lunedì 2 dicembre 2024

Il castello di lunedì 2 dicembre


RIETI - Castello in frazione Moggio Reatino

Si può dar credito a chi asserisce che fin dai giorni di San Francesco (morto nel 1226) esistesse un castello posto sul pizzo di monte sovrastante la borgatella di povera gente dedita alla pastorizia. Sembra abbastanza vicino alla verità che anche il castello di Moggio fosse intorno al 1100 possesso del Comune di Narni. Il rapporto tra il castello di Moggio e la Chiesa Narnese appare invece chiaro sin dal 1227. Nell'archivio Capitolare c'è una bolla di papa Gregorio IX diretta al Prevosto Berardo e ai canonici di S. Giovenale di Narni, con la quale si confermano e si elencano i beni presenti e quelli che sarebbero venuti in possesso, in cui si riporta il "Reddittum centum piscium, quen habetis in Castro Modii". La bolla è riportata nel volume " Cathedralis Narniensis Ecclesiae, eiusque capituli et canonicorum antiquitas mobilitas ecc.". Il castello di Moggio era anticamente proprietà dei Nobili Vitelleschi di Labro. La storia feudale di Labro inizia nel 953 quando Ottone I, imperatore di Germania, investì Aldobrandino de' Nobili signore di Labro di altri 12 castelli fra il ducato di Spoleto e il contado di Rieti. Alla meta del XII secolo, al momento della massima espansione dei Normanni verso settentrione, per trovare protezioni potenti, i Nobili di Labro donarono a S. Giovanni in Laterano la quarta parte di Labro, di Moggio, di Morro di Apoleggia e di altri insediamenti fortificati oggi scomparsi, donazione che dette poi vita ad una lunga controversia tra Berardo di Labro ed il capitolo della Basilica Romana, che vide infine i Nobili tornare nel pieno possesso dei castelli oggetto della contestazione. Nel 1300 infine, Moggio fu inglobato nel contado reatino, grazie all’acquisto delle quote di cosignoria castrenze da parte del comune cittadino. Un monitorio del 1512 riporta che Giordano de Nobili signore di Moggio fu ascritto alla nobiltà romana in data 8 aprile e fu signore del castello di Moggio. La strutturadel castello a pianta rettangolare racchiude una superficie di circa 2000 mq. Rimangono parti delle murature su tre lati: i due lati corti e il lato lungo, che guarda verso la "Montagnola". Ben poco rimane delle mura perimetrali che un tempo dominavano il centro abitato. Da qui sono invece visibili le ampie fondazioni, che si appoggiano sulle prominenze rocciose della montagna. Non è difficile pensare che un tempo questa fortezza costituisse un baluardo inespugnabile, sicuro rifugio per tutta la popolazione del piccolo borgo. Le mura in alcuni punti raggiungono il ragguardevole spessore di un metro. La calce prodotta da fornaci locali e idrata a mano, secondo tecniche antichissime, appare bianca, compatta. La coesione con le pietre e' talmente perfetta che anche i Vigili del Fuoco nel corso di un sopralluogo espressero la loro meraviglia. Oggi è facilmente raggiungibile percorrendo un ampio sentiero, delimitato da alberi, che creano un gioco di luci e di ombre, particolarmente suggestivo. Il fascino dell'atmosfera antica è presente ovunque, ogni pietra sembra avere la sua storia. Basta percorrere appena cento metri, ed ecco apparire la possente torre cilindrica che sembra voglia sfidare il tempo e il disinteresse degli uomini. Sulla sommità, e ai lati, alcune feritoie lunghe e strette, con stipiti in pietra, un tempo, utilizzate per scrutare in condizioni di sicurezza, il territorio circostante. All'interno del castello si possono ammirare molte piante di montagna genere latifoglie: orniello, quercia, farnia, acero, come pure sempreverdi: leccio, alloro. Una pineta pregevole, anche se incolta, frutto di un intervento di rimboschimento del Corpo Forestale dello Stato, occupa gran parte della superficie interna.. Per molti anni questa struttura venne utilizzata come camposanto. Dopo le disposizioni napoleoniche (1805) le salme venivano deposte in cameroni comuni all'interno del castello diroccato. Tre grandi stanze (due per gli adulti ed una per i bambini) completamente interrate, accoglievano i morti. Successivamente le salme vennero trasportate nell'ossario della chiesetta dell'attuale camposanto costruito dal Comune di Rieti nel 1905. Le immense tombe, sono evidenti ancora oggi (malgrado l'opera maldestra di riempimento). Nel settembre del '98 la sorte dei ruderi del castello sembrava segnata. Gli effetti prorompenti del terremoto erano sin troppo evidenti. La stabilita' della struttura era compromessa, si temeva il crollo sul centro abitato. Finalmente nel settembre del 2005 il Comune di Rieti con un finanziamento di 103.000 euro (sostenuto al 50% dalla Regione Lazio) ha appaltato il primo intervento di consolidamento e recupero della torre del castello. 

Fonti: https://fondoambiente.it/luoghi/castello-di-moggio-reatino?ldc, http://www.lechiusedireopasto.it/moggio.html, http://www.montagnola.org/castello.php

Foto: la prima è presa da http://www.montagnola.org/castello.php, la seconda è di Patrizia Palenga su https://www.facebook.com/118159207542161/photos/pb.100081060917771.-2207520000/153268160697932/?type=3

martedì 30 luglio 2024

Il castello di martedì 30 luglio



FRANCOFONTE (SR) - Castello di Chadra

A nord-est di Francofonte sorgono, immersi tra agrumeti e vigneti, i ruderi del castello di Chadra, le cui origini affondano in quel periodo della Sicilia tanto turbolento, quanto incerto, risultato della lotta tra angioini e aragonesi prima e dopo la guerra del Vespro. Nel 1270 si documenta l’esistenza solo di un casale “Càdera” o “Chadra”. Nel 1296 il casale era feudo diviso tra le due famiglie dei Mortillaro e dei De Lamia; nel 1307 il miles Giovanni De Lamia decise di edificare una fortezza in quella parte del feudo che apparteneva alla sua famiglia, la quale ottenne l’intero possesso del territorio appena due anni dopo. I De Lamia detennero Chadra con il relativo castello fino al 1392, anno in cui Nicolò De Lamia, considerato ribelle giacché leale alla famiglia dei Chiaramonte, subì la confisca dei beni dalla regia camera. Nel 1394 ottenne l’investitura del feudo di Chadra Berengario Cruyllas, la cui famiglia non molto tempo dopo ricevette anche castello e abitato di Calatabiano. Due terremoti causarono il progressivo abbandono del casale e della fortezza: al 1552 è datato un primo evento sismico, durante il quale la fortezza subì seri danni, tuttavia riparati; infine il violento terremoto del 1693 devastò l’intera struttura, pregiudicando ogni tentativo di ricostruzione. Chadra è un “baglio”, il quale si presenta nella forma di una grande torre mastra, attorno alla quale si svolge il perimetro di un cortile fortificato. Il cortile possiede una forma rettangolare irregolare (m. 75 X 45), orientato est-ovest. L’intero complesso, che sorge su di un’ansa del torrente Canale, si presenta protetto a meridione e a oriente dal medesimo corso d’acqua, mentre a settentrione offrono una prima difesa dai possibili assedianti due fossati paralleli, dei quali quello più esterno pare sia rimasto incompiuto. Il fossato interno era largo oltre 4 metri e, almeno nella prossimità dell'angolo sud.ovest, profondo altrettanto. L’intera cortina muraria sembra essere il risultato di aggiunte successive: il muro orientale, ai giorni nostri per buona parte crollato, parrebbe opera del XIV o XV secolo; certamente più tardo è il tratto di muro meridionale, realizzato per buona parte nel XVIII secolo, ma inglobante tratti della cortina trecentesca. Lungo tutto il perimetro murario si svolgono anche i camminamenti di ronda merlati, scomparsi per la maggior parte, tranne per alcuni brevi tratti. Essi si dispongono a circa 4 m. d’altezza e si internano nella medesima cortina con una profondità di circa cm. 70. L’ingresso principale al cortile fortificato si trova nell’angolo di nord-est e ha la forma di un avancorpo, aggettante verso settentrione di circa m. 12. La soglia di tale ingresso immette in un piccolo cortile, forse salvaguardato dalla presenza di una torretta, un tempo anch’essa aggettante dalla cortina muraria principale, ma adesso crollata. Dal piccolo cortile al grande cortile si accede tramite una rampa di scale intagliata nella roccia. Il baglio è oggi occupato da un agrumeto che occulta buona parte delle strutture superstiti. Fino a qualche decennio fa dovevano esservi molti cisterne e silos scavati nella roccia, oggi del tutto interrati e poco o per nulla visibili. La torre mastra sorge lungo il lato occidentale del cortile principale. Dell’edificio oggi rimangono solo dei grossi monconi, dai quali è possibile ricostruire solo con parziale esattezza l’aspetto originario di questa fortificazione: essa possedeva una pianta cilindrica e apriva sul baglio il suo unico ingresso, caratterizzato da un arco a tutto sesto composto da blocchetti di pietra calcarea. Si può ancora misurare lo spessore murario dell’intero edificio, quantificato in circa m. 1,50, uniforme in tutta l’altezza. Solo in seguito, probabilmente durante alcuni rifacimenti della torre, si aggiunge una scarpatura non ammorsata lungo l’intera circonferenza, alta dal piano di campagna m. 7,60 e spessa alla base m. 2,20. Dai pochi dati adesso disponibili, si evince che un tempo la struttura avesse una pianta interna a forma ottagonale del diametro di m. 8. Ciascun angolo dei lati interni dell’ottagono probabilmente si allungava non oltre un terzo dell’intera altezza della torre, al fine di formare costolonature necessarie a reggere una volta di copertura. In ogni lato dell’ottagono si aprivano saettiere fortemente strombate, delle quali oggi rimangono solo pochi esempi. Come è anche possibile apprendere da alcuni documenti storici, la torre doveva possedere in tutto tre piani, oltre il terrazzo merlato, così da raggiungere un’altezza complessiva di 15/18 metri. Il pian terreno, “turri d’abbasciu”, si componeva di un’unica stanza; infine, gli altri due piani accessibili attraverso scale lignee, si ricavavano per mezzo di altrettanti solai, uno detto “di immenzu”, l’altro “di susu”. Altri link suggeriti: https://sicilyenjoy.com/listing/castello-di-chadra-a-francofonte/, https://www.siciliafotografica.it/gallery/index.php?/category/1241 (foto varie)

Fonti: https://www.comune.francofonte.sr.it/2021/04/17/castello-chadra/, articolo di Giuseppe Tropea su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/siracusa/chadra.htm, https://www.icastelli.it/it/sicilia/siracusa/francofonte/castello-di-chadra

Foto: la prima è presa da https://www.visititaly.it/info/955855-castello-chadra-ruderi-francofonte.aspx, la seconda è presa da https://www.comune.francofonte.sr.it/2021/04/17/castello-chadra/

lunedì 29 luglio 2024

Il castello di lunedì 29 luglio



MONTELUPO FIORENTINO (FI) - Torre dei Frescobaldi in località Torre

Anticamente era chiamata Torre di San Quirico dal nome della chiesa intestata ai santi Quirico e Lucia situata nelle vicinanze. Assunse la denominazione dei Frescobaldi dopo l'acquisto da parte dell'omonima famiglia, avvenuto nella seconda metà del 1700. La data di realizzazione della Torre non è del tutto certa. Secondo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, essa era stata costruita agli inizi del 1300 per tutelare le attività commerciali lungo il fiume Arno e contro le incursioni di Castruccio Castracani. Alcune ricerche ipotizzano che la Torre sia nata come mulino nei primi decenni del 1300. Dal 1320 al 1335, Montelupo diventò infatti una piazza particolarmente importante per il commercio del grano e probabilmente la struttura esisteva e svolgeva già la sua funzione durante questo periodo. Il primo riferimento esplicito sulla Torre dei Frescobaldi è tratto da una portata catastale datata 1427, dove si viene a sapere che essa era un "luogo ritratto a fortezza" con mulino annesso, appartenuto ai fratelli Gherardo e Adovardo di Gherardozzo Bartoli. Il documento attesta che in questa struttura vi abitava almeno una persona, il mugnaio. Nel 1529 Francesco Ferrucci, durante l'Assedio di Firenze, ordinò di distruggere tutti i mulini nei pressi di Montelupo, in modo da impedire alle truppe di Carlo V d'Asburgo la possibilità di rifornirsi. Questo destino non toccò alla Torre, grazie al fatto che il mulino in quegli anni non poteva più macinare ed era in una situazione di degrado a causa della deviazione del corso del fiume. Nel 1552 Galeotto del Caccia, marito di una discendente dei Bartoli, vide che il fiume aveva ripreso il suo vecchio andamento e per questo motivo decise di rimettere in funzione il mulino. Tuttavia ciò non era possibile a causa del taglio della pescaia da parte degli Ufficiali dei fiumi, e questo fece sì che la struttura rimanesse in uno stato di degrado. Nel 1588 Marietta Gondi, vedova di Gio. Antonio di Filippo Bartoli, vendette la Torre a Ferdinando I de' Medici al prezzo di 800 fiorini. La Torre entrò a far parte della vicina tenuta dell'Ambrogiana nella quale la famiglia Medici possedeva una villa. Poco dopo l'acquisto fu completamente ristrutturata e in seguito assunse la funzione di luogo di divertimento del granduca e dei suoi ospiti. Durante i primi anni del Settecento, essa diventò il luogo di riscossione dell'Imposizione d'Arno, una tassa applicata ai proprietari dei terreni in corrispondenza dei tratti di fiume in cui vengono eseguiti dei lavori. Il disinteresse da parte del granduca Cosimo III de' Medici culminò in un nuovo passaggio di proprietà. Nel 1715 i fratelli Giovanni e Giuseppe di Giuliano Castellani acquistarono la Torre, destinandola ad uso abitativo. Nel 1764 passò nelle mani di Giuseppe de' Frescobaldi e successivamente al nipote Cosimo Ridolfi. Nel 1902 viene acquistata dal Barone Raimondo Fianchetti e dopo pochi mesi da Pietro Carboncini. Successivamente, la struttura ospitò lo studio del ceramista Bruno Bagnoli. Dal 2001, dopo un completo restauro realizzato dall'attuale proprietario Giovanni Bartolozzi, una parte della Torre dei Frescobaldi ospita il Museo del Fiasco Toscano, davanti al quale si trova il Monumento alla Fiascaia, realizzato dall’artista Piero Bertelli. Da un punto di vista architettonico la torre è costituita da un parallelepipedo compatto, in cui si dispongono sei piani, per un'altezza di una quindicina di metri circa. Il carattere possente della muratura denuncia immediatamente l'origine militare, acuita dalla terminazione a beccatelli e merli. Il paramento, su tutti i lati, è costituito da pietre di fiume (le famose “pillore”, ricavate dal vicino alveo dell'Arno), intervallate da filaretti in laterizio che funzionano da irrigidimento e per una ottimale distribuzione dei carichi; presenti anche innumerevoli buche pontaie. Agli spigoli, i punti più delicati per una struttura militare, la muratura è costituita esclusivamente da mattoni. Le aperture in origine dovevano essere molto più piccole delle attuali, ma la riduzione ad abitazione, almeno dal '700, ha comportato l'adattamento della trecentesca struttura militare, che tuttavia si è ben conservata. I beccatelli che contraddistinguono il coronamento, sono costituiti da mensole lapidee, progressivamente più aggettanti. Fra mensola e mensola si aprono piccole aperture da cui era possibile rovesciare qualsiasi cosa al malaugurato assalitore (e che poteva essere facilmente adattata a piccionaia). Anche i merli sembrano quelli originari, anche se parzialmente ricostruiti sul lato meridionale della torre. Sui fronti Sud ed Est è stato ridisegnato, in forma di graffito, lo stemma dei Frescobaldi, il cui originale era andato perduto. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=hY5q-cm1B9s (video di Flybri), https://www.facebook.com/watch/?v=1623701171079593 (video di Cerofolini Pulizie), https://www.visitvaldelsa.com/it/11-comuni-della-valdelsa/montelupo/ville-ed-edifici-storici/torre-dei-frescobaldi

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dei_Frescobaldi, http://smartarc.blogspot.com/2013/01/montelupo-la-torre-de-frescobaldi.html

Foto: sono state scattate da me durante la mia visita del 28/07/2024

mercoledì 12 giugno 2024

Il castello di mercoledì 12 giugno



CAPENA (RM) - Castello di Scorano

Nel verde di uno spettacolare parco di circa 6 ettari, sorge maestoso il Castello di Scorano del 1200, all’epoca presidio fortificato e successivamente trasformato in casale ad uso agricolo. Si presume sia stato edificato dalla famiglia Orsini su antiche preesistenze Capenati. Nel corso della storia fu dimora di altre nobili famiglie romane quali i Borghese, i Brancaccio e in ultimo Don Vittorio Massimo, principe di Roccasecca dei Volsci. Il maniero fu abitato fino alla sua morte dal Principe Vittorio Emanulele Massimo (Principe di Roccasecca dei Volsci), secondo genito del Principe Camillo Francesco Massimo (Principe di Arsoli) e di Eleonora Brancaccio. Dopo la morte del Principe Vittorio Emanuele Massimo, il Castello è stato venduto a privati. Di questi ricordiamo: Leone Massimo (Principe di Arsoli) - Maria Principessa di Savoia - Vittorio Emanuele Massimo (Principe di Roccasecca dei Volsci) - Margrethe Bechshöft - Dawn Victoria Addams - Josefa Domingas Soares - Elizabetta Massimo - Angelo Falcone. Oggi il Castello di Scorano è caratterizzato da un grande portale d’ingresso con accesso dalla Via Tiberina e da un lungo viale alberato che porta alla splendida corte principale ove sono stati rinvenuti resti archeologici dell’epoca etrusca romana. Si accede alla corte tramite un maestoso portale bugnato ad arco, sormontato da una torre merlata.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Capena#Architetture_militari, https://www.immobiliare.it/annunci/109732731/?utm_source=lifull-connect&utm_medium=aggregator&utm_campaign=sale_desktop

Foto: la prima è presa da https://www.latuacasaaroma.it/ita/34/casa-castello-di-scorano/, la seconda è presa da https://www.wikicasa.it/annuncio/16934936/foto/1

martedì 11 giugno 2024

Il castello di martedì 11 giugno


SIRACUSA - Castello della Targia

Sorge a pochi chilometri da Siracusa, situandosi a Nord, poco distante dalla fortezza greca di Eurialo. Federico II in una lettera da Sarpi del 21 marzo 1240, scrive al Plancatore per l'approvazione di un progetto relativo alla costruzione di una fiskia nel suo palatium in Chindia prope Syracusiam e per consentire l'assegnazione a censo ai contadini siracusani delle terre incolte definite prato magno, per impiantarvi dei vigneti a patto che non danneggino il vicino mirteto e la costruzione di recinti per animali. Il termine fiskia indica un "bacino idrico o un fontanile. Ancora una volta il termine arabo, certamente attestato nella Sicilia del XII secolo, lascia intravedere un'eredità tecnologica ed ideale che continuava in età sveva a produrre i suoi frutti". L'imperatore avrebbe quindi approvato la realizzazione di un bacino idrico nell'ambito probabilmente di uno dei luoghi di sollazzo esistenti nel territorio, comprensivo forse di un vivaio. La regione è ricca di acqua e per il periodo medievale è attestata l'esistenza di un ricco patrimonio arboreo. Il legname ricavato dalle foreste serviva alla trasformazione della canna da zucchero del territorio limitrofo (San Cusmano e Cantera). L'identificazione del Palatium della Chindia fu fatta da G. Agnello con la struttura esistente nella contrada Targia vicino a Siracusa prope Syracusiam) che egli battezzò Valatium di Targia. Il nome compare nei documenti federiciani una sola volta: nel 1240 il secreto di Messina aveva fatto aprire una cava calcarea) a Targia per trarre materiale da usare in lavori di riparazione per alcuni edifici caduti in rovina che non dovevano essere molto distanti. Lo Sthamer propose una localizzazione nel territorio di Floridia, intendendo il toponimo Chindia come Cerninda o Cernindia, cioè Floridia (in dialetto Ciuriddia) ma, come sottolinea F. Maurici, nel territorio indicato non esistono testimonianze di edifici svevi. Il toponimo Targia di origine araba, invece, lascia pensare ad una frequentazione del sito precedente al periodo svevo. Del periodo normanno si ricordano gli avvenimenti legati al conte Ruggero "il quale, dopo la morte del figlio Giordano, sarebbe passato nella vicina terra per punirvi la popolazione ribelle, abbattendo dalle fondamenta il castello. Certo è che i ruderi di vecchie abitazioni e i documenti storici, riferentisi a disposizioni di ripopolamento della contrada, provano a sufficienza che il feudo Targia dovette essere legato alle vicende della storia cittadina: le sue abitazioni turrite e le prospere dipendenze terriere ne fecero, forse per lungo tempo, un luogo di giocondi sollazzi regali". In età aragonese il feudo di Targia fu oggetto di interesse dei regnanti come testimoniato da un diploma di Federico III dal quale si evince che esistevano ben due sollacia (la Targia magna e la Targia parva, cioè grande e piccola) con i relativi parchi, case, giardini, mulini. La frequentazione come luogo di svago e di caccia nel periodo aragonese è indice di continuità storica con il periodo svevo ed è molto probabile che esista materialmente la prova di questa sequenza cronologica. Benché completamente rimaneggiato in epoca moderna, l'unico edificio che risponde comunque alle caratteristiche icnografiche sveve nella contrada è il Castello della Targia, che possiede una pianta leggermente trapezoidale (lati minori 19,40 m; lati maggiori di misura differente: il lato Est 26,70 m e il lato Ovest 32,10 m) e delle torri circolari nell'intersezione degli assi e cortile centrale. L'impianto planimetrico, nella sua attuale consistenza, di forma irregolare, potrebbe essere dovuto all'adattamento delle fondazioni su strutture preesistenti, peraltro mai indagate. Esso appare simile ad un grande baglio dal momento che la fabbrica dell'edificio si articola attorno ad una corte centrale. Lo spessore murario è di 1,10 m. Secondo Giuseppe Agnello la cortina muraria originaria sarebbe integra su tre lati tranne sul lato Nord dove si sono sostituiti fabbricati moderni di tipo rurale. All'interno esistono ambienti soltanto nei lati Sud e Ovest, ma che non hanno alcun elemento antico. Le caratteristiche sveve sono riscontrabili, secondo lo studioso, nelle torri Sud-Ovest e Sud- Est. La prima (diametro esterno 6,30 m; diametro interno 4,10 m) presenta un rivestimento in piccoli conci (altezza 26/28 cm) in pietra calcarea disposti in 25 filari. Il coronamento si organizza con una cornice composta di archetti tipica del periodo tre - quattrocentesco. Esiste una sola finestra rettangolare a doppio strombo. La torre Sud-Est, lacunosa del coronamento, è confrontabile nell'impostazione generale alla precedente. Della torre Nord-Ovest rimangono solo la base e quattro assise di conci; la Nord- Est è tutta di rifacimento moderno. Il Castello della Targia è oggi proprietà della Famiglia Pupillo ed è quindi visitabile solo su richiesta e per degustazioni di vini (https://solacium.it/newsite/). Forte di una lunga tradizione familiare, l’Azienda agricola Pupillo ha recuperato il gusto perduto del Moscato di Siracusa e rinnovato quello più consolidato del Nero d’Avola.

Fonti: https://www.antoniorandazzo.it/castellietorrimedievali/castello-targia.html, https://www.icastelli.it/it/sicilia/siracusa/siracusa/castello-della-targia,

Foto: la prima è presa da https://www.lasiciliainrete.it/directory-tangibili/listing/castello-della-targia/, la seconda è presa da https://www.goccedisicilia.com/it/122_cantina-pupillo

venerdì 7 giugno 2024

Il castello di venerdì 7 giugno

 

 


LUNI (SP) - Torre del Guinigi in frazione Ortonovo

Le origini di Ortonovo risalgono ai secoli XI e XII, quando il territorio era controllato dal Vescovo di Luni. Oggi dall’alto possiamo immaginare i terreni collinari coltivati: il nome Ortonovo infatti sembra derivare da Hortus Novus. Il clima della collina attirava già prima dell'anno Mille le ricche famiglie lunensi che si recavano sulle alture per ritemprarsi tra relax e aria salubre. La "torre rotonda", svettante sul borgo storico ortonovese e attigua alla chiesa di San Lorenzo, venne edificata nel corso del XV secolo; nello stesso periodo il signore di Lucca Paolo Guinigi acquistò il territorio di Ortonovo dalla dominante signoria viscontea. Una leggenda popolare narra che proprio il Guinigi si recasse in cima alla torre, assieme ai figli e alla giovane moglie Ilaria del Carretto, per godere dell'ampio panorama. Probabilmente la torre faceva parte di un preesistente castello o fortilizio, luogo dove oggi trova spazio la parrocchiale del paese e di cui la torre, di fatto, ne è il campanile. La tipologia della torre richiama per dimensioni e struttura ad altre torri lunigianesi come quelle di Comano, Malgrate, Bagnone e Filattiera, di forma circolare, con beccatelli per la difesa piombante, e tamburo coronato a calotta, rivestita con squame di ardesia. Altri link consigliati: https://www.luniturismo.it/it-it/scopri/cosa-vedere/torre-rotonda-torre-del-guinigi-36590-1-969bccccd0338358bece8bb7a737e893, https://www.youtube.com/watch?v=VTM0WDEqb_Y (video di Michele Civelli)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Luni#Architetture_militari, https://www.comune.luni.sp.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/ortonovo-36583-1-9a3eceee97a8aebae2836b0763e6156c, https://www.terredilunigiana.com/ortonovo.php

Foto: entrambe del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini

mercoledì 29 maggio 2024

Il castello di mercoledì 29 maggio

 
 

                                       

ROCCA DE' GIORGI (PV) - Castello

Rocca de' Giorgi, sede di un'antica pieve della diocesi di Piacenza, fu fortificata fin dall'alto medioevo, probabilmente da un antico signore di nome Aimerico. Si chiamava infatti Rocca di Aimerico quando, nel 1164, è citata tra i luoghi dell'Oltrepò che passarono sotto il dominio pavese. Vi ebbe successivamente signoria la famiglia pavese Campeggi, per cui prese il nome di Rocca Campesana; passò poi sotto il dominio dei Sannazzaro, e per matrimonio a Fiorello Beccaria, che ricostruì la Rocca che da allora fu detta Rocca di Messer Fiorello, o Roccafirella. Nell'ambito del dominio dei Beccaria, giunse al ramo di Montebello, appartenendo al feudo di Montecalvo. Estinti nel 1629 i Beccaria, fu acquistato dai conti Giorgi di Vistarino, feudatari anche di Pietra de' Giorgi.  L'edificio è posto a 350 m s.l.m. e si trova nell'Oltrepò Pavese, su un rilievo che domina la valle del torrente Scuropasso. Ridotto in stato di rudere, oggi ne sono visibili solo le mura perimetrali riferibili alla metà del XIV secolo. La struttura realizzata in pietra e laterizio, ha pianta quadrilatera irregolare, di fatto trapezoidale, con affiancato su di un lato un dongione a base rettangolare. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=TltvMEyjmk8 (video di Milano Pavia TV on Demand), https://www.youtube.com/watch?v=lMLeJnIycbU (video di Turismo Ambiente Cultura), https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Rocca_de_Giorgi-messer_Fiorello.htm, https://www.loquis.com/it/loquis/2901875/Castello+di+Rocca+de+Giorgi

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Rocca_de%27_Giorgi,

Foto: la prima è di terensky su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Rocca_de%27_Giorgi#/media/File:Ruderi_della_Rocca_di_messer_Fiorello_-_panoramio.jpg, la seconda è di Solaxart 2019 su https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Rocca_de_Giorgi-messer_Fiorello.htm

martedì 28 maggio 2024

Il castello di martedì 28 maggio



GUARDIAGRELE (CH) - Torri

Torrione Orsini:
emblema di Guardiagrele, si trova a pochi passi dall’antico perimetro difensivo della città, sito nella pineta di Largo Garibaldi, sulla sommità del paese e da questa posizione domina la valle sottostante. Sulle fonti letterarie si legge che dopo il 1849, dopo che furono demoliti tratti di mura e torri, si procedette alla sistemazione del Largo del Rosario (oggi Largo Garibaldi). Fu atterrata la maggior parte dei recinti del castello, furono tolti i ruderi del muro che chiudeva dalla parte di nord-ovest, e venne interamente colmato il fossato di protezione. Rimase questa torre che per dimensioni e struttura è una delle più grandi e porta i segni di costruzione del 900 e del 1000, ossia dell'epoca in cui avvennero le invasioni dei Saraceni e degli Ungari. La torre costituirebbe l'antico presidio militare longobardo dal quale, secondo la tradizione, ebbe origine il primo nucleo fortificato della città (da qui anche l'appellativo di "Torrione Longobardo"). Il nome della struttura si deve alla famiglia Orsini che dominò Guardiagrele, insieme alla Contea di Manoppello, dal 1340. Il suo aspetto tozzo ed imponente è frutto di numerosi interventi di modifica che nei secoli successivi alla costruzione interessarono quasi tutte le fortificazioni longobarde. L'odierno aspetto, massiccio e a pianta quadrata, si deve proprio agli Orsini. La torre, costituita da grosse mura in pietra di 80 cm. di spessore, è priva di copertura ed è attualmente semi diroccata. Chiusa ai lati, presenta un'apertura alla base, utilizzata per l'accesso, ed una finestra sulla parete opposta verso l'alto.

Torre Adriana:
posta all'angolo settentrionale delle mura della città, all'inizio di via Occidentale, accanto a Porta San Giovanni, vicino alle botteghe artigiane, presenta una forma cilindrica e una muratura in pietrame regolare di piccolo taglio. La torre è coeva di Torre Stella, lungo la cinta, tratto completato nel XIV secolo, più tardi rispetto alla cinta sud del Largo Garibaldi, dove stava il castello. Questa torre doveva essere decorata da merlatura, ma a causa del sisma della Majella del 1706 fu modificata nell'aspetto attuale, soprattutto quando la funzione difensiva decadde, e divenne un'abitazione privata. Ancora oggi è un'abitazione, con al piano terra una bottega di artigianato in rame.

Torre Stella:
gemella della Torre Adriana, lungo via Occidentale, è insieme ad essa l'unica torre perimetrale di forma circolare giunta fino ai giorni nostri. Il prospetto è alterato dalla costruzione di due balconi. Nella muratura è posto lo stemma gentilizio della famiglia Stella.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Porte_e_torri_di_Guardiagrele, https://www.mondimedievali.net/castelli/Abruzzo/chieti/guardiagrele.htm, https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1300012631

Foto: la prima (Torrione Orsini) è di Beni Culturali Standard BCS su https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1300012631#lg=1&slide=0; la seconda (Torre Adriana) è di zitumassin su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Torre_Adriana,_Guardiagrele.JPG. Infine, la terza (Torre Stella) è di Giovanna Sciubba su https://lh3.googleusercontent.com/p/AF1QipM7U5wykXm17C_fFli7j7J25sv190IjvY0wzfsv=s680-w680-h510

venerdì 24 maggio 2024

Il castello di venerdì 24 maggio


BORGO VELINO (RI) - Torre del Cassero in frazione Colle Rinaldo

I testi di storia fanno risalire l’origine di Borgo Velino ad un insediamento, posto su un promontorio sul lato destro del fiume Velino, di epoca romana, o forse anche precedente, chiamato “Viario”. Secondo alcuni autori la sua nascita risale addirittura ai tempi dei Pelagi. Di Viario rimangono ormai pochi resti abbandonati. Più tardi, più a valle fu edificato un nuovo centro abitato, sulla riva sinistra del Velino a ridosso delle strada consolare “Salaria” che attraversava la valle del Velino in direzione dell’Adriatico: nacque così il “Borghetto". Secondo alcuni testi l’attuale abitato di Borgo Velino, che fino alla fine dell’Ottocento veniva chiamato Borghetto (Borghittù), sarebbe stato fondato tra il XIII ed il XIV secolo da popolazioni provenienti, oltre che da Viario da altri centri vicini compreso il castello di Forca Pretula e da Villa Monacesca. Dal 1472 al 1624, Borghetto, fece parte del distretto di Cittaducale, nel Regno di Napoli, e divenne nel Cinquecento feudo di Margherita d'Austria. Il Cassero (o torre) è un manufatto edilizio di proprietà comunale. Originariamente era una struttura difensiva poligonale, quasi certamente ottagonale, alta presumibilmente tra i 12 e i 15 metri, eretta nel '400, per contrastare i nemici usualmente provenienti dalle Gole del Velino. Attualmente restano solo quattro lati della struttura originaria e precisamente le parti poste sui fronti sud ed est che sono stati oggetto di un parzialmente restaurato negli ultimi anni. Le prime notizie certe dell’esistenza del Cassero di Colle Rinaldo risalgono alla metà del XV secolo. Lo spazio centrale (la piazza d’arme della antica fortezza), parzialmente delimitato da ciò che resta ancora in piedi è in stato di abbandono dopo essere stato utilizzato come orti nei decenni passati. Tale area ben si presterebbe a luogo pubblico di aggregazione sociale, nonché divenire elemento importante per la valorizzazione a fini turistici del borgo di Colle Rinaldo. Altri link suggeriti: https://www.facebook.com/francesco.graziani.50596/videos/738888763646995/?idorvanity=27572914682&locale=it_IT (video di Francesco Graziani), https://www.marinellicostruzioni.com/portfolio/cassero-di-collerinaldo-borgo-velino-ri/, https://www.youtube.com/watch?v=MM4WC-1FGA4 (video di Viaggi Turismo Borghi Natura by Luigi)

Fonti: https://velino.it/la-nostra-terra/i-comuni/borgo-velino, testo dell'Arch. Andrea Domenico Turla su https://www.facebook.com/sabinamagazine/photos/a.442913212413500/959270390777777/?type=3, http://www.lazioturismo.it/asp/scheda.asp?comune=borgovelino

Foto: la prima è di Cesare Graziani su https://www.facebook.com/photo/?fbid=10207359989747007&set=o.231891300342173&locale=it_IT, la seconda è presa da https://www.facebook.com/sabinamagazine/photos/a.442913212413500/959270390777777/?type=3

giovedì 23 maggio 2024

Il castello di giovedì 23 maggio

                                         

                                       

MONTEPESCALI (GR) - Baluardo a tre punte

E' una struttura fortificata che caratterizza l'estremità meridionale del perimetro delle mura di Montepescali.  Il bastione fu realizzato nel corso del XVI secolo, epoca in cui furono ulteriormente rafforzate e fortificate anche altre cinte murarie della zona, tra le quali le mura di Grosseto. Il baluardo riuscì a resistere nel corso del tempo a violenti assedi, come quelli che si verificarono a Montepescali, pochi anni dopo la sua realizzazione, durante la guerra tra Senesi e Fiorentini. Il proprio aspetto rimase intatto fino al XX secolo, epoca in cui furono effettuati alcuni interventi urbanistici che hanno parzialmente alterato il lato della settentrionale della fortificazione, rivolto verso il centro storico, per permettere l'allargamento della sede stradale ove è stato realizzato il capolinea per gli autobus che permettono i collegamenti tra l'abitato di Montepescali e la città di Grosseto. L'accesso alla fortificazione avviene scendendo una serie di gradini che iniziano dalla sede stradale in cui si trova il capolinea degli autobus; i limiti estremi del bastione sono delimitati parzialmente da alcuni alberi che contribuiscono ad ombreggiare lo spazio pubblico. Le parti fortificate della struttura, visibili dalla sottostante strada di accesso al paese, sono costituite da cortine murarie in pietra, con imponente basamento a scarpa parzialmente cordonato, che si articolano a forma poligonale, delimitando le tre punte che costituiscono il bastione, quella centrale più ampia di forma triangolare e le due laterali minori di forma quadrangolare: le tre punte risultano aperte sul lato interno settentrionale, dove risultano in continuità tra di loro e con lo spazio pubblico che si sono trovate a delimitare, dopo gli interventi effettuati nel corso del Novecento. La sua imponenza è ben visibile dal basso, dove poggia sulle pendici della collina su cui sorge l'intero abitato di Montepescali, mentre dal centro storico appare come una terrazza panoramica, in continuità con la vicina sede stradale, da dove è visibile un ampio panorama verso la Maremma grossetana, la Diaccia Botrona, Poggio Ballone e il mar Tirreno con le isole centro-meridionali dell'arcipelago Toscano.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Baluardo_a_tre_punte, http://www.poderesantapia.com/album/grosseto/montepescalibaluardo.htm

Foto: la prima è di Matteo Vinattieri su https://it.wikipedia.org/wiki/Baluardo_a_tre_punte#/media/File:Baluardo_a_tre_punte_Montepescali_(GR).jpg, la seconda è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini

mercoledì 22 maggio 2024

Il castello di mercoledì 22 maggio



SAN LORENZO MAGGIORE (BN) - Castello di Limata

Durante il dominio dei longobardi si ha notizia di un primo centro abitato chiamato "Limata" e che si trovava nei pressi del corso del fiume Calore nella località ancora oggi chiamata con quel nome. Limata nel 663 d.C. fu teatro di un'importante battaglia che vide sfidarsi le truppe del longobardo Mittola, conte di Capua, con l'esercito dell'imperatore bizantino Costante II che restò sconfitto. Intorno all'anno 1000 Limata, grazie alla sua posizione strategica, divenne un florido centro commerciale e conobbe una rapida evoluzione demografica. Con la venuta dei normanni Limata divenne sede preferita dei conti Sanframondo. Guglielmo I Sanframondo, figlio di Raone, in un documento del 1151, tradotto nel 1531 durante un processo, scriveva «Io Guglielmo Sancto Flaimundo, figlio del fu Raone, che ebbi per cognome de Sancto Framundo, di stirpe normanna, rendo noto di possedere molti castelli, tra i quali il castello detto di Limata, nella terra di Telese; dono a Roberto, priore del Monastero di S. Maria della Grotta, una terra presso il fiume Calore». Il 26 dicembre del 1382 il castello di Limata ospitò Luigi I d'Angiò, venuto per occupare il regno e per vendicare l'uccisione della regina Giovanna I di Napoli. I Sanframondo dovettero provvedere al vettovagliamento di migliaia di cavalieri e cavalli. Nel XV secolo Limata passò ai conti Carafa che la tennero sino all'abolizione del feudalesimo, avvenuta nel 1806. I Carafa, che preferivano abitare a Napoli, abbandonarono il castello di Limata e ciò procurò, assieme ai miasmi provenienti dal vicino corso del fiume Calore, l'abbandono della cittadina che nel 1570 vide la nomina del suo ultimo parroco. Alcuni profughi di Limata si ritirarono sulle colline presso l'attuale San Lorenzo Maggiore che nel 1532 era già abitata da ottantuno famiglie che crebbero a duecentosei nel 1595. Il castello, fatto costruire da Zottone I, primo duca dei longobardi a Benevento, dominava la sottostante Valle Telesina e, militarmente parlando, aveva ai suoi tempi la funzione di controllare ed intercettare tutte le comunicazioni che provenivano dal bacino di Benevento, dal Molise, da Maddaloni, dall'avvallamento di Montesarchio e dall'Alifano. Un castello certamente molto inferiore, in quanto a imponenza, dimensioni e funzionalità, rispetto a quello di Guardia Sanframondi, da vedersi più come vedetta dei collegamenti viari. Dell'antica costruzione, nel XVIII secolo trasformata in una casa colonica, attualmente resta ben poca cosa. Il castello fu edificato sopra un blocco di arenaria: un vero torrione circoscritto ad est, nord ed ovest da un profondo vallone di erosione sul quale cadono ripidamente le Pendici di Toppo Limata. Al centro del pianoro sorge una casa colonica costruita sui ruderi del castello. A destra di chi guarda il portone d'ingresso è murata una pietra sulla quale è scolpita una figura muliebre con pettinatura a taglio corto, indossante corsetto, cintura e gonna pieghettata: si tratta di una scultura tombale del periodo longobardo. A sinistra del portone invece, sono murati alcuni frammenti di lapide romana sui quali s'individuano delle iscrizioni latine. Sotto i predetti frammenti è murata una pietra tombale di calcare bianco con figurazione a bassorilievo di un uomo e una donna a mezzo busto. Il portone d'ingresso dà accesso ad un piccolo e luminoso cortile circondato da modeste costruzioni di epoca abbastanza recente. Però una di queste costruzioni, un camerone a volta con scala di accesso al piano superiore, è indubbiamente l'unico avanzo del vecchio Castello. Altri link suggeriti: https://www.istitutostoricosanniotelesino.it/storia-limata/il-castello-di-limata/, https://www.youtube.com/watch?v=ljKJezViNio (video di Nicola APR), https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=EucvgJOF4H0 (video di Mario Lo Bianco)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/San_Lorenzo_Maggiore, https://www.fremondoweb.com/immagini-dal-sannio/immagini-dal-sannio-il-borgo-di-limata-a-san-lorenzo-maggiore/, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Campania/benevento/provincia000.htm#ginestr

Foto: la prima è presa da https://www.fremondoweb.com/immagini-dal-sannio/immagini-dal-sannio-il-borgo-di-limata-a-san-lorenzo-maggiore/, la seconda è di Gabriele Di Marzo su https://www.sanlorenzomaggiore.net/category/cultura.html

martedì 21 maggio 2024

Il castello di martedì 21 maggio


CARTOSIO (AL) - Torre

Nel 1052 l’imperatore Enrico III insignì la chiesa di Acqui della giurisdizione di un vasto territorio comprendente Melazzo, Cartosio, Bistagno, Terzo, Cassine e Castelnuovo Bormida. Dagli archivi storici sappiamo che Cartosio rimase di proprietà della chiesa acquese fino al XIV secolo; una data storica è l'anno 1382 quando Amedeo VI di Savoia investì Antonio Asinari ed i suoi figli di numerosi feudi tra i quali quello di Cartosio con annessi castelli, ville e relative pertinenze territoriali. Gli Asinari, una delle famiglie nobili più antiche di Asti, erano ricchi banchieri e commercianti e con l’acquisizione del feudo di Cartosio riuscirono ad acquisire forti guadagni sia attraverso il pagamento dei dazi doganali sia per la posizione strategica tra la riviera ligure e la pianura padana (attraverso la valle dell’Erro). L’antica Cartosio era circondata da mura difensive ed aveva la "forma di un triangolo circondato da muraglie, ruderi di muraglie e fortificazioni" come scrive lo storico Roffredo. Il paese era suddiviso in due parti, quella abitativa e quella comunale comprendente il castello, varie torri e la zona amministrativa. Il castello del quale non si hanno documentazioni per stabilirne l’origine, delimitava il borgo; se ne parla per la prima volta in occasione dell'investitura degli Asinari (1382), famiglia alla quale si deve la sua ricostruzione nel XVII secolo. Nel Novecento gli ultimi ruderi sono stati distrutti, oggi rimane soltanto la torre, baluardo strategico di avvistamento: eretta tra il XII ed il XIII secolo da costruttori anonimi, ma probabilmente provenienti da Casale Monferrato. E' stata realizzata con arenaria locale in conci squadrati. È alta 22,4 metri e ha una pianta rettangolare che si restringe fino all'inizio della verticale posta a 4,3 metri dal suolo: i lati alla base misurano 10,0 e 8,2 metri e si accorciano a 9,6 e 7,8 metri. In origine la torre raggiungeva i 25 metri di altezza perché presentava un parapetto merlato, distrutto il 2 dicembre 1296 dalle milizie Astigiane. È costituita da 7 piani in un unico vano con 3 solai in legno (di facile asportazione in caso di attacco nemico) e con una volta a botte in pietra, posta a circa 11 metri di altezza. A circa 6 m di altezza era stato realizzato nel 1800 uno squarcio nel paramento murario dal quale si accedeva ad un altro locale con volte in pietra. Al piano sottostante questo locale è stato rinvenuto un altro vano, di dimensioni inferiori, adibito probabilmente a prigione, accessibile attualmente attraverso una botola. Al di sotto di tale ambiente era ubicata una enorme cisterna per la raccolta di acqua; il quarto piano era un magazzino per le scorte alimentari, il quinto era destinato a cucina e mensa ed il sesto era il dormitorio della guarnigione caratterizzato da un camino e da un lavabo in pietra con tanto di scarico nello spessore murario collegato con l’esterno. I piani non erano collegati tramite una scala girante attorno al muro, ma con botole quadrilatere poste agli angoli nord-ovest e sud-est. All’ultimo piano sono venuti alla luce dei fori dove con tutta probabilità era posizionata la trave che sorreggeva la carrucola per prendere l’acqua del pozzo. Una peculiarità di questa torre consisteva nel fatto che alla porta d’accesso, ubicata a circa 11 m di altezza (chiamata “pustella”), si accedeva tramite ponte levatoio (che cadeva su un muro battiponte) dal castello limitrofo e a questo si accedeva da un altro ponte levatoio che cadeva sempre sullo stesso muro battiponte. ra Intorno agli anni Novanta la torre è stata oggetto di un primo intervento di restauro a cui ha fatto seguito un secondo intervento che ha beneficiato dei fondi del Gal Borba programmazione 2007/2013. In occasione di questo secondo intervento è stato reso accessibile il terrazzo sommitale che è stato anche pavimentato con pietra di langa ed in generale è stata migliorata l'accessibilità interna della struttura per agevolarne la salita (indicazioni estrapolate dalle linee guida del Gal Borba nella sezione "Cesimento documentario", scheda Comune di Cartosio). La torre di Cartosio fa parte di un circuito di torri d’avvistamento del basso alessandrino che partendo da Merana attaversava il colle di Cadibona e giungeva a Spigno: era in comunicazione con le torri di Vengore, Denice, Castelletto d’Erro, Cavatore, Terzo, Visone, fino ad arrivare al castello di Acqui Terme. Posta sulla piazza, doveva essere il corpo di difesa estremo in caso di guerre ed assedi. L’attuale ingresso alla torre, ancora oggi sito sul lato che fronteggiava l’antico castello, è raggiungibile con una scala a chiocciola esterna. La torre di Cartosio è visitabile fino alla terrazza posta sulla sua sommità. Negli anni venti erano ancora visibili i ruderi di un castello feudale collocabile tra il XIII e il XIV secolo, costruito a sua volta su ruderi preesistenti che non sono databili. Oggi al suo posto sorgono due abitazioni private. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=ixAbyg7O9HY (video di La Cascata dei Sapori), https://www.youtube.com/watch?v=s0gd_z7CMUw (video di Settimanale L'Ancora)

Fonti: https://www.unionemontanasuoldaleramo.it/ubicazione/la-torre-di-cartosio/, https://it.wikipedia.org/wiki/Cartosio, https://www.restauroeconservazione.info/6006-2/, testo di Luigi Moro su https://www.comune.cartosio.al.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/torre-medioevale-2124-1-f65aa7cea3e79ce1aed0a5d28ac04902

Foto: la prima è di Adrian Michael su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Torre_Cartosio.jpg, la seconda è presa da https://www.unionemontanasuoldaleramo.it/ubicazione/la-torre-di-cartosio/

lunedì 20 maggio 2024

Il castello di lunedì 20 maggio

QUILIANO (SV) - Torre di Cadibona

Il valico di Colle di Cadibona era noto fin dai tempi degli antichi romani poiché questo era il punto dove la catena montuosa, che negli altri tratti ha un andamento abbastanza uniforme, si abbassava rendendo possibile il passaggio. Esso fu utilizzato dai Cartaginesi durante la seconda guerra punica (203 a.C.) che, per la ritirata dalla Pianura Padana, passarono proprio da questo valico. La prima strada sulla Colle di Cadibona, però, fu realizzata nel 109 a.C. da Marco Emilio Scauro, un console romano, per agevolare i collegamenti fra Vado e Tortona. Nel periodo napoleonico la strada del valico venne allargata, fu costruita una galleria di circa 300 m ed alcune fortificazioni. La Torre venne costruita dalla Civitas savonese all’inizio del XVI secolo. I motivi che indussero i savonesi a costruire questa fortificazione furono certamente molti, come ad esempio preservare il bosco camerale dai tagli abusivi di legname e difendere i mercanti che percorrevano la strada con merci o con i proventi della vendita. 
In seguito, sotto il dominio di Genova, divenne luogo di pagamento di dazi e gabelle e di fermo per eventuali banditi, controllato delle Guardie Corse. Verso la fine del XVIII secolo, la Torre si presentava come una vera e propria struttura difensiva, dotata di quattro cannoni e provvista di acqua, raccolta in una cisterna, e di depositi dove conservare scorte alimentari e munizioni. Al suo esterno, lungo i contrafforti di destra e di sinistra, furono scavate trincee in grado di contenere fino a mille soldati. Presidio difensivo dei francesi, durante le campagne d’Italia del Generale Napoleone Bonaparte fu per due volte campo di battaglia tra l’esercito francese e quello austro-piemontese. L’edificio originario ha pianta quadrata e si sviluppa su tre piani, collegati da una scala elicoidale in pietra. La base presenta una bassa scarpatura sui due lati ed il piano sottotetto è dotato di quattro garitte pensili angolari. Verso la fine del XIX secolo la Torre, divenuta proprietà privata, fu riadattata a villa addossando al lato sud-est un corpo più basso, coperto a terrazza.

Fonti: https://www.quilianonline.it/storie/la-diga-armata/, http://www.rifugiocadibona.it/wordpress/?page_id=6, https://www.trueriders.it/itinerari-moto/colle-di-cadibona/

Foto: è di Beni Culturali Standard BCS su https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/0700111347#lg=1&slide=0

venerdì 17 maggio 2024

Il castello di venerdì 17 maggio



CANTALICE (RI) - Torrione del Cassero

L'abitato sembra esser sorto intorno al XII secolo dalla fusione del Castello di Rocca di Sopra, della piccola Rocca della Valle e della Rocca di Sotto, elementi urbanistici disposti, come bene esprimono i nomi, lungo il declivio collinare che scende fino alle propaggini della piana reatina. Posto sul confine tra Umbria e Abruzzo, Cantalice vive coronato dalla superba mole del Terminillo (m. 2213), cuore di quel campus tetricus degli antichi Sabini. Sei porte si aprivano nell'inaccessibile castello che con S. Rufina e Lugnano, nella seconda metà dei XIII secolo appartenevano al Regno di Napoli. Il centro appare isolato ed inespugnabile grazie alla scabrosità del colle dove sorge il paese ed alle case serrate tra loro fino al punto più alto dominato dal Torre del Cassero. L’insediamento era articolato nella rocca, di cui oggi resta la torre con cisterna interna, più volte risistemata come dimostra la forma in parte cilindrica, in parte rettangolare, che dominava dal ripido sperone l’accesso alla montagne e il villaggio che si era formato a poco a poco, ai piedi della struttura fortificata. La Torre originariamente era di forma quadrangolare anche se alcuni restauri del passato le hanno dato una forma ibrida con un lato cilindrico. Nel 1304 il comune di Cantalice stipulò alleanza con quello di Rieti, alleanza che però si dimostrò poco solida nel tempo. Proprio per difendersi dalle angherie dei vari feudatari Cantalice concorse al progetto di Carlo II di creare una nuova città che, in onore del suo primogenito Roberto, Duca di Calabria, si sarebbe chiamata Cittaducale. Il quartiere di Santa Croce fu infatti realizzato dai Cantaliciani e dai Lugnanesi. Nel 1457 l'alleanza tra Cantalice, Cittaducale e gli Aragonesi portò allo scontro con Rieti. I giochi di politica internazionale del tempo portarono Cantalice sotto il Papato. Con il trattato di Terracina del Luglio 1443 il Papa concedeva al Re di Napoli, a titolo di Vicariato, il governo di Terracina e Benevento e in cambio il Papa otteneva Cittaducale, Cantalice, Accumoli e Leonessa. Questa situazione durò solo quattro anni poiché Niccolò V, per le spese della guerra delle Marche dovette ricederle il 20 marzo 1447 al Regno di Napoli. Nel 1485 Cantalice rafforzò l'alleanza con Cittaducale contro gli Aquilani che avevano fatto alleanza col Papato. La contrapposizione al Papato nasceva dalla consapevolezza che sottomettersi allo Stato della Chiesa significava sottomettersi a Rieti. Come era facile prevedere alla fine del 1485 si ebbero le prime avvisaglie di quello che nel Marzo '86 divenne una vera e propria guerra. La pace si sarebbe raggiunta solo l'11 Ottobre quando la città de l'Aquila innalzò la bandiera aragonese. Il 24 Giugno 1502 Papa Alessandro VI, per richiesta di Cantalice, formava la diocesi autonoma di Cittaducale: il distacco da Rieti poteva dirsi completo. Il Viceré stesso Ferdinando Alvarez di Toledo, Duca d'Alba, inviò un robusto esercito di oltre 7.000 uomini, comandati da Ascanio della Cornia; quando giunse l'assedio era stato già tolto. Il Vicerè avuto notizie del felice esito della guerra e della ritirata dei Reatini, per onorare l'ordine e la fedeltà dei Cantaliciani li esentò per venticinque anni dai pagamenti fiscali. Perché restasse memoria di quanto accaduto, ordinò che intorno all'arma fosse scritto il motto "FORTIS CANTALICA FIDES" e fosse inserita un'aquila nello stemma, che da allora si presenta così ordinato: scudo coronato con torre di oro in campo azzurro, ai cui lati è il leone rampante e l'elce ramoso, al di sopra l'aquila spiegante il volo e sotto il motto suddetto. Con Margherita d'Austria nel 1571 Cantalice ebbe un periodo di pace. Con il XVII secolo iniziò per Cantalice, come per tanti altri territori italiani, un periodo di decadenza, che culminò nel 1655 con le lotte intestine delle famiglie cantaliciane (Lancia, Tavani, Marritto, Carbuglia). Lo scompiglio generale aumentò per le continue incursioni delle bande brigantesche che si andavano diffondendo nel territorio perché si pagasse loro e non al regio tesoriere il fisco. Una di queste bande fu guidata da Giuliano Micheli cantaliciano. Nel Febbraio 1703 un terribile terremoto danneggiò gravemente l'abitato. Passata la parentesi del dominio Farnese un periodo di benessere si ebbe dopo il ritorno nel Regno di Napoli. Dopo i fatti dei Marzo 1821 e la sconfitta di G. Pepe ricomparvero i briganti. La pandemia di colera degli anni 40 portò ulteriori dannose conseguenze, e i nuovi confini fra Stato Pontificio e Regno delle due Sicilie spezzava l'unità territoriale di Cantalice. Cantaliciani figurarono sia nelle truppe garibaldine quanto nell'esercito regolare. Altri link di approfondimento: https://www.rietilife.com/2024/01/14/cantalice-ecco-il-progetto-di-riqualificazione-del-centro-storico/, https://www.visititaly.it/info/953923-torre-del-cassero-cantalice.aspx, https://www.youtube.com/watch?v=mz-2tT-TWXI (video di Skylab Studios)

Fonti: testo del Prof. Gianfranco Formichetti su https://comune.cantalice.ri.it/contenuti/381325/storia-comune, http://www.prolococantalice.it/Wordpress/?page_id=53, https://gattidelborgo.wixsite.com/gattidelborgo/cantalice-

Foto: la prima è di Andrea Di Palermo su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/302158, la seconda è presa da https://www.e-borghi.com/it/borgo/Rieti/626/cantalice

mercoledì 15 maggio 2024

Il castello di mercoledì 15 maggio



MONTECALVO VERSIGGIA (PV) - Castello

L'edificio, che è posto a 360 m s.l.m. sulla sommità di una collina, faceva un tempo parte del sistema difensivo della val Versa, di cui era un importante caposaldo con la Torre di Soriasco, Golferenzo, Mondonico e la rocca di Montalino. Si trova nella zona collinare dell'Oltrepò Pavese, nella valle del torrente Versa, in cui confluisce il piccolo torrente Versiggia. Il castello negli anni tra il 1214 e il 1216, durante le lotte intercorse tra l'imperatore Federico II di Svevia, alleato con Pavia, contro milanesi e piacentini, fu più volte saccheggiato e lasciato poi andare in rovina. Nel 1287 venne acquistato da Uberto Beccaria (membro di una famiglia aristocratica di parte ghibellina di Pavia). Una lapide ricorda la costruzione del pozzo da parte di Federico Beccaria: SUE UTILITATE POSTERUMQUE / USUI JUGEM PUTEUM ALTE / FODIENDUM EUNDEMQUE / EXTRUENDUM FEDERICUS / BECCARIA ANNIBALIS FILIUS / SUI SUMPTIBUS CURAVIT / ANNO MDXCVI. (vale a dire che Federico Beccaria, figlio di Annibale, fece costruire a proprie spese per sè e i posteri un pozzo profondo e perenne, nell'anno 1596). I Beccaria rimasero proprietari del castello ben oltre la morte, avvenuta nel 1621, del conte Claudio, ultimo feudatario di questa famiglia. Estintosi il ramo principale, il castello rimase infatti in possesso di un ramo collaterale della famiglia. Almeno a partire dal 1639, risultava abitato da Gerolamo e dal capitano Galeazzo Beccaria, e dai registri parrocchiali risultano battezzati a Montecalvo tre figli di quest'ultimo negli anni dal 1646 al 1649. Gerolamo Beccaria morì il 9 marzo 1671, mentre Galeazzo colpito da "febbre maligna", si spense nella sua abitazione al castello il 29 luglio 1687. È certo, però, che con la morte di Claudio Beccaria castello e feudo non furono più riuniti nelle mani della stessa persona. Per via ereditaria, il castello passò infatti a Giuseppe Pietragrassa Berio Beccaria, mentre il feudo fu della famiglia Belcredi. I Pietragrassa, residenti a Pavia, lo tennero come dimora di campagna, recandovisi saltuariamente, e quasi sempre nel periodo della vendemmia per controllare da vicino i loro interessi economici; ma per la maggior parte dell'anno nel castello risiedeva solo un loro agente. Tra i Pietragrassa Berzio Beccaria, proprietari del castello, ritroviamo Galeazzo nel 1729, e Antonio nel 1753, mentre tra gli agenti figurano, oltre al rev. Cristoforo Pezzati ricordato in precedenza, Domenico Vecchi, Germano Bardone, Pio Pezzotti e Mauro Vecchi, tutti nel primo quarto del secolo XVIII. L'edificio, ai primi dell'Ottocento, venne acquistato dai Pisani Dossi. Nel 1823 Luigia, moglie di Carlo Pisani, restaurò l'antico pozzo fatto costruire nel 1596 dai Beccaria nel giardino del castello. Anche questo avvenimento è ricordato da una lapide murata sulla parete del vecchio pozzo: "PROVEXIT ORNAVIT AQUARUMQUE COPIAE CONSULUIT PLUVIALES IMMITTENS. ALOISIA CAROLI PISANI UXOR AN MDCCCXXIII" (cioè, Luigia Pisani nel 1823 lo migliorò provvedendolo di acque abbondanti tramite pluviali). Dai Pisani Dossi la proprietà del castello passò ai marchesi Brignole di Genova. Il 24 novembre 1879 Niccolò Brignole vendette il castello ai cugini Carlo e Luigi Fiori. L'edificio è realizzato in pietra, con inserti in laterizio, ed è caratterizzato da un ampio basamento scarpato. Ha una planimetria ad "U", innalzata su un terrazzo bastionato. Sul lato meridionale sono visibili alcuni resti di una torre e, in corrispondenza dell'angolo sud-occidentale, rimane la base conica di una torretta pensile. Altri link consigliati: https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00187/, https://www.youtube.com/watch?v=CN7YGJUFBJA (video di Pavia Uno TV), https://www.youtube.com/watch?v=YMciJB-oSm0 (video con drone di Franco Bagnasco)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Montecalvo, https://www.comune.montecalvo.pv.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-24909-1-5a70188345a394c98ee458e15d5f46a7

Foto: la prima è presa da https://www.quatarobpavia.it/montecalvo-versiggia-antico-borgo-oltrepo-patria-pinot-nero/, la seconda è presa da https://www.visitoltrepo.com/comuni/comune-di-montecalvo-versiggia/#iLightbox[gallery_image_1]/1

venerdì 10 maggio 2024

Il castello di venerdì 10 maggio


AVIGLIANA (TO) - Castello

Sul paese dominano le rovine del castello, al quale si può accedere con un breve percorso dalla piazza Conte Rosso. Fatto costruire nel 942 da Arduino Glabrione, marchese di Torino, il Castello rimase per molti secoli la chiave della Val di Susa. Data la sua posizione, ebbe notevole sviluppo, ma anche distruzioni e saccheggi. Fu ampliato, munito di mura merlate e ponti levatoi. Il castello viene menzionato per la prima volta tra il 1058 e il 1061 in occasione della cronaca che illustra la costruzione del monastero di San Michele della Chiusa. A margine della narrazione che portarono alla fondazione tra il 983 ed il 987 del monastero micaelico del monte Pirchiriano, il cronista descrive che il marchese Arduino V risiedeva abitualmente nel castello di Avigliana che con certezza dovette svolgere una essenziale funzione strategica per il Marchesi durante la metà dell'XI secolo. Nel 1137 la costruzione è documentata come una delle sedi preferite dal Conte di Savoia Amedeo III quando questi giungeva al di qua delle Alpi (i Conti di Savoia erano penetrati in Piemonte solo nel 1091 dopo aver acquisito l'eredità territoriale della marchesa Adelaide di Susa), divenendone nel secolo successivo centro di espansione degli interessi verso Torino. A testimonianza di ciò in esso nacque Umberto III di Savoia, figlio ed erede di Amedeo III, il 4 agosto 1136. Quando non vi erano i Conti, il castello di Avigliana era la sede stabile del castellano (nominato dal Conte) che amministrava il territorio circostante per conto del suo signore, che a sua volta era feudatario dell'Imperatore del Sacro Romano Impero. Federico Barbarossa durante la sua discesa in Italia lo distrusse insieme ai borghi sottostanti Ferronia e Pagliarino, e poi venne ricostruito da Tommaso I di Savoia. Nel corso di tre secoli la funzione del castello si affermò definitivamente come uno dei principali centri di comando della contea, creando le condizioni per una rivoluzione urbanistica e insediativa ai piedi della collina su cui sorgeva. Nell'XI secolo castello e villaggio dovevano costituire una struttura insediativa molto elementare; un'altura fortificata con adiacente l'insediamento più antico, disposto a schiera lungo la Via Francigena che scorreva lungo la base settentrionale della protuberanza rocciosa del Monte Pezzulano. È molto verosimile che tra le esigenze dei Marchesi di Torino vi fosse la necessità di creare un centro fortificato allo sbocco della Val di Susa verso la pianura di Torino, in una posizione geografica di importanza strategica. Il 24 febbraio 1360 nel castello di Avigliana nacque Amedeo VII Conte di Savoia, detto il Conte Rosso, e nel 1368 vi fu imprigionato in attesa della condanna a morte per annegamento nel Lago di Avigliana Filippo II di Savoia-Acaia, il principe ribelle che aveva governato Torino per conto del Conte Verde (il quale invece risiedeva con la sua corte al di là delle Alpi). Nell'agosto 1449, infine, le mura del vecchio castello videro la nascita di Bona di Savoia, futura moglie del potente Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza. Dopo il XV secolo e fino alla sua distruzione il castello, finito il periodo dei fasti della corte di Savoia, assunse prevalentemente la funzione di fortezza della bassa Val di Susa, cingendosi di bastioni, trincee e spalti erbosi. Numerose volte distrutto e sempre riedificato (l'ultima volta da Amedeo di Castellamonte nel 1655) il castello fu distrutto con l'uso delle mine per l'ultima volta dalle truppe francesi del maresciallo Catinat nel maggio del 1691. Non ebbe più modo di essere ricostruito a causa della mutata situazione strategica della zona, con la costruzione dei nuovi forti sabaudi della Brunetta di Susa nel 1708 (abbattuto poi a fine Settecento) e del Forte di Exilles. Rimane oggi l’impianto delle mura esterne ellittiche, qualche camminamento delle torri di guardia e alcune camere interrate con volte a botte. La risorsa è a cielo aperto ed è sempre visitabile. Si racconta che durante l’ultima battaglia, alcuni soldati francesi, intrufolatisi nella fureria, rubarono una cassa contenente le paghe degli ufficiali e se la svignarono seppellendo il bottino nel boschetto a destra dell’ingresso del castello dove si troverebbe tuttora. La leggenda narra anche di un grosso masso che recherebbe una freccia indicante la direzione in cui cercare il tesoro. A causa della sua suggestività, la zona nei pressi delle rovine è ricca di “apparizioni” di spettri; si dice inoltre che Filippo II di Savoia-Acaia venne imprigionato in questo maniero e, avendovi trovato la morte per annegamento, la sua anima aleggerebbe ancora sulla superficie dei laghi. Altri link proposti: https://archeocarta.org/avigliana-to-castello/, https://www.vivereavigliana.info/il-castello-di-avigliana-continuando-con-la-storia/, https://www.youtube.com/watch?v=XcMFhovvuEU (video di Italo Alotto), https://www.youtube.com/watch?v=wrm9nPHLZQE (video di UMB21VIDEO50), https://www.youtube.com/watch?v=R92-ojNy2h0 (video di GO-TV CHANNEL)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Avigliana#Architetture_militari, https://www.comune.avigliana.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-avigliana-2667-1-8523510260293366504c1513d6198b42, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Avigliana, https://www.turismotorino.org/it/castello-e-borgo-medievale-di-avigliana

Foto: entrambe prese da https://www.vallesusa-tesori.it/it/luoghi/avigliana/il-castello

venerdì 3 maggio 2024

Il castello di venerdì 3 maggio



SPOLETO (PG) - Torre dell'Olio

E' un'antica torre di origine duecentesca che si trova nel centro storico di Spoleto; è inglobata dentro Palazzo Vigili, in prossimità della Porta Fuga. Apparteneva alla vaita Grifonesca. Con un'altezza di 45,50 metri, è la torre più alta della città. Probabilmente è una delle "centum turres", presenti a Spoleto ai tempi del Barbarossa. Alcune sono state nei secoli demolite; altre, anche se mozzate, si possono ancora riconoscere in vari luoghi della città; altre ancora sono poco riconoscibili perché inglobate nei palazzi. La Torre dell'olio è la meglio conservata; il suo aspetto attuale risale probabilmente al XIII secolo. Dirimpetto si trova un'altra torre alta circa 22 metri, detta Torre mozza, un tempo annessa all'ex convento di San Salvatore Minore, divenuto nel 1621 il Conservatorio dello Spirito Santo, per volontà del vescovo Lorenzo Castrucci; anch'essa è inglobata in un palazzo privato. L'epiteto "dell'olio" venne coniato nel Medioevo quando era costume versare olio bollente dalle alte torri a scopo difensivo. La denominazione Torre dell'olio probabilmente risale al secolo XVI e si riferisce all'evento, o leggenda, che ebbe Annibale protagonista. Si è creduto, e si crede tuttora, che nel 217 a.C. gli spoletini abbiano gettato olio bollente sui cartaginesi che tentavano di invadere la città entrando dalla porta che, successivamente riedificata, venne detta Porta Fuga. Reduce da una vittoria sui romani al Trasimeno, Annibale sperava di prendere facilmente anche Spoleto e di proseguire senza difficoltà alla conquista di Roma. Ma l'inaspettata e cruenta aggressione spoletina aveva oltremodo indebolito il suo esercito; per guadagnare tempo e rinforzare le truppe, invece di marciare dritto su Roma, dirottò verso il Piceno. La deviazione diede a Fabio Massimo il tempo di organizzare un'adeguata difesa. La narrazione di questo episodio nei secoli ha perso i riferimenti in merito ai tempi e alle persone: mentre le parole dello storico Tito Livio descrivono un avvenimento memorabile ed esaltano il coraggio e la determinazione degli spoletini, gli scritti di Polibio non ne fanno menzione alcuna; questa mancanza ha sollevato più di un dubbio sulla veridicità del fatto. Non hanno avuto alcun dubbio invece altri storici successivi come Plutarco, che ne parlò nella "Vita di Annibale", e secoli dopo Donato Acciaiuoli, Cluverio, Charles Rollin, Dacier, Jules Michelet, Atto Vannucci e Theodor Mommsen. Anche Carducci ne scrisse nelle Odi barbare: "...sovra loro, nembi di ferro, flutti d'olio ardente, e i canti della vittoria!". "La fuga di Annibale" è narrata inoltre sul sipario storico, attualmente (maggio 2017) in restauro, del Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti dipinto nel 1861 da Francesco Coghetti; nella scena si vedono le possenti mura spoletine che fanno da sfondo a un grandioso scontro di cavalleria, con cavalli al galoppo ed elefanti. La torre ha pianta rettangolare allungata; le dimensioni esterne sono di metri 3,80 x 7,00 con muri di spessore che varia da 1,70 m alla base, fino a 1,00 m in cima. Fuori terra misura 45,50 metri, rimane inglobata nel palazzo Vigili per circa 27 metri e libera per i restanti 19,00 metri. È costruita in muratura di ciottoli e pietrame legati con calce, malta e sabbia di fiume, e pietra calcarea. Sorgeva lungo il tracciato delle mura urbiche. Il basamento è in conci di pietra di 70x80 per un'altezza di circa 8 metri. Internamente il vano è di dimensioni ridotte, diviso da un soffitto a volta che si appoggia lungo i muri più spessi. Lungo la facciata su via Porta Fuga ci sono piccole aperture a sguincio di 20x20 cm di luce, funzionali alla aerazione e al controllo visivo della zona sottostante. Sul lato che guarda a valle, all'altezza del tetto del palazzo che la circonda, si apre un portale ad arco; della stessa forma sono anche i due finestroni in cima. Oggi la torre è interamente di proprietà privata, divisa tra 5-6 proprietari. Non è visitabile. Altri link suggeriti: https://www.umbriatourism.it/it/-/torre-dell-olio-a-spoleto, https://www.umbriain.it/pages/luoghi_dettaglio.php?idsape=78&titolo=Torre_dell_Olio

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dell%27olio

Foto: la prima è presa da https://corvinus.nl/2019/05/10/spoleto-remains-of-a-roman-city/, la seconda è di Starlight su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Spoleto_Torre_dell%27olio.jpg

martedì 30 aprile 2024

Il castello di martedì 30 aprile



MELENDUGNO (LE) - Torre di Roca Vecchia

Agli inizi del XIV secolo, Gualtieri di Brienne, conte di Lecce, ricostruì Roca facendone una città fortificata, attratto dalla felicità della sua posizione geografica, e la chiamò Roche, da cui Roca, a cui apparteneva anche la Torre di Maradico, altro nome della Torre Roca Vecchia, così chiamata a causa delle paludi che ancora oggi la circondano, rendendola una zona poco salubre. Ma nel 1480 la sua popolazione venne messa in fuga dalle incursioni turche. In quell'anno infatti il sultano Maometto II, dopo aver conquistato Costantinopoli (1453) e sottomesso tutta la Penisola Balcanica, inviò una spedizione che sbarcò sulla costa orientale del Salento. Roca Vecchia fu saccheggiata e usata dai Turchi come base operativa per sferrare attacchi alla città di Otranto e ad altri centri salentini. La città, liberata nel 1481, divenne successivamente covo di pirati, tanto che nel 1544 Ferrante Loffredo, governatore della provincia di Terra d'Otranto, dette l'ordine di raderla al suolo. La Torre di Guardia, che sorge un un isolotto poco distante dalle rovine del vecchio castello di Roca, venne costruita nel 1568 dal maestro Tommaso Garrapa, quando la città medievale era già in rovina. E' a base quadrata e a forma troncopiramidale, tipica del periodo del vicereame spagnolo. Comunica a nord con Torre San Foca e a sud con Torre dell'Orso e nel 1576 Antonio Tamiano, procuratore dell'Università di Roca, la munì di un moschetto da una libbra, ricevuto dal sindaco di Lecce. Nel 1639, il torriero Agostino Lopes a causa dell’età avanzata, rinunciò alla sua carica in favore di Carlo Viglialovos figlio di Giovanni, un milite del Castello di Lecce: “Lo spagnolo Agostino Lopes, caporale della torre di Roca vecchia, non potendo più attendere al servizio della torre, per la sua età di circa 80 anni, il 1° maggio 1639 rinuncia alla sua carica in favore di Carlo Viglialovos, figlio del fu Giovanni già milite del R. Castello di Lecce. Carlo è abile al servizio, essendo stato per molti mesi istruito da Agostino.” (Cosi, 1989). La torre è indicata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente coi nomi di “Torre di punta Rocca Vecchia” o “Torre de Voga” ed è presente negli Elenchi del Vicerè del 1569. Essa rimase attiva per circa due secoli. All’inizio del XIX secolo fu censita in cattivo stato e nel 1842 risultava abbandonata perché diroccata. Il rudere è stato recentemente oggetto di importanti interventi di consolidamento. Molto simile per caratteristiche alle vicine Torre dell’Orso e Torre San Foca anche dal punto di vista dei materiali adottati, la sua struttura troncopiramidale a pianta quadrata, ospita al piano terra una grande cisterna un tempo utilizzata per la raccolta dell’acqua. Il primo piano è costituito dal vano abitabile e vi era anche un camino. L’ingresso era raggiungibile con scale a pioli mobili. Sono crollati, del piano agibile lato monte nord, parte del tetto e due pareti adiacenti. Rimangono tuttora tracce del coronamento di caditoie a filo dei paramenti e una finestra originale. In lato mare, sono distinguibili i barbacani in controscarpa. Il materiale calcareo che la costituisce è pesantemente deteriorato ma il recente intervento di restauro ha fortunatamente messo in sicurezza la struttura. Altri link di approfondimento: https://www.visitmelendugno.com/dettaglio/punti-interesse/storia-e-cultura/torre-di-roca-vecchia/, https://www.cortedelsalento.net/salento-dintorni/salento-medievale-scopri-il-castello-di-roca-vecchia, https://www.youtube.com/watch?v=DHR9ylTRoto (video di Coste del Sud), https://www.youtube.com/watch?v=-5-pcFPDhqE (dal minuto 6:50, video di TeleRamaNews)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Roca_Vecchia, https://www.torredellorso.com/le-marine/roca-vecchia/, https://torricostieredelsalento.com/torre-roca-vecchia/

Foto: la prima è presa da https://www.portobadiscoedintorni.it/torri-saracene-e-varie/, la seconda è presa da https://www.cortedelsalento.net/salento-dintorni/salento-medievale-scopri-il-castello-di-roca-vecchia