sabato 30 novembre 2013

Il castello di domenica 1 dicembre






PERUGIA – Castello di Procoio (o Procopio) in frazione Migiana di Monte Tezio

Sembra che il nome di Migiana derivi dalla posizione mediana rispetto al monte, alto 961m., dalla caratteristica forma a dirigibile, dedicato nell'antichità alla dea Tedite. La località appartenne al contado di porta Sant'Angelo. Nel 1259 esisteva nel luogo un eremo di Agostiniani, detto il Tegliaro, poi abbandonato, oggi chiesa parrocchiale di San Pietro. La fortezza di Procopio, fu eretta nel XII secolo per volontà di Federico Barbarossa con lo scopo di controllare gran parte della fertile valle del Tevere. Dal 1410 al 1438-39 fu chiamato villa, dopo il 1496 castrum, abitato da 11 famiglie. Il castello nel 1418 ospitò una compagnia di soldati e il 9 luglio 1473 ottenne il beneficio di 30 fiorini d'oro dal comune di Perugia per compensare gli operai che avevano provveduto al rifacimento delle mura, gravemente danneggiate dal terremoto che aveva colpito la zona. Non avendo ancora portato a termine l'opera, ottennero altri 25 fiorini nel 1480 e nel 1481. Il castello di Migiana - di forma quadrilatera con torri angolari rotonde dotate alla base di controscarpa e casamatta - è diviso internamente in due parti da un percorso rettilineo di attraversamento, alle cui estremità si trovano due porte arcuate. Il settore più antico sembra essere quello, posto sul lato nord, che presenta filari di pietra più compatti e regolari. All'esterno, addossata al muro del fronte di ingresso, vi era una cappella votiva di probabile epoca settecentesca, inspiegabilmente demolita in tempi recenti. Non è stata ancora chiarita la distribuzione interna e le funzioni originarie di tutto il complesso che, fino a poco tempo fa, pur con tutta la sua imponenza, si trovava in  pessimo stato di conservazione. Recentemente l’edificio è stato completamente ristrutturato da un magnate russo che ne ha fatto una sorta di buen retiro per sè e per i suoi amici. L'antico maniero non è l'unica proprietà di prestigio dell'imprenditore russo in Umbria, il quale possiede infatti anche palazzo Terranova, un'esclusiva struttura ricettiva che si trova a Morra, vicino a Città di Castello, dove spesso si rifugiano vip e personaggi politici mondiali. Tra gli ospiti abituali anche l'ex leader dell'Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov. Il castello ha un sito web dedicato: http://www.palazzoterranova.com/santaeurasia/


Altri link che vi consiglio di visitare per ammirare altre foto sono i seguenti:

Foto: da cainoadventure.blogspot.com e di Roberto Brencio su http://www.panoramio.com, antecedenti alla ristrutturazione del castello

venerdì 29 novembre 2013

Il castello di sabato 30 novembre






GUALDO CATTANEO (PG) – Castello di Speltara in frazione San Terenziano

Si erge sulla strada S.Terenziano–Collazzone, nel comune di Gualdo Cattaneo. Le prime notizie sulla fortificazione risalgono al XIII secolo come maniero sotto la giurisdizione di S. Terenziano. Il nome sembra derivare dalla coltivazione di Triticum spelta, pianta della famiglia delle graminacee, simile al grano e chiamata poi farro. Il complesso, che versa in pessimo stato conservativo, è  a pianta quadrata con unica ed alta torre angolare, circondato da una robusta cinta muraria. Il castello, alto e massiccio, racchiude un vasto cortile interno dove si apre la corte, le abitazioni riservate alla servitù e la stalla. Tutto il complesso, nel quale si accede attraverso un’unica porta, meriterebbe un significativo restauro per l’imponenza della struttura architettonica. Speltara seguì le vicende storiche di Gualdo Cattaneo e dei territori limitrofi, diventando alternativamente feudo perugino, avamposto di Braccio Fortebracci e possedimento tuderte. Nel castello di Speltara sono state girate alcune scene del film Magnificat di Pupi Avati. Nel 1857 il Castello di Speltara era abitata da "69 persone in 13 famiglie in case”.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.turismogualdocattaneo.it

Il castello di venerdì 29 novembre






MONTJOVET (AO) – Castello di Saint Germain

Situato a 656 mt s.l.m., a picco sulla gola scavata dalla Dora Baltea, su uno sperone roccioso anfibolitico che in epoca romana venne definito Mons Jovis oggi costeggiato dalla Mongiovetta, tratto della Strada Statale 26 della Valle d’Aosta scavato nella roccia, il castello di Saint-Germain è tra i più strategici nella regione, insieme al Forte di Bard e al Chatel-Argent: la sua posizione permetteva facilmente di controllare e difendere il borgo posto ai piedi del mammellone roccioso e la vallata centrale della Valle d’Aosta. In collegamento visivo con la Tour Chenal, il castello di Saint-Germain, il cui nome deriva dalla chiesa parrocchiale che vi è ai piedi, è raggiungibile solo dal lato nord del promontorio di Montjovet, percorrendo un sentiero facilmente difendibile dall'alto. Costruito tra l'XI e il XII secolo dai De Mongioveto, probabilmente per avere il controllo della strada sottostante e per convincere i viaggiatori a tributar loro il pedaggio, è tra le più grandi fortificazioni valdostane e, seppure mostri i segni di varie epoche, fa emergere il tipico schema di castello medievale, caratterizzato da una torre centrale a pianta quadrata,  alta 19 metri con merlatura quadrata a due spioventi e misura alla base 6 metri di lato e di spessore di più di un metro e mezzo, circondata da un'imponente cinta muraria, alla quale vennero poi aggiunti altri corpi e altre mura in epoche successive. In particolare, Feidino De Mongioveto pare esser stato particolarmente tenace e oppressivo nel richiedere il pedaggio, fino al punto che il duca di Savoia ebbe il pretesto per impadronirsi della fortezza, ripetendo il plot già visto per il Forte di Bard. Sulla struttura primitiva si innesta un'architettura in stile rinascimentale. Le mura, che si sviluppano su di un perimetro di 200 mt, mostrano la presenza di archi in pietra e grandi finestre di epoca medievale, mentre sono dovute a interventi risalenti al XVI secolo le modanature in pietra e le decorazioni. Tra gli ambienti si distinguono, entrando nel complesso, quelli residenziali sulla destra, quelli per la guarnigione e gli spazi destinati al deposito degli armamenti sulla sinistra. Si vedono ancora i muri perimetrali del palazzotto del governatore all'estremità sud con un'archivolto della porta in pietra lavorata. Sotto il colmo, si notano nel muro i fori di una colombaia. Il castello di Saint-Germain divenne proprietà dei Savoia secondo alcune fonti intorno al 1270, secondo altre nel 1294. Feidino de Mongioveto ricevette in cambio dai Savoia la signoria e la tenuta di Coazze in Val Sangone, nel Canavese, ma il castello non restò ai Savoia a lungo. Il feudo di Montjovet, e di conseguenza il castello, fu testimone dell'ascesa degli Challant e nel 1295 divenne di proprietà della famiglia: Ebalo I di Challant, luogotenente di Amedeo V, ne ricevette il possesso in cambio della cessione del viscontato di Aosta. Il maniero tornò alle cronache nel 1377, quando Ibleto di Challant vi tenne prigioniero per circa un anno il vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi, per forzarlo a cedere la signoria di Biella al Conte di Savoia. Francesco di Challant, consigliere del duca Amedeo VIII di Savoia, nel 1438 riportò il castello in mano savoiarda, cedendo la castellania di Montjovet con il maniero, i terreni e il borgo. Amedeo VIII e i suoi successori contribuirono a rendere sempre più efficiente il fortilizio aggiornandolo alle nuove tecniche militari. Il massiccio e basso bastione era interrotto al centro per permettere l'accesso. I due segmenti sono sfalsati in modo che chi entrava era obbligato a prestare il fianco ai difensori. L'ingresso aveva un'antiporta ormai rovinata. Risalgono a quest'epoca la nuova cinta muraria, le postazioni per le batterie, le torrette e le postazioni per i cannoni. Secondo il Giacosa nel castello erano alloggiati un castellano e dieci soldati (clienti). Nel 1661 l'edificio venne abbandonato e diroccato ad arte per non farvi insediare milizie altrui per volere di Carlo Emanuele II di Savoia, mentre la guarnigione venne trasferita al forte di Bard. All'inizio del XVIII secolo cadde definitivamente in rovina. Oggi il castello di Saint-Germain, in rovina, è di proprietà della Regione Valle d'Aosta e un cancello impedisce l'accesso all'area per pericolo di crolli.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.icastelli.it, http://www.comune.montjovet.ao.it, http://www.lovevda.it
Altri link consigliati per approfondire sono: http://www.varasc.it/montjovet.htm e http://www.centronuovomillennio.it/veilla/archivio%20006.htm
Foto: da www.mondimedievali.net e di Stefano Ventiruni su http://rete.comuni-italiani.it

mercoledì 27 novembre 2013

Il castello di giovedì 28 novembre






PULSANO (TA) - Castello De Falconibus (di Mimmo Ciurlia)

Fonti documentate risalenti al 1838 sostengono che il Casale di Pulsano, feudo di Falco de Falconibus, era in origine aperto e senza Castello, ma con una sola torre detta Torre Massima. Il suo successore, Marino de Falconibus Segretario del Principe di Taranto Giovanni Antonio Del Balzo-Orsini, fece edificare il Castello e la muraglia nel 1430, come attesterebbe una iscrizione, ora scomparsa ma riportata in una requisitoria pubblicata nel 1838 e risalente al 1550. Situato al centro ideale del paese, il castello si trova nell'angolo nord-est delle mura pulsanesi con l'entrata rivolta ad ovest, sulla piazza. La proprietà del castello passò, nel corso dei secoli, alle famiglie Personè (1588), De Raho, Sergio e infine, nel 1617, ai Muscettola. Costruito quasi del tutto in carparo locale con pianta quadrangolare, originariamente era circondato da un ampio fossato. Si sviluppa su 3 piani e 5 torri: tre di esse quadrate e due rotonde, di forma, altezza e grandezza diseguali,unite tra loro da imponenti corpi di fabbrica che formano un piccolo cortile. Le torri di sud sono raggiungibili tramite le cortine di servizio, le altre dalle terrazze solari. La forte sporgenza delle torri rispetto al profilo dei muri perimetrali, come anche la loro forma cilindrica e cimatura, servivano a proteggere il maniero dal tiro radente di artiglieria, rappresentando un deterrente per il nemico. Nel vano scala principale, in alto, esiste tuttora un piccolo vano sospeso in aria che guarda nell'atrio interno, che è raggiungibile attraverso una scala a rampa unica che parte dal pianerottolo di arrivo del primo piano. L'imponente complesso fortilizio, conta  sei ambienti di varia dimensione al piano terra che corrono intorno ad un cortile interno a cielo aperto, da cui si passa al primo piano con un'ampia ed agile scalinata. Al primo piano si contano otto stanze corredate da un atrio, corridoi e ripostigli ed un loggiato d'onore che affaccia nel cortile medesimo, sul quale è riprodotto in bassorilievo lo stemma dei Muscettola. Al secondo piano si trovano le casematte ottenute in terrapieno sopra le torri, sulle quali venivano piazzati gli smerigli, o cannoni. Per accedere alle terrazze si sale da una rampa a gradini molto ripida e stretta, oggi interrotta, che in origine partiva dal piano campagna. Non vi sono balconi ma finestre piccole, a strombatura fortemente accentuata, su tutte le facciate. L'architettura di base è quella rinascimentale, evidenziata particolarmente dalla merlatura delle torri e dalla forma circolare di alcune di esse. Le volte dei saloni rettangolari sono a botte, quella della sala quadrata è a crociera, con spigoli e lunette. Nella sala quadrata della torre alta si conserva un bassorilievo che riproduce lo stemma della famiglia De Falconibus. Tutte le suppellettili, i camini e le cornici sono stati asportati, permangono tracce di affreschi ormai indecifrabili. Nel XVI secolo, con il rafforzarsi della monarchia e col riordinamento della legislazione feudale, le guerre tra feudatari si ridussero e, nel tempo, cessarono del tutto. Nel contempo, per scoraggiare le facili scorrerie e le invasioni, cui era frequentemente soggetta la popolazione che abitava lungo la fascia costiera, furono riorganizzate anche le difese. Da allora il castello divenne solo dimora dei padroni, e quindi, più piccolo e meno possente. Il prospetto più bello della residenza gentilizia è quello che guarda ad occidente, dove è visibile il Mastio che domina la piazza sottostante del paese. Il castello era corredato da tre cannoni, che furono trasportati a Taranto, in età Napoleonica, per ordine di Gioacchino Murat. Secondo una leggenda locale, nell’atrio si nasconde un grosso pozzo, che collegherebbe il Castello di Pulsano con il Palazzo di Leporano e da qui una strada sotterranea porterebbe direttamente al mare. Un’altra leggenda vuole che nei giorni di luna piena, a mezzanotte, si aggiri sugli spalti della torre rotonda una donna a mezzobusto, vestita di bianco e con i capelli biondi al vento. Si narra che nel 1326 Renzo De Falconibus morì per difendere Pulsano da un assalto di orde pagane in quel tratto di costa che ancora oggi si chiama Terra Rossa (in ricordo del sanguinoso evento). La sua unica figlia diciottenne, Caterina, venne venduta dal marito agli zii che ne usurparono il feudo, imprigionando la giovane nella torre rotonda e poi la decapitarono. Col passare del tempo il maniero ha perso di importanza ed è stato utilizzato come deposito di frumento, ripostiglio di botti e stalla, fino al 1912, quando appunto fu acquistato dal Comune di Pulsano, che lo ha a lungo usato come Municipio. Successivamente al 1993 l’antico edificio è stato adibito ad ospitare avvenimenti culturali ed artistici, mostre fotografiche ed esposizioni.



martedì 26 novembre 2013

Il castello di mercoledì 27 novembre






PALATA (CB) – Palazzo Ducale

Il nome del comune trae origine dalla propria contrada rustica, comunemente chiamata “Palatella”. Lo stemma porta nel campo due pali, incrociati come una Croce di S. Andrea, e probabilmente sta ad indicare gli abbondanti raccolti e la fertilità dei campi di Palata. La struttura urbanistica di Palata vecchia è di origine longobarda come si evince dalla forma tondeggiante, che si stringe a spirale sul colle. Il primo feudatario noto di Palata fu Roberto della Rocca, intorno al XII secolo. Nel 1269, all’inizio del periodo angioino, metà del territorio di Palata divenne proprietà di Francesco Della Posta. In seguito, nel 1315, il feudo passò al conte di Gravina; quando costui morì nel 1354, a causa della mancanza di un erede, passò al demanio. La famiglia Ionata riprese il feudo, ma già nella prima metà del XVI secolo l’odierna Palata era intestata a Giovanni Orsini, al quale però furono confiscati i beni dal viceré di Napoli. Questi assegnò Palata metà a Clemente a’Socar, metà ad Alvaro di Brancamonte. A Clemente a’ Socar successe il figlio Giuda, che prese il possesso di tutto il feudo. Nella prima metà del XVII secolo, però, la potente famiglia Toraldo prese il controllo di Palata. Nel 1646 il feudo passò alla famiglia degli Azlor Pallavicini che lo tenne fino all’eversione della feudalità. Tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI, gran parte del basso Molise fu interessato dalla migrazione delle popolazioni slave (serbo-croate) in fuga dalle loro terre sotto l’oppressione dei Turchi che volevano condurli in schiavitù e piegarli all’islamismo. Una parte di essi si stabilì tra Acquaviva Collecroce, Montemitro, San Felice e Palata, creando colonie. Il Palazzo Ducale, posto davanti alla chiesa parrocchiale e alla Piazza del Popolo, è anche detto Imperiale, a ricordo della sua origine medievale. Anche la sua comparsa nei documenti storici con la data 1066, conferma questa tesi. In quel periodo infatti fu eretta una torre mozza accanto alla quale poi si sviluppò la struttura dell’attuale palazzo. Roberto della Rocca, primo feudatario di Palata, partecipò con cento palatesi alla terza crociata (anno 1187). Sugli architravi delle porte e finestre del palazzo è impresso il simbolo dei templari, mentre sul boccaglio di una antica cisterna, ora sepolta e posta al centro dell’edificio, era impressa l’effige del primo possessore del paese. Nel corso dei secoli più volte Palata rimase disabitata anche per i numerosi saccheggi e distruzioni, nonche per le epidemie di peste. Molto suggestivo è attraversare il borgo antico, che era circondato da gallerie sotterranee con vasti cunicoli, tutti riallacciati alle abitazioni corrispondenti. Questi erano i rifugi in caso di emergenza durante le scorrerie dei pirati e dei briganti che infestavano la zona.

Fonti: http://www.amicomol.com/palata.html, http://www.comune.palata.cb.it/include/mostra_foto_allegato.php?servizio_egov=sa&idtesto=14&&nodo=nodo2

Il castello di martedì 26 novembre






OSSANA (TN) – Castello di San Michele

Il castello di Ossana, o anche di San Michele, dal santo a cui era dedicata la cappella interna, sorge su uno sperone di roccia quasi inaccessibile. Perfetto per sistemazione geografica ed inespugnabile per la solida architettuta, era posto sulla via dei traffici tra la regione trentina e l´Alto Bresciano del Passo del Tonale e godeva d'una piena amministrazione civile e penale coperta dalla Curia Episcopale. Molto probabilmente risale all’epoca dei Longobardi, ma le prime notizie scritte risalgono al 1191. Alla guida del castello si successero varie famiglie nobili: i Principi Vescovi di Trento e poi i conti Tirolo-Gorizia. Nel XV secolo l’investitura passò ai de Federici della vicina Val Camonica, quindi agli Heydorf ed ai Bertelli. Saccheggiato dai contadini della zona durante la cosiddetta "guerra ru­stica” nel 1525, fu occupato sia dai Francesi (alla fine del XVIII secolo) che dai Bavaresi (nel 1806). A cavallo fra Ottocento e Novecento fu comproprietaria del maniero Bertha von Suttner, Premio Nobel per la pace nel 1905 e ninfa Egeria di Alfred Nobel. Il castello presenta nel suo possente mastio alto 25 metri e a base rettangolare, l’elemento architettonico più caratteristico e meglio conservato dell’intero complesso. La torre -cosa alquanto insolita per i ma­nieri del Trentino - aveva un corona­mento difensivo a sbalzo. Il castello ha muri spessi 2,78 mt., un ponte levatoio, un avancorpo fortificato, una guardiola e resti di una facciata romano gotica. Due i settori che lo dividono all´interno: l'inferiore, forse stanza delle guardie, in comunicazione con un ambiente adibito a prigione, ed il superiore, che termina nelle travature lignee del tetto a quattro falde. Oggi è di proprietà della Provincia Autonoma di Trento, che si è occupata del suo restauro. Il Castello viene aperto al pubblico in occasione di visite culturali guidate organizzate gratuitamente dal Comune di Ossana. Ecco un link dove trovare informazioni sugli ultimi lavori di restauro che hanno interessato la costruzione: http://www.comunitadomani.it/?p=2302

lunedì 25 novembre 2013

Il castello di lunedì 25 novembre






BALESTRINO (SV) – Castello Del Carretto

Divenuto possesso, nel IX secolo, dell'abbazia benedettina di San Pietro dei Monti, Balestrino passò sotto il controllo di Bonifacio del Vasto nel 1091. I Bava divennero, in epoca feudale, i primi signori del feudo di Balestrino e dell'intera vallata costruendo alle pendici della rocca Curaira il primo castello. Il feudo passò poi ai marchesi Del Carretto di Zuccarello, nel XII secolo, su investitura da parte dell'Imperatore Massimiliano I. All'inizio del Cinquecento Pirro II fondò un nuovo ramo della casata, i Del Carretto di Balestrino, e diede inizio alla costruzione di un castello medievale sul torrione roccioso che domina il borgo, sul luogo della fortificazione preesistente. La sua costruzione comportò, agli abitanti del luogo, vessazioni di carattere pecuniario e obblighi di manodopera con tasse gravose. Il perdurare del malcontento fu quindi all'origine della rivolta che sfociò nell'assassinio del marchese Pirro II e della sua amante oltre che nell'incendio del castello. L'edificio venne ricostruito e il feudo ritornò dominio della famiglia marchionale che, per prevenire nuove rivolte paesane, istituì nuove leggi erigendo un tribunale su cui ancora oggi svetta il "Pilone", simbolo di potere dei Signori e strumento di tortura dei condannati; dopo quei fatti, toponimi come "Pian delle Forche" sono ancora oggi ricordati ed in uso. Nonostante i dissapori tra i marchesi e il suo feudo, Balestrino conobbe un'epoca di espansione economica, supportata dalla costruzione di mulini, frantoi, fornaci e saponifici. Il borgo divenne così capitale economica dell'intera valle, rimanendo quasi indipendente dalla Repubblica di Genova, nuova possedente delle terre circostanti. Durante l'occupazione francese di Napoleone Bonaparte, nel XVIII secolo, fu teatro di drammatici eventi tra l'esercito d'oltralpe e la popolazione, che difese a lungo con aspre battaglie e rappresaglie il suo territorio dalla conquista francese, ma ovviamente con scarsi risultati e con il perimento di molti abitanti. Divenuta ormai parte integrante del nuovo Regno di Sardegna venne annessa al Piemonte, fino al passaggio definitivo alla Liguria nel Regno d'Italia nel 1860. Il paese di Balestrino è annoverato tra quelle che vengono definite città fantasma poichè, a seguito di minaccia idrogeologica, nel 1963 il borgo antico è stato abbandonato dalla popolazione in fuga, preoccupata dal cedere del terreno. Oggi un'antica meridiana diventa simbolo di un tempo che, inesorabile, scorre ma non viene segnato più da nessuno, se non da qualche escursionista in visita qui o da solerti troupe televisive americane, attratte da questi luoghi densi di storie da raccontare. L'imponente castello dei Del Carretto, semidistrutto dai Francesi nel 1795, venne restaurato nei secoli successivi al XVII con nuovi arredi interni del Seicento e Settecento, fino ad assumere l'aspetto attuale di palazzo residenziale, in seguito ai lavori di trasformazione voluti, a partire dal 1812, dal marchese Domenico. Gli interventi lasciarono quasi invariate la cinta muraria esterna, con le garritte sporgenti agli spigoli e una grossa torre centrale di avvistamento, ma cancellarono l'antica corona dei merli ghibellini e il ponte levatoio: al suo posto un'ampia scalinata conduce al portale sul quale campeggia ancora orgogliosamente lo stemma dei Del Carretto di Balestrino. Nel castello era in funzione una tipografia.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://turismo.provincia.savona.it/it/beni-culturali/balestrino/castello-dei-del-carretto, http://www.fulltravel.it, http://www.liguriaplanet.com, http://www.rivieraligure.it, http://turismo.provincia.savona.it, http://www.comune.balestrino.sv.it
Foto: di Rugiero Maurizio su http://rete.comuni-italiani.it e di Daniele Stefanetti su http://www.panoramio.com

domenica 24 novembre 2013

Il castello di domenica 24 novembre







GUARDEA (TR) – Castello del Poggio

Situato sulla sommità del colle che sovrasta l'attuale Guardea, concepito in funzione difensiva, fu edificato dai Normanni nel 1034 su una preesistente rocca bizantina. Il castello fu feudo di Uffreduccio Baschi, poi dei Montemarte, dei Monaldeschi, degli Alviano (con Bartolomeo D’Alviano raggiunse l’apice del suo prestigio). Per la sua importante posizione strategica, si trovò coinvolto in quasi tutte le vicende belliche che videro protagonisti i Franchi e i Germani diretti sulla via di Roma. Nel 1600 Nicola e Paolo Monaldeschi acquistarono dalla Camera Apostolica, tra altri beni, anche il castello del Poggio , ma nel 1644 papa Urbano VIII , deceduto Paolo Monaldeschi, dispose che tutti i beni spettanti ai suoi eredi venissero venduti al marchese Marcello Raimondi, così il Poggio passò ai Raimondi. Con il restauro cinquecentesco divenne rettangolare, furono sviluppate l'ala sud e quella ovest, e si venne così a formare un patio interno: il "piccolo tesoro" del Castello del Poggio. Realizzato dall'architetto Antonio da Sangallo il Giovane, il Castello addolcisce con lo splendore del portico, dei loggiati e delle scalinate la forza e la solidità delle più antiche mura perimetrali. L'evoluzione del castello si fermò qui e la sua funzione rimase prevalentemente abitativa ed agricola. Tra la storia e la leggenda in cui dame e cavalieri si intersecano con le vicende del Castello, si possono ricordare: Federico I° Barbarossa, che passò di lì conquistandolo; Carlo V di Spagna, imperatore d'Europa, che ne fece mozzare la Torre principale; Cesare Borgia, che lo cinse d'assedio regalandolo successivamente alla sorella Lucrezia; Filiberto di Savoia e, per ultima, la Principessa Olimpia Doria Pamphili, cognata di Papa Innocenzo X. Inoltre, durante una recente ricerca, e' affiorata la notizia che anche lo scienziato Galileo Galilei avrebbe soggiornato al Castello del Poggio. Verso la fine dell'800, l'amministratore Farina divenne proprietario del maniero. La figlia Lina, sposata con l'attore comico americano Jimmy Savo, lo ereditò ed insieme lo abitarono istituendovi per un periodo un Art Center, che ospitò, tra gli altri, il premio Nobel per la letteratura John Steinbeck. Nel 1981, dopo essere stato in vendita per dieci anni, ridotto in pessime condizioni, fu acquistato nuovamente da privati e restaurato con impegno di molti anni dagli attuali comproprietari , il Dr. Tommasi Aleandro, sua moglie Irene Fabi e il Dr.Marco Pica, insieme all'Architetto Franco Della Rosa. Per la sua particolare connotazione storico-architettonica il Ministero dei beni Culturali ed Ambientali ha concesso al Castello il vincolo di Monumento Nazionale, in quanto rappresenta un "caratteristico esempio di architettura militare con più difese avanzate spiraliforme, e per l'importanza storica delle vicende che ivi si sono verificate". ll Castello del Poggio è' segnalato fra le 24 Dimore storiche dell'umbria da salvare in sede internazionale. Attualmente, oltre alla funzione abitativa (ospita nove nuclei familiari) è la sede italiana del prestigioso Club di Budapest, importante organismo internazionale che si occupa dello sviluppo della coscienza civile. Inoltre è la sede del Circolo La Rondine, sede territoriale della Lega Ambiente. Il Castello del Poggio nei propri cortili e saloni ospita e organizza: convegni, concerti, conferenze, seminari, mostre e matrimoni. Ogni anno vi si svolge la "Settimana del travertino", durante la quale artisti di fama internazionale realizzano sculture in pietra locale destinate ad abbellire i suggestivi angoli di Guardea. Dentro le mura merlate del maniero ci sono sette piccole case e le fondamenta di molte altre dirute, lo circondavano a cerchio nel lato di nord-ovest. Il castello è composto dalla residenza della Signoria con l’antistante fortezza e le sue mura merlate che racchiudono le abitazioni degli antichi mercenari. La Rocca è divisa dalla fortezza e da una corte interna. Un terzo cerchio di solidissime mura, chiude tutt’intorno il tratto sud-est ed è interrotto soltanto dal portone d’ingresso. Nelle sue linee architettoniche semplici ed artistiche insieme, rappresenta, per la impareggiabile posizione panoramica, per i pregi di molte rifiniture, per l’eleganza del cortile interno e per molte altre particolari caratteristiche, un “unicum” da annoverare fra le rarità italiane. Da un primo esame delle sue strutture, il Castello appare formato da vari recinti fortificati posti a spirale attorno ad un nucleo quadrilatero, culminante in due torri di cui una, la più antica (forse i resti della costruzione alto-medioevale), è il maschio, termine della composizione assiale. La sua configurazione che si adatta al terreno, presenta caratteristiche di una costruzione a difesa avanzata da un lato e di difesa piombante dall’altro, segno che i costruttori hanno saputo sfruttare molto bene la configurazione del terreno, a salita dolce dal lato delle difese avanzate, a salita più rapida dall’altro. Il castello ha una pagina su Facebook: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.454296857990560.1073741835.410358805717699&type=3

venerdì 22 novembre 2013

Il castello di sabato 23 novembre






SAN VENANZO (TR) – Castello di Civitella dei Conti

Proprietà dei Fodivoli, il castello fu fortificato durante il sec. XIV e fu oggetto di contesa nelle lotte tra le fazioni dei Monaldeschi di Orvieto. Possesso per molti anni dei Conti di Marciano che gli concessero gli Statuti (1529), entrò definitivamente nell'orbita orvietana. Feudo dei Saracinelli fino al sec. XVIII, passò sotto Marsciano al tempo di Napoleone, poi, con la riforma di Pio VII, divenne appodiato di San Venanzo. Dell'antico castello, ora di proprietà privata, è possibile osservare il torrione, dal quale si gode un bellissimo panorama, le mura perimetrali, la chiesetta e le carceri sotterranee. La chiesa parrocchiale conserva due pale d'altare del XVIII secolo e una copia del S. Michele Arcangelo del Reni. Oggi il castello è un’apprezzata location per eleganti ricevimenti di nozze. Ecco un video sul castello che ho trovato in rete….
http://www.youtube.com/watch?v=68x7lLnZ4gg, mentre altre interessanti foto si possono trovare al seguente link: http://biancoantico.blogspot.it/2013/02/antico-e-moderno.html


Foto: di Fiocchetti Ruggero su http://www.panoramio.com e di Giancarlo Balzarini su http://rete.comuni-italiani.it

Il castello di venerdì 22 novembre






GATTINARA (VC) - Torre delle Castelle

Simbolo della città, la massiccia costruzione, che dall’alto della collina domina Gattinara, è la parte più evidente di un importante complesso fortificato medievale, comprendente anche il castello di San Lorenzo, che muniva in origine le sommità di questa collina e di quella accanto, entrambe oggi occupate da pregiati vigneti. Analisi accurate dei materiali hanno rivelato che la Torre risale all’XI secolo, mentre le cortine in muratura che la circondano furono innalzate durante l’occupazione viscontea nel XIV secolo. Verso il 1250 fu verosimilmente effettuato un radicale restauro, che conferì alla costruzione l’aspetto attuale. Risalgono al XII-XIII secolo le prime attestazioni documentarie di tale sistema fortificato, costituito pertanto da due recinti in muratura (le Castelle, appunto), occupati da costruzioni tra le quali svettava la torre; sul pianoro compreso tra le due fortificazioni sorgeva inoltre la chiesa di S. Giovanni alle Castelle, già regolarmente officiata nel 1217. Restano ignoti i motivi che spinsero alla costruzione di un tale sistema di presidio della zona, iniziativa strategica che è comunque da ricollegarsi ad una committenza di alto livello. La torre delle Castelle è stata purtroppo a lungo sottovalutata dagli studi, anche recenti, e non correttamente interpretata, insieme con le evidenti strutture che l'affiancano e che ne fanno uno dei più interessanti e complessi siti fortificati del vercellese. Il Cenisio ne scrisse raccogliendo leggende e fantasie (Cenisio 1957, p. 20), l'Ordano ne sottolineò l'interesse e propose la datazione della costruzione al XIII secolo, inserendola nel sistema di fortificazioni gattinarese (Ordano 1966). Successivamente tale indirizzo venne ripreso dal Conti e dall'Avonto (Conti 1977, p. 49; Avonto 1980, p. 111). L'inquadramento cronologico del sito venne poi rivisto ed aggiornato dall'Ordano, che rilevò la possibilità di un abbandono del castello nel XIII secolo (Ordano 1985, p. 135). Le notizie storiche sulla fortificazione, purtroppo scarse, sono state recentemente ordinate dal Ferretti (Ferretti Reffo 1990, p. 86 sgg.) in occasione della campagna di rilevamento della torre che ha permesso di effettuare campionature di materiali per la datazione alla termoluminescenza del manufatto, fatta risalire, con tale metodo, al secolo XI. Nel 1215 abitava alle Castelle Robaldo, figlio di Florio, miles legato ai Biandrate, nel 1233 lo stesso Robaldo stipulò un atto rogato presso la chiesa di S. Giovanni inter duo castra de Gatinaria. Nel 1281 appare la citazione juribus in domibus castrorum Gatinarie et advocacia ecclesie sancti Johannis que est in medio castrorum Gatinarie, dalla quale si ricava che la località doveva essere ancora abitata e efficiente. Solo nel corso del secolo XV le Castelle sarebbero state abbandonate (Ferretti Reffo 1990, p. 90). Non è quindi ancora ben chiaro chi sia il costruttore del complesso, ma il Ferretti ritiene possa trattarsi di una costruzione militare di portata regionale, non certo dovuta all'iniziativa di un vassallo locale. Quanto resta oggi del castello è sufficiente a fornire una immagine planimetrica generale, che sottolinea la particolarità dell'impianto gèmino. Situato sull'altipiano a forma di occhiale che ha una superficie di circa 8.000 mq, il castello è composto da due distinti recinti, di ampiezza pressoché equivalente. Lungo il lato settentrionale del recinto sud si innalza la torre con ingresso elevato. E' ipotizzabile che l'area compresa fra i due recinti fosse in qualche modo protetta e contenesse, oltre alla chiesa, qualche edificio; non esistono tuttavia documenti, né tracce materiali che ne diano conferma. Probabilmente la residenza signorile, se vi fu, è da collocarsi presso la torre, all'interno del recinto meridionale.
Fonti: http://www.comune.gattinara.vc.it, http://it.wikipedia.org, http://www.archeovercelli.it
Foto: su www.meteo-europ.com e di marco-to1962 su http://rete.comuni-italiani.it e 

mercoledì 20 novembre 2013

Il castello di giovedì 21 novembre






TORRE SANTA SUSANNA (BR) - Castello Conti Filo (di Mimmo Ciurlia)

Torre Santa Susanna è un piccolo centro sito nel cuore della penisola salentina a 70 metri sul livello del mare, tra l'Adriatico e lo Ionio. Le origini della sua fondazione, sono incerte ma comunque antichissime. Come narra il Marciano, Annibale aveva posto uno dei suoi accampamenti presso il Casale di Crepacore allorchè ebbe a combattere gli Oritani per far sua la città di Oria e che in prossimità di quelle zone ci fu una cruenta battaglia tanto che ancora oggi esiste una zona chiamata "La Sconfitta". Il Prefetto di Roma, residente a Oria, per fortificare la città in modo da non subire altri attacchi nemici, fece erigere due castelli con torri nei punti che ritenne più strategici, uno dei quali dove sorge attualmente Torre Santa Susanna. Sul perchè fu chiamata "Santa Susanna", la leggenda narra che un soldato romano, fedele all'Imperatore e nello stesso tempo cristiano, che custodiva insieme ad altri veterani il castello e le torri sorti nella zona, dipinse su una parete di una torre, l'effige di Santa Susanna nipote dell'imperatore Diocleziano, decapitata perchè cristiana e perchè aveva rifiutato di rompere il suo voto di castità e di andare sposa a Massimiliano Galerio, suo figlio adottivo. La condanna fu eseguita Sabato 11 agosto del 294 d.C. In seguito cominciarono a sorgere intorno al castello agglomerati di casupole ai quali fu dato il nome di TURRIS SANCTAE SUSANNAE. Nel 1588, la famiglia mesagnese Dormio acquistò il feudo di Torre Santa Susanna dai Palagano. Don Tiberio Dormio,volle affrontare l’impresa della costruzione di un nuovo palazzo baronale, posto nell’immediata periferia del paese, che fosse imponente e degno del suo nome. La costruzione iniziata nel 1588 sullo stesso luogo di un castello preromano distrutto nel 1256, terminò nel 1595 senza però che il palazzo fosse ultimato. Ai Dormio subentrarono gli Albricci e quindi i De Angelis. Il Principe Nicola De Angelis e la Principessa Vittoria Capano, affidarono all'architetto Francesco Capodieci il cantiere che doveva completare finalmente il Palazzo Baronale di Torre Santa Susanna, fino ad allora mai completato. Nel castello furono chiusi gli ambienti di deposito a piano terra, fu avviata la sopraelevazione a partire dal lato sud, realizzando nel cortile una rampa d’accesso esterna al primo piano ed una distribuzione interna oggi non più visibile, ma di cui restano tracce di un grande camino sulla copertura e fu scavata nel cortile una fossa granaria a cui si accedeva con una scala ad una rampa ubicata sotto la rampa principale di accesso, nonché un’altra foggia attigua per la raccolta dell’acqua piovana, fornita di un pozzo per il prelievo. Il Feudo di Torre S. Susanna, nel 1722, passò ai Conti Filo che si stabilirono nel castello e decisero di apportare modifiche al suo aspetto di dimora gentilizia, aggiungendo tra l'altro sulla sua sommità una merlatura rettangolare per rafforzarne le caratteristiche di fortezza. Con i Filo, l’edificio fu per la prima volta utilizzato come dimora nobiliare, visto che in precedenza nessuno lo aveva ancora di fatto abitato. Per questo motivo Pietro Aurelio Filo continuò la sopraelevazione del palazzo di altre due campate per rendere il piano nobile più ampio ed abitabile, unificando il paramento della facciata completo di cornice marcapiano e cornice di coronamento, e fu definitivamente segnata la cadenza modulare delle aperture con dei rilievi a mo’ di capitello sulla cornice marcapiano; al piano terra fu individuato uno degli ambienti di deposito adiacente all’androne d’ingresso, il quale fu isolato e trasformato in cappella gentilizia con il frontone principale a timpano sulla strada, secondo accesso dall’androne e possibilità di accedere dal piano nobile mediante un soppalco della muratura. Tale cappella trova la sua ragion d’essere nel fatto che Massenzio Filo Senior, fratello di Carlo, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica sino a diventare poi Vescovo di Castellaneta. L'edificio è ornato da un portale bugnato attraverso il quale si accede al vasto cortile e tramite una scalinata si arriva al piano nobile. Nel 1947 la famiglia D’Ippolito acquistò il castello di Torre Santa Susanna dagli eredi dei Conti Filo. L’edificio fu ceduto in affitto all'Amministrazione comunale in varie circostanze: fu utilizzato come lazzaretto durante l'epidemia di vaiolo nei primi del Novecento, come scuola elementare e come sede di reparti militari durante il II conflitto mondiale. Passato poi agli eredi D’Ippolito, subì un grave degrado, sino a quando nel 2003 fu acquistato dalla famiglia Trinchera che ha promosso un progetto di restauro per il suo recupero, ricavandone un elegantissimo B&B Resort. Di fronte alla sua facciata principale era presente sino agli inizi dell'Ottocento una torre - nota come Torre Osanna - innalzata nella seconda metà del secolo XIII da re Carlo I d'Angiò; semidistrutta dai terremoti del 1627 e del 1743, fu abbattuta nel 1823; al suo posto, qualche anno dopo, fu innalzata una colonna con la statua di Santa Susanna, tuttora simbolo del paese.


Foto: due cartoline della mia collezione

martedì 19 novembre 2013

Il castello di mercoledì 20 novembre






AULETTA (SA) – Castello Marchesale

Intorno all'anno Mille Auletta era già stata fortificata e aveva tre vie di accesso, che confluivano verso le tre porte delle mura di cinta denominate: Porta del Castello, Porta del Fiume e Porta Rivelino o Piano. In tale periodo era stato già realizzato il Castello Marchesale con le sue torri, che era parte integrante del sistema di difesa del Ducato di Salerno. In epoca normanna questa terra fu dominata da Guglielmo di Principato, appartenente alla stirpe degli Altavilla, e dal figlio Nicola; poi dai Gesualdo, dai Vitilio e dai più nobili Di Gennaro. In merito al castello l’abate Giovan Battista Pacichelli, nel suo “Il Regno di Napoli in prospettiva” pubblicato nel 1702, scrive, riferendosi al periodo di dominio dei Gesualdo: “…vi alloggiarono con splendore Carlo V Cesare, imperciocchè, dalla orta della Terra fino alla stanza imperiale, si camminò sopra tappeti, essendo le mura vestite di vaghi panni, con un’artificiosa perschiera in mezzo al cortile, e una pietra, che si vede fin d’allora spezzata, ove quella Maestà pose il piede salendo a cavallo. Chiamasi ora quella la Camera di Carlo V, di dove è stata rapita la tazza in cui bevette, di chiaro cristallo, serbata per più di un secolo dall’università”. Nel periodo aragonese essa divenne “terra promiscua” del feudo di Caggiano. In seguito, per successione femminile, divenne dei Castriota Scanderberg, eredi dell'eroe nazionale albanese del Quattrocento Giorgio Castriota. L’edificio ebbe l'attuale impianto solo dopo il 1494, in seguito all'ispezione condotta nella zona da Alfonso, Duca di Calabria, accompagnato dal fiorentino Antonio Marchesi, esperto di fortificazioni. Così risistemato, fu in grado di opporre resistenza agli assalti delle truppe spagnole di Carlo V nel 1535. Dopo i Castriota, per successione ereditaria, passò ai Maioli, che sono anche gli attuali proprietari. Più volte trasformato tra Cinquecento e Seicento, il castello finì per perdere l'originaria impostazione militare, conservando solo il torrione cilindrico nell'angolo nord del giardino. Si presume che in epoca feudale a fianco dell’attuale torrione, ce ne sia stato un altro gemello; entrambi formavano una delle tre porte di accesso al centro storico: ‘Porta Castello’. Il cortile interno, di forma trapezoidale, ha la base minore verso il portale d’ingresso e costituisce il cuore del maniero, che vi si affaccia con un piano terreno, destinato a cantina e depositi, ed il piano nobile. Al centro della base maggiore si trova la scala che permette l’accesso all’appartamento nobiliare. Altre due scale collocate subito dopo il portale d’ingresso, collegano il cortile con il piano superiore e il sottotetto. All’interno vi sono varie sale, arredate con semplicità ed eleganza, ed anche una piccola cappella. Negli Anni ’30, fu notificata ai proprietari del Castello, dal Ministero competente, la sua destinazione a bene di interesse storico-artistico, e da allora è quindi sottoposto ai vincoli previsti dalle varie leggi. Nel 1980, a causa del terremoto, l’edificio ha subito notevoli danni, venendo poi sottosposto a lavori di ristrutturazione. Da oltre dieci anni, le sale del castello marchesale di Auletta sono disponibili per poter effettuare matrimoni e altre cerimonie, con caratteristici banchetti (come vuole la tradizione del luogo). Inoltre, per poter immergere i suoi ospiti in una atmosfera caratteristica del periodo medievale è possibile (per comitive di minimo 20 persone che ne facciano richiesta) essere serviti da camerieri in costume d' epoca. Il castello ha un sito ufficiale: http://www.castellomcs.it/


Foto: da www.aulettaterranostra.it e da http://www.comune.auletta.sa.it

lunedì 18 novembre 2013

Il castello di martedì 19 novembre






FIUMICINO (RM) – Torre di Palidoro

Nota anche come torre Perla, è una torre costiera dell'Agro Romano, situata nella località Palidoro del comune di Fiumicino, risalente al periodo delle invasioni saracene. Eretta sui resti di una villa romana, serviva ad avvistare le navi nemiche che si avvicinavano alla costa e svolgeva quindi funzione difensiva del Castello di Palidoro. Non è un caso, infatti, che sorga proprio accanto al fosso delle Cadute, visto che i corsi dei fiumi erano la meta preferita dei pirati per rifornirsi d’acqua. Nel 1019 l'area venne menzionata da papa Benedetto VIII col toponimo Palitorium. Nel 1480 la comunità di Roma menziona un castrum presente nell'area. La tenuta fu di proprietà della famiglia Muti, e in seguito dal XVII secolo della famiglia Peretti, che la cedette infine all'arcispedale di Santo Spirito in Saxia di Roma. Nel 1562 la torre venne restaurata da Bernandino Cirilli, Commendatore dell'Ospedale, ed è arrivata sino a noi conservando le caratteristiche del restauro. E’ una costruzione a pianta quadrata di quattro piani e ha un’altezza di poco superiore ai venti metri. L'attività prevalentemente agricola dell'entroterra spiega come mai la torre non ebbe rilevanti azioni militari. Secondo la "Relazione" del Grillo del 1624, non e' "tore di molta considerazione" e la Camera Apostolica la rifornisce di un solo barile di polvere da sparo nel mese di agosto. Il Miselli nel suo manoscritto del 1692 dice di aver trovato nella torre un torriere ed un soldato, mantenuti dalla Casa di Santo Spirito, proprietaria del manufatto. Da un catasto del 1845 si sa che la torre era munita di ponte levatoio attualmente sostituito da una passerella. Si accedeva al primo piano della torre per mezzo di una scaletta di legno per poi salire alla Piazza d’Armi in cima alla torre. L’episodio che spesso viene ricordato riguardo alla torre di Palidoro è quello del 1748 quando una “galeotta” barbaresca si arenò, a seguito di una tempesta, presso lo stagno della torre. L’equipaggio scese dalla nave con le armi ma, chiamate dai segnali della torre, le milizie pontificie accorsero e fecero prigionieri i barbareschi. La torre di Palidoro è a vista con il Castello Odescalchi di Palo e dista circa 7,5 Km dalla Torre Primavera di Fregene. Attualmente poco distante dalla torre di Palidoro si erge la stele di Salvo D’Acquisto che nel 1945, dichiarandosi responsabile di un attentato nei confronti delle milizie naziste, salvò la vita a numerose persone.

Fonti: http://it.wikipedia.org, testo di Andrea Zampetti e Marco Pellicanò su http://www.sullaviadelletorri.it, http://www.fiumicinocomune.com


Foto: la prima è presa dal sito http://www.pennuti.net e le altre due sono state realizzate dal sottoscritto ieri, “fresche fresche” dunque....

domenica 17 novembre 2013

Il castello di lunedì 18 novembre





BORGHETTO LODIGIANO (LO) – Palazzo Rho

In passato i due nuclei che ora compongono l'abitato, Fossato Alto e Borghetto, avevano vita autonoma. Il primo, feudo del capitolo milanese (XI secolo), fu al centro di aspre lotte tra i Torriani e i Visconti (XII e XIV secolo), appartenne ai Rho nel 1481, ma nel 1633 era ancora libero comune. In età napoleonica (1809-16) al comune di Borghetto fu aggregata Graffignana, ridivenuta autonoma con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto. Nel 1863 Borghetto assunse il nome ufficiale di Borghetto Lodigiano, per distinguersi da altre località omonime. Come detto, nell’anno 1481 la famiglia Rho divenne feudataria di questi luoghi. In una transazione interessante il Capitolo metropolitano, avvenuta il 2 maggio 1488, Borghetto e Fossadolto sono ritenuti un paese solo. Più tardi, poiché la famiglia dei Rho era in continua diatriba con lo stesso Capitolo, venne spogliata dei suoi beni, che vennero concessi a Giuseppe Bertoglio nel 1694. Della famiglia Rho si conosce solo che nel 1609 era composta da otto membri che esercitarono a turno la giurisdizione sul feudo. Risiedeva in un palazzotto (l’attuale Palazzo Rho) fatto costruire nel Quattrocento su ordine di Alessandro Rho – in un’area precedentemente occupata da un castello - ed era proprietaria di quasi tutto il territorio borghettino. Il Palazzo è in muratura di mattoni continua a vista, interrotta dall'aggetto di canne fumarie. L’edificio è suddiviso internamente in diversi spazi, destinati ad uffici, da muri divisori in muratura di mattoni, il sottotetto è suddiviso da muri prefabbricati e da otto pilastri a sezione rettangolare; le coperture interne sono a travatura lignea; il tetto è a falde collegate su capriate lignee. E’ dotato di camini sporgenti sul fronte principale. La facciata ha tre grandi finestre archiacute, ornate con fregi e rilievi di terracotta. Si notano su di essa lo stemma dei Rho e quello del comune di Borghetto. Le sale del palazzo oggi ospitano gli uffici comunali e, all’ultimo piano, il Piccolo Museo dei Lavori Umili.

Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.comune.borghettolodigiano.lo.it, http://www.lombardiabeniculturali.it, http://www.mondimedievali.net, http://lituopadania.wordpress.com/2011/03/28/palazzo-rho-a-borghetto-lodigiano/




Foto: di Oliviero Ferri su http://www.aksaicultura.net
 

sabato 16 novembre 2013

Il castello di domenica 17 novembre






MANDURIA (TA) – Palazzo Imperiali-Filotico (di Mimmo Ciurlia)

Manduria, città del Salento settentrionale, è posta al margine sud-occidentale del Tavoliere di Lecce,  al centro delle vie di comunicazione fra i territori di Taranto, Lecce e Brindisi ed è attraversata dalla statale Salentina. Fu uno dei principali centri messapici, invano assediata dai tarantini aiutati da Archidamo re di Sparta che qui morì nel 338 a.C. Della città messapica rimangono oggi la poderosa triplice cinta muraria eretta tra il V e il III sec. a.C, la vastissima necropoli con oltre 1000 ed il Fonte Pliniano, che Plinio il Vecchio nel secondo libro della "Naturalis Historia", annovera tra le più importanti fonti del mondo allora conosciuto, la cui acqua che sgorga dalla roccia non decresce mai di livello, come notava con stupore Plinio. Nel Medioevo subì le devastazioni gotiche (nel 547) e longobarde (nel 924) e nel 977 fu distrutta dai saraceni. Risorse alla fine del sec. XI col nome di Casalnuovo o Castelnuovo. Dal 1517 fu dei Bonifacio, dal 1572 al 1785 degli Imperiali. Riassunse l’antico nome di Manduria nel 1789. Davide Imperiali (1540-1612), patrizio di antica famiglia genovese, al comando di una nave partecipò alla battaglia di Lepanto. Come ricompensa, ottenne nel 1572 da Filippo II, re di Spagna, il feudo di Oria, Francavilla e Casalnuovo in Terra d'Otranto. Sui ruderi di un precedente castello di epoca normanna don Michele III Imperiali, principe di Francavilla e signore di Casalnuovo, nel 1717 commissionò all'architetto leccese Mauro Manieri una nuova residenza feudale, così come riportato dall'iscrizione sul portale di accesso al piano nobile «Michael lmperialis A.D. MDCCXVII». Concepito come residenza nobiliare per i soggiorni di caccia, il palazzo è comunemente detto “delle cento stanze” anche se effettivamente presenta 99 ambienti. Il complesso, in base al progetto, avrebbe dovuto superare il numero di 120 vani, ma la costruzione dell'ala sud-est fu interrotta nel 1738, per la morte di Michele III Imperiali. La leggenda narra che Francesco II Re delle Due Sicilie, in visita in Terra d'Otranto, vi soggiornò definendolo alloggio ben più comodo della sua reggia a Napoli. Il palazzo, costruito in carparo bruno, si articola secondo lo schema classico a pianta quadrata e isolato sui quattro lati con un atrio centrale collegato alla strada. La facciata è costituita da tre corpi avanzati (quello centrale col grande portale d’accesso che ancora conserva l'originale portone ligneo), interrotti da quelli intermedi che si arretrano; è attraversata interamente da un balcone sostenuto da grandi mensole con balaustra in ferro battuto e lavorato "a petto d'oca". Conta quarantadue finestre sui tre piani dell’edificio, quelle dell’ultimo più in alto, murate e dotate di aperture ovoidali. Alle estremità della facciata dell'edificio sono posti i due grandi cartigli della famiglia Imperiali, con i gigli, le torri e il falcone con la corona marchesale. Dal maestoso portale fiancheggiato da due colonne di ordine toscano, si accede all’androne coperto e, proseguendo, all’atrio interno sul quale si apre la monumentale scalinata a doppia rampa che conduce agli appartamenti del secondo piano. Si ipotizza che il disegno dello scalone sia da attribuire al napoletano Ferdinando Sanfelice. Dal portale d'ingresso posto alla sommità della scala, si accede direttamente al salone principale (mt. 17,8 x 9), da cui hanno origine gli appartamenti del piano nobile e le scale che conducono agli ambienti del piano superiore. L'altissima copertura del salone d'onore, danneggiata dal terremoto del 1743, fu smantellata nella prima metà del secolo XIX, a seguito dei danni causati da una tromba d'aria e da allora l'ambiente assai suggestivo, è denominato "salone scoperto". Sul fondo dell'atrio invece troviamo il portale di accesso alle stalle, poste sul lato orientale del palazzo. Alla morte di Michele III Imperiali nel 1738, il palazzo passò prima al nipote Federico che morì senza lasciare eredi e, successivamente, al Regio Fisco. Fu occupato dall'esercito francese nel 1806, infine fu riacquistato da Vincenzo Imperiali, marchese di Latiano e  da questi passò al figlio Federico. Nel 1827 Don Vincenzo Filotico, che ebbe intensi rapporti economici con gli Imperiali a Napoli, acquistò il palazzo di Manduria, privo di arredi e suppellettili, assieme a parte dei possedimenti tra cui il diruto castello di Uggiano Montefusco. Ai Filotico si devono alcuni interventi, come la costruzione di un ampio loggiato su una delle facciate dell’atrio interno, oltre all’arredo e alle decorazioni interne. L’edificio è tuttora residenza della famiglia Filotico, ad eccezione di alcuni locali al piano terra che, passati di proprietà in seguito ad una divisione tra eredi nel dopoguerra, risultano destinati ad attività commerciali. Palazzo Imperiali-Filotico è uno dei più straordinari esempi di dimora nobiliare tardo barocca presenti nel Salento, nonchè il più vasto esempio di palazzo feudale. Sottoposto a vincolo di tutela come "immobile di rilevante interesse storico-artistico" fin dal 1917, e denominato "palazzo Imperiali-Filotico" nel decreto ai sensi della L.1089/1939, è iscritto all'ADSI - Associazione Dimore Storiche Italiane - sezione Puglia.

Fonti: http://www.geoplan.it, www.itriabarocco.net, it.wikipedia.org, www.turismo-puglia.eu

Foto: da http://www.prolocomanduria.it/visite/palazzo.php e la seconda è una cartolina della “collezione” di Valentino Privitera