venerdì 28 giugno 2019

Il castello di venerdì 28 giugno





NIBBIANO (PC) - Castello in frazione Sala Mandelli

Sala Mandelli è posta su un’altura, tra Corano e Montalbo, che regala una magnifica vista sui borghi antichi. La località, proprietà dei Malvicini Fontana dal 1355, passò successivamente in diverse mani: nel 1792 giunse per eredità ai Mandelli, il cui nome fu aggiunto al primitivo toponimo (Sala), di origine longobarda e avente il significato di “masseria”. L’originario Castello, edificato probabilmente tra il XI e il XII secolo dal Comune di Piacenza, venne ricostruito tra il 1693 e il 1701 dai marchesi Malvicini Fontana, allora signori del luogo, nelle forme di una signorile dimora estiva; ancora oggi la residenza conserva l’originale torre d’ingresso ed è circondata da un grandioso parco ricco di alberi d’alto fusto. Il Palazzo ospitò personaggi illustri: nel 1733 l’arciduchessa Maria Amalia figlia del Duca di Parma, Don Ferdinando di Borbone e nel secolo seguente la Principessa Maria Luigia d’Austria.

Fonti: http://www.turismoapiacenza.it/castello_di_sala_mandelli.html, http://www.visitvaltidone.it/percorsi-tematici/♖-arte-e-cultura/castelli-rocche-ville/castello-di-sala-mandelli.html

Foto: la prima è di Leopold Herodote su https://www.inspirock.com/italy/nibbiano/castello-di-sala-mandelli-a6438350103, la seconda è presa da https://www.tourer.it/scheda?palazzo-malvicini-fontana-di-nibbiano-mandelli-sala-mandelli-alta-val-tidone

giovedì 27 giugno 2019

Il castello di giovedì 27 giugno





GALATI MAMERTINO (ME) - Castello

Il Castello di Galati Mamertino viene fatto risalire, a parere di molti studiosi, all’epoca araba, diversamente da coloro che ne sostengono le origini normanne. In questo castello per quattro secoli si svolse la vita feudale di Galati. L'edificio era in posizione ragguardevole sia per sicurezza che per possibilità di controllo del territorio, era dotato di un importante apparato di fortilizi posti nei dintorni. Costituiva l'ultimo bastione del complesso difensivo della vallata formato, oltre che da quello di Galati, da quelli di Bufana (S. Salvatore di Fitalia) e di Beddumunti (Frazzanò). Nel 1124 Adelasia d'Aragona vi fece costruire il priorato dedicato a S. Anna, santa a cui lei era devota. Già nel 1150 Edrisi descrisse Galati come “difendevole fortilizio tra eccelse montagne e popolato e prosperoso”. Nel 1276 Bernard De La Grange fu signore del casale di Longi e di Galati, mentre nel 1291 gli stessi territori vennero ceduti da Federico a Riccardo Loria. Nel 1320 fu ceduto da Federico II di Svevia, detto il Barbarossa, a Blasco Lancia. Un autore anonimo scrisse che “il castello aveva molte belle stanze e cisterne” e la magnificenza di Don Antonio Amato Principe di Galati (1643 - 1667) vi faceva rinchiudere i delinquenti, giacché i Principi del tempo esercitavano anche il potere giudiziario. In seguito il comune divenne autonomo. Nel 1392 Galati fu conquistata da Bartolomeo d’Aragona e citata nel 1558 come centro fortificato, tristemente ridotto a rudere già nel 1750, come attestano le fonti attribuite ad Amico. Attualmente il Castello è considerato proprietà del Comune. Si tratta di ruderi visitabili che difficilmente ne consentono una determinazione planimetrica o temporale. Tali rovine sorgono sulla sommità di un colle, lungo i fianchi del quale (parte meridionale) si è abbarbicato una sostanziale porzione del borgo vecchio di Galati. Solo la porzione settentrionale del colle si tuffa a strapiombo sulla vallata del torrente Fitalia, costituendo per l'antico castello un baluardo difensivo invalicabile. I resti sopraterra sono inerenti ad un circuito murario che cingeva la sommità dell'altura, impostandosi per buona parte sulla roccia calcarea che ancor oggi affiora sul piccolo pianoro. Risulta complesso ricostruire l'originaria forma del castello. In realtà, oltre le porzioni murarie che coprono il ciglio del pianoro a settentrione e oriente, per il resto si possono solo ipotizzare opere murarie simili anche per meridione e occidente. Si possono distinguere alcuni vani abitativi entro il perimetro murario, le cui pareti in parte si innestano sulla roccia calcarea. Non è possibile dare una precisa datazione dei resti murari. Altri link suggeriti: http://www.medioevosicilia.eu/markIII/castello-di-galati-mamertino/, https://polifemobooking.sikelia.com/tours/galati-mamertino-visita-dei-ruderi-del-castello/, https://www.tempostretto.it/news/galati-mamertino-questestate-il-via-ai-lavori-di-consolidamento-per-la-zona-del-castello.html

Fonti: scheda di Denise Vrenna su https://www.messinaweb.eu/features-2/k2/categories/item/650-il-castello-di-galati-mamertino.html, scheda di Giuseppe Tropea su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/messina/galati.htm, https://it.wikipedia.org/wiki/Galati_Mamertino#Ruderi_Castello

Foto: la prima è presa da https://www.vivasicilia.com/itinerari-viaggi-vacanze-sicilia/castelli-in-sicilia/castello-di-galati-mamertino.html, la seconda è presa da http://www.nebrodinews.it/galati-mamertino-consolidamento-zona-castello-affidati-i-lavori/

mercoledì 26 giugno 2019

Il castello di mercoledì 26 giugno





APECCHIO (PU) - Palazzo Ubaldini e Castello della Carda

Dalla metà del 1200 tutta la Vaccareccia, (così è chiamato il territorio attraversato dal corso del fiume Biscubio), è stata dominata dalla famiglia Ubaldini, di origini fiorentine, che divenuti signori della Carda, uno sperone roccioso vicino ad Apecchio, vi costruirono un imponente castello di cui oggi restano solo ruderi. Il Castello della Carda era situato proprio sopra il fosso del Mulino e San Cristoforo di Carda, ma purtroppo di esso rimangono ormai solo poche rovine. Appartenne ai Brancaleoni di Piobbico dal XII secolo (anche se fu probabilmente edificato molto prima), divenne in seguito proprietà del vescovo di Città di Castello e alla fine del XIII secolo fu ceduto al famoso Ottaviano degli Ubaldini, quel cardinale che fu dannato nel cerchio degli epicurei dell’Inferno di Dante assieme all’Imperatore Federico II, di cui sembra si fosse autoproclamato sostenitore. La famiglia degli Ubaldini della Carda governò Apecchio fino al 1752, anno in cui si estinse il ramo maschile ed il territorio apecchiese passò allo Stato della Chiesa, come era avvenuto per il Ducato di Urbino 121 anni prima. Tra i più importanti personaggi di questa casata ci fu il Conte Bernardino della Carda, capitano di ventura e suo figlio Ottaviano II Ubaldini, che nel 1477 iniziò la fabbrica del palazzo comitale di Apecchio e nel 1494 dette alla comunità cittadina gli statuti. Il borgo castello di Apecchio è piccolissimo, ma offre la visione di un bellissimo ed integro centro medievale con chiese e palazzi tutti in pietra, con diverse terrazze panoramiche, che prende vita ogni volta che vi vengono presentate le varie feste e manifestazioni stagionali. In Via Roma ci troviamo di fronte alla Torre dell' Orologio con sotto lo stemma della casata degli Ubaldini, che funge anche da porta d' ingresso al borgo castello di Apecchio. Nella metà del Quattrocento gli Ubaldini si trasferirono nel bel palazzo fatto costruire dal conte Ottaviano II su progetto dell’architetto Francesco di Giorgio Martini. Di questo passato rimangono interessanti testimonianze architettoniche ed artistiche: il già citato Palazzo Ubaldini con il bel loggiato d’onore, formato da otto colonne sormontate da raffinati capitelli ionici, su cui si affacciano le finestre finemente incorniciate del piano nobile. Al centro del colonnato si trova il pozzo o neviera: veniva usato per raccogliere e mantenere la neve quasi per tutto l’anno, a scopo alimentare e per la conservazione dei cibi. Al piano terra sono ubicati il teatro comunale “G. Perugini” (con soli 42 posti il più piccolo delle Marche) e la sala di musica, (in epoca ubaldiniana utilizzata come aula di giustizia), realizzata con soffittatura a volte “a crociera”, ornate con raffinati peducci quattrocenteschi e con un camino con lo stemma dei conti Ubaldini: la testa di cervo con la stella a otto punte. Dal colonnato si possono raggiungere i sotterranei del palazzo; sono ampi locali con volte “a botte”, un tempo utilizzati come scuderie e cantine; oggi sono la sede del Museo dei Fossili e Minerali del Monte Nerone, che ospita una delle collezioni di ammoniti e materiale paleontologico vario più ricche e interessanti d’Europa. Nel piano nobile del palazzo si trova l’aula del Consiglio comunale e nelle altre sale attigue una interessante esposizione di reperti archeologici di varie epoche rinvenuti sul territorio. Altri link per approfondire: https://www.indratrek.it/il-mago-della-carda/, http://www.vivereapecchio.it/cultura-e-storia/, https://www.youtube.com/watch?v=S1K6t5Jp0dw (video di Giorgio Pisciolini), https://www.youtube.com/watch?v=EcW29vOl7Z8 (video di Claudio Mortini).

Fonti: http://www.vivereapecchio.it/palazzo-ubaldini/, http://www.themarcheexperience.com/2017/08/apecchio-pu-citta-del-tartufo-e-della.html, https://www.indratrek.it/il-mago-della-carda/

Foto: la prime due, relative al Palazzo Ubaldini, sono prese rispettivamente da http://www.vivereapecchio.it/palazzo-ubaldini/ e da https://www.flickr.com/photos/apecchio-citta-della-birra/5814457972/ (di apecchio_cittadellabirra). La terza, relativa al Castello della Carda, è presa da http://www.comitatoparcocatrianeronealpedellaluna.it/foto/nggallery/galleria-fotografica/Patrimonio-archeologico-da-salvare/slideshow

martedì 25 giugno 2019

Il castello di martedì 25 giugno






PALAZZOLO SULL'OGLIO (BS) - Rocca Magna e Rocchetta di Mura

La Rocca Magna o Rocha Magna (ovvero un fortilizio occupato da un presidio militare) è il castello della borgata di Palazzolo costruito sulla riva sinistra dell’Oglio tra i secoli IX e XII. È costituito da quattro torri le quali erano unite tra loro da poderose mura circondate da un ampio fossato. Tre torri, denominate Mirabella, Ruellina e Porta di fuori, sono a pianta rotonda ed allineate al corso del fiume. La quarta torre, detta Torre della Salvezza è a pianta quadrata e fungeva da Mastio; era dotata di due porte, entrambe dotate di ponte levatoio: una dava verso l'esterno ed era denominata Porta del Soccorso, l'altra verso l'interno del fortilizio ed era stata battezzata Porta di Riva. Dall'ampio cortile si accede ai camminamenti di ronda ed ai passaggi sotterranei alle mura, tuttora percorribili, che permettono di raggiungere le torri. Centro nevralgico del più ampio sistema difensivo della media valle dell’Oglio, la Rocha Magna rappresentò dunque un baluardo bresciano nella lotta contro la bergamasca Mura per il controllo del fiume Oglio, rimanendo un importante piazza-forte di confine fino alla metà del XIV secolo. Anche durante le dominazioni scaligera e viscontea la Rocha svolse una funzione difensiva e di controllo del territorio, tanto che ospitò al suo interno una guarnigione e un castellano almeno fino al XVI secolo, allorquando, passata definitiva-mente sotto il controllo della Repubblica di Venezia, il 12 giugno 1517, il Senato veneto decise di abbandonarla insieme a quelle fortezze ritenute di poca utilità strategica e costose da mantenere. A seguito di questa decisione, venne ceduta al Comune con l’impegno di garantirne la necessaria manutenzione e la custodia; rimase comunque ancora adibita a guarnigione militare, anche se nel marzo del 1630 venne utilizzata come luogo di isolamento per i sospettati di peste (primo di svariati altri usi). Il fossato venne invece adibito agli inizi del ‘700 a campo per il gioco del pallone, tanto che nel 1816 venne concesso a don Tedoldi per farvi giocare, la domenica, i ragazzi dell’oratorio. Nel 1813 si ebbe la parziale demolizione della torre della “Mirabella” per adibirla a basamento della erigenda Torre del Popolo, altresì, nello stesso anno, la Rocha Magna venne affittata a uso abitazione e, per l’occorrenza, a uso militare, limitatamente agli alloggi. Nel 1830, intendendo alienare definitivamente l’immobile, il Comune diede incarico a un perito di effettuare una stima del valore; l’operazione andò tuttavia in porto solo nel novembre 1840 quando la Rocha venne acquistata da don Giovanni Brescianini, all’epoca direttore delle scuole pubbliche cittadine. Per più di un secolo il castello rimase così di proprietà di diversi privati. Divenuto quindi di proprietà della famiglia Kupfer, nel 1990, per volontà dell’ingegner Aldo Küpfer, la stessa cedette nuovamente gli imponenti resti della Rocha Magna al Comune di Palazzolo. La Rocha Magna presenta una pianta trapezoidale cinta da alti muraglioni realizzati con ciottoli di fiume e circondata da un profondo fossato che con ogni probabilità non venne mai riempito di acqua. Le tre torri rotonde, anteriori al XIII secolo, sono denominate “Mirabella” (sulla quale poggia ora la Torre del Popolo), “Ruellina” (di diametro inferiore alla prima, da essa si sviluppavano le mura che scendevano verso l’attuale via dei Molini) e la “Torre della porta del soccorso” (edificata al di fuori delle mura del castello). All’interno della Rocha Magna si trovava la “Torre della salvezza”, di forma quadrata, che svolgeva diverse funzioni: dalla sorveglianza della cinta muraria e delle terre esterne al controllo dei cortili interni. Il muraglione era interrotto da due porte, entrambe munite di ponte levatoio: quella “della Riva” (l’attuale ingresso) e quella “del soccorso”, che si apriva sulla campagna; a fianco della porta principale venne inoltre aperta un’altra porta di soccorso o della “pusterla” che consentiva il passaggio a un solo cavallo per volta. All’interno delle mura si apriva invece un vasto cortile con al centro un pozzo per l’approvvigionamento idrico e alcune abitazioni, oltre ai depositi di armi e masserizie per gli armigeri e alle stalle per i cavalli. Erano poi stati ricavati due ordini di camminamenti sotterranei (in parte visitabili ancora oggi) che univano le torri attraverso scalette e cunicoli piuttosto stretti; un ulteriore camminamento di ronda era stato infine allestito sulle mura.

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Conosciuta originariamente col termine latino "Rocha Parva", la Rocchetta di Mura si trova dirimpetto al ponte romano ed è quel che rimane del castello della frazione di Mura. Del fortilizio originario restano la Porta di Mura, ingresso posto sul lato bergamasco della cittadina, la torre rotonda e parte delle mura. Nell'epoca precedente alla Pace di Mura si contrapponeva alla "Rocha Magna" di Palazzolo, più grande e sulla riva nemica del fiume. Costruita tra la seconda metà dell'VIII secolo e la prima metà del IX secolo, è ora visibile attraverso la torre quadrata d'avvistamento, ora trasformata in campanile con orologio. Le ricostruzioni storiche fanno risalire la costruzione della Rocha Parva allo stesso periodo in cui venne realizzata la Rocha Magna (l’attuale Castello), ovvero tra IX e X secolo. È logico del resto supporre che il sorgere di due fortilizi contrapposti debba essere stato pressoché contemporaneo e dettato da identiche (ma contrapposte) necessità, il cui denominatore comune è da ricercare nella volontà di difendere l’attraversamento del fiume Oglio nel punto dove ancora oggi si trova il vecchio ponte. In altre parole, la Rocha Parva, oltre a controllare il traffico sul vicino ponte, era il baluardo di Mura, sulla sponda bergamasca dell’Oglio, contrapposta alle difese bresciane che comprendevano il fortilizio sul medesimo ponte e l’anzidetta Rocha Magna. Posta dunque a capo delle imponenti difese bergamasche lungo il fiume, che raggiunsero l’apice della loro espansione nella prima metà del XIII secolo, la Rocha Parva era formata dalla Rocchetta: un’alta torre da cui si dipartivano le mura e il fossato, una porta fortificata e gli alloggi per il castellano e la guarnigione. A ogni modo, dopo la seconda pace di Mura del 1192, in seguito all’unificazione in un solo Comune dei due precedenti nuclei urbani contrapposti, la Rocha Parva venne progressivamente perdendo la propria importanza. Nella prima metà del XV secolo essa era ridotta piuttosto male e le varie azioni belliche a cui fu sopposta contribuirono a renderla ancora più malconcia, tanto che nella seconda metà del secolo venne abbandonata e subì smantellamenti e mutilazioni continuati per diversi secoli. Un analogo destino ebbe peraltro anche la cinta muraria dei due antichi nuclei urbani. La Rocchetta si trovava originariamente inserita in un complesso fortificato (la Rocha Parva), progressivamente smantellato, difficile da ricostruire nelle sue forme e dimensioni. Si sa tuttavia per certo che essa, come un grandioso rivellino, si apriva a guisa di porta direttamente sul ponte dell’Oglio: era la cosiddetta porta pontis Olii versus rochetam contrapposta a un’altra porta fortificata posta all’imboccatura opposta del medesimo ponte e chiamata probabilmente porta pontis Olii versus plateam magnam, altrimenti nota come “torrazzo”. A sua volta la Rocchetta possedeva un porta di ingresso, detta porta rochetae, i cui doppi battenti erano rinforzati all’esterno da chiodi e placche metalliche. Essa era il punto di partenza di un terrapieno e di un fossato che circondavano il rione di Mura e giungevano sino alla Torre Rotonda (o Torrione) prima di scendere nuovamente verso il fiume, sull’attuale lungo Oglio, dove, nel contiguo giardino pubblico, ancora oggi si possono vedere alcuni dei resti di queste antiche mura. Il ruolo militare della Rocchetta è intuibile grazie ai resti della torre stessa: sul lato nord sono visibili alcune monofore, mentre sul lato sud i supporti, in pietra di Credaro, sui quali poggiavano i graticci che proteggevano i soldati nelle ore diurne. Come detto, la Rocchetta venne poi trasformata in campanile con orologio. Per raggiungere la cella campanaria esiste ancora l’originale scala a chiocciola in pietra di Sarnico; la tessitura muraria della torre non è invece omogenea: negli spigoli è costituita da blocchi squadrati di pietra, mentre il resto è composto da ciottoli di fiume e mattoni. La torre termina infine con quattro aperture arcuate, che formano la cella campanaria, rette da pilastri e coperte da un tetto di legno e tegole. Altri link suggeriti: http://www.fiumeoglio.it/pdi/castello-di-palazzolo/, https://artbonus.gov.it/431-rocha-mania.html, https://www.bresciaoggi.it/territori/sebino-franciacorta/la-rocchetta-torna-a-fare-capolino-nel-centro-di-mura-1.5060725, https://www.youtube.com/watch?v=BEqaAeJ6sXQ (video di Kuma - Volontari della Cultura Palazzolo), https://www.youtube.com/watch?v=vQWf276qtPk (video di aprSkylab).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzolo_sull%27Oglio, https://www.comune.palazzolosulloglio.bs.it/pt/cultura/monumenti-e-musei

Foto: la prima e la seconda, relative alla Rocca Magna, sono prese rispettivamente da http://www.palazzoloonline.com/Palazzolo-Monumenti.htm e da https://artbonus.gov.it/431-rocha-mania.html. La terza, relativa alla rocchetta di Mura, è presa da https://vezzolifranciacorta.it/it/2015/04/20/camminar-gustando/

lunedì 24 giugno 2019

Il castello di lunedì 24 giugno




NARDO' (LE) - Castello Acquaviva

La nascita di Nardò come centro abitato risale al VII secolo a.C. con la presenza di un insediamento messapico. Nel 269 a.C., insieme al suo porto di "Emporium Nauna" (l'attuale Santa Maria al Bagno), fu conquistata dai Romani e divenne municipium (Neritum o Neretum) dopo la guerra sociale. Alla caduta dell'Impero romano d'Occidente (476) ed in seguito alle battaglie tra Bizantini e Goti (544), fu assorbita dall'Impero bizantino (552-554) e, per un breve periodo (662-690), fu annessa al Regno longobardo. Durante i cinquecento anni di governo bizantino si incrementò la presenza dei monaci basiliani la cui influenza determinò la diffusione del rito e del culto orientale. Tra il 901 e il 924 Nardò fu attaccata e saccheggiata dai Saraceni provenienti dalla Sicilia. Nel 1055 i Normanni conquistarono la città ed ai monaci benedettini fu concesso di insediarsi al posto dei monaci basiliani nell'Abbazia di Santa Maria di Nerito. Nella seconda metà del XIII secolo seguì la dominazione angioina che determinò la nascita e la diffusione del feudalesimo. Fu feudo dei Del Balzo e nel XV secolo fu coinvolta nelle lotte tra Aragonesi, Veneziani e Turchi. Nel 1413 l'antipapa Giovanni XXIII elevò l'abbazia neretina a sede episcopale. Dal 1497 fino al 1806, come ducato, fu feudo degli Acquaviva. Con l'abolizione del feudalesimo, la città non fu più soggetta alla tirannia della famiglia Acquaviva, che rimase però titolare di numerose proprietà. Furono eletti commissari governativi Mattia de Pandi, Antonio Tafuri e Giuseppe Bona. Le prime notizie sul castello risalgono alla seconda metà del XV secolo, quando la sua edificazione segnò il passaggio dalla dominazione angioina a quella aragonese, che in città coincise con l'affermazione della famiglia Acquaviva. La struttura fu opera dell'architetto Giulio Antonio Acquaviva, duca di Atri e Conte di Conversano, comandante in capo delle truppe aragonesi nel 1481 durante la liberazione di Otranto dai Turchi. Egli fu allievo di Francesco di Giorgio Martini. Probabilmente l'edificio fu concepito come ampliamento di una costruzione precedente, e si caratterizzò con un impianto quadrangolare cinto da mura e circondato da un profondo fossato (che fu colmato agli inizi del’900, salvo per il lato attiguo alla “Villa Comunale”). Il maniero era completato agli spigoli da quattro massicci torrioni a mandorla dei quali uno maggiormente sporgente rispetto al tracciato perimetrale ed alle mura di cinta cittadine; una delle torri fu poi fatta ricostruire dal Guercio di Puglia dopo la rivoluzione neretina del 1647 scoppiata in concomitanza con la rivolta popolare di Napoli guidata da Masaniello; sicuramente tutto l'edificio si sviluppava su quattro livelli in cui erano distribuite circa 49 stanze. L’originaria fortezza di Nardò, il “castrum”, era ubicata nella parte alta del centro storico ( quella che potremmo definire l’acropoli) dove adesso sorge il convento annesso alla chiesa dell’Immacolata. A darcene notizia è un documento del 1271 con cui re Carlo d’Angiò (1266-1285) concede il “regium castrum” ai frati francescani per il tramite di un suo parente Filippo di Tuzziaco (de Toucy); tale dismissione è motivata con la “vetustà” della struttura, il che farebbe supporre che si trattasse di un castello di epoca normanno-sveva, forse costruito o ampliato dal normanno Roberto il Guiscardo. In ogni caso, quando gli Angioini s’impossessano del regno meridionale strappandolo agli Svevi, il “Castrum Neritone” figura nell’elencazione dei castelli di Terra d’Otranto fatta dal Giustiziere, ovvero dal funzionario regio. Il castello aveva un ponte levatoio che scavalcava l'antico fossato, oltre ad essere fornito di bocche cannoniere, feritoie e balestriere laterali, tutti elementi andati persi con la trasformazione dell'edificio in residenza signorile. In epoca aragonese il Castello è stato citato in un documento del 1463 quando il re Ferrante d’Aragona riceve l’omaggio dei cittadini di Ceglie e in un altro documento del 1483, allorché la città di Nardò viene venduta al conte Ugento Anghilberto del Balzo, schieratosi dalla parte della Repubblica Veneta in conflitto con il re Alfonso II d’Aragona (figlio di Ferrante) che, per vendicarsi, fece “spianare le mura” (il che fa supporre anche una temporanea inagibilità del castello). Nel 1495 viene conclusa la pace e il re Federico d’Aragona, primo Duca di Nardò. A Bellisario Acquaviva si deve la ricostruzione del castello nell’attuale versione ed il rifacimento della cinta muraria con le sue 18 torri ,che si possono vedere in una illustrazione del Bleau-Mortier. I torrioni circolari - secondo le tecniche militari dell’epoca - offrivano una superficie sfuggente in grado di deviare la traiettoria delle palle di cannone evitando quindi l’impatto diretto sulla superficie muraria. Dove oggi sono gli uffici dell’URP vi era il corpo di guardia che sorvegliava l’ingresso alla piazza d’armi (cortile interno) e al piano nobile, residenza degli Acquaviva. Diversi blasoni della famiglia aragonese campeggiano sui torrioni e sulla facciata principale. Il cortile interno quadrangolare, piuttosto piccolo e spostato ad occidente rispetto all'asse della struttura, costituiva la piazza d'armi mentre i duchi risiedevano al piano nobile. Con le leggi napoleoniche eversive della feudalità il castello venne sottratto alla casata degli Acquaviva e, dal 1806, divenne proprietà dei baroni Personè, il cui stemma è visibile al centro del balcone; a loro si deve l’attuale facciata in stile neoclassico-eclettico, sovrapposta all’inizio del ‘900, allorché decisero di trasformare il castello in residenza aristocratica. I lavori di rifacimento del prospetto furono commissionati all’ing. Generoso De Maglie (Carpignano Salentino 1874-1951) progettista anche di Ville in località Cenate. Evidente nella facciata il recupero di motivi decorativi tipici del barocco leccese, come il bugnato e la mensola figurata, associato ad inserimenti medievali riscontrabili nei cornicioni della parte più alta delle torri, lievemente aggettanti, che poggiano su piccoli beccatelli a mensola. Da notare le 52 maschere apotropaiche (antropomorfe, zoomorfe e demoniache) che si alternano alla base del cornicione sotteso alla merlatura. A destra di detta facciata la “Villa Comunale”, ossia il parco del castello: un suggestivo giardino mediterraneo con varie specie arboree (Pini d’Aleppo, Lecci, Yucche) abbellito da un gazebo a forma di tempietto, pavimentato con maioliche celesti. Anche la facciata principale, decorata con motivo a bugnato, è frutto del rimaneggiamento ottocentesco, e caratterizza oggi l'aspetto definitivo di questo ormai nobile palazzo che nel 1933 fu venduto al Comune di Nardò per £.78.780. Dal 1934 ospita una parte degli uffici comunali tra cui quelli di rappresentanza, stanza del Sindaco, Sala Giunta e Aula Consiliare. Nella sala Consiliare sono custodite 3 importanti opere, una quarta si trova nel corridoio antistante la Sala Giunta. Si tratta di tele di indubbio valore artistico e storico: “Omaggio alla Vergine Incoronata”, di Anonimo, risalente alla fine del '600, periodo in cui fu eletta a protettrice di Nardò; “San Gregorio Armeno” e “Sant’Antonio da Padova”, entrambi di autore Anonimo e d’inizio ‘700. Oltre alla rilevanza artistica, le suddette tele hanno valore documentale della storia di Nardò per la presenza di vedute di scorci cittadini ed in particolare di un’interessante panoramica di Nardò medievale, circondata dalla cinta muraria, nell’ambito della quale si notano Porta San Paolo, i campanili della Cattedrale e delle chiese di San Domenico e dell’Immacolata e la Torre del vecchio Palazzo di Città, nonché un’originale stemma civico raffigurato attraverso l’allegoria di San Michele Arcangelo, primo protettore di Nardò, che incorona il Toro. Il quarto dipinto – settecentesca opera di scuola napoletana – è un “Ritratto del Vescovo Antonio Sanfelice”, figura fondamentale nelle vicende architettoniche della Nardò barocca. Altri link per approfondire: scheda di Marcello Gaballo su http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/27/note-storiche-sul-castello-aragonese-di-nardo/, http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=94727 (con visita virtuale), https://www.youtube.com/watch?v=djvZyufHr74 (video di Virginia Mariani), https://www.youtube.com/watch?v=wwbfjTHdkJM (video di Tutto sul Salento su SalentoViaggi.it)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Nard%C3%B2, https://www.comune.nardo.le.it/citta-territorio/il-castello.html, scheda di Cosimo Enrico Marseglia su https://www.corrieresalentino.it/2018/11/fortezze-di-puglia-il-castello-di-nardo/

Foto: la prima è presa da https://www.salentoviaggi.it/salento/offerte-vacanze-nardo.html, mentre la seconda è una cartolina della mia collezione. Infine, la terza è di carlom su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/142662/view

venerdì 21 giugno 2019

Il castello di venerdì 21 giugno





TRIORA (IM) - Castello

Secondo alcuni storici locali, il borgo ebbe probabilmente avuto origine nell'epoca romana, dalla tribù dei Liguri Montani, che si sottomisero all'Impero romano dopo lunghe lotte nel territorio. Come altri paesi vicini venne sottoposto alla Marca Aleramica e successivamente a quella facente capo ad Arduino d'Ivrea. In seguito divenne possedimento, intorno al XII secolo, del conte di Badalucco (politicamente dipendente dai conti di Ventimiglia) ed iniziò a stringere alleanze con i paesi e borghi attigui, specialmente con quelli maggiormente vicini alla politica espansionistica della Repubblica di Genova, e ad acquistare nuove terre tra cui metà castrum di Castelfranco (l'odierna Castel Vittorio). La stretta vicinanza politica con Genova fece sì che in un atto del 4 marzo 1261, rogato poi l'8 novembre del 1267, si sancisse il passaggio di Triora come nuovo feudo della repubblica genovese. Il passaggio di proprietà giovò molto al paese e al borgo - soprattutto per le numerose concessioni offerte dal capoluogo genovese, tra cui la libera pena capitale - tanto da diventarne comune capofila della nuova podesteria comprendente i borghi di Molini di Triora, Montalto Ligure, Badalucco, Castel Vittorio, Ceriana e Bajardo. La creazione di nuove cinte murarie e l'erezione di cinque fortezze difensive creò una sorta di nucleo fortificato, quasi inespugnabile, che mise a dura prova le truppe dell'imperatore Carlo IV nella tentata conquista del borgo. Persino la repubblica ebbe notevoli problemi nella sua gestione, leggermente inasprita per le continue tasse imposte agli abitanti, tanto da far imprigionare il capo delle milizie e distruggere parte della fortezza. Nonostante i dissapori creatisi, la popolazione rispose positivamente alle chiamate di guerra, specie nella famosa battaglia della Meloria del 1284, dove Triora e la sua podesteria inviarono nella battaglia marinara contro Pisa circa duecentocinquanta balestrieri a sostegno di Genova. Nel 1625 l'esercito piemontese del Ducato di Savoia cercò invano la conquista del borgo, che strenuamente difese le proprie terre, a differenza di altri paesi vicini che - dati alle fiamme - si arresero ai sabaudi. Ulteriori scontri si ebbero nel 1671 con la comunità di Briga (ora in territorio francese) per futili motivi legati al territorio da pascolo. L'edificazione del castello avvenne probabilmente nel periodo che va dal XII secolo al XIII secolo, costruito interamente nella roccia sul punto più alto dell'allora paese di Triora. Citato nei documenti antichi come il Castrum Vetus Triorae, e antico possedimento dei conti di Ventimiglia, proprio per la sua posizione considerata strategica lungo le vie principali della valle Argentina fu nel periodo medievale acquisito dalla Repubblica di Genova che ne fece un'importante baluardo difensivo. Un'importanza militare che con l'avvento di nuove postazioni difensive lungo questa parte della Liguria Occidentale, e anche dalla migliorie in campo difensivo e armi da fuoco, venne sempre meno tanto che nel 1625, nelle azioni belliche tra lo stato genovese e il Ducato di Savoia, il castello triorese risultò pressoché non servibile. Attualmente risulta in stato di rudere. Fulcro dell'economia feudale era il sistema curtense, che si irradiava intorno al castello del feudatario. A Triora il castello dovette essere costituito dal forte di San Dalmazzo, a cui era annessa la chiesa omonima e l'abitazione del signore. La corte era una vera e propria cittadella completamente autosufficiente, con i suoi magazzini, coloni e artigiani, e vendeva, comprava e barattava con i trioresi i prodotti della terra e i manufatti locali. Qual è il fascino e la storia di questo antico fortilizio? "Il Castello di Triora – dice lo storico Alessandro Giacobbe - rappresenta l'unicità del tipico sistema difensivo della Liguria Occidentale. Pur essendo sostanzialmente piccolo, riprende una struttura che molto probabilmente era legata al primitivo insediamento preromano della Valle Argentina. Grazie alla sua posizione strategica, dal forte si potevano controllare tutte le vie di comunicazione, dalle pianure del nord Italia al mare. Prima i Conti di Ventimiglia, ma soprattutto i genovesi, verso la metà del 1200, nell'espansione verso la Liguria Occidentale, capirono la sua importanza e decisero di acquisirlo, nell'ambito dell'acquisto dei diritti signorili su Triora. Il Castello, pertanto, divenne il perno di un ampio sistema difensivo di Genova basato su avamposti per il controllo del territorio ligure. Con il passare del tempo, però, perse gradualmente il suo potere e la sua funzione. Alla Repubblica Genovese serviva più un controllo sulle strade che con punti fortificati, tanto che nella guerra del 1625, una guerra definita moderna con armi da fuoco, non serviva già praticamente più a nulla". Altri link suggeriti: http://www.fotografieitalia.it/foto.cfm?idfoto=11850, https://www.youtube.com/watch?v=KLrOUii0ypg (video di Vaghi per il mondo)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Triora#Storia, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Triora, http://www.sanremonews.it/2017/06/22/leggi-notizia/argomenti/altre-notizie/articolo/triora-con-lo-storico-alessandro-giacobbe-alla-scoperta-del-castrum-vetus-trioriae-il-castel.html

Foto: la prima è di jonhill su https://mapio.net/pic/p-18121647/, la seconda è presa da http://www.rivieradeibambini.it/i-borghi-belli-ditalia-triora-non-streghe/

giovedì 20 giugno 2019

Il castello di giovedì 20 giugno






PASSIGNANO SUL TRASIMENO (PG) - Castello di Monte Ruffiano

Si trova sulla sommità di una collinetta sulla destra all’altezza dell’uscita di di Torricella sul Lago Trasimeno. Appena usciti dalla E45, occorre proseguire a sinistra verso Passignano Sul Trasimeno per poi svoltare a destra in direzione San Vito. Si parcheggia l’auto all’altezza di uno slargo; si attraversa la strada e si prende un piccolo sentiero che costeggia la piccola area archeologica di origine romana chiamata Quarantaia sino ad arrivare a un bivio. Superata Quarantaia, seguendo i segni bianchi e rossi del CAI si continua a salire sulla sinistra fino a 494mt e si prende un sentiero molto panoramico che attraversa a mezza costa una zona di recente imboschimento, conducendo in pochi minuti alla radura posta sotto il Monte Ruffiano. Facendo molta attenzione alla folta vegetazione (non esiste un sentiero evidente), si può salire fino la cima dove si trovano i ruderi di una vecchia Torre Fortificata (423mt). Dalla radura si torna indietro e si piega a destra prendendo un sentiero panoramico parallelo più in basso rispetto al precedente. Si ritorna alla strada asfaltata e dopo averla attraversata di nuovo si percorre lo stesso itinerario dell’andata. Intorno al nome così singolare del luogo corre una leggenda che deriverebbe da un avvenimento amoroso e contrastato:
“un ragazzo invaghitosi di una pudica e bellissima signora, venne alla determinazione di rapirla. Ma dove portarla? Questa torre isolata non poteva essere che il luogo ideale.
Qui la poteva tranquillamente tenere nascosta e incontrarla segretamente.
E qui per qualche tempo si protrassero gli incontri amorosi fino a quando il marito scoperto il nascondiglio segreto, riportò a casa, impunita, la sposa infedele“.
Secondo altri si vuole invece che il nome derivi dalla sua particolare posizione e dalle peculiari caratteristiche della facciata che permettevano di spiare in qualsiasi direzione le mosse che i nemici potessero fare per attaccarla. Prima che le si attribuisse il nome attuale pare che fosse chiamata “Torre di Monte Reale“. In realtà il toponimo potrebbe essere di origine romana e derivato dal nome Rufus, forse proprietario del piccolo monte e costruttore della prima torre di avvistamento (nell’antichità, infatti, il luogo era denominato Mons Rufianus o Rufinus) o derivante dall’estensione al castello dell’intitolazione della chiesina che vi era preesistente: San Rufino de Forcella lacus (punto di congiunzione delle strade sotto al castello). Il castello risulta, come detto, avere una probabilissima origine romana, dato che proprio in questo periodo, vennero erette a Passignano torri d’osservazione, fortificazioni e insediamenti romani. Il Trasimeno, grazie alla ricchezza del suo territorio, favorita dal lago con la pesca, divenne prezioso luogo di interesse economico e militare. La storia del castello di Monte Ruffiano, ha rappresentato, per la regione, una rocca difensiva importante sulla “via toscana”; l’unico passaggio, per secoli, dal centro Italia al nord. Dell’antico fasto del castello, oggi non rimane che un cassero ridotto a rudere e una torre. Il castello di Monte Ruffiano venne eretto probabilmente nel X secolo, sulle rovine di una chiesetta che vi fu inglobata. La fortezza, secondo i documenti a nostra disposizione, fu eretta dai perugini sulle colline tra Passignano, Castel Rigone e Magione prima dell’anno Mille sulla “via toscana“, l’unico passaggio, per secoli, dal centro Italia al nord e vi figurava una guarnigione di soldati per tenere a bada il confine con l’insidiosa Arezzo. Era un luogo abitato non solo dai miliziani ma anche dalle loro famiglie: lo testimoniano i ruderi tra cui la vecchia cisterna abbastanza ben conservata e i resti che indicano l’esistenza di altre costruzioni come quella di un vecchio mulino a olio del quale si conserve la massiccia macina che, non si sa per quale accidente, giace in fondo al fosso sottostante. In origine pare che all’interno del castello ci fossero ben 4 chiese di cui una inglobata nel piano terra del castello e un’altra più tarda ebbe il titolo di Parrocchiale dedicata e Santo Stefano fin dal 1238. Nel 1014 Enrico II la sottomise all’abbazia di Farneta insieme a San Vito e San Donato e ogni anno dovevano alla Badia un canone di “dieci staia di grano e di quattro para di capponi“. La conferma alla sottomissione di Farneta si ebbe con papa Gregorio IX con una sua Bolla vi sottometteva diverse chiese tra cui “Ecclesiam Sancti Stephani de Monte Ruffiano cum omnibus pertinentiis et iuribus suis..”. Nel 1301 la comunità si ribellò a Perugia e nel 1380 faceva parte del contado di Porta Susanna. Nel 1292 intorno al castello, era vivo un copioso agglomerato urbano, tanto da raggiungere il numero di 230 abitanti ma successivamente la sua popolazione diminuì per la struttura alquanto arcaica del fortilizio che lo rendeva poco difendibile. Nel 1438 vi vivevano 9 famiglie che salirono a 13 del 1456. Verso la fine del XV secolo la sua popolazione si assestò tra le 110 – 130 unità. Nel 1526 incominciando a perdere la sua importanza fu unita alla parrocchia di San Vito (che si trova a poca distanza nel versante orientale) con quella di S. Donato; tutte e tre le chiese divennero poi membri della Badia di Santa Maria di Val di Ponte, di cui era abate il Cardinale Armellino di Perugia. Questa chiesa aveva un discreto patrimonio e ne fu Rettore Don Camillo della Cornia fino al 1567. Nel 1584 il Vescovo di Perugia nella sua visita pastorale ebbe la sgradita sorpresa di trovarla con il tetto completamente rovinato: ordinò che fosse demolito e rifatto. Il suo quasi completo abbandono si ebbe dopo la “Guerra Barberina” (o guerra di Castro), avvenuta nel 1643 tra le truppe papali e quelle toscane del granduca Ferdinando II (in seguito alla quale Passignano fu ceduta al granducato di Toscana), nel villaggio ormai non c’erano più abitanti; la rocca veniva frequentata dai contadini locali perché al suo interno c’era una chiesa, dedicata a Santo Stefano, ancora oggi distinguibile al piano terra della costruzione. Mentre Monteruffiano andava perdendo d’importanza come luogo fortificato rimaneva sempre un centro di rilievo per il numero consistente di fedeli che lo frequentavano. Si sa che nel 1763 vi si celebravano tutte le funzioni parrocchiali e con particolare solennità si veneravano alcuni Santi per i quali gli abitanti del luogo avevano una particolare devozione. Agli inizi dell’800 vi accorreva ancora una gran folla, proveniente da ogni parte per onorare l’immagine su tela di Sant’Antonio da Padova (13 giugno) e per ricevere, con grande devozione, l’elemosina del pane benedetto. Alla metà del secolo scorso e precisamente nel 1844 la chiesa aveva subito delle modifiche sostanziali; era stato eretto un divisorio dinanzi all’altare per ricavarne una camera o una cucina colonica. Essa conservava sempre i suoi beni e il parroco dia San Vito si recava ugualmente a celebrare qualche funzione religiosa, poiché si conservava sempre la pietra consacrata. Sopra la porta d’ingresso si leggeva: “Ecc. D. Stefani – Unita S. Vito“. Nella cella campanaria vi era una campana in cui era scritto: "Nicolae Benadicti de Cortonia me fecit. A. MCCCCVII". Il castello ed i suoi terreni nell’800 furono proprietà della contessa Anna Baglioni Baldella e nella prima metà di questo secolo tra i vari proprietari il più sensibile fu Carlo Gogoli di Bologna che considerando ancora ospitale il luogo e la vecchia Torre la rese abitabile al piano terra ripulendola di tutte le macerie che vi si erano ammassate. Sistemò le inferriate e chiuse l’ingresso con una porta massiccia; la stanza ben mobiliata accoglieva brigate di amici. Ora di tutto questo non vi è traccia e all’interno della costruzione trovano ricetto rapaci di vario tipo, soprattutto civette e gufi, nell'edificio completamente abbandonato in attesa che i secoli e l’inclemenza del tempo lo distruggano fino a renderlo un cumolo di pietre. Questo luogo così lontano dalla principale via di comunicazione e nascosto da una fitta vegetazione alimentò molte fantasticherie. I contadini durante la settimana santa vedevano dei lumi nella notte e così fitti da sembrare una processione. C’è un crocevia nei pressi della torre che è chiamato ancora “l’incrocio delle streghe” perché era credenza popolare che nella notte di San Giovanni, il 24 giugno, a mezzanotte, esse vi tenessero convegno. Per questo il rudere è anche chiamato “La torre delle streghe“. Di tutto l’agglomerato urbano, le attività produttive e la chiesa sopravvissute fino alla fine dell’800 non rimane traccia solo ammassi di rovi e pietre, la massiccia torre è monca del terzo piano da circa due secoli e sta per essere sopraffatta dalle piante infestanti che nella facciata sud sono arrivate fino in cima. Nel piano terra è rimasto abbastanza integro il locale voltato della chiesa con il pavimento originale in lastre di pietra, anche se vandali hanno cominciato a scavare buche. All’interno della parete nord-est è evidente un condotto che corre dentro il muro che scende dai piani alti e sicuramente aveva il compito di scarico delle latrine dei piani superiori ora crollati. Nel piazzale antistante fra le sterpaglie ed i rovi è ancora in buono stato la cisterna per la raccolta delle acque (ancora presenti) che conserva una muratura circolare sotterranea in pietra di straordinaria fattura. Altri link interessanti: https://www.youtube.com/watch?v=gpipR11Nx7U (video di Multicoopter Drone), http://www.montitrasimeno.umbria.it/it/monte_ruffiano

Fonti: http://www.umbriamo.it/rudere-monte-ruffiano-la-torre-delle-streghe/, https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-monteruffiano-magione-pg/

Foto: entrambe del mio amico e "inviato speciale" del blog Claudio Vagaggini, realizzate proprio oggi sul posto

mercoledì 19 giugno 2019

Il castello di mercoledì 19 giugno




CASOLA IN LUNIGIANA (MS) – Torre

Il paese di Casola in Lunigiana ha origini antichissime, testimoniate da numerosi ritrovamenti archeologici risalenti all’età del ferro e anche più recenti, come la statua stele di Reusa. Nel IX secolo era possesso del vescovo di Luni e nell’XI secolo il borgo figurava tra i possedimenti della famiglia lucchese dei Casola. Nel 1275 passò ai marchesi Malaspina della Verrucola, per tornare sotto la giurisdizione del comune di Lucca nel 1373 e divenire sede di podestà. Riconquistata da Antonio Alberico Malaspina nel 1437, fu da questi consegnata a Firenze, che nel 1477 l’aggregò al capitanato di Fivizzano. Sotto Firenze Casola godette di un relativo benessere e di una fase di sviluppo, riconoscibile anche ai nostro giorni nei vari esempi di architettura del XVI e XVII secolo. Nel 1812 Casola si affrancò da Fivizzano e costituita in comune indipendente rientrò poi con la Restaurazione a far parte del granducato di Toscana. La sua posizione strategica, lungo la via che collegava la Val di Magra alla Garfagnana, ne fece un borgo difensivo ben fortificato. All’interno del borgo murato di Casola in Lunigiana, si trova la torre cilindrica, segno di una probabile fortificazione del periodo lucchese attorno al XIV secolo. La torre faceva parte di un sistema di protezione composto da una cinta muraria, a cui si affiancarono poi una seconda ed una terza cinta. Le mura erano aperte da due porte verso Lucca e la Lunigiana. Finita la sua funzione militare, la torre divenne il campanile della chiesa di Santa Felicita. Nel corso del 1700 si tentò di abbellirla con un artifizio che consisteva nel costruirvi sopra una nuova torre ottagonale, con guglie ardite in testa. Le condizioni già precarie della torre, si accentuarono ulteriormente con questo nuovo peso, causando in parte il crollo a seguito del terremoto del 1920. La costruzione venne allora abbassata anche oltre il punto di inizio del vecchio campanile ottagonale e nel 1939 venne ricostruita così come oggi la vediamo, con una aggiunta: una coroncina a luci a croce come chiusura superiore. Altro link per approfondire: https://www.lunigianatoscana.it/punti/the-tower-of-casola/14/

Fonti: https://www.terredilunigiana.com/casola/casolastoria.php, https://www.terredilunigiana.com/castelli/casolatorre.php,

Foto: la prima è di Davide Papalini su https://it.wikipedia.org/wiki/File:Casola_in_Lunigiana-torre2.jpg, la seconda è di IW1QN Federico su https://mapio.net/pic/p-11115909/

martedì 18 giugno 2019

Il castello di lunedì 17 giugno




SPOLETO (PG) – Rocca in frazione Ancaiano

Il Comune di Spoleto fa parte della Valnerina e tre delle sue frazioni, Le Cese, Belvedere e Ancaiano, affacciano sulla splendida valle del Nera, in un contesto ambientale di incomparabile bellezza. Delle tre, ormai quasi spopolate, frazioni, la più ricca di storia è Ancaiano, castello avito della nobile famiglia degli Ancaiani, sorto a difesa del lato sud dell’antico ducato e dominato da un possente torrione dalla massiccia architettura, con una decorazione complessa con barbacani di pietra bianca. Sempre alla estremità, sul terrazzamento di vedetta, un piccolo vano caratterizza l’insieme della costruzione. Dalla torre le mura scendono fino all’abitato, caratterizzato dall’alto mastio quadrato, con la tipica struttura triangolare del castello di pendio. La fortezza fu eretta, probabilmente nell’XI secolo dai nobili Ancaiani, signori del castello e delle terre circostanti oltre che della vicina abbazia di San Pietro in valle della quale furono sempre abati Commendatari. Si erge, dominando la valle su un impervio sperone roccioso. Con il crescere della potenza del comune spoletino anche gli Ancaiani furono costretti ad inurbarsi ed acquisirono proprietà nell’odierna Piazza della Libertà, fino alla costruzione della traversa interna corte interna della famiglia circondata dagli edifici di loro proprietà, il palazzo di famiglia, dalla pesante e non armonica architettura, la prospicente dependance esemplata sul modello architettonico della fonte di piazza, le scuderie, di cui ora è rimasto solo il prospetto che affaccia sul riscoperto teatro romano e la cappella di San Benedetto, ricca di marmi e di tesori artistici demolita, appunto, in occasione della realizzazione della traversa interna. La prestigiosa famiglia Ancaiani feudataria del luogo e esponente di spicco della nobiltà spoletina diede un impulso notevole alla crescita socio culturale e politica del territorio. Iniziarono come ghibellini e poi furono Guelfi moderati. Tra i personaggi illustri si ricordano Filippo e Berardo Ancaiani, che 1190 firmarono la cessione dell’ abbazia di San Pietro in Valle e dei castelli circostanti alla città di Spoleto. Gli Ancaiani ghibellini furono: Vanni, Andrea, Tommaso e Ranallo che nel 1319 si impadronirono della città di Spoleto. Il più virtuoso fu Placido, capo dei Guelfi spoletini circa nel 1473, nominato padre della patria. Sull’architrave d’ingresso della rocca è posto lo stemma “leone rampante grifato” e il motto “Ortus cum Patria”. Dal 1478 – come afferma lo storico locale Carlo Favetti - gli Ancaiani tornano in possesso dell’abbazia di Ferentillo con la nomina di abati commendatari: Benedetto, Decio, Ludovico, Aloysio. La famiglia dal 1618 annovera anche una beata ossia Dorotea degli Ancaiani e Mario Ancaiani il primo Arcivescovo di Spoleto nel XIX secolo. La rocca è uno dei rari esempi di architettura militare a difesa del versante sud del territorio dell’antico ducato e della stessa Umbria. La costruzione, che da tantissimi anni versava nel più completo degrado e abbandono, da qualche tempo è ritornata a vivere grazie ad un accurato restauro, consolidamento e ristrutturazione senza precedenti, da parte dei proprietari, una facoltosa famiglia della Roma bene. Il progetto di recupero è stato redatto dall’architetto spoletino Sebastiano Amato. Gli interventi si sono resi possibili grazie anche alla realizzazione di una strada da sempre assente, la quale permette, inerpicandosi dentro una fitta boscaglia, di raggiungere il maniero fino alla porta principale. Quindi, sono stati sistemati i bastioni cilindrici, le mura che scendevano fino all’abitato, l’alto mastio quadrato. La particolarità della torre sta proprio nella massiccia architettura, con una decorazione complessa con barbacani di pietra bianca. Sempre alla estremità, sul terrazzamento di vedetta, un piccolo vano, il quale rende caratteristico tutto l’insieme della costruzione. “La rocca si fa risalire agli inizi del XI secolo – sempre secondo lo storico Favetti - fu edificata dai nobili Ancaiani, signori del castello e delle terre circostanti oltre che della vicina abbazia di San Pietro in valle della quale furono sempre abati Commendatari. Posta su uno sperone roccioso, imprendibile, domina la valle, il palazzotto padronale, la chiesa di San Martino. Molte delle abitazioni del paese sono state recuperate. Il recupero architettonico della rocca – continua - che di notte risplende per un intelligente impianto di illuminazione, permette quindi ai proprietari di poter trascorrere al suo interno interi periodi dell’anno, ridando vita e vigore a uno dei luoghi di grande importanza sulla storia spoletina. Altro link suggerito: https://www.umbrianproperty.com/properties-italy/luxury-rocca-ancaiano/ (in inglese).

Fonti: testo di Silvio Sorcini su https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-ancaiano-spoleto-pg/, testo di Alessandro Ciamarra su http://umbriaeventiartecultura.blogspot.com/2012/01/terminato-il-restauro-della-rocca-di.html

Foto: la prima è presa da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/01_valnerina/00035/index.htm, la seconda è di Silvio Sorcini su https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-ancaiano-spoleto-pg/