PERCHE' PREFERIRE LE ERBE SELVATICHE
1 mese fa
ebbene sì....anche io, in modo immaginario, voglio infilare un foglietto di carta con notizie sulla mia vita e i miei interessi in una bottiglia e gettarla nell'immenso mare della rete, dove chissà chi lo leggerà !!! PROVATE A DIGITARE LA LOCALITA' ITALIANA DEL CASTELLO CHE CERCATE NELLA FINESTRA IN ALTO A SINISTRA, FORSE NE HO GIA' PARLATO IN QUESTI ANNI....ALTRIMENTI SUGGERITEMELO PER I PROSSIMI POST :-)
MELIZZANO (BN) - Castello Caracciolo
Il paese sorse nel medioevo al posto dell'antica Melae, insediamento di origine sannita che fu al centro di alcune tristi vicende durante la seconda guerra punica (216 a.C.). Questo villaggio dipendeva dal municipio romano di Telesia. Nel Catalogus baronum (metà del XII secolo) veniva chiamata Meliczano ed era un feudo di proprietà del conte di Caserta. Successivamente divenne di proprietà dei Signoretto e, nel 1506, dei Gambacorta. Nel 1532 contava quarantotto famiglie, diventate cinquantasei nel 1596 e trentotto dopo la peste del 1656. Nel XVII secolo appartenne ai De Capua e ai Bellucci. Poco prima dell'abolizione del feudalesimo (1806) appartenne ai Corsi. Tra i monumenti più prestigiosi presenti nel centro storico di Melizzano, è possibile ammirare il Castello, attualmente di proprietà della famiglia Caracciolo D’Aquara, che conserva ancora la sua fisionomia originaria. Le sue origini risalgono al XVI secolo. Di proprietà dei principi di Conca, passò successivamente a Bartolomeo Corsi. Infine, il Duca Lucio Caracciolo D'Aquara lo ereditò alla morte dello zio, il Barone Meoli del Torello. Pirandello scrisse, nel castello di Melizzano, numerosi racconti ed Eduardo De Filippo ambientò una delle sue commedie di maggiore successo "De pretore Vincenzo". Ha come elemento di maggior pregio la scala di pietra e tufo con balaustra traforata a motivi floreali. Inoltre è caratterizzato dalla merlatura ghibellina che corre lungo tutta l'architettura. Nel cortile interno si possono ammirare delle belle arcate ogivali di gusto gotico. Negli archi del porticato con volte a vela sono gli stemmi della famiglia Caracciolo. Le ampie sale interne conservano tutte le sembianze dei castelli dell’epoca, con una spiccata impostazione di difesa e con merlature e torri fortificate. La Famiglia Caracciolo possiede anche un piccolo maniero in località Torello di Melizzano, che presenta prestigiosi ambienti, un curato giardino ed una bellissima piscina. Le stanze mostrano alle pareti tele e stampe del ‘600, arazzi e sete di San Leucio. Altri video: https://www.youtube.com/watch?v=iyZWO_9Cp2c (video di Napolipost Napolipost), https://www.youtube.com/watch?v=-ZbP20kBnaE (video di Carlo Alberto Aldi), https://youtu.be/dtWHMruoDDE (video di Telesia Valle)MULAZZO (MS) - Castello Malaspina in frazione Castevoli
Si ipotizza che il castello sia sorto su una piccola fortezza a presidio della strada romana per Piacenza. Le prime notizie di Castevoli risalgono al 1077 con la concessione dell'Imperatore Arrigo III del paese ai Marchesi Ugo e Folco d'Este consorti dei Malaspina, ai quali Castevoli pervenne nel 1195. Nella divisione del 1221 restò assegnata a Corrado, capostipite della linea di Mulazzo, nella successiva divisione, conseguente alla morte di Federico di Corrado, Castevoli venne legata al feudo di Villafranca che la conservò fino al 1416 quando dovette cederla alla Repubblica di Genova. Nel dominio genovese rimase fino al 1464; poi in seguito ai patti stipulati tra Tommaso di Campofregoso, che per acquisto ne era divenuto padrone, e Azzone Malaspina. di Mulazzo, Castevoli finì ai marchesi di Mulazzo che ben presto la riconsegnarono ai loro parenti di Villafranca. Rimase unita a Villafranca fino al 1561 quando, alla morte del marchese Giovan Battista, i due figli Alfonso e Tommaso spartirono í beni: al primo rimase il condominio di Villafranca diviso con il cugino Federico, a Tommaso restò soprattutto Castevoli che eresse in feudo diventandone primo signore. Nel 1574 questi ottenne dall'imperatore Massimiliano II, oltre all'investitura del feudo, «salvaguardia amplissima contro le pretenzioni del Senato di Milano», che vantava ragioni sui feudi della Lunigiana derivati dalla nota investitura di Venceslao. Nel marzo 1577 ebbe da Rodolfo II, succeduto al padre Massimiliano II, la più ampia conferma del feudo. Aveva sposato Bianca, figlia di Niccolò Secca d'Aragona capitano generale di giustizia nello stato di Milano, e si era giovato della ricca dote della moglie anche per riattare e in parte trasformare il castello di Castevoli rendendolo più conforme alla funzione dí sede di feudo. Tra i vari lavori di ingrandimento eseguiti, spicca il collegamento tra il mastio centrale e la torre. All'ingresso aveva collocato una scritta che diceva del suo retto modo di condursi:CETRARO (CS) - Torre di Rienzo
Nel corso della prima metà del '500, le scorrerie turche contro le coste calabre si fecero sempre più insistenti e feroci: sul litorale del medio Tirreno cosentino, nell'agosto del 1534, S.Lucido e Cetraro furono orrendamente devastate; ma quasi tutti i paesi rivieraschi subirono periodici saccheggi, spoliazioni, e finanche deportazioni di uomini e donne. Il vicerè Don Pedro de Toledo, intorno al 1535, concepì un primo disegno di apprestamenti difensivi da erigersi lungo tutte le coste del Regno di Napoli; ma fu un suo successore, il Duca d'Alcalà, ad intraprenderne di fatto la costruzione, tra il 1559-67, affidandone l'alta direzione al marchese di Cerchiara, d. Fabrizio Pignatelli. La costruzione delle torri, finanziata imponendo balzelli a tutta la popolazione costiera, procedette però a rilento, e con gravi lacune strategiche, tanto che, ancora nel 1568, l'ampio specchio di mare prospiciente Cetraro era presidiato, a nord, dalla Torre di Fella, e a sud, dalla Torre di Guardia; rimanendo del tutto sguarnito il Capo del Cetraro e le sue cale. In quell'anno, nell'Arsenale di Cetraro, sito ai piedi della Marinarìa, nel vasto letto della "praia", si stavan costruendo "per servizio Regio ... sette galere", e "per non essere in detto capo delo Citraro torre de guardia, fu de bisogno metterce guardia de gente continua che fu di spesa a sua Maestà, et danno de populi per detta guardia, e fu necessario che le dette galere fussero remurchiate in Messina ...e se in detto capo del Citraro ci fusse stata guardia non se saria havuto pagura de Corsari che le havessero venute a bruggiare" (Arch.Cass.; Reg. IV, f. 113; lozzi). La gente di Cetraro non esitava ad esprimere la sua preoccupazione per esser sfornita d'una torre costiera; ed apponeva, in un'istanza al Vicerè, argomenti diversi, ed affatto convincenti, a suffragio della sua tesi; lamentando, peraltro, che le due torri già erette, di Fella e di Guardia, fossero del tutto incongrue a garantire la sicurezza anche delle sue acque. "Nell'anno 1573 essendose nascoste in detto capo delo Citraro et sue cale, tre galeotte di Turchi dove stettero tutto un dì et una notte senza essere scoperte dalle torri sopradette et terrieri, et havendo dette galeotte poste gente in terra, uscirono li homini sopradetti delo Citraro, havendono detti Turchi fatto schiavi et preda in terra, et se posero in difesa et fecero imbarcare detti Turchi et uscire dal capo et cale, et metterse in alto mare et se detti homini delo Citraro non havessero fatto faccia, haveriano li Turchi fatto gran danno et buttino" (ibidem). Il documento citato, del 1595, fa fede che, ancora in quell'anno, non era stata costruita alcuna torre sul litorale cetrarese. Ove si consideri, poi, che la Carta Geografica di Calabria Citra, elaborata da Fabio Magini in Bologna nel 1602, censisce successivamente le sole due Torri di Capo Fella e di Guardia (Valente); e che la celeberrima mappa cassinese del Cetraro, risalente al 1619, raffigura ancora soltanto cedeste due torri; non si può che dedurne che l'erezione della Torre di Rienzo sia, quanto meno, successiva al 1619. La torre cetrarese ebbe inizialmente il nome di Torre d'Acqua Perropata (Elenco Acton), da una vicina cascata che si riversava da un dirupo della ‘Ncramata, e di cui ancora oggi resta qualche esile traccia. La denominazione successiva, Torre di Rienzo, pare si debba, invece, imputare al nome di un suo torriere, Lorenzo Daniele, che rivestì tale incarico nel 1668-69 (Valente/lozzi): circostanza, quest'ultima, che avvalorerebbe una datazione tarda dell'effettivo funzionamento della torre. La catena costiera delle torri di guardia serviva "non tanto per una momentanea difesa, quanto perché l'una, qual prima scorgesse il pericolo, col fuoco dimostrandolo all'altre, in meno di poche ore ne venisse avvisato tutto il Regno" (Fiore). Fu cosi, che "da un capo all'altro, dall'Adriatico al Tirreno, il Regno di Napoli era sotto guardia di ben 339 torri" (Valente), aggruppate a una distanza di circa 6 miglia l'una dall'altra. In un primo tempo, esse assunsero una prevalente forma cilindrica; ma, dacché fu emanato l'apposito programma, se ne codificarono, in qualche modo, la forma, le dimensioni e l'armamento. Furono, quindi, erette a pianta quadrata, di mt 10x10x20 di altezza, con paramento a scarpa. Ognuna constava "di 3 piani coperti a volta, con scaletta interna: uno per i magazzini, uno per gli alloggiamenti, e quello superiore per la batteria. Erano armate da una colubrina, due petriere ed altri pezzi minuti; e dotate anche di fornelli per le fumate di segnale in caso d'assedio. Il servizio di guardia era composto da 1 caporale e da 3 torrieri" (Engels). Da un punto di vista strategico, furono distinte in "torri cavallare", come quella di Rienzo, e "torri di difesa" vera e propria. Le prime prendevano nome dalle guardie a cavallo, e s'avvalevano anche d'una piccola stalla, ubicata nei pressi della torre. I cavallari "si dividevano la marina in sezioni; e percorrendo, a due a due, le coste, di notte e di giorno, tra una torre e l'altra, dando fiato ai corni di cui eran dotati, o sparando colpi d'archibugio, davano avviso ai torrieri delle minacce di sbarco. Venivano eletti in pubblico parlamento, e duravano in carica 3 anni. Eran soggetti a pene d'una certa severità per ogni trasgressione, fosse anche più che piccola"(Valente). "La torre, costruita su un costone roccioso in prossimità del mare, non è dissimile da quelle costruite nella stessa epoca. Ha forma quadrata, con struttura piuttosto tozza, con spigoli molto acuti, e l'ingresso in alto, al quale si accedeva con una scala. Lo sviluppo è su 3 livelli; la parte inferiore è a scarpa, limitata in alto da un coronamento in pietra; centralmente v'è il piano terra, con soffitto a volta ed accesso laterale; superiormente v'è il primo piano, a cui si accede mediante una scala in pietra, terminante con coronamento sporgente costituito da mensole, i cui peducci s'impostano sulla parete verticale, fra le quali si aprono i numerosi piombatoi. Annessa alla torre v'era la stalla, di cui oggi sono visibili alcune tracce della muratura" (Soprintendenza di Cosenza; 1997). La Torre di Rienzo era, dunque, una torretta di avvistamento da cui Cetraro si difese da uno dei più crudi assalti subiti. In quella occasione, probabilmente per puro caso una cannonata sparata dalla suddetta torre colpì in modo determinante due navi turche, costringendole alla fuga. I cetraresi attribuirono questo fortunato colpo alla benevolenza di San Benedetto e da allora ogni anno il giorno della festa si ha la processione di barche sul mare in onore del santo. Da un atto del notaio Giacomo Lattaro, del 15 marzo 1761, si apprende che "in esecuzione d'ordine regio circolare", i mastri muratori Giacomo di Vitto, Bonaventura e Saverio Fragale, su richiesta del Sindaco di Cetraro, d. Francesco Antonio Vaccaro, provvidero al "risarcimento della Regia Torre", a fronte d'un corrispettivo di "docati 60 e grana 63". Ancora durante la fase del Regno di Murat, la Torre di Rienzo mostrò d'essere attiva, aprendo il fuoco contro 2 unità navali anglo-borboniche, che tentavano di predare 3 battelli provenienti da Napoli (Greco/lozzi): "Il dì 8 febbraio 1811, un leutello ed una lancia, nelle acque di Cetraro poco lungi da terra, intendevano a dar la caccia a 3 feluche provenienti da Napoli. Serafino Guaglianone e Fedele Bianco, guardie littorali, nella punta del Triolo, da valido posto, tennero vivo fuoco per offesa alla lancia, e per salutevole segnale ai vicini paesi insidiati da legni nemici. Numerosa schiera, guardacoste e legionari, incontanente accorse da Cetraro e Bonifati". Altro link suggerito: https://www.ioelacalabria.it/fotografare-la-torre-di-rienzo/MAIOLO (RN) - Rocca di Maioletto
La sua esistenza è testimoniata da documenti già nel 962, verso l'XI secolo appartenne alla Chiesa che ne infeudò il monastero di San Donato di Pubbiano di Gubbio, il quale nel 1308 la diede in enfiteusi alla nobile casata dei Faggiolani di Casteldelci, ma più volte fu contesa fino a giungere nelle mani dei Montefeltro di Urbino. In epoca medievale la città assunse notevole importanza commerciale e politica. Il Comune di Maiolo ed il suo Sindaco, Homodeus de Giungis, figurano quali primi firmatari per la parte guelfa, immediatamente dopo il vescovo di Urbino, nella pace tra quest'ultimo ed i conti del Montefeltro siglata presso il monastero di Sant'Igne il 17 maggio 1300 (documento conservato presso l'Archivio di Stato della Repubblica di San Marino). Fino al 1700, l'antica Maiolo fu un paese popolato e fiorente, sormontato da una poderosa rocca circondata da mura e da torrioni, punto strategico del borgo e dell'intera Val Marecchia. Tra il 29 e 30 maggio 1700, il paese venne distrutto da una gigantesca frana, alimentata da un diluvio durato quasi 48 ore, che cancellò quasi completamente il borgo fortificato. La stessa interessò la parte superiore e inferiore del monte con crollo di massi e smottamenti. La leggenda attribuisce il tragico evento alla punizione divina causata dagli orgiastici "balli angelici" che vi si tenevano in tempo di quaresima, periodo di penitenza, castità e digiuno. Questa pratica si consumava di notte fra canti e risa, conducendo i partecipanti ad uno stato di semicoscienza. In una notte di luna piena, durante una di queste feste erotiche, ai convenuti apparve un angelo che annunciò una terribile punizione se si fossero ripetuti altri balli. Ma vinse la tentazione suscitando fra tuoni e pioggia il castigo dell'ira divina. Un fulmine in particolare fu così potente da spaccare il monte di Maiolo, distruggendo case e palazzi e uccidendo uomini e animali. Dell'antica cittadina oggi rimangono sulla sommità del monte solo due possenti torrioni poligonali, dai quali si domina tutta la vallata del Marecchia, mentre il paese odierno è in una località vicina denominata Serra. Oggi Maiolo conserva le sue borgate, le sue vecchie case contadine, le piazzette e non si è lasciato contagiare dalla selvaggia edilizia condominiale. Si narra che il paese fosse stato inizialmente distrutto da un fulmine, ma in realtà tale diceria risulta infondata poiché è una travisazione del fatto documentato che un fulmine nel 1647 (ovvero 53 anni prima della sciagura) mandò per aria la polveriera distruggendo parte della muraglia posta sulla strada che conduceva al forte. La Rocca di Maiolo, a forma quadrilatera, rappresentava il punto strategico dell’intera Val Marecchia e veniva considerata inespugnabile, in quanto situata su un monte a forma conica isolato con intorno rupi a picco e burroni molto profondi. Dentro le sue mura e nel suo territorio si ebbero a tenere i cosiddetti parlamenti feretrani, dove si risolvevano litigi e questioni interessanti i popoli dell’intera regione. La Rocca appartenne alla Chiesa, in seguito fu dei faggiolani di Casteldelci, dei Malatesta e dei Montefeltro. Attualmente sono ancora visibili solo alcuni tratti delle mura di cortina, due torrioni poligonali e i ruderi del borgo. Sono in corso di avanzata progettazione i lavori per il recupero della Rocca di Maiolo ed il sottostante sito archeologico a cura dell’Amm.ne Provinciale di Pesaro e Urbino e dell’Amm.ne Comunale di Maiolo. Raggiungere il sito non è molto agevole (si devono affrontare una scala di pietra e un tratto superabile solo con l’aiuto di una corda), ma anche dal basso si possono osservare i due torrioni di forma poligonale e le mura. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=166E4ws5-Tc (video di Ricardo Ilardo), https://www.youtube.com/watch?v=Nvmf-58rq6A (video con drone di Alex Nucci), https://www.youtube.com/watch?v=P1O2oAhaNSM (video di Liverpool Hotel Rimini All Inclusive), https://laromagnadavivere.com/2020/12/05/la-rocca-di-maioletto-2/ (altro video con drone), https://www.motoeviaggi.com/maioletto-la-magia-della-valmarecchia/, https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/?tab=album&album_id=10157791350860345 (foto varie)LONGOBUCCO (CS) - Torre Normanna
Sorta in epoca medievale, Longobucco viene da alcuni identificata con Themesen o Tempsa, una delle città confederate di Sibari. Il toponimo, attestato nel Trecento come Longobucto, è interpretato nel senso di LONGA BUCCA, ‘lunga cavità’, probabile traduzione del nome del sottostante torrente Macrocioli, derivante dal bizantino “makròkoilos”, che ha lo stesso significato. I normanni, gli svevi e soprattutto gli angioini sfruttarono largamente le miniere d’argento della località San Pietro, per la coniazione delle loro monete. Compresa nel feudo di Rossano, nel XV secolo appartenne ai Marzano e agli Sforza, che ne tornarono in possesso dopo un periodo di reggenza da parte dei D’Aragona. Passata agli Aldobrandini, nella seconda metà del Seicento fu assegnata ai Borghese, sotto la cui signoria rimase fino al crollo del sistema feudale. Nel XVI e XVII secolo, raggiunse una grande rilevanza economica, grazie alla fertilità del terreno e ai ricchi boschi della zona. Il centro storico di Longobucco è ricco di curiosità e opere di architettura, come la Torre Civica del XI secolo che si erge accanto alla chiesa Matrice, successivamente adattata a campanile e conosciuta dagli abitanti del luogo come U Campanaru. Il campanile di Longobucco, vero simbolo storico di Longobucco che ne ricorda l'importanza in epoca medievale, si presenta come una torre ( di avvistamento dei nemici) isolata a corpo quadrangolare, alta 32 metri, costruita con murature in blocchi squadrati di tufo a vista poggianti su un basamento di grossi ciottoli di granito cementati con calce. Sia la pietra tufacea delle murature, sia i ciottoli di granito sono materiali reperibili sulle montagne e nei torrenti che circondano il paese. La sua pianta non è in asse con la chiesa ma convergente verso la sua facciata. Il corpo della torre è costituito da tre dadi sovrapposti, i primi due di eguale perimetro, il terzo appena più piccolo; semplici cornici toriche marcapiano sottolineano la sommità di ciascun dado. Per quanto riguarda i dati storiografici della Torre vi sono alcune menzioni nella letteratura artistica, sicuramente la più intrigante è quella dello storico dell’architettura Arnaldo Venditti, il quale avvicina il campanile di Longobucco a quello ben più famoso del duomo di Melfi, opera firmata da Noslo di Remerio nel 1153. L’osservazione del Venditti consente di formulare una prima ipotesi cronologica: la datazione del campanile di Melfi, allargata all’intera seconda metà del sec. XII e forse al secolo successivo, può ritenersi indicativa anche per il campanile di Longobucco. Una simile datazione porrebbe il campanile di Longobucco fra i più antichi dell’intera regione. Una nobiltà insospettata aleggia, dunque, su questa bella torre campanaria, che attende ancora di essere giustamente, conosciuta anche da molti calabresi. Un fulmine perverso il 30 dicembre 2004, alle ore 04.03, ha squarciato l’antico tufo normanno: la costruzione è stata poi riparata e ha ripreso la sua fondamentale funzione. Altri link: https://www.youtube.com/watch?v=8FIgPog1gnY (video di domenico730), https://www.youtube.com/watch?v=Y5hIQHMTg3o (video di comune di longobucco), https://www.facebook.com/comune.longobucco/videos/amministrazionepirillo-assessoratoalturismo-longobucco-il-sentiero-dei-briganti-/290609249040095/ (altro video)