e nella nuova serra riscaldata voluta da Carlo Alberto. Tra l'Ottocento e il Novecento il parco fu utilizzato prevalentemente come riserva di caccia e tenuta agricola, tanto da riservarne alcune piccole porzioni a coltivazioni di mais e cereali. Tuttavia, dal secondo conflitto mondiale in avanti si verificò una certa carenza di manutenzione e un progressivo stato di abbandono. Dalla riapertura del castello il 24 maggio 1993 in poi, anche il parco è stato oggetto di una serie di attenti interventi di recupero, volti a riportarlo all'aspetto conferitogli da Kurten nell'Ottocento. Nuovamente visitabile, il parco offre una grande varietà di specie vegetali e di animali protetti, una rete di viali e sentieri dallo sviluppo complessivo di 25 km, bacini d'acqua (tra cui il lago di 18 ettari di superficie), grandi aiuole fiorite e, come il castello, è abituale luogo di attività ed eventi culturali. Nel 2010 il parco è stato scelto tra i primi dieci finalisti e poi decretato vincitore nel concorso I parchi più belli di Italia 2010, organizzato da Briggs&Stratton; sempre nel medesimo anno il parco ha ospitato la Biennale di Scultura Internazionale nell'ambito dell'iniziativa Scultura Internazionale a Racconigi, 2010. Presente ed esperienza del passato. Ecco il sito dove visitare virtualmente il castello: http://polomusealepiemonte.beniculturali.it/index.php/musei-e-luoghi-della-cultura/castello-di-racconigi/. Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=NoMuhHlerrM (video di La Stampa), https://www.youtube.com/watch?v=XIghwZMx3Bs (video di UMB21VIDEO50), https://www.youtube.com/watch?v=CjGEKr6fMOs (video di barbassi)

Fonti: https://www.comune.racconigi.cn.it/archivio/pagine/Il_Castello_e_il_Parco.asp, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Reale_di_Racconigi, https://www.italiaparchi.it/castelli-e-ville/castello-di-racconigi.aspx, https://artbonus.gov.it/958-castello-di-racconigi.html, http://www.castellipiemontesi.it/pagine/ita/castelli/racconigi.lasso

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.regioni-italiane.com/immagini/castelloracconigi1.jpg

mercoledì 11 maggio 2022

Il castello di giovedì 12 maggio



GELA (CL) - Castello svevo (o "Castelluccio")

Si erge su una collina di gesso e domina la costa a difesa della città. Da lì è possibile godere di un panorama magnifico. Le origini del castello risalgono, secondo antichi documenti storici, al 1143 quando il conte Simone di Butera lo donò all'abate del Monastero di San Nicolò l'Arena di Catania. Il castello è stato costruito utilizzando la calcarenite gialla e grandi blocchi di calcare bianco che danno all'intera struttura un aspetto davvero gradevole ed imponente, si presenta inoltre privo di decorazioni e merletti, caratteristiche che ne esaltano maggiormente la sua funzionalità. La fortificazione risale al XIII secolo, periodo in cui veniva edificata da Federico II di Svevia, sui resti dell’antica Gela, la città di Eraclea. La fabbrica venne realizzata utilizzando i blocchi delle Mura Timoleontee divenute in quegli anni, assieme ai resti dei templi greci, vere e proprie cave per l’edificazione della città voluta dallo Stupor Mundi. Non è infatti difficile trovare tra i muri del Castello capitelli o rocchi di colonne sbozzati per la realizzazione dei muri perimetrali ed interni. Il Castello sorse con lo scopo di difendere la città da eventuali incursioni nemiche che arrivassero dall’entroterra siciliano, attraversato già a quel tempo da un gran numero di persone, prevalentemente mercanti ma anche briganti, con i secondi che assalivano i primi per privarli di ogni loro bene. Il Castelluccio nei suoi quasi otto secoli di vita, ha subito diverse trasformazioni e fasi di abbandono. Nel XVI secolo sotto i duchi Aragona Cortes e Pignatelli l’edificio venne in parte modificato con la costruzione di un primo piano e l’apertura di grandi finestroni. Ubicato nella contrada Spadaro è facilmente raggiungibile percorrendo la strada che da Gela porta a Catania e si trova a circa 10 km dalla città. Per quanto riguarda l'aspetto architettonico si può notare che la pianta è rettangolare, stretta e allungata, con mura spesse e due possenti torri situate ai lati: la torre ad ovest presenta ancora i resti di una cisterna e di un sala ancora in parte visibile, nella la torre ad est, invece, si può ammirare una cappella scavata nella parete. Il castello, probabilmente, era organizzato a più piani vista la doppia file di finestre visibili dall'esterno ed anche se ormai sono rimasti solo dei ruderi si possono ancora ricostruire le funzioni delle varie parti. Sono, comunque, ancora presenti parti degli ambienti dedicati alle stalle ed all'armeria e qualche sala residenziale. L’edificio al suo interno presenta un pianoterra diviso in 5 stanze principali, con feritoie e due grandi finestroni centrali di epoca successiva. Le stanze erano in origine divise da 5 archi ogivali che avevano anche funzione di sostegno del piano superiore in cui si articolavano altre stanze. Degli archi rimane oggi una centina, sottostruttura che aveva il compito di “reggere” l’arco ogivale. Dopo alcuni lavori di restauro, purtroppo, è stato abbandonato, rientrando così nel novero dei magnifici castelli siciliani prima restaurati e poi abbandonati nuovamente al proprio inesorabile destino. Sono numerose le leggende legate al Castelluccio, tra cui quella che un tempo fosse abitato da una bellissima castellana dalla lunga chioma scura, il corpo esile, le labbra truccate con un rossetto verde. Il suo compito era quello di occuparsi della servitù e prendersi cura dei cavalli durante le riunioni del padrone di casa, ovvero suo marito. Inoltre, era solita deliziare con la sua bellissima voce i contadini e i passanti. Tutti quanti erano attratti dalla castellana, che però scompariva nel nulla ogni volta che qualcuno cercasse di avvicinarla. La castellana era insomma una figura piuttosto singolare: bellissima ma crudele, molto severa con i servitori, ma anche molto ambigua. Infatti, si narra anche che nessuno faceva visita al castello ad eccezione dei nobili che prendevano parte alle riunioni del padrone del maniero e che chiunque volesse discutere di affari con la donna preferiva inviarle dei messaggeri o dei piccioni viaggiatori, che però scomparivano nel nulla prima di fare ritorno. Attorno al Castelluccio di Gela, pare si aggirasse anche un cavaliere armato, che però nessuno tra i contadini era mai riuscito ad avvicinare. Gli stessi contadini raccontavano, inoltre, che tra le mura del maniero si aggirassero strane ombre, che probabilmente erano fantasmi del passato,forse per proteggere, secondo i locali, "a trovatura", il prezioso tesoro. Tuttavia nessuno è mai riuscito, nel corso dei secoli, a trovare l’ambito forziere o alcun documento in merito, nemmeno spulciando le tante leggende popolari di Gela. Altri link suggeriti: https://youtu.be/UAy-AEEwHVw (video con drone di Sicily Tourist), http://www.gelabeniculturali.it/Castelluccio.htm, http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castelluccio%20-%20Gela-CL-517, https://www.youtube.com/watch?v=Oppkky-mWUs (video con drone di In giro con Milo), https://www.facebook.com/watch/?v=2547438462221963 (video), https://www.youtube.com/watch?v=txEtV_nbuNg (video di Urbex Sicilia Abbandonata), https://www.youtube.com/watch?v=tBal3vn5nPo (video di PersonalDrones)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castelluccio_di_Gela, https://fondoambiente.it/luoghi/castelluccio?ldc, https://sicilyintour.com/luogo/castelluccio-di-gela-castello-svevo/, https://www.gelaleradicidelfuturo.com/tours/castelluccio/, https://www.balarm.it/news/una-castellana-un-cavaliere-armato-e-strane-ombre-i-fantasmi-del-castelluccio-di-gela-121797, https://gela.italiani.it/il-castelluccio-di-gela/

Foto: la prima è presa da https://www.gelaleradicidelfuturo.com/tours/castelluccio/, la seconda è presa da https://gela.italiani.it/il-castelluccio-di-gela/