lunedì 30 novembre 2020

Il castello di lunedì 30 novembre



LANZO TORINESE (TO) - Torre civica di Aymone di Challant

Il nome di Lanzo si trova indicato in un atto del 9 luglio 1029 con il quale il vescovo di Asti dota il monastero di San Giusto di Susa di molti beni tra cui dei terreni nella zona del mathiese ove sorgeva il borgo lanzese. Nel 1159 Federico Barbarossa, con il "Diploma di Occimiano", conferma a Carlo I, vescovo di Torino, tutte le terre già in possesso dell'arcidiocesi di Torino, tra cui, appunto, la "Curtis del Lancia" (corte di Lanzo). Il castello di Lanzo fu costruito da Landolfo, vescovo di Torino dal 1011 al 1037. Era circondato da una cinta muraria con alcune porte fortificate che permettevano l'accesso al borgo che era attraversato da una via detta contrada la quale collegava il castello alla porta principale. Dalla contrada si dipartiva, trasversalmente, una serie di strette viuzze chiamate chintan-e (alcune ancor oggi esistenti), talvolta sormontate da archi e lunghi voltoni che le fanno somigliare a gallerie pedonali e, parallelamente alla contrada, sia verso Torino che verso Germagnano, si snodavano due strade strette che correvano sulla sommità delle mura di difesa conosciute come "Strade di Corserio". Successivamente, con vari toponimi, diviene feudo di appartenenza, con alcuni borghi delle Valli, di svariate casate: il primo signore di Lanzo di cui si ha memoria scritta è un tale Robaldo, i cui successori, tra cui Abbone, Giacomo e Giovanni, ricevettero il 15 gennaio 1219 il beneficio di tenere a Lanzo il mercato settimanale del martedì in cambio della terza parte dei proventi dello stesso. Il 7 novembre 1246 l'imperatore Federico II concedette a Tommaso II di Savoia varie parti del Piemonte, tra le quali le città di Ivrea, Castellamonte e Lanzo, consentendogli di costruire castelli e torri nei luoghi che gli sembrassero più consoni. Tale concessione venne poi ribadita da Guglielmo II il Grande allo stesso Tommaso, costringendo il Vescovo di Torino ad accettare tale decreto. Il principe Tommaso ne fece dono al fratello Amedeo IV di Savoia, il quale lo investì come signore di Lanzo. Sotto il governo della marchesa Margherita, vedova del marchese Giovanni I del Monferrato, e figlia di Amedeo IV di Savoia, signora di Lanzo, Ciriè e Caselle, nel 1305 Lanzo divenne una castellania, con tutti i privilegi che ciò prevedeva, tra i quali la Credenza e l'esonero per i lanzesi dal partecipare alla guerre al di là dei monti. Alla sua morte (avvenuta per la peste nera nel 1349), non avendo eredi maschi, Lanzo passò a Teodoro Paleologo, che poi lo trasmise alla figlia Violante, sposa di Aimone e poi definitivamente alla casa dei Savoia con Amedeo VI. Proprio nel 1377, sotto la guida del Conte Verde, la Credenza di Lanzo fece erigere il Ponte del Diavolo in modo da permettere l'apertura di una via rapida tra Torino e Lanzo senza dover passare per le terre canavesane, allora non più sotto mano diretta Savoiarda. In seguito alle guerre franco-spagnole in Italia della prima parte del Cinquecento, quando Carlo III fu costretto alla fuga a Vercelli carico di debiti, furono i lanzesi che dovettero pagare i 4000 scudi d'oro di riscatto ai Medici di Firenze per la sua liberazione. Quando però i francesi occuparono il Piemonte verso la metà del secolo XVI il castello di Lanzo, considerato uno dei più importanti del Piemonte, venne assediato, espugnato il 28 novembre 1551 e successivamente distrutto (1556-1557) dai francesi comandati dal duca Carlo di Brissac, eccezion fatta per la porta di accesso al borgo, ancor oggi esistente e ben conservata (torre civica di Aymone di Challant). In seguito alla pace di Cateau-Cambrèsis il borgo tornò in mano ai Savoia con Emanuele Filiberto (1559): costui affidò la castellania ai Provana e, nel 1577, passò Lanzo a sua figlia naturale Maria, sposa di Filippo I d'Este, dei marchesi di San Martino in Rio, assieme a tutte le Valli (eccezion fatta per Lemie ed Usseglio). In tale occasione Lanzo venne eretta al rango di marchesato. Il governo degli Este fu rovinoso per Lanzo, che perdette molti privilegi nei confronti dei paesi limitrofi, come quello di ottenere il dazio per ogni persona che transitava sul ponte del Diavolo, che all'epoca era l'unica strada di collegamento tra Torino e le Valli. In seguito all'assedio di Torino ed alla vittoria piemontese sui francesi, Vittorio Amedeo II, per ripianare i debiti del ducato, nel 1720 dichiarò nulle tutte le concessioni ottenute dai lanzesi negli anni passati, esautorò gli Estensi dal loro feudo e, dopo averle suddivise in castellanie, vendette le sue terre al migliore offerente. Fu così che il 1º luglio 1725 il marchesato di Lanzo venne venduto al conte Giuseppe Ottavio Cacherano Osasco della Rocca per 65000 lire. Il Cacherano fondò l'ospedale di Lanzo, costruito nel borgo vecchio in sostituzione dell'ospizio trecentesco in funzione nell'attuale chiesa di Santa Croce. Alla sua morte questo passò al nipote e nel 1792, non essendoci più eredi, tornò in mano regia. In seguito alla Rivoluzione francese, nel 1798 Carlo Emanuele IV decise di abbandonare i suoi territori in Piemonte per rifugiarsi in Sardegna e Lanzo passò prima in mano francese, poi in mano austriaca ed occupato, infine, dai russi di Suvorov. In seguito alla battaglia di Marengo il Piemonte tornò in mano francese e Lanzo divenne capoluogo di arrondissement, poi declassato a capo distretto (mandamento). Fu nel 1820 che venne costruito il ponte sul Tesso su progetto dell'ing. Mosca, permettendo un transito più agevole e sicuro attraverso il borgo e verso le Valli. La torre civica di Lanzo (1329-1357) porta il nome di Aymone di Challant, suo costruttore, giunto a Lanzo al servizio di Margherita di Savoia. In epoca medievale la torre era fornita di ponte levatoio e non aveva il tetto di copertura. Sulla sommità è posta la campana del comune e sulla facciata erano raffigurati gli stemmi dei Savoia e degli Estensi, signori della città (che sono praticamente scomparsi dalla seconda metà del Novecento). Anche se non quella attuale, una torre sembra già esistesse nel 1272 ed era la porta di accesso alla contrada del Borgo (attualmente via San Giovanni Bosco) che conduceva al castello posto sulla sommità del monte Buriasco. Stilisticamente, la torre è alta 20,50 metri ed è una tipica fortificazione trecentesca: ciò è evidenziabile dall'arco in cotto del fornice con doppia armilla acuta, dai capitelli su cui quest'ultima poggia e dal motivo decorativo delle caditoie e dei merli (col contrasto tra il rosso dei mattoni e il grigio chiaro della pietra dei beccatelli). All'interno della torre vi erano le nicchie e le guardiole di difesa e l'intera struttura era chiusa, oltre che dal ponte levatoio, da un robusto portone di cui si vedono ancor oggi i cardini e le tracce della saracinesca che serviva per la chiusura. Attualmente, in quella che probabilmente era la casa delle guardie, posta dietro alla torre, è sita la biblioteca civica "A. Cavallari Murat", centro rete del Sistema bibliotecario Valli di Lanzo, che possiede più di 300.000 volumi ed è sede della Società Storica delle Valli di Lanzo.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Lanzo_Torinese, https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_civica_(Lanzo_Torinese)

Foto: la prima è di Carlo Bonicatto su https://www.pinterest.it/pin/458804280763815743/, la seconda è di essegio50 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/232687/view

sabato 28 novembre 2020

Il castello di domenica 29 novembre



STENICO (TN) - Castello

Risale al XII secolo, ma è legato ad un preesistente castelliere preistorico, dato che la zona dove poggia è altamente strategica poiché controlla il territorio a ovest di Trento. La prima menzione di Castel Stenico risale al 1163, quando il principe vescovo di Trento Adelpreto concesse in feudo ai fratelli Bozone e Ottone una casa eretta sul dosso del castrum di Stinigo, probabilmente all’epoca non ancora un castello ma solo un insieme di fortificazioni rudimentali allestite per la difesa degli abitanti dei villaggi circostanti. Il castello sorge su un dosso soprastante l’omonimo abitato, in una posizione fondamentale per il controllo del Banale e delle strade che conducevano nel Lomaso, nel Bleggio e nella sottostante Valle dei Laghi. Inizialmente feudo vescovile concesso a Bozone e ai suoi discendenti, nel 1238 viene affidato al nuovo podestà di Trento Sodegerio de Tito, nominato dall’imperatore Federico II per privare del potere temporale i vescovi tridentini. Già nel 1255 il maniero tornò sotto il controllo dei presuli e da allora in poi vi si insediò il Capitano delle Giudicarie, un funzionario di nomina vescovile con compiti di amministrazione militare, economica e politica del territorio. L’importanza di Castel Stenico lo espose spesso alla mercé delle minacce esterne: nel 1267 venne infatti conquistato da Mainardo II del Tirolo, che lo conservò fino al 1295. Tornato in mano vescovile, venne assaltato ed espugnato durante una rivolta contadina nel 1318, fomentata forse dagli Arco, da tempo interessati ad espandersi verso Stenico. Dopo ogni episodio bellico il castello venne restaurato e talvolta ampliato. Nel corso del XV e XVI secolo, da semplice fortificazione, divenne un’elegante residenza grazie agli interventi di Johannes Hinderbach, attento umanista, e di Bernardo Cles, una delle figure più importanti della storia trentina, uomo di potere e raffinato mecenate. Con la secolarizzazione del principato vescovile, il castello fu utilizzato dal governo austriaco come sede dell'Imperial Regio Giudizio ed Ufficio delle Imposte. Durante la dominazione austriaca del Trentino, sul finire dell'Ottocento, il castello fu in parte ricoperto con tavolette di cemento. Trasferita la proprietà al demanio italiano fu utilizzato come Pretura (fino al 1929) e poi come sede dei carabinieri (fino al 1965). La provincia di Trento nel 1973 ha iniziato i lavori di restauro ed in seguito lo ha aperto al pubblico. L'edificio è rientrato negli ultimi anni nel circuito delle esposizioni museale del castello del Buonconsiglio a Trento oltre a essere diventato sede della biosfera dell'UNESCO per quanto riguarda le Alpi Ledrensi e Giudicarie (https://www.buonconsiglio.it/index.php/it/Castello-di-Stenico). Edifici e cortili si susseguono circondati dalla cinta muraria a sud e racchiusi dalla robusta cortina esterna verso nord. Oltrepassato il portale sormontato dall’elegante loggia rinascimentale si accede al secondo cortile e da qui al Palazzo Nuovo. È un austero edificio in pietra ingentilito da eleganti bifore e trifore ad arco, risalente ai tempi del principe vescovo di Trento Federico Vanga (inizi XIII sec.). A pianterreno la cupa e suggestiva Sala del Giudizio era destinata all’amministrazione della giustizia del territorio; una sopraelevazione della sala doveva infatti ospitare i giudici. L’ambiente è illuminato unicamente da feritoie che denunciano l’originaria destinazione difensiva dell’edificio. Al piano superiore, raggiungibile da un’imponente scala esterna, l’ampia e luminosa Sala del Consiglio era invece un ambiente di rappresentanza del castello. Un affresco del Quattrocento, con le figure di Carlo Magno, del patrono di Trento san Vigilio e del principe vescovo Adelpreto, narra simbolicamente la storia del territorio concesso dall’Impero Germanico ai signori trentini. La "torre della fame" rappresenta il nucleo più antico di Castel Stenico. Al suo interno era ricavata una prigione: sul pavimento una botola era l’unico ingresso per la cella sottostante dove i prigionieri erano condannati a morire di stenti (da qui il drammatico appellativo con cui è chiamata). Nelle vicinanze è visibile la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, che consentiva l’approvvigionamento idrico al castello. Degna di nota è la cappella di S. Martino contiene un pregevole ciclo d'affreschi sacri di scuola romanica. Sulla parete settentrionale, quella meglio conservata, si succedono episodi della vita di Gesù – Annunciazione, Natività e Crocifissione- una scena apocalittica e figure di santi, eseguiti con ogni probabilità da una bottega di pittori itineranti, che, sebbene aggiornati alle nuove tendenze pittoriche come dimostrano ora l’accuratezza nei particolari e nel disegno, ora i tentativi di resa plastica delle figure, si esprimono attraverso un linguaggio di tipo popolareggiante. Il ciclo, una rara e significativa testimonianza della pittura romanica in Trentino, si è fortunatamente conservato in buone condizioni grazie all’addossamento di un muro già in epoca medioevale, costruito per rendere più possente la cinta muraria agli attacchi. Sulla parete dell’altare si sono conservati affreschi trecenteschi. Sull’antica casa murata, prima proprietà vescovile all’interno del castello, si sviluppa l’edificio voluto dal principe vescovo Georg von Liechtenstein alla fine del XIV secolo e il cui aspetto originario è documentato nella rappresentazione del mese di gennaio nel celebre Ciclo dei Mesi affrescato in Torre Aquila a Trento. A pianterreno sono visitabili le cantine, suggestivi ambienti voltati oggi destinati all’esposizione di una ricca collezione di chiavi e serrature dall’epoca medioevale all’Ottocento; al primo piano, raggiungibile attraverso il Palazzo Hinderbach, è l’antica cucina con la grande cappa, arredata con mobili e utensili in rame e in legno; al secondo piano la Sala dei Medaglioni, così denominata per l’elegante decorazione pittorica cinquecentesca in cui Allegorie e personificazioni di Virtù si affacciano da finti oculi, opera di un raffinato pittore al servizio del principe vescovo Bernardo Cles. Addossato alla Casa Vecchia, il palazzo fu costruito nel 1477 dal principe vescovo di Trento Johannes Hinderbach, il cui stemma campeggia sopra l’ingresso. Un’elegante scala, in cui si alternano scalini in pietra rossa e bianca, conduce alla Sala dei Putti, decorata da un fregio pittorico rinascimentale, e da qui, passando per l’antica cucina, alla Stanza del Vescovo, ambiente intimo dotato di un curioso “gabinetto a scomparsa”. Al piano superiore la Sala del Camino Nero, abbellita da un fregio rinascimentale con scene di battaglia, prende il nome dall’imponente camino in pietra nera di Ragoli. Le decorazioni pittoriche risalgono agli interventi voluti dal principe vescovo Bernardo Cles, committente a Trento del rinnovamento urbano e della costruzione del sontuoso Magno Palazzo. Sul lato meridionale del Secondo cortile, accanto alla Torre dei Birri, si innalza un edificio risalente alla seconda metà del XII secolo e rimaneggiato nei secoli successivi. Gli ambienti del pianterreno ospitano la collezione di manufatti in ferro battuto; al piano superiore, raggiungibile attraverso la loggia cinquecentesca e la Sala delle Guardie, la Sala dei Fiori è abbellita da fregi pittorici floreali risalenti al Quattro e Cinquecento. Da vedere all'interno del castello è anche l'importante sezione archeologica di storia locale, un'esposizione di mobili, di affreschi, di armi e utensili antichi provenienti dalle collezioni del Museo Castello del Buonconsiglio di Trento, di cui, come già detto, Castel Stenico è sede distaccata. La sala del Giudizio ospita una sezione di antiche serrature, chiavi e forzieri mentre la sala del Consiglio, data la sua eccezionale acustica, è usata per concerti. Altri link suggeriti: https://www.ilturista.info/ugc/info/da_visitare/1673-La_visita_al_Castello_di_Stenico_in_Trentino/, https://youtu.be/krs482rZqVU (video di Europaregion Tirol), http://www.archeotrentino.it/castello-di-stenico/, https://www.youtube.com/watch?v=IjRc_OpAxgs e https://www.youtube.com/watch?v=zaKuqawKPSo (entrambi i video di Castello del Buonconsiglio)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Stenico, https://www.trentino.com/it/cultura-e-territorio/castelli/castel-stenico/, https://www.cultura.trentino.it/Luoghi/Tutti-i-luoghi-della-cultura/Castelli/Castello-di-Stenico, http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castel-Stenico, https://www.trentinofilmcommission.it/it/locations/detail/castel-stenico/, https://www.icastelli.it/it/trentino-alto-adige/trento/stenico/castello-di-stenico

Foto: la prima è presa da https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-di-stenico?fxm=castello-di-stenico-stenico-tn, la seconda è una cartolina della mia collezione

Il castello di sabato 28 novembre



SAN MARCELLO PITEGLIO (PT) - Castello di Popiglio

Questa zona della Montagna Pistoiese, l'alta valle del fiume Lima, apparteneva ai conti Guidi di Modigliana che possedevano i castelli di Popiglio e Piteglio, come emerge dai diplomi imperiali di Arrigo VI del 1191 e di Federico II del 1220 e 1247. In seguito l'area fu assoggettata al potere della vicina Pistoia e i due castelli ebbero un'unico Podestà. Il versante settentrionale della valle è dominata dall'abitato di Popiglio. Il "castrum de Popilio" è nominato fin dall'alto Medioevo, anche se le uniche notizie certe sono quelle relative alla sua appartenenza ai conti Guidi. Come detto il castello fu dominato dai Pistoiesi ed in seguito entrò a far parte dei territori della Repubblica Fiorentina. Fu uno dei castelli che tra l’XI e il XII secolo costituivano il sistema difensivo dei territori montani controllati da Pistoia. Il complesso comprendeva una lunga cinta muraria merlata dotata di torre centrale, la residenza signorile, la cisterna e la torre di avvistamento. All’interno delle mura si sviluppò l’abitato di Popiglio, trasformato con il passare del tempo in borgo dalle genuine caratteristiche montane. Sul torrente Lima, ad Est del poggio di Popiglio, ancora oggi c’è l’antico ponte «di Castruccio», che deve il nome al Si­gnore di Lucca che devastò la zona nei primi decenni del ‘300. Il borgo non presenta ormai più tracce delle antiche fortificazioni e della cinta muraria che lo racchiudeva mentre sul vertice della montagna che lo sovrasta svettano ancora due possenti torri, un tempo parte del sistema difensivo di sbarramento della valle, al tempo noto come Rocca Securana. Le "Torri di Popiglio" hanno entrambe forma quadrata e sorgono a quote diverse del versante a breve distanza l'una dall'altra: la più elevata al vertice l'altra una ventina di metri più in basso. La prima torre, parzialmente diruta, si eleva oggi per circa la metà della sua altezza originaria e si notano ancora i resti della cinta muraria di forma ellittica che un tempo la circondava. Molto probabilmente all'interno sorgevano altri edifici, come si può evincere da i resti di una costruzione addossata la lato nord est, ed era sicuramente sede del centro di comando del sistema difensivo. L'altra torre non aveva fortificazioni aggiuntive, molto probabilmente fungeva da collegamento intermedio fra il paese e il vertice delle fortilizio, anch'essa fortemente diruta ma i suoi resti gli consentono di essere più alta della "gemella". Ancora oggi da questa posizione è possibile dominare l'intera valle. Altri link suggeriti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torri_di_Popiglio_(Rocca_Securana), https://www.youtube.com/watch?v=EveUdpQuiMg&t=42s (video di Roberto Bartolomei), https://www.youtube.com/watch?v=umomez2NsFc (video con drone di m15alien), http://www.alpesappenninae.it/sites/default/files/N052Biagini.pdf

Fonti: https://www.tuscanysweetlife.com/item/castello-di-piteglio/, http://www.italiadiscovery.it/storia/castello-di-popiglio.html, https://castellitoscani.com/popiglio/

Foto: la prima è di Luciano Bernardi su https://it.wikipedia.org/wiki/File:Torri_di_Popiglio_13.jpg, la seconda è presa da https://castellitoscani.com/popiglio/

venerdì 27 novembre 2020

Il castello di venerdì 27 novembre



AMELIA (TR) - Castello di Sambucetole

La frazione di Sambucetole, con la sua forma ad esagono tipica dei castelli costruiti in collina si trova ad un'altezza di 366 m s.l.m., con i lati settentrionale e occidentale a strapiombo sulla riva sinistra del fosso Grande. Il territorio ad ovest è occupato dalle propaggini della catena dei monti Amerini, culminanti in monte Piglio e dominati dalla presenza del sempreverde leccio. Dalla sua posizione strategica, al confine dei possedimenti di Todi e dominante la valle, poteva vigilare e difendere più facilmente il territorio circostante. Una sola porta permetteva l'accesso al Castrum che, circondato da mura alte 60 palmi (13,44 m), si innalzava su un dirupo scosceso nella parte a nord, chiamata "Bussi" per la notevole presenza di bosso comune. Oggi la porta non c'è più, le mura in parte sono state demolite ed in altre parti sono inglobate nelle abitazioni; rimangono due torri, non molto elevate, a testimonianza del passato. Nei documenti risalenti al '400 il nome del castrum era S. Bucetoli, in quelli del '600 era nominato Sanfocetole o S. Fucetole, nell'800 appariva la forma Sambucetole, nome con il quale è attualmente indicato. Una voce popolare tende oggi ad accreditare la leggenda secondo la quale Sambucetole sarebbe sorta dopo la distruzione di Laguscello, un castello posto a nord di Sambucetole (su un alto colle, sopra il lago detto "Lagarello", formato dal Rio Grande) di cui rimangono solo le rovine; tutto questo è, però, privo di fondamento storico. Infatti, il castello di Laguscello (da Lacus Sceleris, per le scellerataggini che vi si commettevano, per essere situato in una selva) ha una propria storia, come risulta dal Dizionario Topografico di Giovan Battista Alvi. Il primo documento ad oggi conosciuto in cui viene riportato il nome del Castello sono gli Statuti di Amelia del 1308. Successivamente all’assalto apportato a Sismano, il capitano Francesco degli Atti devastò Sambucetole per rappresaglia nel 1408. Il paese venne poi distrutto dal Paolo Orsini nel 1413, in seguito alla dedizione fatta a Ladislao I d'Angiò, re di Napoli, in lotta con il Papa, e rimase disabitato per quasi 70 anni. Nel 1425, il Comune di Amelia decretava di impegnare 25 fiorini (il resto sarebbe stato messo dagli uomini del Castello) per riattare il castrum e richiamare, con un bando, i sambucetolani assenti, pena la confisca dei beni. Dopo lo spopolamento dovuto da guerre ed epidemie il castrum fu ricostruito e riabitato solo nel 1467-1471, grazie all’impegno di un certo messer Nicolao Coclite, nobile greco del Peloponneso il quale, dopo aver manifestato la sua fedeltà, devozione ed obbedienza alla Comunità di Amelia, condusse trentaquattro famiglie di coloni Schiavoni (nome dato allora alle popolazioni slave balcaniche) atte a coltivare i terreni e ad abitare nel Castello di Sambucetole; da ricordare che fino alla Seconda Guerra Mondiale gli abitanti dei paesi limitrofi chiamavano “schiavoni” gli abitanti di Sambucetole. L’antico castello, fino al 1880 completamente cinto da mura e con un’unica porta di accesso, è stato ampliamente rimaneggiato; restano alcuni tratti di mura e tre torri, di cui una trasformata nel 1793 nell’attuale campanile. Altro link suggerito: https://bct.comune.terni.it/sites/default/files/sambucetole_0.pdf

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-sambucetole-amelia-tr/, https://it.wikipedia.org/wiki/Sambucetole

Foto: entrambe prese da http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-sambucetole-amelia-tr/

giovedì 26 novembre 2020

Il castello di giovedì 26 novembre


CAIRO MONTENOTTE (SV) - Castello di Rocchetta Cairo

Rocchetta di Cairo è un piccolo borgo situato a nord di Cairo Montenotte di cui seguì la storia; il castello fu costruito non lontano dall’attuale centro abitato e fu utilizzato ed abitato fino al XVII secolo, quando il feudalesimo era tramontato e i nobili avevano già iniziato a scegliere come propria residenza palazzi sempre più accoglienti e posizionati nel centro delle città. Nel 1171 vi fu firmata una convenzione tra l’imperatore Federico Barbarossa ed il Comune di Genova sempre pronto ad espandere i propri domini nel savonese come testimoniano i numerosi conflitti con la famiglia dei Del Carretto, signori di queste terre. L’altura su cui fu costruito, oltre che rappresentare una difesa naturale, consentiva ai soldati di controllare la strada che collega Cairo e la valle della Bormida di Spigno; inoltre il castello costituiva una poligonale difensiva con il castello di Carretto e da lì con quello principale di Cairo (https://castelliere.blogspot.com/2011/03/il-castello-di-venerdi-18-marzo.html). Non esistono fonti certe sulla datazione di un primo impianto difensivo nel territorio presso l'attuale centro di Rocchetta Cairo. SI presume che sia stato edificato in un periodo tra l'XI secolo e il XII secolo ad opera dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni e solo in seguito sia stato ceduto al marchese Ottone Del Carretto, signore di Cairo. Storicamente, presumibilmente, seguì le sorti degli altri manieri carretteschi della zona rientrando quindi sotto le dipendenze della famiglia Scarampi di Asti (1339) e del Marchesato del Monferrato. Già devastato dal passaggio delle truppe sabaude di Amedeo I di Savoia (1625), il castello di Rocchetta di Cairo, come altri della Val Bormida, non fu risparmiato dal passaggio delle truppe napoleoniche che lo ridussero allo stato attuale di rudere dopo un fitto attacco d’artiglieria che costrinse alla resa i soldati croati che avevano cercato rifugio al suo interno (1796). Dai resti, assediati oggi dalla vegetazione, emerge la struttura di quello che è stato sicuramente uno dei più estesi e imponenti castelli dell’area carrettesca: la fortezza era costituita da un corpo di fabbrica posizionato, sulla roccia, nella parte più alta del colle e protetto oltre che dalla naturale conformazione del terreno, a strapiombo sul lato sud, da una torre circolare addossata al suo ingresso. In più punti alle pietre si alternano parti in mattoni, segni evidenti di interventi postumi, come il semipilastro aggiunto all’alta cortina difensiva e l’arco d’ingresso della cappella dell’oratorio di S. Bernardo, piccola struttura rettangolare che ha resistito al tempo e agli eventi. Un’imponente cinta muraria difensiva avvolgeva il colle scendendo verso il basso dalla parte della strada dove fu ricavato uno dei due accessi all’antico maniero; l’altro accesso, in posizione diametralmente opposta, permetteva di fuggire verso il bosco; da questo lato alcuni tratti delle mura sono ancora sormontati dalla merlatura in cui si aprono strette feritoie verticali per difendersi dagli attacchi del nemico; dall’interno si può vedere il camminamento di ronda che consentiva ai soldati di spostarsi lungo gli spalti. Altri link suggeriti: https://www.savonanews.it/2013/09/09/leggi-notizia/argomenti/curiosita/articolo/cairo-montenotte-dal-castello-di-rocchetta-emergono-antiche-ossa.html, https://www.flickr.com/photos/fngimpy/4412858425/ (foto)

Fonti: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Liguria/savona/provincia000.htm#rokketta, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Rocchetta_Cairo

Foto: la prima è di seiaprile su https://mapio.net/pic/p-12766037/, la seconda è presa da https://www.ecodisavona.it/rocchetta-di-cairo-sagra-di-san-giacomo/

mercoledì 25 novembre 2020

Il castello di mercoledì 25 novembre



FISCAGLIA (FE) - Torre di Tieni in località Massa Fiscaglia

Esempio di torre difensiva, con funzioni anche doganali, eretta dagli Estensi in difesa dagli attacchi dei Veneziani. E' una delle poche torri ancora esistenti realizzate durante il basso medioevo a presidio delle ramificazioni fluviali che solcavano i territori più orientali dei domini estensi. La struttura, concepita per assolvere a funzioni principalmente militari connesse allo sbarramento della navigazione, servì a bloccare gli sconfinamenti delle flotte nemiche che intendevano risalire il fiume verso l'entroterra. Lungo il Po di Volano, infatti, gli scontri furono frequenti, soprattutto per il predominio del commercio del sale: si ricordano gli scontri del 1405 e del 1482-83, entrambi avvenuti in località Tieni. Pare che sulla sponda opposta, quella a nord, esistesse una seconda torre e che tra le due venisse tesa una catena per impedire la navigazione lungo il Po (tracce dell'altra torre pare fossero visibili in passato nell'alveo del fiume). Non si è in grado di datare con precisione la Torre di Tieni: alcune fonti le attribuiscono come committente Bonifacio, padre di Matilde di Canossa. La struttura è a pianta quadrata, in laterizio, con base scarpata e coronamento a beccatelli. Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=6BkZB0l-wEs (video di marsandino), https://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2018/01/26/news/torre-di-tieni-un-pezzo-di-storia-finito-nel-degrado-1.16399216,https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Torre_di_Tieni_1.jpg (foto), https://video.lanuovaferrara.gelocal.it/locale/torre-di-tieni-un-pezzo-di-storia-finito-in-degrado/87614/88079 (video), https://www.scalatt.it/GASTT_Salvadori_006_Torre_Tieni.htm

Fonti: https://www.ferrarainfo.com/it/fiscaglia/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/castelli-torri-campanili/torre-tieni, https://www.tourer.it/scheda?torre-tieni-fiscaglia

Foto: la prima è presa da https://www.facebook.com/FantasmaTorreTieni/photos/a.484516961951170/484520731950793/, la seconda è di Skyfall su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Torre_di_Tieni_2.jpg

martedì 24 novembre 2020

Il castello di martedì 24 novembre



CASTEL VOLTURNO (CE) - Castello

In contrasto con le consuetudini medioevali, che preferivano innalzare i borghi fortificati su alture inaccessibili, il castello di Castel Volturno viene edificato sull'ultima ansa del fiume Volturno, prima che questo sfoci nel Mar Tirreno. La fondazione di un fortilizio o, quanto meno, di un luogo fortificato alla foce del Volturno risale, secondo i documenti storici, circa al X secolo, quando i castaldi longobardi della nuova Capua, rifondata nell'856 sulle rovine dell'antico porto romano di Casilino, ebbero bisogno, per difendersi dalle incursioni, soprattutto saracene, che arrivavano via mare risalendo a forza di braccia la corrente del fiume, di un avamposto militare strategico che bloccasse l'ingresso dei navigli nemici alla foce. La prima fabbrica del castello di Volturno fu certamente opera del vescovo longobardo Radiperto: fu lui infatti, secondo il carme sepolcrale che chiudeva la sua tomba, a innalzare sul veloce scorrere del fiume un'alta torre (Extulit altifluam pracelso culmine turrim) e a cingere di mura (moenibus arcem) il borgo fortificato. Il castello fu eretto su un'arcata superstite dell'antico ponte romano sul Volturno della Via Domiziana, fatto costruire dall'imperatore Domiziano nel 95 d.C.. Il ponte si snodava poi in un viadotto sorretto da pilae, che si susseguivano per un lungo tratto sulla sponda opposta del fiume. L'antica costruzione dovette essere di forma oblunga, perpendicolare all'andamento del fiume e in asse con l'antico tracciato della via Domiziana. Adiacente alla torre dovette svilupparsi a est il borgo murato di San Castrese. Nel 904 il piccolo complesso fortificato era governato dal castaldo Gaideri; nel 982 erano conti di Volturno e Patria i fratelli Guaiferio detto Alo e Guaiferi figli di Wiferi. Nel 988 conti di Volturno erano i fratelli Daoferi e Daoferio, mentre agli inizi dell'anno 1000 conte di Volturno era Doferi, successivamente, il possesso del forte, fu assegnato dai Normanni di Aversa a Guaferi. Con l'incoronazione di Ruggero II a Re di Sicilia nel 1130, Castello a mare del Volturno fu tolto a Ugone conte di Boiano, che lo aveva occupato. Nel 1206 l'Imperatore Federico II di Svevia donò il castello alla mensa Arcivescovile di Capua, mentre durante il regno della regina Giovanna II d'Angiò (1414-1435) il castello fu recuperato dalle mani del de Sconnito grazie all'aiuto di Filippo Barile e rientrò a far parte dei beni della corona e come tale fu assegnato da Alfonso I d'Aragona (1435-1458) alla figlia Eleonora, che lo portò in dote al marito Marino di Marzano duca di Sessa. Quando questi, nel 1460, si ribellò al cognato Ferrante o Ferdinando I re di Napoli (1459-1494), il castello fu costretto a subire un lungo assedio. Il castello e la vasta tenuta di Castel Volturno, furono tenuti in signoria dai capuani. Il Castello e il Borgo murato di San Castrese hanno conservato attraverso i secoli sia i limiti urbani che l'impianto viario originari. Sono parte dell'arco del ponte domizianeo del I secolo e le grossa mura perimetrali, costruite con i basoli di roccia leucitica prelevate dall'antica via Domiziana e con i blocchi di travertino e tufo proveniente dallo spoglio di edifici della colonia romana di Volturnum. Sia l'impianto delle stradine (vico I, II, III, IV, V e VI) tutte perpendicolari alla piazzetta principale (Largo San Castrese) a modello dei castra romana e che doveva costituire la piazza d'armi del forte. I documenti storici attestano attraverso i secoli l'esistenza di un castrum, di una torre, di un castello e di un borgo fortificato alla foce del fiume Volturno fin da epoche molto antiche, ma non hanno tramandato le modifiche e le trasformazioni cui esso, attraverso il tempo, è andato incontro a causa delle intemperie, degli eventi sismici o bellici o della mano dell'uomo. In un'antica raffigurazione pittorica, conservata nella Chiesa Arcivescovile di Capua, oggi scomparsa, era raffigurato come una "Rocca cinta di mura", con la scritta CASTRUM MARIS DE / VOLTURNO QUOD EST DE / MAIOR ECC. CAPUANA. Nel corso dei secoli le strutture murarie del Castello e del Borgo fortificato di San Castrese hanno subito profonde modifiche. Alla primitiva torre e mura, fatte costruire dal vescovo longobardo Radiperto, coniugando legno, prelevato della vicina silva Gallinaria, e muratura, il cui materiale proveniva dalla spoliazione della via Domiziana e dalla colonia romana di Volturnum, fu sostituito, nel corso del Duecento, un fortilizio in muratura con mura e mastio, che diventò la chiave di difesa dell'intero borgo fortificato. La primitiva torre longobarda, probabilmente in legno e circondata da una palizzata e da un semplice fossato, lasciò il posto ad un più massiccio mastio con un borgo attorniato da mura e fossati pieni d'acqua. L'avvento delle armi da fuoco, che distrussero l'antica cinta muraria durante l'assedio del 1460, portò ad un'ulteriore modifica. Il Castello e il borgo dovettero essere difesi da un doppia cinta di mura, in parte ancora esistente e da diverse torri e posti di guardia fortificati con un maggior rafforzamento del mastio, che assunse la forma di un vero e proprio bastione nel Seicento, quando le coste campane ripresero ad essere oggetto delle incursioni piratesche, per cui si dovette provvedere a rafforzare le porte e le mura, che furono dotate di feritoie per gli archibugieri, le colubrine e le bombarde. Tanto il castello quanto l'edilizia presente all'interno del borgo fortificato di San Castrese è stato fortemente rimaneggiato attraverso il tempo, tanto che è difficile, senza il sostegno di un apposito scavo archeologico o lo studio dei vari strati sovrapposti di muratura, ascriverne, ad un periodo preciso piuttosto che ad un altro, le varie trasformazioni e sovrapposizioni stratigrafiche. Le attuali costruzioni esistenti, ad una prima ricognizione visiva, non vanno al di là del Seicento-Settecento. Il solo castello ha la forma quadrata delle torri difensive seicentesche del periodo vicereale, sul lato esterno di Piazza Castello; di antica fattura la rampa di accesso lastricata in opus spicatum, sulla cui sommità si erge un portone di più recente costruzione, che introduce nel cortile interno del mastio, che è ricavato quasi certamente nel camminamento della ronda della doppia cinta muraria. Sul lato opposto, in via Fratelli Daoferi e Daoferio sono ancora visibili un barbacane e nel muro due strette feritoie simmetriche, attraverso le quali, forse doveva scivolare la catena che azionava il ponte levatoio, che pure doveva esserci, se il Castello, come testimoniano le fonti, era circondato da fossati pieni d'acqua, in parte probabilmente ricavata dai bracci dal vecchio porto romano. L'interno del castello, a causa dei rimaneggiamenti eseguiti nell'Ottocento e nel Novecento, ha perso la sua caratteristica natura difensiva. Il portone di accesso a Largo San Castrese non è probabilmente più antico del Seicento, per la forma tozza e per l'assenza delle scanalature della saracinesca. L'attuale Torre dell'orologio in Piazzetta Radiperto, originaria torre posta a guardia della porta, risale al Settecento nella sua parte alta, in quanto solo dal 1757 è attestato, nei conti comunali, il pagamento dell'onorario all'orologiaio. Ugualmente, le facciate delle abitazioni interne al borgo San Castrese risalgono al Settecento a causa dei continui rimaneggiamenti e stravolgimenti subiti. Sono costruite in pietra e seguono tutte lo stesso schema, per lo più sono costituite da due vani unici sovrapposti non comunicanti, l'accesso ai piani superiori avviene mediante una scala esterna in muratura. Lo schema strutturale presenta mura portanti, in comune i laterali, isolati i frontali e solai con travi in legno. Purtroppo il castello, in stato di abbandono da anni e con la necessità di urgenti lavori di consolidamento e conservazione mai avvenuti, ha registrato dei crolli e danneggiamenti, dovuti agli agenti atmosferici e all'incuria, che nel novembre del 2019 hanno portato al sequestro da parte delle autorità locali. Altri link: https://caserta.italiani.it/castel-volturno-castello/, https://www.youtube.com/watch?v=_SHwQzT-BFU (video di Redazione Informare)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Castel_Volturno, https://informareonline.com/castel-volturno-le-condizioni-del-castello-dopo-il-crollo/,

Foto: la prima è presa da https://caserta.italiani.it/castel-volturno-castello/, la seconda è presa da https://www.localidautore.it/paesi/castel-volturno-1029

lunedì 23 novembre 2020

Il castello di lunedì 23 novembre




CASTIGLIONE D'ORCIA (SI) - Rocca di Tentennano in frazione Rocca d'Orcia

Costruita come prolungamento dello sperone roccioso, e circondata da più cinte murarie che l’hanno resa imbattibile a qualunque tipo di attacco, la Rocca di Tentennano è l’unica fortezza in Val d'Orcia a non essere mai stata espugnata con la forza. Fu praticamente impossibile conquistarla, prima della comparsa delle armi da fuoco. Nell'853 era già presente in questo luogo un insediamento denominato Tintinnano, termine collegato a Tetena, nome della famiglia etrusca che risiedeva in questa zona. Una prima fortificazione si fa risalire al XI-XII secolo, quando questo territorio era parte dei possedimenti della famiglia dei Tignosi, vassalli dei conti Aldobrandeschi, proprietari anche dei vicini Castelli di Vignoni Alto (https://castelliere.blogspot.com/2012/03/il-castello-di-domenica-18-marzo.html) e Bagno Vignoni. Fin dalla sua costruzione la Rocca di Tentennano ha svolto la funzione di “sentinella” sulla Val d’Orcia ed è stata uno dei principali avamposti sulla via Francigena, la “strada” medievale di collegamento fra l'Europa del nord e Roma, asse commerciale transitata da viaggiatori di ogni sorta e rango. Nel 1251 la Rocca passò alla Repubblica di Siena che fece importanti lavori di ristrutturazione ma che, a distanza di pochi anni, già nel 1274, la cedette alla famiglia senese dei Salimbeni per estinguere i debiti contratti per pagare l’esercito vittorioso della battaglia di Montaperti (1262). Il possesso della potente famiglia si protrasse per tutto il Trecento, quando si aprì un profondo conflitto con il Comune di Siena. Infatti, il dominio dei Salimbeni su gran parte della Val d'Orcia causò non pochi attriti con i Senesi che, dopo un duro conflitto, riuscirono a reimpossessarsi della fortificazione nel 1419 (grazie a un traditore che aprì le porte), sconfiggendo definitivamente e costringendo all'esilio la famiglia dei Salimbeni. Nell’anno 1377, è documentato alla Rocca il soggiorno di Caterina Benincasa, la futura Santa Caterina da Siena, che giunse fino a qui per riconciliare i due rami della famiglia Salimbeni che si combattevano senza tregua in una lotta fratricida. La Santa rimase ospite alla Rocca dove, secondo la leggenda, ricevette miracolosamente il dono della scrittura: al risveglio da un sonno, prese la penna in mano e cominciò a lavorare al Dialogo della Beata Provvidenza, tra i suoi componimenti più importanti. Dopo il ‘500 la rocca, non avendo più importanza militare e a causa dello sviluppo delle nuove armi da fuoco, venne abbandonata. Negli anni '70 è stata donata allo Stato dagli ultimi proprietari, la famiglia Aggravi-Scotto. La rocca è costruita in pietra calcarea locale e ha la struttura tipica del castello - recinto, l’area recintata era infatti quella della spianata sommitale, mentre tutto intorno, anche nell’attuale pianoro lasciato ad area verde, fino al Settecento si intrecciavano strade e piccole piazze, di cui restano poche vestigia sul versante sinistro degli scalini che conducono al cassero. Nel primo ripiano sorgevano le abitazioni della servitù e della guarnigione. Nell’area del castello (attuale parco) vi era anche un pozzo che è stato coperto in occasione dei restauri. L’apparato difensivo assecondava l’asprezza dello scoglio su cui la Rocca è costruita ed era predisposto secondo un sistema di recinti murari diversi. Del più esterno di questi circuiti, restano aree di mura nella zona più bassa del paese, questa cerchia aggirava a semicerchio la collina racchiudendo tutto il borgo sottostante. Nei tratti scendenti delle mura, si aprivano due porte, entrambe rivolte a sud, una delle quali in prossimità del cancello d’ingresso, conserva le tracce di passaggio al secondo perimetro. Dall’alto la fortezza dominava sia il paese che la valle ed aveva principalmente la funzione di avvistamento, ma anche un luogo dove vivere, un’abitazione in tutti i sensi. Nel torrione c'è una prima sala inferiore che poggia direttamente sulla roccia; per una scala interna si va alla sala superiore, da cui si va nella piccola cucina triangolare che conserva ancora il pozzo, il forno e la canna del camino. Dalla sala superiore, ampia e con copertura a volta, una ripida scala di ferro si arrampica ad una botola che sbuca sulla terrazza, da dove si ammira un vasto panorama che spazia dal Monte Amiata alla Val d'Orcia. Alla torre era affiancato il Cassero con le mura perimetrali che, come ancora oggi si può vedere, costituiscono un pentagono irregolare. Questo spazio chiuso, era destinato esclusivamente alle funzioni militari come dimostra la polveriera, di cui rimangono i resti al centro del cortile. Le mura hanno uno spessore di circa tre metri, rilevabile dalle feritoie ricavate nella muratura. I lavori di restauro della Rocca iniziarono nel 1975, quattro anni dopo la donazione delle ultime proprietarie, Anita Aggravi Ugurgeri ed Ena Aggravi Scotto, allo Stato italiano. Una prima fase dei lavori ha avuto carattere conservativo e integrativo per il recupero della struttura, sono state tamponate le parti mancanti i filaretti di pietra con mattoni a faccia vista, in modo da evidenziare le parti originali dai rifacimenti. Le porte e le finestre sono state corredate di infissi metallici. I piani, che un tempo erano comunicanti grazie a scale di legno ritraibili, incompatibili con l’uso odierno, sono stati collegati attraverso scale con grigliati e fili metallici. L’intervento di restauro più recente, ha mirato infine a un recupero funzionale dell’edificio, garantendo l’accessibilità e l’uso degli spazi interni. Dopo il restauro la torre è diventata spazio espositivo e opita mostre temporanee, con la Sala d'Arte San Giovanni costituisce il circuito museale di Castiglione d'Orcia e afferisce a Fondazione Musei Senesi. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=YR3S7-a38Us&feature=emb_logo (video di FlySimon27 MavicPro), https://www.valdorciamiata.it/la-rocca-di-tentennano/, https://www.sienanews.it/cultura/la-rocca-di-tentennano-la-fortezza-dei-salimbeni-protagonisti-della-malamerenda/, https://www.youtube.com/watch?v=Jss6d2juLW8 (video di Luigi Manfredi), https://www.youtube.com/watch?v=7NC4YW9L3PY (video con drone di Imagine Valdorcia), https://www.facebook.com/Rocca-di-Tentennano-178409052260411/videos/ (altri video)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Tentennano, https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_d%27Orcia, https://castellitoscani.com/tentennano/, https://www.parcodellavaldorcia.com/attrazioni/la-rocca-di-tentennano/

Foto: le prime due sono cartoline della mia collezione, mentre la terza è presa da http://www.arte.it/calendario-arte/siena/mostra-elisa-jane-pedagna-l-orizzonte-degli-eventi-30137

domenica 22 novembre 2020

Il castello di domenica 22 novembre



COSTIGLIOLE SALUZZO (CN) - Castello Reynaudi

Comune del saluzzese all'imbocco della Valle Varaita, Costigliole è definito il paese dei tre castelli: Castello Rosso, Castello Reynaudi e "Castlòt", infatti, dominano il borgo medievale. Notizie sicure su Costigliole si hanno a partire dalla seconda metà del XII secolo. ma si pensa che già nell'antichità il luogo fosse sede di un abitato romano nella zona pianeggiante. Nel 1215 si ha la prima concessione in feudo da parte di Manfredo Il di Saluzzo a favore di Guglielmo Costanzia. Questa potente famiglia fu strettamente legata al Marchesato di Saluzzo, dal quale ottenne importanti cariche e privilegi. Tra il 1200 e il 1300 ci fu l'espansione dell'originario nucleo abitativo con la costruzione dell'imponente castello sulle cui rovine in seguito, fu edificato il Castello Reynaudi. Agli inizi dei '400, per iniziativa dei Costanzia, vi fu un ampliamento urbanistico del borgo con la costruzione della Parrocchia di Santa Maria Maddalena. Nel 1487 le truppe di Carlo I di Savoia, nel corso delle operazioni contro il Marchese Ludovico II, distrussero tutte le opere di fortificazione di Costigliole, arrecando gravi danni al tessuto urbano. Tra il 1530 ed il 1536 Costigliole fu ancora e ripetutamente occupata e saccheggiata dalle truppe francesi alleate del Marchesato in lotta contro i Savoia. Dal XVII secolo in poi venne meno l'esclusivo dominio dei Costanzia ed iniziò un lungo periodo in cui una nobile e ricca famiglia originaria di Savigliano, i Crotti, acquìstò il potere e fece erigere un nuovo ed imponente castello (l'attuale castello Reynaudi) sulle rovine del vecchio. Nel 1617 G. Michele Crotti iniziò a costruire il castello che domina il paese dalla sommità della collin. La costruzione ha pianta poligonale ed è difesa da tre torri, due quadrate e una circolare. Tutte e tre le torri sono ornate da un loggiato e costruite con mattoni e pietre di fiume a vista. I lavori terminarono nel 1625. Il castello si chiama Reynaudi, dal cognome di uno degli ultimi proprietari. Altri link: https://www.youtube.com/watch?v=0yW1fDGtlEE (video di Marco Manassero), https://3dwarehouse.sketchup.com/model/7e44cffcbcc1ab8884d160d5a751b40e/Castello-Reynaudi-Costigliole-Saluzzo?hl=it

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Costigliole_Saluzzo, https://www.comune.costigliolesaluzzo.cn.it/archivio/pagine/Cenni_storici.asp, http://www2.saluzzoturistica.it/monumenti_scheda.php?id=1274&itin=440

Foto: la prima è di naldina47 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/219471/view, la seconda è presa da https://www.comune.costigliolesaluzzo.cn.it/archivio/pagine/Castello_Reynaudi.asp

sabato 21 novembre 2020

Il castello di sabato 21 novembre



GUBBIO (PG) - Castello di Biscina

Le origini del castello restano sconosciute, nemmeno le origine del nome sono note, si suppone che il termine Biscina derivi dal fiume Chiascio sottostante che in quel tratto assume un corso tortuoso tanto da farlo sembrare una “biscia”. Il nome stesso nel corso dei secoli è stato scritto in diverse forme che qui ricordiamo: Bisina, Bissina, Biscina, Byscina, Bescina, Pisina, Pissina, Piscina, Pisscina, Pesina. Dal 975 al 1345, insieme a Giomici, Petroia, Peglio, Collalto, Valcodale e Mondoglio, era feudo dei Bigazzini di Coccorano che, in qualità di piccoli sovrani, dominavano tutta la valle del Chiascio battendo anche moneta. Nel 1258 Ugolino Albertini Signore di Coccorano, sottomise alla città di Perugia i suoi castelli del territorio eugubino tra i quali quello di Biscina. Dai conti di Coccorano, il castello passò a un loro discendente, Giovanni (chiamato appunto di Biscina), uomo senza scrupoli e di carattere violento. Nel 1345 Giovanni divenne sovrintendente della fabbrica di San Lorenzo di Perugia; morì assassinato nel 1352; qualcuno dice da un suo figlio illegittimo, altre fonti attestano il delitto ad alcuni contadini del castello di Caresto. Nel 1356 il castello era sotto la Chiesa Romana che dopo averlo restaurato, fu donato da Innocenzo VI al famoso giureconsulto perugino Baldo degli Ubaldi e ai figli Francesco e Zenobio. Passò quindi tra le proprietà, del genero un certo Giovanni Tolomei di Siena. Nel 1360, il castello di Biscina, di Giovanni da Siena, per la distrazione di una guardia notturna che si era assentata per amoreggiare con “la vaga“, fu conquistato da un gruppo di uomini che fecero azioni di guerriglia contro Gubbio. Soldati del castello di Colpalombo lo riconquistarono poco dopo e lo restituirono al Comune di Gubbio. Nel 1360 passò da Giovanni da Siena al francese Piero Bramonte, infine, come lascito testamentario toccò all’ordine religioso di S. Antonio di Vienna. Al 1379 risale quanto riportato di seguito:«In questo anno era padrone di Biscina fra Giovanni di Guidotto Gran Maestro di S. Antonio del Regno di Napoli. Frà Giovanni mise il feudo sotto la protezione di Perugia, obbligandosi a mandare ogni anno per la festa di S. Ercolano, un pallio di seta del valore di 12 fiorini d’oro. I magistrati di Perugia si obbligavano come contropartita a difendere lui e gli abitanti del feudo». Dopo la breve parentesi sotto la pertinenza di fra Giovanni di Guidotto da Pistoia gran maestro dei Cavalieri di Sant’Antonio nel 1383 divenne feudo dei Gabrielli di Gubbio che ne rivendicarono il possesso in quanto un Gabrielli aveva sposato la sorella del conte Giovanni di Filippo di Biscina. Il 23 settembre 1388 nel castello di Biscina, alla presenza di Baldo di Rinaldo II Brunamonti della Serra, Cante II Gabrielli ricevette la comunicazione ufficiale da due ambasciatori inviati dal conte Antonio da Montefeltro che il castello era sotto la giurisdizione del Comune di Gubbio e, quindi, ricadeva sotto il governatorato del conte di Urbino. Nel 1431 passò sotto Guidantonio da Montefeltro. Numerosi sono i documenti raccolti circa l’elezione dei capitani, dei castellani, le spese di restauro, di fortificazione, dei corrieri, tutte spese a carico del Comune di Gubbio. Il castello di Biscina risulta abitato almeno fino al mese di settembre del 1420 da Ludovica di Cante. A seguito però degli eventi dal 1419-1420 dovette rientrare anch’esso tra i beni espropriati dal Conte di Urbino ai ribelli della famiglia e concessi a uomini di comprovata fedeltà; primo fra tutti Bernardino della Carda, che, subentrò temporaneamente ai Gabrielli dal ramo di Frontone. Alla morte di Luigi nel 1466, la proprietà della Biscina passò a Federico dei Porcelli figlio di secondo letto di Checca nonché parente più prossimo di Luigi, morto senza eredi legittimi. Da una causa civile (1552) per diritti di successione fra eredi avviata da Pierleone dei Porcelli di Carbonana, vennero escussi vari testimoni (Federicus de Castro Biscine, Berardinus Antonii, Sante Simonis de Castro Fratticciole, Alovisantonius de Saxoferrato) dai quali si apprende che nel 1467 era già di proprietà di Alovisius Francisci de Actis di Sassoferrato (fratello di Donna Checca Francisci, de Actis e moglie di Jacobus de Porcellis di Carbonana). Alovisius Francisci de Actis fu signore di Biscina nel 1467 e morì nel 1470 senza figli legittimi. Ebbe un solo figlio, Berardino nato da una sua relazione con una donna coniugata di nome Magdalena. In questo anno (1480) avvenne un episodio che fu determinante per i signori del Castello di Biscina. Berardino, il figlio spurio di Alovisius Francisci de Actibus de Saxoferrato, mentre ritornava a Biscina da Urbino, ove aveva una occupazione nella Corte del Duca Federico, si rifocillò in una “osteria” presso Ponte Riccioli. Qui lo attendeva in un agguato Grifone dei Baglioni di Perugia, che, con un “giannettone“, preso da uno dei suoi 12 uomini di scorta, colpi Berardino; questi si salvò grazie ad una “corazzina“. Galasso, guardia di Berardino, vedendo a terra il suo padrone, con un colpo di “partigiana” uccise Grifone Baglioni. Berardino capì immediatamente gli effetti che il suo gesto avrebbe prodotto per cui fuggì a Cantiano, e da qui comunicò al Duca Federico II da Montefeltro l’accaduto; questi provvide a farlo trattenere e trasferire poi nella Rocca di Gubbio. Braccio I Baglioni, padre dell’ucciso, uno degli uomini più potenti dell`epoca e persona di poche parole, minacciò di distruggere il castello di Biscina e di uccidere Federico de Porcellis, “consobrino” di Berardino. Il Duca Federico da Montefeltro, non volendosi inimicare i Baglioni, molto diplomaticamente, espropriò Federico de Porcellis del Castello di Biscina, prese sotto la sua giurisdizione il castello e mandò Berardino presso alcuni suoi amici di Milano. Promise la permuta del castello di Biscina con quello di Moncerignone, in territorio di Montefeltro, o, in tempi migliori, la restituzione. Nel 1482 morì a 60 anni, a Ferrara, Federico da Montefeltro. Gli successe il figlio Guidobaldo da Montefeltro di 10 anni, che fu affidato alle cure di Ottaviano degli Ubaldini, e fu sollecitato più volte da Federigo Michelangioli Federici (nipote di Federico Jacobi de Porcellis) a restituire il castello avito. Gli eredi del castello di Biscina tra i quali soprattutto Michelangelo di Carbonana, ritornarono alla carica per definire il diritto sul loro castello. Ma nel gennaio 1497 nella lotta tra l’esercito della Chiesa e gli Orsini, il duca Guidobaldo da Montefeltro marito all’epoca di Elisabetta Gonzaga, fu fatto prigioniero, tra Bracciano e Sutri e fu rinchiuso nella Rocca di Soriano. La taglia iniziale per la sua liberazione fu esorbitante: 10.000 ducati d’oro e 2 castelli uno dei quali era Biscina. In molti sì adoperarono per il suo riscatto. La somma pattuita non fu così pesante come all’inizio ma fu necessario vendere molti beni per disporre di questa cifra. Si offri allora Messer Bartolomeo Bartolini di Roma, che in cambio della Biscina «dette salvo el vero 2000 ducati» ottenendo anche proprietà nei dintorni come Can grecale, el Ponte de Madonna; proprietà che «al momento attuale valgono almeno vinte milia ducati». Nel salone d’onore, il 6 luglio 1498, venne firmata la pace fra il Comune di Perugia e Guidobaldo che poneva fine alla grave controversia sorta fra le due parti per il possesso della torre di Coccorano. Il 10 marzo 1499 Guidobaldo da Montefeltro, riconosciuti i notevoli meriti, “donò”, il castello di Biscina a messer Bartolomeo Bartolini “Castrum, sive Fortilitium Biscinae positum inter confinia Perusiae et Eugubinae Civitatum, cum Arce, Palatio, Domibus, Terris, Possessionibus, Poderibus .cultis et incultis, arativis et prativis, nemoribus, silvis, vineis, molendino, turribus, domibus, in dicto Mplendino, et supra illud existentibus, aquarum decursibus, fornacibus, capannis et aliis domibus, etiam illis, quae vulgariter nuncupantur l’Ostaria della Biscina, et toto eius territorio et districtu, ac omnibus juribus et pertinentiis illius… etc.”, e lo nominò Conte. Morti il Conte Bartolini e il suo unico figlio Ippolito, quest'ultimo nel 1560 durante un torneo per onorare le sue nozze nel castello di Biscina, colpito per errore da una lancia scagliata da Pier Domenico Reali, il feudo di Biscina passò alla sorella del conte Bartolomeo, Costanza, che aveva sposato il conte Roberto della Branca. Costanza, rimasta vedova e senza figli, andò ad abitare con la sua sorella Francesca che aveva sposato Giammaria della Porta, conte di Frontone. Costanza, rimasta vedova e senza prole, con testamento datato 1 gennaio 1570, lasciò il feudo di Biscina al nipote Giulio I Della Porta, figlio della sorella Francesca e di Giovanni Maria I Della Porta, segretario particolare di Francesco Maria I della Rovere che nel 1530 gli aveva anche donato il castello di Frontone. Giulio Della Porta nel 1589 acquistò dal cognato conte Orazio di Carpegna, marito di Laura Bartolini (sorella di Francesca) il palazzo Della Porta per 3300 scudi. Orazio di Carpegna assunse nel 1615 il comando di 3000 soldati nella spedizione militare in Piemonte inviata dal duca Francesco Maria II della Rovere. La contea di Biscina appartenne ai conti della Porta dal 1570 al 1920; Giovanni Maria IV, ricoprì la carica di presidente della Cassa di Risparmio di Gubbio dal 1892 al 1899. Il castello di Biscina fu acquistato nel 1950 dall’ing. Aldo Tamai che lo rilevò da una Società Immobiliare Svizzera. Nel 1972, deceduto l’Ing. Aldo Tamai, è passato al figlio Stefano che con molta competenza ha provveduto al suo restauro.
Il castello ha subito ingenti danni durante il terremoto che ha colpito il comprensorio nel 1984 e dal 2007 ed è stato oggetto di un progetto di restauro totale a carico dei nuovi proprietari (i sigg. Frondizi, Manuali e Ciaccasassi); l’edificio è stato destinato ad una riqualificazione come albergo-centro congressi. Lo stesso è inserito nel “Percorso Francescano” che collega Assisi a Gubbio.
Oggi i lavori si sono fermati e sta vivendo un lento declino; in un fabbricato adiacente c’è la direzione di una Azienda Agraria omonima specializzata nell’allevamento di bestiame. Secondo alcuni studiosi nelle vicinanze del castello di Biscina pare sia avvenuta l’aggressione da parte di alcuni briganti a San Francesco che spogliato delle vesti e fuggito da Assisi, vocato a nuova vita si dirigeva verso Gubbio. L’episodio narrato dalle Fonti Francescane e da Fra Tommaso da Celano, che qui riportiamo integralmente, pare sia avvenuto intorno all’anno 1208 ed il monastero di cui si parla e che lo ospitò potrebbe trattarsi di quello di Caprignone, oggi scomparso, ma esistente a fianco alla chiesa ai tempi del Santo. Il castello oggi si presenta in tutta la sua monumentalità per le notevoli dimensioni dell’intero complesso, solenne e inespugnabile, contraddistinto da una magnifica torre merlata alla guelfa. Accedendo alla corte dall’ingresso principale, si può riconoscere la torre maestra, ruotata e sporgente rispetto alle costruzioni che l’affiancano. Oggi è sede di un’azienda agrituristica. Altri link suggeriti: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Umbria/perugia/biscina.htm, http://gubbio.infoaltaumbria.it/scopri_la_citta/Dintorni/Verso_Perugia/Castello_di_Biscina.aspx,

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-biscina-gubbio-pg/, http://www.ilsentierodifrancesco.it/Index.aspx?idmenu=18

Foto: la prima è presa da http://www.umbriapaesaggio.regione.umbria.it/media/scopri-lumbria-dallalto-volo-1, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-biscina-gubbio-pg/

venerdì 20 novembre 2020

Il castello di venerdì 20 novembre



COLLI VERDI (PV) - Castello in frazione Montù Berchielli

Il castello, attribuibile nel suo impianto al XII secolo, fu già dei Belcredi. Venne modificato a più riprese, e non sempre felicemente, nei secoli seguenti. Con il tempo si è ridotto all'attuale stato di rudere. La pianta della parte costruita è ad "L", con un andamento irregolare. Sul tutto vigila una torre con funzioni di mastio. I due corpi di fabbrica delimitano una corte chiusa sui restanti lati da mura. La struttura muraria è in pietra locale e mattoni. Bella la posizione, isolata e dominante, sulla cima della collina. È stato restaurato negli ultimi decenni del secolo scorso, quando è stato riadattato ad abitazione privata. Non è visitabile.

Fonte: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00217/

Foto: la prima è un'immagine d'epoca (fa parte dell'archivio del fotografo vogherese Cicala) su https://motoltrepo.forumattivo.com/t2055-montu-berchielli-castello, la seconda è presa da http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00217/

giovedì 19 novembre 2020

Il castello di giovedì 19 novembre



MONTEFALCONE APPENNINO (FM) - Castello

Le prime notizie si trovano in documenti del 705 e del 930 del feudo farfense di Santa Vittoria in Matenano. Sotto i farfensi il centro conobbe un notevole sviluppo, con la costruzione di un fortilizio e di una scuola per i chierici. Nel 1214, poi, Montefalcone ottenne la Libertà Comunale. Fu coinvolto nelle lotte tra Ascoli Piceno e Fermo: nel 1239 venne conquistato da Enzo di Sardegna, per poi passare sotto Fermo nel 1257; nel 1351 venne assediato da Galeotto I Malatesta per passare nel 1355 sotto lo Stato Pontificio, giurando fedeltà a Egidio Albornoz. Nel XV secolo fu sotto il controllo della famiglia Orsini e, dopo il Risorgimento, nel 1860 Montefalcone entrò nella Provincia di Ascoli Piceno. Dal giugno 2009 è passata nella provincia di Fermo. Un semicerchio di mura dell’antica fortificazione medievale, cinge Montefalcone a est, annodandosi attorno alla severa mole del castello delle XII secolo, la cui torre, svelto parallelepipedo, nella medesima fattura di quella dei Matteucci a Fermo, svetta sopra l’abisso verde, tra i nidi dei falconi e degli astori. Edificata a partire dal XIII secolo su delle probabili fortificazioni precedenti, di origine farfense, secondo la tradizione sarebbe stata costruita nel 1242 per volontà dei fermani che, secondo le cronache, ebbero sempre piuttosto a cuore il fortilizio in quanto situato in un ottimo punto di avvistamento e soprattutto nei pressi del confine con i territori ascolani. Si sa che dopo aver ottenuto lo status di libero comune nel 1214, Montefalcone decise di rinnovare la rocca ed i lavori si conclusero nel 1255. Per tutto il Duecento il feudo fu conteso tra il comitato fermano e il presidato farfense cambiando spesso padrone; sul finire del secolo era divenuto proprietà dei Da Montepassillo prima di essere venduto definitivamente a Fermo. Il Trecento fu ricco di eventi per la rocca, dopo aver visto la signoria di Mercenario Da Monteverde, nel 1351 venne preso da Galeotto Malatesta alla guida delle milizie ascolane che recuperarono così il gonfalone di Porto d'Ascoli, sottratto anni prima dai fermani. L'anno seguente prese il potere nel comitato Gentile da Mogliano ma qualche anno dopo arrivò a pacificare gli stati pontifici il Cardinale Albornoz che nel 1355 ordinò di restaurare tutte le rocche della Marca compresa quella di Montefalcone. Il paese e la sua rocca furono palcoscenico di una serie di eventi durante la signoria fermana di Rinaldo da Monteverde: nella rivolta del 1379 Rinaldo fu costretto a scappare dalla città e si rifugiò a Montegiorgio, ma ancora braccato dai fermani tentò l'ultima fuga disperata con la sua famiglia fino a questa rocca ai confini dello stato. I fermani cinsero d'assedio il castello che grazie alla sua posizione impervia resisteva agli assalti, leggenda vuole che, per dimostrare ai nemici l'abbondanza delle provviste, gli assediati gettassero dalle mura un vitello intero, ma la morsa degli assedianti si andava stringendo e quando ormai stavano sopraggiungendo truppe in aiuto di Rinaldo, vennero corrotti due difensori che aprendo le porte ai fermani posero fine all'assedio. I Monteverde vennero condotti a Fermo e fatti sfilare per la città cavalcando un mulo al contrario, cingendo una corona di spine ed esposti allo scherno del popolo, e al cospetto delle autorità cittadine, Rinaldo ed i figli vennero decapitati nella piazza di San Martino a Fermo. Seguirono poi le signorie degli Aceti, di Ludovico Migliorati fino a quella di Francesco Sforza che dal 1434 al 1445 fece di Fermo una delle sue residenze, quindi nel XVI secolo si ricordano quelle di Oliverotto e Ludovico Euffreducci che posero fine a questi periodi turbolenti. Durante il XVII secolo la rocca cadde in disuso e mano a mano venne smantellata nonostante oggi rimanga piuttosto ben conservata; danneggiata durante il terremoto del 1997 si decise di restaurarla ed i lavori iniziarono qualche anno dopo. Si raggiunge salendo per una rampa che costeggiando la cinta muraria del paese arriva fino alla porta della rocca dove le mura si congiungevano al centro delle fortificazioni castellane, mura che presentano interessanti merlature dove possiamo osservare anche qualche feritoia da moschetto. L'ingresso castellano era protetto da una fila di caditoie che permettevano il lancio di oggetti e di fare fuoco contro il nemico, necessaria opera difensiva di cui oggi rimangono solo alcune tracce. Oltrepassato l'arco in arenaria contornato da una fila di mattoni, ci si trova in uno stretto cortile dove si apre un altro ingresso che permette di accedere al cuore della Rocca, in caso di sfondamento qui si accalcavano i nemici mentre dai sovrastanti spalti i difensori decimavano le fila degli invasori. Ancora visibili le tracce dei beccatelli che sorreggevano il camminamento lungo le mura, alcune grandi feritoie si aprono sulla parete orientale del complesso, che si affaccia verso la residenza "Opera Pia" Marziali, alla cui base vi è una notevole scarpatura: quest'area della rocca è un'aggiunta risalente al XIV e XV secolo. Varcato il secondo ingresso si apre la piazza principale del castello e non possiamo fare a meno di notare i resti della torretta che si affaccia sul primo cortile, priva della parte superiore. Oltre questa non ci sono altri punti di grande interesse, la parte meridionale delle muraglie si trova a strapiombo sulla rupe e ha subito qualche danno dalle frane, sull'angolo occidentale forse poteva trovarsi un'altra torretta. Il maestoso torrione sovrasta tutta la fortificazione, punto di avvistamento e di difesa, ospitava al suo interno gli uomini e le scorte durante gli assedi, raggiungibile un tempo solo attraverso una piccola porticina ancora visibile sul lato meridionale, quello che si affaccia sopra l'ingresso della rocca. Oggi vi si accede da una porta ricavata in epoche recenti al livello della piazza per facilitarne l'utilizzo, l'interno è stato diviso in sei piani inclusa la raggiungibile terrazza alla sommità dell'opera, dalla quale si gode uno stupendo panorama. Una curiosità è che nella torre pare non vi sia la presenza di camini e ciò lascia supporre le condizioni di vita soprattutto in un ambiente montano, è comunque presente un condotto per la comunicazione a voce tra i vari livelli. Il coronamento della torre non presenta dei beccatelli e si suppone che vi potessero essere delle strutture in legno a protezione dei difensori. Le feritoie che si aprono nei vari livelli del torrione permettevano il fuoco contro i nemici. Altri link suggeriti:https://www.eppela.com/it/projects/17330-uno-sguardo-sui-monti-azzurri, https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-montefalcone-appennino-fm/, http://www.enciclopediapicena.it/dettaglio.asp?autore=Girolami%20Luigi&numero=129&titolo=Il%20Cassero%20di%20Montefalcone:, http://www.studiotorresi.it/st/public_html/catben12.html (foto),

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Montefalcone_Appennino, https://www.iluoghidelsilenzio.it/rocca-di-montefalcone-appennino-fm/, https://www.habitualtourist.com/rocca(montefalcone_appennino)

Foto: la prima è presa da https://www.montefalcone.it/it/node/207, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/rocca-di-montefalcone-appennino-fm/

martedì 17 novembre 2020

Il castello di mercoledì 18 novembre



ROCCANTICA (RI) - Monastero delle Clarisse (ex Castello Orsini)

Di Roccantica il blog ha già parlato in precedenza, come è possibile vedere a questo link: https://castelliere.blogspot.com/2018/01/il-castello-di-lunedi-1-gennaio.html, dove trovare anche notizie storiche del paese. Inizialmente fortezza Orsini, il fabbricato venne da Felice della Rovere, figlia naturale di papa Giulio II, vedova di Giovanni Giordano Orsini, donato (terzo testamento di F.d.R 27/9/1536) alla pia donna Maddalena Ferracuti, o Ferraguti, affinchè ne facesse un monastero di Clarisse. Così avvenne, sotto la sovrintendenza di S. Filippo Neri. Il Monastero ha vissuto vicende alterne: fu soppresso da Napoleone Bonaparte e ripristinato nel 1816, per poi essere disciolto in maniera definitiva nel 1864. Dopo alcuni passaggi di mano, al giorno d'oggi è proprietà privata, inaccessibile. Vi ha sede anche una "accademia stregonesca". La Chiesa appartenente al complesso, è stata purtroppo "devastata" da interventi murari scellerati. In questo video (di Sergio Taloni), giro completo di Roccantica: https://www.youtube.com/watch?v=DyNmSFbsL7s

Fonti: https://comunediroccantica.it/contenuti/93083/chiesa-santa-caterina-monastero-clarisse, https://www.scoprilasabina.it/cosa-vedere/roccantica/, http://www.stradadelloliodellasabina.it/comune_scheda.asp?progressivo=37

Foto: la prima è presa da http://www.roccantica.org/monatorre.jpg, la seconda è presa da https://www.salutepiu.info/wp-content/uploads/2012/08/FOTO-GALLERY_2.jpg

Il castello di martedì 17 novembre



FIVIZZANO (MS) - Castello Malaspina in frazione Agnino

La frazione di Agnino si compone di tre nuclei principali che si chiamano Castello, Villa e Piazza. Il Castello, situato strategicamente a controllo della viabilità verso il passo dell'Ospedalaccio e del Cerreto, prende nome dalla fortificazione malaspiniana, oggi ridotta a rudere. I documenti su questo castello sono pochi, tanto da rendere di difficile conoscenza la storia del maniero. Il primo testo che ne fa cenno è del 1275, anno in cui il feudo di Filattiera viene diviso e Agnino passa a Francesco Malaspina marchese di Olivola. Gli anni successivi sono molto confusi politicamente poiché nella media valle del Rosarno varie piccole signorie locali più o meno autonome, avverse ai Malaspina, vollero offrire i propri diritti feudali alla Repubblica di Lucca in cambio di protezione, e ciò diede avvio a tensioni e lotte tra questa ed i marchesati malaspiniani. Il 29 settembre 1302 una metà dei vassalli di Agnino, già sotto il marchese Francesco, cugino del marchese Spinetta Malaspina, giurarono fedeltà al lucchese Alberigo da Verrucola Bosi, riconoscendo di dipendergli ex auctoritate lucani Comunis. L'altra metà riconosceva l'autorità del lucchese Bosello dei Dallo. Sono questi anche gli anni in cui Castruccio Castracani cercò di creare un unico grande stato nel nord della Toscana: durante le sue campagne militari nel 1319 distrusse i castelli ad Agnino, Equi e Tendola, portando il suo dominio fino a Pontremoli. Morto Castruccio nel 1328, il castello di Agnino passò a Spinetta e al marchesato di Fivizzano, seguendone le sorti, compresa l'annessione a metà del XIV da parte della Repubblica di Firenze. Durante il passaggio in Italia nel 1494 di Carlo VIII di Francia, il marchese di Fosdinovo Gabriele II Malaspina si impossessò del castello, saccheggiò Fivizzano e mise sotto assedio Verrucola. Del castello si sono conservate le mura perimetrali, probabilmente del secolo XIII o XIV, all'interno del quale sorgeva la parte più antica del maniero: questa non esiste più, e dentro le mura c'è una vigna. Ad oggi il toponimo "castello" ad Agnino indica una delle due parti del borgo, che si contrappone a quello detto "villa", cinto di mura dotate di quattro torri. Di queste, ancora esistenti a fine XIX secolo, solo una di fiancheggiamento resta in piedi, nella parte bassa del borgo e coperta di erba. Quel poco che rimane delle mura in alcuni punti mostra ancora tracce di merli. Il Castello di Agnino aveva un accesso protetto da una torre cilindrica, distrutta probabilmente come le altre del circuito murario in seguito a terremoti. Lo stato di abbandono di tutta questa area rende di difficile riconoscimento l'unica torre ancora esistente. Un sentiero in salita conduceva verso il castello, il cui lato occidentale era protetto da una cortina muraria con tre torri a base circolare. Poco o nulla rimane delle parte interna e più antica della fortificazione. Altri link suggeriti: http://www.paesifantasma.it/Paesi/agnino.html, https://www.youtube.com/watch?v=1EwdOFI04EE (video di Pasquale Bernardi), https://www.youtube.com/watch?v=spu3EfNgTeE (altro video di Pasquale Bernardi)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Agnino, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Agnino, https://www.terredilunigiana.com/castelli/castelloagnino.php

Foto: la prima è presa da https://www.terredilunigiana.com/castelli/castelloagnino.php, la seconda è presa da http://www.paesifantasma.it/Paesi/agnino.html

Il castello di lunedì 16 novembre


VAL DI NIZZA (PV) - Castello di Casarasco

Di origine antichissima, apparteneva a un ramo locale della famiglia dei Malaspina. Citato nelle antiche carte anche come Casalazio o Casalasco, del castello, si fa riferimento nel Breviarium dei possedimenti dell'abbazia di Bobbio nel secolo X. Il castello di Casarasco è menzionato anche nel 1164 nell'investitura di Federico Barbarossa quando esso fu riconfermato ai Marchesi Malaspina. A partire dal primo millennio e nei secoli a seguire, il nome del castello fu sempre messo in relazione con l'abbazia di S. Alberto di Butrio, poiché la leggenda narra del miracolo che compì sant'Alberto ridando la parola al giovane sordomuto, figlio dell'allora Signore di Casarasco. Poche sono le notizie che riguardano la storia di quest'antico maniero. Alcuni documenti significativi parlano di Spinetta Malaspina (nipote di Antonio di Valverde) che vendette nel 1453 Casarasco al Marchese Silvestro, figlio illegittimo di Niccolò Malaspina di Filattiera (Massa Carrara), nonché della vendita non andata a buon fine perché priva del regio consenso, che Francesca Malaspina (figlia del Marchese Corrado) fece del feudo a Francesco Antonio Spinola nel 1655, poi perfezionata nel 1687 a favore di Pietro Francesco Malaspina, Signore di Casarasco. Dell'antico castello rimane solo l'ala rivolta verso nord. Esso si caratterizza per un robusto torrione perfettamente conservato nella sua orditura di masselli squadrati, a fianco del quale si apre un portoncino d'ingresso con soprastante archivolto a sesto leggermente acuto. Superato il portone, si finisce in un cortile interno in quello che probabilmente era la piazza d'armi del castello. Quasi sicuramente a pianta quadrilatera, la costruzione non presenta tracce di merlatura. L'antica torre, costruita dai Malaspina a dominio della valle e che aveva con ogni probabilità funzione di controllo, è stata lievemente abbassata in occasione della costruzione del tetto ma conserva comunque alcune stanze di dimensioni originarie. Sul lato sinistro della costruzione si nota una lastra in arenaria sulla quale sono incisi due rami spinati separati da una croce: riferimento indubbio allo stemma malaspiniano. Significativa la depressione antistante alla torre e il lato della facciata che fa pensare all'esistenza di un remoto vallicello, mentre sul lato sud del cortile sopravvivono pochi resti delle fondamenta di un tratto di bastione a sostegno del terrapieno. La rocca di Casarasco, che si erge tra le colline dell'Oltrepò Pavese, fa parte di un percorso naturalistico denominato “Sentiero delle fontane”, È un percorso di sette chilometri (con un dislivello di 200 m) immerso in un paesaggio rurale d’altri tempi, dove piccoli borghi contadini, con le classiche case in sasso, si alternano a zone di bosco incontaminato e a panorami su Alpi ed Appennini. Il sentiero si snoda all’interno di zone boschive ed è costellato da sorgenti e fontane, da cui prende appunto il nome. Altro link suggerito: https://motoltrepo.forumattivo.com/t4956-casarasco-castello

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Casarasco

Foto: la prima è presa da http://blogalessandria-fuoriporta.blogspot.com/2016/10/festa-dautunno-con-passeggiata-in-val.html, la seconda è presa da https://www.fondoambiente.it/luoghi/torre-di-casarasco?ldc

sabato 14 novembre 2020

Il castello di domenica 15 novembre




MORUZZO (UD) - Castelli Superiore e Inferiore di Brazzacco

Il castello sorge all'estremità nord dell'abitato di Brazzacco, tra le località di Pagnacco e Moruzzo. Esso rappresenta uno dei pochi elementi di architettura fortificata in Friuli che non abbia subito modificazioni o rifacimenti nel corso dei secoli. Comparso per la prima volta in documenti del XII secolo, si suppone che questo insediamento esistesse già nel 983, quando l'imperatore Ottone II confermava al patriarca Rodoaldo i famosi possedimenti di Udine, Braitan, Groagno, Buja e Fagagna. Il casato di Brazzacco, nel XIII secolo, si sdoppiò con la costruzione di un altro castello detto di Brazzacco Inferiore, di cui ora rimane soltanto una torre e la chiesetta di Sant'Andrea. Subì distruzioni nel 1309 per mano delle milizie di Rizzardo da Camino, capitano di Treviso. Il fortilizio superiore, pur essendo di modeste dimensioni, conserva le caratteristiche proprie delle più antiche opere difensive friulane. Situato su un poggio che domina per ampio tratto le colline circostanti, ha mura di buon spessore, che custodiscono la cosiddetta "Casa del Capitano", recentemente restaurata. Addossato alla muraglia settentrionale l'edificio della guardia parrebbe collocarsi verso il XIII-XIV secolo. Secondo alcuni studiosi, Brazzacco (o Brazzà) è da riconoscersi nel castello di Braitan presente nella donazione da parte dell'imperatore Ottone II al patriarca d'Aquileia Rodoaldo nel 983. Dapprima feudo della famiglia omonima, a partire dal Trecento divenne possesso di numerose casate. Tra queste i signori di Savorgnano-Cergneu che nel secolo successivo ottennero l'intero feudo, assumendone il predicato. Il castello costituisce un interessante esempio di opera munita secondo lo schema dei più antichi fortilizî friulani, praticamente integra almeno nelle sue linee essenziali; posta su un'altura, comprende un circuito murato di circa 90 metri lineari (un altro più periferico racchiudeva il borgo) con la possente torre maestra e la "casa del capitano", edificio quadrangolare del Due-Trecento con funzioni amministrative e di carcere, attualmente in restauro. La vista dei resti del mastio (una torre di circa 9 per 7 metri ed alta originariamente almeno tre piani), che si stagliano sullo sfondo del viale che si addentra tra le due barchesse settecentesche, merita la sosta. Questa configurazione è datata attorno al Mille, ma è basata su di una struttura molto antica, fatta risalire da alcuni studiosi all’VIII secolo, come confermato dal ritrovamento di monete romane al suo interno. Come si verifica spesso in queste realtà molto antiche, le altre strutture erano in legno o mura di canniccio, andando poi completamente perse nei secoli. Tutto l’insieme del posto appare come un suggestivo susseguirsi di cerchi difensivi concentrici, con terrazzamenti e mura a secco, sempre più grandi, che alla fine avrebbero incluso anche gli edifici (l’odierna “villa Alvise”) dall’altra parte della strada provinciale, con una progressione concentrica attorno al piccolo castello sul cocuzzolo, come si usava appunto nel periodo tardo-romano od alto-medioevale. Poco sotto si trovano la chiesetta castellana di San Leonardo e la villa di Brazzà Pirzio Biroli, edificata su disegno di Provino Valle sui resti del precedente fabbricato distrutto durante la prima guerra mondiale e del quale sussistono solo i rustici laterali, con attorno un grande parco ricco di piante rare e secolari. Studi recenti del Prof. Clough, il maggiore esperto Shakespeariano vivente hanno identificato il castello di Brazzacco Superiore come il vero luogo della storia di Giulietta (Lucina Savorgnan) scritta dal poeta seicentesco Luigi da Porto (cugino di Lucina e suo Romeo) alla quale si sarebbe ispirato il grande poeta inglese. Brazzà fu poi il punto di partenza e di riposo dell’esploratore Pietro di Brazzà Savorgnan che dette un impero alla Francia (Africa Equatoriale Francese) e fondò Brazzaville, l’attuale capitale del Congo-Brazzà. In seguito, durante la prima guerra mondiale divenne il quartiere generale dell’armata austriaca (che causò involontariamente l’incendio della villa nel 1918) nell’Italia del Nord-Est e fu poi occupata dell’armata tedesca durante la seconda guerra mondiale, e dagli alleati (US Desert Force) alla fine di quella guerra, per diventare infine la residenza del comandante delle truppe italiane nella zona Generale Cordero di Montezemolo fino al 1948. Brazzà ricevette e offrì alloggio a re (Vittorio Emanuele III), governatori, generali, ministri, ambasciatori, scrittori e pittori, profughi e perseguitati d’Europa e d’oltre oceano e recentemente divenne con il proprietario Detalmo Pirzio-Biroli crocevia delle relazioni tra l’Europa e l’Africa e cenacolo di studenti universitari. La storia del Castello di Brazzà e della famiglia di Brazzà Savorgnan fu oggetto di vari libri, tra cui basti citare il libro "Giulietta" di Jacopo da Porto nel Cinquecento, "Enchanters’ Nightshade" e "A Family of Two Worlds" della zia di Cora Cottie O’Malley (in arte Ann Bridge, cugina di Cora) negli anni venti, le memorie "Storia incredibile/I Figli Strappati" di Fey von Hassell, "Il Fuoco dell’Anima/La Signora di Sing-Sing" di Idanna Pucci (su Cora di Brazzà) e più recentemente "Finestre e Finestrelle su Brazzà" e "Altrove" di Detalmo Pirzio-Biroli. L’epopea di Pietro di Brazzà è celebrata in una ventina di biografie sull’esploratore, soprattutto in francese, tra le quali la prima fu "Brazza" del Generale de Chambrun nel 1930; alcune biografie in inglese, tra cui "Brazzà of the Congo" di Richard West, "A Life for Africa" di Maria Petringa e alcune anche in Italiano, tra le quali la prima fu "L’uomo che donò un Impero" di suo fratello Francesco e l’ultima "Pietro Savorgnan di Brazzà esploratore leggendario" di suo pro-nipote Corrado Pirzio-Biroli (2006). Il castello è ormai disabitato dal 1948 (quando ci vissero ufficiali alleati) e in pratica inaccessibile al pubblico (per motivi di sicurezza). I fabbricati rurali erano in gran parte rimasti inutilizzati in uno stato di abbandono e dopo il terremoto del 1976 erano diventati pericolanti. L’unica ad essere abitata quasi senza interruzioni era la villa padronale denominata “Castello di Brazzà”.
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Il Castello Inferiore sorge poco lontano dal Castello Superiore. I suoi signori erano ministeriali e nel 1309 ebbero saccheggiato ed arso il Castello dai signori di Camino. Venne rimesso in efficienza nel 1335. Viene poi citato dai documenti Bernardo di Brazzacco Inferiore. In seguito anche questa famiglia si estinse e per matrimonio vi subentrò, Roberto, figlio naturale di Pileo di Moruzzo che assunse il cognome di Brazzà Inferiore. Per il possesso del castello vi furono varie liti tra i nipoti di Roberto e i Belgrado. Nei famosi tumulti del "giovedì grasso", 27 febbraio 1511, il castello venne saccheggiato e per le ruberie e i danni la famiglia dovette spendere 6000 ducati per ripristinarlo. 

Altri link consigliati: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Friuli/udine/brazzacco.htm, https://www.robertopirziobiroliarchitetto.it/pl/portfolio/castello-savorgnan-di-brazza-59/, https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/moruzzo-ud-torre-di-brazzacco-inferiore/

Fonti: https://consorziocastelli.it/icastelli/udine/brazzacco, testo di Habitat Brazzà su https://www.castellodibrazza.com/storia-e-habitat, https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/moruzzo-castello-di-brazzacco-o-di-brazza/, http://www.viaggioinfriuliveneziagiulia.it/wcms/index.php?id=7965,0,0,1,0,0

Foto: La prima (di Roberto Pirzio Biroli) e la seconda (presa da http://www.collinbici.com/index.php?id=47) sono relative al Castello Superiore. La terza, relativa invece al Castello Inferiore, è presa da http://www.vivimoruzzo.it/storia/come-e-nato-moruzzo/i-castelli/castello-di-brazzacco-inferiore/