venerdì 31 luglio 2020

Il castello di sabato 1 agosto



TRENTO - Castello di Pietrapiana in località Graffiano di Povo

Del castello si ha notizia per la prima volta nel 1247, in un atto che riporta una vertenza in materia di taglio di legname tra gli abitanti di diversi borghi, tra cui quello di Povo, rappresentato dal vassallo vescovile Enrico di Pietrapiana. Il castello si trova su un’altura tra gli odierni abitati di Povo e Villazzano, e faceva parte dell´ampio sistema fortificato che circondava l’intera città di Trento: insieme a Castel Cedra oggi scomparso, e a quello di Povo di cui ci restano scarsissime testimonianze, controllava e proteggeva l’area situata a Sud-Est del capoluogo. Sebbene i Pietrapiana, feudatari del castello fino agli ultimi anni del XIII secolo, compaiano spesso nella documentazione dell’epoca, risulta tuttavia difficile ricostruire la storia più antica della fortificazione. Certo è che sul finire del secolo vi si insediarono i Belenzani, membri di una delle più influenti casate nobiliari di Trento. Il Castello di Pietrapiana si ritrovò poi al centro dei drammatici eventi che caratterizzarono la storia della città a inizio Quattrocento: nel 1407 infatti scoppiò la rivolta anti-vescovile, capeggiata proprio da Rodolfo Belenzani. In quegli anni turbolenti Pietrapiana rappresentò uno dei baluardi extraurbani dei ribelli finché, nel corso del 1409, venne espugnata da Enrico di Rottemburg, uno dei capitani dell’esercito tirolese. Una volta restaurato venne dato in feudo a diversi personaggi: nel 1420 il duca d’Austria e conte del Tirolo Federico Tascavuota lo concesse ad un uomo di fiducia, Michele Senftel, originario di Monaco, che assunse il nome di Ebenstein, traduzione tedesca di Pietrapiana, la cui famiglia mantenne il feudo fino al 1536. In seguito fu affidato ai Cles e più tardi ai Girardi, famiglia lagarina originaria di Mori. Nella seconda metà del Seicento le cronache lo descrivono abbandonato e in rovina, in quanto non idoneo per le esigenze sia residenziali che militari dell'epoca. Della fortificazione non rimane oggi che la grande torre, chiamata anche dei Gionghi, molto danneggiata, ma che permette comunque di intuire l’antica imponenza della struttura: il baluardo si presenta composto dalla singolare sovrapposizione di due esagoni non perfettamente allineati. Si tratta, presumibilmente, di un espediente per ottenere una capacità visiva e difensiva a 360 gradi tipica delle torri cilindriche in un contesto morfologico in cui l’asperità del terreno non avrebbe permesso la costruzione di un edificio di quella forma. Oggi la torre è di proprietà privata. Altro link suggerito: https://www.giornaletrentino.it/cronaca/trento/torre-di-pietrapiana-un-tesoro-inaccessibile-1.2098139,

Fonti: testo di E. POSSENTI, G. GENTILINI, W. LANDI, M. CUNACCIA su http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castello-di-Pietrapiana, http://castelli.qviaggi.it/italia/trentino-alto-adige/torre-dei-gionghi/

Foto: entrambe prese da http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castello-di-Pietrapiana

Il castello di venerdì 31 luglio



BEDONIA (PR) - Castello di Pietra Piana in località Carniglia

Sorge su un pianale a cui deve il nome, a strapiombo su di un’ansa del fiume Taro. Sondaggi, anche superficiali, portano alla luce anche le fondamenta che testimoniano la presenza di un piccolo borgo arroccato alle mura del castello. Lungo i fianchi del pianoro le campagne di scavi condotte dal prof. Pier Luigi Dall’Aglio hanno portato alla luce i muri di contenimento in pietra squadrata posata a secco, mentre all’estremità occidentale è riconoscibile un piccolo rilievo che si ipotizza potesse ospitare una torre di vedetta. Questa forma: una torre circondata da mura irregolari segue l’esempio di analoghe fortificazioni diffuse in tutta l’area ligure tra il XII e il XIII sec. Le prime testimonianze dell’edificio si hanno attorno al XI-XII secolo. Certamente nel XIII secolo il fortilizio era uno dei punti di forza della famiglia Luisardi, tanto che, nel 1257, questi si mossero proprio da Petra Plana per la conquista di Borgotaro. Nel suo scritto “Per la storia di Bedonia” (1924), G. Micheli fa risalire la famiglia dei Lusardi al Luxiardo figlio di Plato de Platis e ricorda il “famoso atto divisionale” del 5 ottobre 1022 contenente l’assegnazione al capostipite dei Lusardi del “fortalitium Arsutii et omnibus terris, pactis et juribus (…) quae sunt ultra Tarum et Goteram citra Tarium ultra Valaculam usque ad terminum Genuae”, e quindi anche di Petraplana, che sorge presso Carniglia a strapiombo sul Taro. Oggi sappiamo che il “famoso atto divisionale” è un falso; ciò non toglie che, specie nel XIII secolo, il fortilizio di Pietra Piana, uno dei punti di forza dei Lusardi, potenti alleati di Ubertino Landi, abbia avuto una notevole importanza. Nel 1283 il forte ed il vicino castello di Montarsiccio furono distrutti da un incendio ma entrambi risorsero più forti di prima. A dimostrazione di ciò si sa che nel 1335 il castrum di Pietra Piana si mantenne fedele alla famiglia Visconti di Milano nella sua lotta contro la Chiesa. Sempre da Milano, Francesco Sforza, rese nel 1454 a Manfredo Landi tutti i possedimenti che furono del padre fino alla sua morte avvenuta nel 1429, riannettendo il territorio allo Stato Landi. Dopodiché la fortezza probabilmente decadde: il luogo non viene nemmeno citato nella Descrizione dei possedimenti dello Stato Landi compilata da Carlo Natale nel 1617. Nel 1635 risulta “desolato e distrutto”. Il Boccia, scrivendo nel 1804, riferisce che “sulla sponda sinistra del Taro rimpetto ai mulini di Carniglia vi sono molte reliquie di un forte e antico Castello di un luogo chiamato Pietrapiana, e d’intorno ad esso per molta distanza scopronsi non pochi fondamenti di case. Si dice che in queste nei tempi andati vi fosse una fabbrica di velluti, nella quale vi erano tredici tellaj”.Nel catasto del 1823, sulle reliquie del castello vi è registrato un edificio, descritto col toponimo “casa di Pietra Piana”. Nel 2004, per la cortesia del prof. Pier Luigi Dall’Aglio è stato possibile effettuare una campagna di rilievo dei ruderi, di cui si riportano alcuni risultati. Attualmente la vegetazione penetrabile soltanto con grande difficoltà, rende quasi impossibile la lettura delle tracce sul terreno. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?time_continue=26&v=8KsOOjKESSQ&feature=emb_logo (video di Adriano Agazzi), https://mapio.net/pic/p-49076530/

Fonti: testo di Corrado Truffelli su https://scn.caiparma.it/schede/ruderi-del-castello-di-pietra-piana-bedonia-loc-carniglia/, https://it.wikipedia.org/wiki/Carniglia

Foto: https://scn.caiparma.it/schede/ruderi-del-castello-di-pietra-piana-bedonia-loc-carniglia/

giovedì 30 luglio 2020

Il castello di giovedì 30 luglio




POLPENAZZE DEL GARDA (BS) - Castello

E' un castello che domina il centro storico del paese. Posizionato in un punto strategico, gode di una vista panoramica sulle colline moreniche della Valtenesi e sul Lago di Garda. Venne eretto a scopo difensivo, come ricetto dalle invasioni ungare del X secolo, durante il periodo altomedievale, e come sovente accadde fu contraddistinto da numerosi rimaneggiamenti; più volte infatti venne distrutto e successivamente ricostruito. Al 1420 risale uno dei primi smantellamenti del fortilizio, ad opera di Filippo Maria Visconti, quando quest'ultimo riuscì a farlo proprio a spese dei Della Scala, a cui apparteneva fin dal 1330. Esso venne poi ricostruito per volontà della Serenissima durante il XV secolo anche se nel'500 venne nuovamente in parte distrutto per permettere l'edificazione della Chiesa Parrocchiale. La muratura dell`antico complesso, contraddistinta da una pianta piuttosto irregolare, venne realizzata tramite l'utilizzo di ciottoli di varie dimensioni intercalati a pietre locali, il tutto fu poi disposto secondo un preciso orientamento al fine di ottenere una maglia muraria regolare. L’originario ingresso, protetto dal mastio è oggi inglobato nell’edificio che oggi ospita il Municipio. Non è accaduta quindi la sua trasformazione in campanile, come negli altri ricetti, ma è stata eretta un’apposita torre che ingloba le mura del castello. Il perimetro della fortificazione non è facilmente percepibile, nonostante la sua buona conservazione generale, perché è apprezzabile solo dalla collina fronteggiante, ove sorge la frazione di Picedo. Inoltre una parte di mura fu inglobata nel fianco della parrocchiale nell’occasione della sua edificazione. Oltre al mastio si conservano altre due torri che rinforzavano la cinta che aveva un andamento decisamente irregolare per seguire il margine del promontorio. La torre minore è praticamente invisibile perché nascosta dall’abside della chiesa mentre l’altra si può osservare da uno stretto passaggio carraio sul fronte occidentale. E’ questa una torre massiccia, aperta verso l’interno con la base rinforzata, in epoca posteriore da una massiccia scarpata realizzata in grossi ciottoli. All’interno non vi è traccia di costruzioni medievali ma solo edifici posteriori all’abbandono dell’uso originario. Particolarmente imponente è la parrocchiale della Natività della Madonna, con la facciata neo manierista eretta dall’architetto Antonio Tagliaferri, fiancheggiata da un piccolo oratorio. Piazza Biolchi al suo intero viene spesso descritta come la più bella terrazza sul Garda. Con i restauri degli ultimi anni il castello ha riaquisito l'antico fascino, tanto da attrarre molti visitatori durante l'anno.
ristrutturazione e restauro del Municipio nel 2003
riqualificazione di Piazza Biolchi e spazi compresi tra le mura del castello nel 2006
realizzazione in quota di un camminamento (antica ronda delle sentinelle) tra il mastio e la torre campanaria nel 2011.
recupero di un'antica stanza esistente nel 2015 (scoperta con dei saggi nel 2006 ma poi ricoperta), con la realizzazione di una scala che collega la piazza all'interno del castello e le scarpate sottostanti (è in atto un progetto di riqualificazione attraverso una passeggiata sotto le mura). Oggi il castello è molto utilizzato, perché al suo interno vi sono molte funzioni indispensabili per la vita del paese, tra cui
Municipio (Un tempo era il Maschio (architettura) del Castello;
Sala consiliare;
Biblioteca;
Chiesa Parrocchiale della Natività della Madonna;
Chiesa dei Santi Fermo e Rustico;
Centro Sociale;
Condominio Biolchi;
Ex-Cinema di Polpenazze.

Altri link suggeriti: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture900/schede/p3010-00270/, http://www.gardabelloebuono.it/Schede/Detail/Castello_di_Polpenazze/60

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Polpenazze_del_Garda, http://www.eventilagodigarda.com/castello-di-polpenazze-bs-ev30036.php, https://www.gardalombardia.it/polpenazze-del-garda-idc15/punti-interesse/castello-di-polpenazze-idp53.html

Foto: la prima è presa da http://www.gardabelloebuono.it/Schede/Detail/Castello_di_Polpenazze/60, la seconda è di Lino su https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g3174703-d4116395-Reviews-Castello_di_Polpenazze_del_Garda-Polpenazze_del_Garda_Province_of_Brescia_Lombar.html#photos;aggregationId=&albumid=&filter=2&ff=343958681

mercoledì 29 luglio 2020

Il castello di mercoledì 29 luglio



BARBARESCO (CN) - Castello e Torre

E' abbastanza difficile appurare a quanto lontano occorra risalire per approdare alle origini della storia di Barbaresco per le strutture fortificate del paese. Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che la torre, che tuttora domina il paese, ed è senz'altro il suo elemento emergente, sia addirittura di origine romana: ipotesi che verrebbe convalidata dal ritrovamento nel secolo scorso di un reperto romano alla sua base. Altri - probabilmente con maggior ragione - la datano al XII secolo. In effetti la fortificazione presenta caratteristiche più medioevali che romane: è di struttura quadrata o quasi quadrata con un lato di circa 9 metri, molto alta - circa 36 metri - ripiena di terra fin quasi alla metà dell'altezza. Risulta allo stesso tempo di dimensioni inconsuete per una torre romana e poco giustificabile in questa veste anche strategicamente, non vedendosi, almeno attualmente, in che contesto difensivo una simile presenza potesse inserirsi. Può darsi tuttavia che effettivamente qualcosa di romano esistesse prima della fortificazione attuale le cui murature, in ogni caso, sono sicuramente medioevali. Probabilmente l'edificio appartiene a un sistema di torri di avvistamento che si sono sviluppate lungo il fiume Tanaro sul territorio delle città fra Asti e Alba, patrimonio bellico del Ducato del Monferrato. Realizzata in opera di laterizio, sorge su un basamento di pietra arenaria. In cima persistono ancora resti dei merli che formavano al tempo della realizzazione una corona. E' probabile che non sia stata realizzata solo da operai e tecnici locali, in virtù della regolarità e perfezione dell'edificio, che fa pensare all'alta professionalità dei realizzatori. La parte inferiore fino a poco meno di due metri rappresenta una specie di pozzo centrale, con pareti piuttosto spesse. Più in alto si trovano due vani successivi coperti da una volta a botte, che sono già stati restaurati in passato. La torre è ripiena di terra fino a metà e si raggiunge l'entrata attraverso una scala a pioli dalla parte del fiume Tanaro. Dal 1985 è di proprietà del Comune di Barbaresco. Del paese si hanno notizie già nell'XI secolo, in quanto si trova citato nella donazione che il marchese di Monferrato fece all'abate di Fruttuaria e che l'imperatore Enrico II confermò a sua volta nel 1014. Anzi, proprio da questa donazione sembra di poter dedurre che a quell'epoca il paese di Barbaresco avesse già una qualche fortificazione. La quale già nel secolo successivo era di appannaggio di signori locali, i Di Barbaresco , e all'inizio del XIII secolo passò, insieme ai diritti annessi, al comune di Asti, dando origine a una complessa vicenda, in quanto appena due anni dopo altri proprietari, ma sempre della stessa famiglia, vendettero i loro diritti al comune di Alba. La questione fu sistemata alla fine del secolo con la rinuncia definitiva di Alba ai suoi pretesi diritti. Nei secoli successivi il castello passò ai marchesi monferrini, ai Visconti, infine ai Savoia nel 1631. Ma ciò che i Savoia ereditarono era poco più che un rudere, di cui sopravviveva, ancora in relativo buono stato, la torre (quella ancora attualmente visibile). Fu quindi necessario, in epoca barocca, ristrutturare in maniera pressoché totale la costruzione, che assunse, salvo le torrettine d'angolo ancora oggi visibili e che la caratterizzano, ultimo ricordo dell'antica funzione guerriera, le caratteristiche di una grande residenza signorile. Da quel momento castello e torre vissero praticamente due vite separate: più in alto sulla collina, dominante, la torre; più in basso, imponente costruzione in laterizio, il castello. La torre, unica superstite "militare" del complesso, fu purtroppo notevolmente danneggiata nel secolo scorso quando, nel 1821 le autorità comunali fecero abbattere la parte alta in modo che il terrazzo, così ricavato in cima all'edificio, potesse ospitare un gran falò estivo in onore dei reali di Sardegna in visita al vicino castello di Govone. Resta comunque una presenza caratterizzante e dominante sia per il paese di Barbaresco, che per il paesaggio intorno. La torre è stata recentemente restaurata. La costruzione del castello risale al secolo XVIII ad opera dei conti Galleani; l’edificio caratterizzato dalla sua mole imponente ha subito nel corso degli anni numerosi rifacimenti. Dotato originariamente di bellissimi giardini e di un ampio parco, di ampi saloni, di porticati e soprattutto di cantine sotterranee di grande valore, è stato la sede della Cantina Sociale del Barbaresco voluta e realizzata dal Professor Domizio Cavazza, considerato il padre del vino Barbaresco. In seguito l'edificio è stato utilizzato come opificio per la produzione di grappe, ora il maniero ed in particolare l’altrettanto nobile parte interrata, è venuto in possesso della prestigiosa azienda vitivinicola Gaja, e dopo una radicale ristrutturazione, è tornato alla destinazione originaria.
Altri link suggeriti: https://langhe.net/sight/la-torre-di-barbaresco/, https://www.youtube.com/watch?v=IGdaEM6DMhk (video di Viaggio Senza Scalo), https://www.intravino.com/grande-notizia/la-torre-di-barbaresco-apre-dopo-33-anni-che-bellezza-contiene-video/ (video)

Fonti: https://www.castelliaperti.it/it/strutture/lista/item/torre-di-barbaresco.html, https://www.comune.barbaresco.cn.it/ita/pagine.asp?id=159&idindice=5&title=Edifici%20e%20Monumenti, https://www.centrostudibeppefenoglio.it/it/articolo/9-11-828/arte/architettura/castello-di-barbaresco

Foto: la prima (relativa alla torre) è presa da https://www.e-borghi.com/it/sc/cuneo-barbaresco/2-castelli-chiese-monumenti-musei/943/torre-di-barbaresco.html; la seconda, relativa al castello, è di Alessandro Vecchi su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Barbaresco_castello.jpg

martedì 28 luglio 2020

Il castello di martedì 28 luglio



PIETRASANTA (LU) - Rocchetta Arrighina

Nel 1255 il nobile milanese Guiscardo Pietrasanta, podestà della Repubblica di Lucca, fondò l'abitato ai piedi della preesistente rocca longobarda e del borgo chiamato Sala. La fondazione duecentesca rappresenta la cesura fra due epoche storiche: la fine del periodo feudale con la cacciata dei Signori di Corvaia e Vallecchia, definiti Zelatores Pisani Communis e l'insediamento del potere comunale. Il motivo alla base della lunga lotta fra Pisani e Lucchesi è dettato dalla volontà di impossessarsi di un territorio molto importante per la presenza del porto di Motrone, per il passaggio della Via Francigena e per le ricche risorse minerarie come il ferro e l'argento. I Lucchesi, nel 1308, organizzarono il nuovo borgo ed il territorio ad esso pertinente nella Vicaria di Pietrasanta. Castruccio Castracani, signore di Lucca dal 1316 al 1328, fortificò il centro abitato con un valido sistema di mura, di cui ancora oggi si vedono i resti, e con la costruzione della Rocchetta Arrighina. Per la sua posizione strategico-militare e per l'importanza che ricopriva sotto il profilo economico per le risorse agricole e minerarie di cui il territorio era ricco, la città lucchese divenne negli anni oggetto di disputa e conquista da parte Pisana, Genovese e Fiorentina, fino al 1513 quando la città ed il suo territorio passarono successivamente, con un lodo di Papa Leone X, sotto il diretto dominio dello Stato di Firenze. Furono anni di stabilità politico-amministrativa (nacque il Capitanato) e di espansione economica. È il periodo in cui Michelangelo era in terra di Versilia in cerca di quel materiale che si rivelò prezioso non solo per l'economia dei suoi tempi, ma anche per quella futura: il marmo. Marmo che caratterizza gli edifici più importanti della città tra cui spicca per bellezza e splendore il Duomo che raccoglie al suo interno importanti opere d'arte e la Sacra icona della Madonna del Sole. Nel 1737, con l'estinzione della dinastia dei Medici, la corona del Granducato passò ai Lorena che si fecero fautori di una serie di provvedimenti destinati a cambiare radicalmente il territorio: la bonifica della palude costiera, l'incremento del commercio, dell'industria e la nascita di una scuola per la lavorazione artistica del marmo. Nel 1841 Pietrasanta fu innalzata a "Città Nobile" da Leopoldo II di Lorena, dopo aver considerato la sua storia, le importanti famiglie che l'hanno abitata e le sue istituzioni. La Rocchetta, chiamata Arrighina dallo stesso condottiero lucchese in onore di suo figlio Arrigo, aveva lo scopo di difendere la Porta Pisana, tuttora parte integrante della struttura e disponeva di un doppio ponte levatoio: uno esterno e uno interno. La struttura fu poi rafforzata dai Fiorentini che subentrarono nel governo della cittadina alla fine del Medioevo. Nel XV secolo fu ricostruita da Francione e La Cecca con la Porta a Pisa. Nel XIX secolo subì importanti rimaneggiamenti con la costruzioni di corpi di fabbrica addossati e con l´apertura di nuove finestre al piano terra. Presenta nella parte superiore interna la sinopia di un' Annunciazione attribuita a Astolfo Petrazzi il cui affresco è conservato nel Palazzo Municipale della Città. Altri link suggeriti: http://www.mondoversilia.it/scopri-la-versilia/cosa-vedere/monumenti-e-castelli/la-rocchetta-o-rocca-arringhina/, https://www.youtube.com/watch?v=AUjd5becF8M&app=desktop (audio guida)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pietrasanta, http://www.wikitinera.it/index.php/it/versilia-storica/1093-tove-031-rocchetta-arrighina, http://www.inversilia.org/pietrasanta/rocchettaarrighina.php, https://www.paesionline.it/italia/monumenti-ed-edifici-storici-pietrasanta/rocchetta-arrighina

Foto: la prima è di sergiobc su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/173987/view, la seconda è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Toscana/lucca/pietrasan03.jpg

lunedì 27 luglio 2020

Il castello di lunedì 27 luglio



AGROPOLI (SA) - Castello Angioino-Aragonese

Nell'882 i Bizantini furono cacciati dai Saraceni, i quali costruirono un ribàt (nuova fortificazione): da qui partivano gli attacchi ai paesi vicini fino a Salerno. Nel 915 i Saraceni furono cacciati e Agropoli tornò in mano ai vescovi, che intanto si erano stabiliti a Capaccio. I vescovi dominarono la città per tutta l'epoca medioevale, insieme ai centri di Ogliastro ed Eredita, e ai villaggi di Lucolo, Mandrolle, Pastina, San Marco di Agropoli e San Pietro di Eredita, che componevano il feudo di Agropoli. Nel 1412 i feudi di Agropoli e Castellabate furono ceduti da papa Gregorio XII al re Ladislao di Durazzo (1386 – 1414) come parziale pagamento di debiti accumulati nell'arco di alcune guerre. Il 20 luglio 1436 Alfonso V d'Aragona concesse i feudi di Agropoli e Castellabate a Giovanni Sanseverino, già conte di Marsico e barone del Cilento, che come compenso doveva versare ai vescovi di Capaccio 12 once d'oro l'anno. Solo nel 1443 il re riprese possesso del territorio. Successivamente Agropoli passò sotto il dominio di diverse casate: tra il 1505 e il 1507 i D'Avalos marchesi del Vasto e, fino al 1552, i Sanseverino. In seguito alla perdita dei suoi possedimenti da parte del principe Ferrante, ultimo rappresentante dei Sanseverino, accusato di tradimento nel 1553, Agropoli passò ai D'Ayerbo d'Aragona, nel 1564 ai Grimaldi, nel 1597 agli Arcella Caracciolo, nel 1607 ai Mendoza, nel 1626 ai Filomarino già principi di Roccadaspide, nel 1650 ai Mastrillo, che si alternarono per un breve periodo con gli Zazzero d'Aragona. I Sanfelice, duchi di Laureana, conservarono il potere sulla cittadina fino all'abolizione del sistema feudale. A pianta triangolare e con tre torri circolari, il castello si erge sul promontorio incastrandosi come un vertice nell'interno dell'area del borgo antico, mentre la base si protende fuori del nucleo abitato, come fortificazione avanzata sul versante collinare dal pendio più dolce e più esposto agli assalti. Attorno alle mura del castello si trova un fossato largo e profondo, ora distinguibile sul lato verso il borgo, mentre è quasi scomparso il dislivello sul lato orientale a causa dei lavori agricoli e dei cedimenti del terreno avutisi nel corso dei secoli. I Normanni (1077-1189) ne avviarono le prime importanti ristrutturazioni con la costruzione della cortina muraria che protegge l’abitato a sud. A differenza della cinta muraria dai caratteri normanno-svevi, il castello è stato oggetto di continui rifacimenti per adattarlo alle innovazioni dell’arte militare. Nel corso del XV secolo i Sanseverino conti di Marsico, potenti feudatari del Regno di Napoli, procedettero alla più profonda e capillare ristrutturazione del Castello nella forma in cui oggi si presenta. Ben presto il Castello perse la sua funzione prettamente difensiva, per diventare in epoca vicereale e nel corso del Settecento la sede prescelta dalle grandi famiglie feudatarie come i Sanseverino, i Grimaldi di Eboli, i Caracciolo di Trentinara e i Sanfelice. Oltre ad essere residenza nobiliare, il Castello aveva al suo interno le celle carcerarie, la sede del giudice e la guardia. Nel 1806, per decisione di Napoleone, il Castello fu occupato dal Genio militare divenendo, ancora una volta, centro della difesa costiera dell’intero Principato Citra. Il castello presenta l'aspetto assunto dopo le ristrutturazioni d'età aragonese (XV secolo d.C.) che devono aver notevolmente ampliato l'originario impianto, a forma triangolare. L'interno del castello è occupato dalla piazza d'armi e da edifici addossati sui lati settentrionale e orientale. La piazza, oggi adibita a giardino e a teatro all'aperto, non è frutto di un riempimento artificiale, ma poggia sulla roccia inglobata a suo tempo nelle mura del castello, mentre sul lato settentrionale si trova la "Sala dei francesi", così chiamata a ricordo della sosta del drappello delle truppe francesi nel periodo napoleonico. Il castello di Agropoli è legato a tre personaggi: Luisa Sanfelice, personaggio minore della rivoluzione napoletana del 1799, la cui vicenda umana ispirò il romanzo di Alexandre Dumas (padre), La San Felice; la scrittrice francese Marguerite Yourcenar, che lo menzionò nel racconto "Anna, soror"; Giuseppe Ungaretti, che visitò il Cilento all’inizio degli anni trenta del XX secolo e che ritrasse magistralmente Agropoli nel volume “Mezzogiorno”. Oggi il castello è un punto di riferimento per l’arte e la cultura del posto. Ospita rappresentazioni teatrali ed eventi culturali in ogni periodo dell’anno. All’interno del Castello sono presenti numerosi cunicoli dove sovente vengono organizzate mostre fotografiche o pittoriche. Tra le varie stanze troviamo la più caratteristica, la “Sala dei Francesi”, chiamata così poiché fu protagonista della sosta delle truppe napoleoniche ad Agropoli. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=WrpmQ4R2jj8 (video di Franco Carola), https://www.youtube.com/watch?v=SNmYnIPGpMI&feature=emb_logo (video di sevensalerno), https://www.cilentonotizie.it/video/castello-angioino-aragonese-di-agropoli-approvato-il-progetto-di-tutela-e-valorizzazione/2954/ (video), https://agropoliguide.com/castello-angioino-aragonese-agropoli-nel-cilento/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Agropoli, http://www.viviagropoli.it/it/storia-e-cultura.php, https://www.alicost.it/blog/il-castello-di-agropoli-storia-della-roccaforte-angioina-aragonese/, http://www.agropolitourist.it/castello-angioino-aragonerse-agropoli/, https://www.ilcilentano.it/castello-di-agropoli-la-fortezza-angioina-aragonese/

Foto: la prima è presa da https://www.operatorituristiciagropoli.it/blog/parco-archeologico-agropoli/, la seconda è una cartolina della mia collezione

domenica 26 luglio 2020

Il castello di domenica 26 luglio





SPERLONGA (LT) - Torri di avvistamento

Il nome del "castrum Speloncae" appare in un documento del X secolo: il castello comprendeva una piccola chiesa dedicata a san Pietro, patrono dei pescatori. Intorno al castello si sviluppò progressivamente il paese per cerchi concentrici. Nell'XI secolo l'abitato fu cinto da mura, ora scomparse, ma di cui restano due porte: la "Portella" o "Porta Carrese" e la "Porta Marina": entrambe portano lo stemma della famiglia Caetani. Sperlonga, ricostruita fra il XVII e il XIX secolo, assunse la forma attuale (cosiddetta "a testuggine") e vennero erette chiese e palazzi signorili. Sperlonga restò un piccolo paese di pescatori, continuamente minacciato dalle incursioni dei pirati i quali, come ricordano i murales del paese, arrivarono a rapire i suoi abitanti per ridurli in schiavitù. Malgrado la costruzione di una serie di torri di avvistamento in funzione di difesa costiera, la cittadina venne distrutta una prima volta nel 1534 dal pirata ottomano Khair Ad-Dìn, detto il Barbarossa, e una seconda volta, sempre ad opera dei pirati ottomani, nel 1622. Appartenente da secoli al Regno di Napoli e poi al Regno delle Due Sicilie, Sperlonga era compresa nell'antica Provincia di Terra di Lavoro, in particolare nel Distretto di Gaeta. Anche dopo la sconfitta militare di Francesco II di Borbone ad opera di Garibaldi e la successiva annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna (diventato nel 1861 Regno d'Italia), Sperlonga continuò a far parte della sopraddetta Provincia. Parliamo ora delle torri di avvistamento di cui fu dotata. La Torre centrale, detta localmente Torre Maggiore, apparteneva al sistema di torri di avvistamento impiantato nel XVI secolo: è oggi nascosta tra le case del borgo, una volta dominava la città. Di essa sopravvive solo una parte, oggi situata in via Giosa. Il suo profilo è disegnato attualmente sullo stemma comunale. La Torre Truglia venne eretta nel 1532 sui resti di una precedente torre d'avvistamento di età romana sulla punta del promontorio su cui sorge il borgo di Sperlonga. E' probabile che sia stata costruita ai tempi in cui Carduccio Gattola era castellano di Sperlonga. “Truglia” deriva probabilmente da “Truglio”, dal latinoTrullus, detto alla greca Trullo termine usato nel 700 dal monaco latino Paolo Diacono per significare una cupola. Era evidentemente questo il nome dato alla costruzione romana a Sperlonga, di base circolare, poi tramutato da “Trullo” in Truglio , come accadde per l’omonima villa tiberiana di Capri, probabilmente per l’influsso del dialetto borbonico. A Sperlonga si sarebbe poi adottato il genere femminile come aggettivo legato al sostantivo “torre”, forse con l’edificazione della fortezza nel XIV secolo. Dopo la distruzione compiuta per mano dei pirati del corsaro Barbarossa la torre venne ricostruita nel 1611 ma di nuovo distrutta dai turchi nel 1623. Per quanto rilevante fosse la sua posizione e la sua funzione la guarnigione che ospitò fu spesso ridotta al minimo, arrivando anche a soli due militari presenti. Tra il 1870 e il 1969 fu utilizzata come sede per la Guardia di Finanza, mentre successivamente divenne sede del Centro educazione dell'ambiente marino del Parco naturale regionale Riviera d'Ulisse. La torre si presenta come un bastione di pianta rettangolare rinforzato negli spigoli da quattro contrafforti. Questi svolgevano anche una funzione difensiva: non offrendo una parete verticale ma inclinata, la torre sarebbe stata difficilmente insidiata dai nemici con delle scale. Le scale, per potersi appoggiare, hanno bisogno di una parete verticale e quindi le quattro pareti oblique dei contrafforti riducevano lo spazio offendibile delle mura della torre. A loro volta la collocazione delle basi di questi contrafforti ad una quota più bassa del piano di appoggio della torre, impediva che i nemici potessero girare intorno alla torre stessa, correndo ad aiutare nell’assalto quelli che stavano avendo maggior successo. Sopra la torre vi è poi un’altra costruzione. Un “ridotto” per i superstiti combattenti che volessero continuare a difendersi. Al sistema difensivo appartenevano anche la "Torre del Nibbio", inclusa in un castello baronale prospiciente la piazzetta centrale del paese, e la "Torre di Capovento", a 3 km a sud del paese, anch'essa costruita nel 1532, come parte del sistema difensivo commissionato da Don Pietro di Toledo. Si tratta di una struttura merlata di base circolare, alla quale si accede tramite una piccola scalinata. Nel corso degli anni ospitò al suo interno anche la sede della dogana, poiché dalla sua altezza si poteva sorvegliare la zona. Oggi, nonostante l'età della costruzione, la torre si presenta in un ottimo stato di conservazione. Altri link consigliati: https://www.sperlongablu.it/torre-truglia-sperlonga/ (approfondimenti su Torre Truglia), http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?, id=95660, http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=95655, http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=95661, https://www.youtube.com/watch?v=XI074vMSQR8 (video di tonellic)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sperlonga, https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Truglia, https://www.tesoridellazio.it/tesori/sperlonga-lt-torre-truglia/, https://www.amyclaeexperience.com/it/scopri-torre-truglia-sperlonga/, https://www.lanostra.it/vacanze-cosa-visitare/le-torri-avvistamento-sperlonga/, http://www.visititaly.it/info/961568-torre-capovento-sperlonga.aspx

Foto: la prime due si riferiscono alla Torre Truglia (da https://www.sperlongablu.it/torre-truglia-sperlonga/ e una cartolina della mia collezione). La terza, relativa alla torre del Nibbio, è presa da https://smartraveller.it/2015/11/09/sperlonga/torre-del-nibbio-sperlonga/. Infine la quarta, relativa alla torre di Capovento, è presa da http://www.visititaly.it/info/961568-torre-capovento-sperlonga.aspx

Il castello di sabato 25 luglio




BOVILLE ERNICA (FR) - Palazzo Filonardi e cinta muraria

Boville Ernica veniva chiamata Bauco fino al secolo scorso, per la precisione fino all'anno 1907 quando l'allora amministrazione cittadina chiese ed ottenne il cambio nella denominazione attuale. Un tempo la cittadina sorgeva al piano ma, avendo subita totale distruzione dai Saraceni e nel 939 dagli Ungari, gli abitanti si trasferirono sul colle, sia per cercare maggiore sicurezza, sia perché attratti dalla fama del santo pellegrino Pietro Ispano, il quale, giungendo dalla Spagna, dopo aver combattuto in difesa della religione cristiana, aveva qui posto la sua dimora vivendo in una grotta. Grazie alla posizione strategica ed al baluardo costituito dalle mura sorrette da 18 torri medievali, nel 1204 i baucani riuscirono a respingere gli attacchi delle truppe del regno di Napoli che intendevano attaccare lo Stato Pontificio. Il Papa Innocenzo III, per ringraziare i valorosi cittadini donò loro l'autonomia amministrativa. Ebbe inizio così una “repubblica” che governata a turno da dodici famiglie, andò avanti per più di quattrocento anni, caratterizzati dalla pace e dalla ricchezza, queste 12 famiglie che aveva la giurisdizione erano: Vittori-Roberti in Valentini; Crescenzi; De Angelis; De Oliva; Arduini; Pollastrelli; Tarquini; Tomasi; Morsi; dalla quale Ippolito che chiuse la serie dei Vicari essendone esso l'ultimo; Gavilla, la quale il 10 luglio 1364 cedette a Casamari porzione dei suoi diritti del domini che aveva con gli altri sopra Bauco, e finalmente la famiglia Filonardi. Questi ultimi diedero alla chiesa cardinali, arcivescovi e vescovi. La figura preminente del casato fu il cardinale Ennio Filonardi. Nel 1500 l'antico castello e lo stesso abitato, subirono una rilevante trasformazione urbanistica e di ammodernamento ad opera proprio del cardinale, che si servì di grandi architetti dell'epoca. Il Filonardi fece costruire a Bauco il proprio castello di Famiglia e lo dedicò al pontefice Paolo III Farnese, per la sua villeggiatura estiva con la corte papale, come recita l'epigrafe posta sopra l'artistico architrave, opera del Vignola (Giacomo Barozzi). Sotto il pontificato di Gregorio XIII, Bauco (attuale Boville Ernica) tornò sotto lo Stato pontificio. A tale scopo il 12 gennaio 1582 il pontefice mandò mons. Rinchieri, che prendesse a nome della R. C. possesso con Breve in data 15 dicembre 1581 con la quale privò le dodici famiglie del dominio, e concedeva a loro la facoltà di eleggere un Vicario, che dopo l'elezione attendessero la conferma della Santa Sede. Il centro storico conserva la suggestione dei piccoli paesi formati da una fitta rete di stradine, vicoli, piazzette e angoli che sembrano delineati da un inconsapevole architetto. La cerchia muraria è rimasta totalmente in piedi: l'abitato del centro storico è quasi del tutto delimitato dal circuito medioevale, che solo in alcuni luoghi è stato superato da nuove abitazioni. Esistono ancora 18 torri, alcune circolari altre quadrate. Una di esse, massiccia e di maggiori dimensioni rispetto alle altre, posta alle spalle della Chiesa di San Pietro Ispano e collegata al Palazzo Filonardi, sorto sul luogo del castello, si ritiene fosse il maschio del borgo. La posizione di alcune torri circolari, oggi interne ma collegate da mura alla cerchia esterna, fa pensare ad un doppio circuito difensivo, o ad un'addizione dovuta all'espansione del borgo. C'è qualche scrittore locale che parla di una terza cerchia, osservando la conformazione delle strade interne e ricordando le mura abbattute alla fine dell'Ottocento. Nel circuito murario si aprono tre porte: San Francesco, Santa Maria e San Nicola. Le mura difensive, che facevano di Bauco un paese inespugnabile, sono così ben conservate che ancor oggi la chiusura dei cancelli delle tre porte cittadine, impedirebbe ogni accesso al borgo. Porta San Nicola rappresenta l'ingresso monumentale al centro storico; il portale settecentesco, rimaneggiato nel 1865, ricorda l'architettura di Porta Romana di Veroli. Porta San Francesco è l'altro antico e notevole ingresso di Boville. Si tratta di una porta rimasta allo stato tardomedioevale e inglobata nel Convento francescano, posto alla sua sinistra. Al di sopra del varco si eleva una robusta torre quadrata, posta a difesa; sul suo fianco destro proseguono le mura. Nel corso del Cinquecento e del Seicento sono sorti diversi palazzi di pregevole architettura. Il Palazzo Filonardi, il più grande complesso architettonico del paese, è la trasformazione dell'antico Castello di Boville, avvenuta nel Cinquecento, ad opera del cardinale Ennio Filonardi. Sorge vicino la Chiesa di San Pietro Ispano, nella piazza San Pietro che costituisce il cortile del palazzo. L'edificio rinascimentale, articolato su cinque fronti, è ricco di cortili, di splendidi portali, di trifore, di preziose pavimentazioni interne con impressi il giglio simbolo dei Farnese e la quercia dei Della Rovere (famiglie protettrici del cardinale Filonardi), maestosi scaloni, imponenti camini, soffitti lignei a vista. presenta delle eleganti cornici alle finestre ed un bel portale rinascimentale attribuito al Vignola. Le porte e le finestre portano incisi i nomi di familiari e dello stesso cardinale Ennio Filonardi. Pregevoli sono i particolari architettonici dell’edificio attribuiti ad uno dei più grandi architetti del Rinascimento: Jacopo Barozzi (1507-1573), detto il Vignola, che ha realizzato anche il portale d’ingresso (caratterizzato da un arco rotondo sul quale sono incisi angeli con spighe e fiori ed un’epigrafe) al palazzo che dal 1912 è sede del Monastero delle suore benedettine di clausura, fuggite da Palazzo Simoncelli a causa di un incendio. Al Vignola viene attribuito anche lo stupendo Salone di Rappresentanza, situato al primo piano del palazzo e caratterizzato da un pregiato pavimento in cotto. Altro link consigliato: https://www.raiplay.it/video/2018/10/Il-Borgo-dei-Borghi---Boville-Ernica-FR---Lazio-2597a7b7-ed4d-42b5-80ab-2f93e44a72d6.html (video).

Fonti: http://comune.boville-ernica.fr.it/c060014/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/8, https://it.wikipedia.org/wiki/Boville_Ernica, https://www.ciociariaturismo.it/it/c-e-da-vedere/citta-d-arte/palazzi-storici/443-boville-ernica-palazzo-filonardi.html, http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=98409 (cliccare su questo link per una visita virtuale del palazzo)

Foto: le prime due, relative al Palazzo Filonardi, sono prese rispettivamente da https://www.paesionline.it/italia/monumenti-ed-edifici-storici-boville_ernica/castello-filonardi e da http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=98409; la terza, relativa alle mura cittadine, è presa da https://www.italian-traditions.com/it/boville-ernica/

sabato 25 luglio 2020

Il castello di venerdì 24 luglio



MAZZARINO (CL) - Castello di Grassuliato (o Garsiliato o "di Salamone")

Sorge su un'altura a quota 418 metri s.l.m., posizione che consentiva una visione ad ampio raggio della sottostante vallata del fiume Gela. Accessibile solo da un fronte attraverso un ripido viottolo d'accesso difficilmente percorribile, è inserito all'interno di un'area di grande interesse archeologico non ancora indagata. La morfologia del luogo ha indubbiamente condizionato la costruzione del castello le cui fabbriche si adagiano sulla roccia gessosa seguendone i livelli. Il maniero medievale pare avesse salde mura merlate, con porte e finestre a sesto acuto e con volte a crociera; aveva anche ampi saloni e vaste cisterne e ovviamente un sotterraneo che lo metteva in comunicazione con la sottostante valle. La fortezza, la cui ubicazione era indubbiamente rilevante nei confronti del villaggio che sorgeva ai suoi piedi, perse ogni funzione strategica con la costruzione del vicino abitato di Mazzarino. Le prime notizie storiche riferiscono che nel 1091, in un elenco di donazioni effettuate alla chiesa di Santa Maria della Valle di Giosafat, apparisse fra altri il nome di Salomon de Garsiliat, figlio forse, di Guicone de Garsiliat. Con Simone de Garsiliat, nome poi corrotto in Grassuliato, si ripristinò un piccolo borgo e si riabitò il castello. Territorio vastissimo ricco d’ogni bene e composto, inoltre, da ben nove feudi ed ancora una volta la sua postazione particolarmente strategica ne facevano terra ambita. Tanto potente era il suo signore, Bartolomeo di Grassuliato, che osò sfidare l’autorità regia, riuscendo a coinvolgere alla ribellione anche altri impetuosi nobili, tanto da costringere lo stesso re Guglielmo I (‘il Malo’) a guidare contro di lui un esercito, che ebbe la meglio soltanto dopo un lungo, aspro e rovinoso conflitto. Il Castello messo a ferro e fuoco venne distrutto ed abbandonato. Al tempo di Federico II di Svevia la contea di Grassuliato risorse, anzi, pare che divenne contea proprio in quel periodo. Nel 1282, durante la guerra del Vespro, troviamo i suoi signori a combattere contro gli Angioini e nel 1299 li troviamo schierati, fedelissimi, al fianco degli Aragonesi. La tormentata storia della Sicilia di quei secoli coinvolse, ovviamente, in altrettante alterne vicende anche la contea di Grassuliato; la Guerra dei Novant’anni dilaniò l’sola e tanti furono gli “attori” della contea in quei momenti; da Bernardo Raimondo de Rebellis (difensore della nave di re Federico II d’Aragona nella battaglia di Capo d’Orlando e primo di una famiglia di numerosi uomini d’arme) a suo figlio Giacomo Pietro ed ancora, da Riccardo di Passaneto e suo fratello Ruggero, fino a Guglielmo Pallotta che accusato di fellonia da re Martino I d’Aragona segnò per sempre la decadenza della famiglia e del suo maniero. Da quei fatti in poi tutto il territorio di Garsiliato passò, a ricompensa dei servigi resi alla causa Aragonese, a Niccolò Branciforti signore di Mazzarino e dopo di lui a tutti i suoi discendenti, che dal 1507 furono chiamati Conti di Mazzarino e di Garsiliato. I Branciforti per ben governare, al contrario di molti altri nobili, non si trasferirono mai nella capitale del regno ma preferirono abitare le proprie terre, non risiedendo mai nel castello di Garsiliato che ben presto mostrò i segni dell’abbandono. Per questo gli abitanti di Garsiliato, poco alla volta si trasferirono a Marrarino, spopolando la contea, ma, forse, anche perché il territorio di Mazzarino risultava meno isolato ed in una posizione topografica più favorevole. Così come per altri, anche per il Castello di Garsiliato, storie e credenze popolari si mescolano; ed in questo particolare caso la leggenda popolare accomuna il "Castiddazzu" a "U Cannuni". Essa tramanda che, in un tempo non precisato, si accendesse una disputa fra i due più importanti “Signori” del territorio, padroni entrambi di estesi quanto mai limitrofi contadini, per la fondazione di un unico importante agglomerato. Sempre la tradizione narra che la sorte abbia favorito il “Signore” di Mazzarino, per cui, così come stabilito nel patto iniziale stipulato tra i due, la città nuova venne costruita nei pressi del castello vincitore. E’ rilevante notare come le dicerie popolari spesso traggano spunti da fatti storici. L'abbandono del castello, risalente al secolo XVI, non ha certo favorito la sua conservazione. Attualmente è difficile riconoscere nei pochi elementi visibili la maestosità dell'antico castello. I resti non costituiscono un insieme unitario; attraverso la lettura dei tre gruppi di ruderi oggi esistenti è possibile avere soltanto una visione frammentaria di ciò che un tempo doveva essere il castello. Il primo gruppo è costituito da due ambienti scoperti orientali sud-nord; su una delle pareti si aprono tre feritoie strombate. In direzione sud-ovest rispetto agli ambienti precedenti insistono le rovine di un muro e di un ambiente quadrangolare. Presumibilmente collegato al muro predetto, era un ampio vano rettangolare i cui resti costituiscono il terzo gruppo di rovine, indubbiamente il più interessante. Tale grande salone è scandito da 3 campate quadrate in origine concluse da crociere. Delle antiche vestigia rimangono solo pochi elementi architettonici, il più rilevante dei quali è una mensola angolare sulla quale scaricavano le volte. G. Agnello ritenne i ruderi visibili attribuibili ad epoca sveva. Altri link suggeriti: https://www.siciliafan.it/castello-di-grassuliato/, https://www.youtube.com/watch?v=qgQs65B2DCg (video di Angelo Firrarello), https://www.youtube.com/watch?v=P2l__8dDdmg (video con drone di Enrico Cartia), http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castello%20di%20Grassuliato%20o%20%22Castiddazzu%22%20-CL-250, https://www.lasiciliainrete.it/monumenti/listing/castello-di-garsiliato-e-sito-archeologico-in-c-da-salamone

Fonti: https://www.icastelli.it/it/sicilia/caltanissetta/mazzarino/castello-di-garsiliato-o-grassuliato-o-di-salomone, https://www.ilcasalediemma.it/eventi-archeologia-sicilia/sicilia-castello-garsiliato/

Foto: la prima è presa da https://www.lasiciliainrete.it/monumenti/listing/castello-di-garsiliato-e-sito-archeologico-in-c-da-salamone, la seconda è presa da https://www.vivasicilia.com/castello-di-garsiliato

venerdì 24 luglio 2020

Il castello di giovedì 23 luglio



SCLAFANI BAGNI (PA) - Castello

Dopo la conquista normanna (1060-1091) venne introdotto in Sicila il sistema feudale e Sclafani fu assegnata inizialmente a Giordano, figlio del conte Ruggero e signore di Noto e Caltanissetta, e successivamente alla sorella di costui Matilda, sposa del principe Ranulfo Maniaci, discendente dal comandante bizantino Giorgio Maniace, principe e Vicario dell'Imperatore di Costantinopoli. Successivamente passò alla loro figlia Adelasia, moglie di Rinaldo Avenei. In seguito pervenne a Giovanni di Sclafani, a Goffredo di Montescaglioso (nel 1155) e a molti altri. Nei documenti medievali il toponimo è documentato come Scafa e Scafana/Sclafana. Nel 1131 il paese passò dalla diocesi di Troina, a quella di Cefalù. Dall'epoca normanna a quella aragonese il territorio di Scifani appare punteggiato di "casali" (piccoli agglomerati rurali), caratterizzati da insediamenti aperti, privi di mura, abitati da poche decine di persone, il cui ricordo si trova nella toponomastica di alcune contrade. Nella prima metà del XIV secolo il feudo fu in possesso di Matteo Sclafani, conte di Adernò, il costruttore di palazzo Sclafani a Palermo (1330), che detenne uno dei domini economicamente e strategicamente più importanti di tutta la Sicilia. Il centro abitato di Sclafani si ampliò e venne costruita la cinta muraria e rimaneggiato il castello, posto su un bastione roccioso naturale accessibile solo da sud e raccordato alle nuove mura cittadine. Intorno al castello il centro abitato si era andato sviluppando secondo uno schema "ad avvolgimento". Matteo Sclafani morì senza lasciare eredi maschi. Le figlie Luisa e Margherita erano andate in spose rispettivamente nelle famiglie Peralta e Moncada, che si contesero a lungo il feudo. Alla metà del Quattrocento nel territorio di Sclafani esistevano diversi mulini per la lavorazione del tessuto di lana. Nel 1483 fu istituita per il 13 agosto di ogni anno, la fiera di Sant'Ippolito. Nel Cinquecento e Seicento la contea di Sclafani venne lentamente smembrata attraverso le vendite di fondi e terreni. Del castello, ubicato alla sommità di uno sperone roccioso (812 m) molto alto e ripido, accessibile solo dal lato meridionale dove si estende l’abitato chiuso da una cinta muraria (rimaneggiato nel XIV secolo da Matteo Sclafani), rimangono solo pochi resti:
- una potente torre (m 10,70 x 8,00), completamente sventrata, che conserva tre piani, i primi due con feritoie strombate rivolte verso sud e l'ultimo con una più ampia apertura (monofora), costruiti con mura spesse circa un metro e mezzo, in pietra non lavorata e legata con abbondante malta che fuoriesce. All’esterno, una scala (1,10 m di larghezza) dava sicuramente accesso al primo piano della torre. Da questi pochissimi elementi si può, comunque, dedurre che la torre ricalcava gli elementi strutturali del donjonroman franco-normanno: pianta rettangolare, grande spessore dei muri, pianoterra quasi cieco, porta soprelevata e ambienti residenziali nei piani superiori (cfr. Lesnes 1998, pp. 715-716)
- il portale di accesso della cinta cittadina raccordata al castello, ogivale e sormontato dallo stemma della famiglia Sclafani (due gru che si beccano, l'una d'argento in campo nero e l'altra nera in campo d'argento).
Appoggiata alla facciata sud della torre si trova una struttura (identificabile con una cisterna) coperta a botte. La torre mastra è circondata da un poderoso muro che si raccorda al tratto orientale della cinta urbana. In occasione del restauro di quel che rimane del complesso fortificato (1990) sono stati rinvenuti resti ceramici databili al XV e al XVI secolo. Il Castelluccio (o "castelletto"), collocato sulla cinta muraria in posizione opposta al Castello Grande, era adibito al corpo di guardia e all’alloggio dei soldati; anche di questo rimangono solo pochi resti. Altri link suggeriti: http://www.comune.sclafanibagni.pa.it/Virtualtour/360.html (visita virtuale), https://www.vivasicilia.com/castello-di-sclafani-bagni

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sclafani_Bagni, http://www.comune.sclafanibagni.pa.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=18&Itemid=150, https://www.icastelli.it/it/sicilia/palermo/sclafani-bagni/castello-di-sclafani

Foto: la prima è di Francesco Ventimiglia su http://www.francescoinviaggio.it/SICILIA%20ON%20THE%20ROAD%202011/19)%2023%20Ottobre%202011%20-%20Sclafani%20Bagni%20(PA)%20ed%20il%20Castello%20di%20Resuttano%20(CL)/slides/DSC_3447.html, la seconda è di Giuseppe Muccio su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/87306

mercoledì 22 luglio 2020

Il castello di mercoledì 22 luglio



SCANDIANO (RE) - Castello di Rondinara (o di Tresinaro)

Borgo situato ai margini del terrazzo alluvionale sulla destra del torrente Tresinaro. In questa zona è documentata la presenza di materiale litico sparso in superficie attribuito al neo-eneolitico. Rondinara è menzionata nel 999 in un documento dell'Archivio Capitolare di Reggio. Nel 1010 Gottifredo figlio di Salsemo e Alda di Ubaldo donarono il castello alla Chiesa di Reggio. Nel 1070 figura tra i beni concessi in enfiteusi a Bonifacio di Canossa. Già nel 1335 era in possesso dei Fogliani che lo mantennero anche dopo l'investitura del 1361 fatta dal vescovo a Feltrino Gonzaga. Occupato nel 1426 dagli Estensi fu reinfeudato ai Fogliani nel 1453. Nel 1528 Gian Filippo Sertorio comperò il castello dai Fogliani ottenendone la conferma dal Duca Alfonso I; rimase a questa famiglia fino al 1614 anno in cui fu venduto al Conte Giovanni Cortese ai cui discendenti appartenne fino alla soppressione dei feudi. Attualmente è in proprietà della famiglia Gazzotti. Del castello rimangono i muri perimetrali e, sul lato nord, una parte del fabbricato principale, ricostruito. La Chiesa di S. Giovanni Battista era dipendente nel 1302 dalla Pieve di S. Valentino. L'edificio, in rovina nel 1543, venne rifabbricato nel 1664, in ordine toscano ad una sola nave con tre altari. Un nuovo restauro fu compiuto nel 1789 quando venne realizzata anche la canonica. Si evidenzia lo svettante campanile con cella a bifore. Il mulino di Rondinara compare nella divisione dei beni della famiglia Boiardi nel 1474. L'opificio è censito nella Carta Idrografica d'Italia del 1888. Il mulino, dei Casetti, ha cessato l'attività da circa dieci anni. Aveva cinque coppie di macine azionate da ruote orizzontali a mescolo. Attualmente rimangono solo due macine con relativi telai lignei in buono stato. Alla fine del Settecento la villa di Rondinara comprendeva 274 abitanti, il territorio 524. Dopo il periodo napoleonico il comune fu aggregato a Carpineti e nel 1860 a Scandiano. Altri link suggeriti: https://mapio.net/pic/p-50480182/ (foto), https://www.tourer.it/scheda?resti-del-castello-di-tresinaro-rondinara-scandiano (foto)

Fonte: http://www.4000luoghi.re.it/luoghi/scandiano/rondinara.aspx,

Foto: entrambe del mio amico, e inviato speciale del blog, Claudio Vagaggini, che ha visitato il sito ieri 21 luglio.

martedì 21 luglio 2020

Il castello di martedì 21 luglio





MONTE SAN GIOVANNI CAMPANO (FR) - Castello Ducale

La costruzione del castello risale alla fine del X secolo. L'8 aprile del 1157 entrò in possesso dei conti d'Aquino, vassalli di papa Adriano IV e nel 1184 fu danneggiato gravemente da un terremoto. Nel 1244-1245 vi fu rinchiuso dai familiari san Tommaso d'Aquino. Tommaso venne tenuto prigioniero per due anni, allo scopo di distoglierlo dalla vocazione religiosa domenicana e farlo in seguito entrare nell'Ordine benedettino per seguire i progetti paterni che voleva farne in futuro l'abate di Montecassino come lo era stato un suo zio. Secondo la tradizione durante la prigionia, i suoi fratelli introdussero nella sua stanza una giovane donna saracena discinta e provocante, ma il santo la scacciò con un tizzone ardente. In seguito a questa prova cadde in un sonno profondo, durante il quale gli comparvero in sogno due angeli, che lo cinsero con il cordone della castità, liberandolo per sempre dagli istinti sessuali, affinché potesse dedicarsi completamente agli studi teologici. In seguito il santo sfuggì alla prigionia calandosi con una corda da una finestra sul lato del castello sovrastante la chiesa di Santa Margherita. La stanza della prigione del santo è raffigurata in modo molto simile al reale nella tela "San Tommaso d'Aquino confortato dagli angeli" del pittore spagnolo Diego Velàzquez, conservata nel Museo diocesano di Orihuela, in Alicante (Spagna). Per la sua posizione strategica, ha svolto, per secoli la funzione di difesa dei confini meridionali dello Stato Pontificio. Nel 1427 il Papa Martino V lo assegnò al nipote Antonio Colonna. Nel 1440 la proprietà del castello passò al marchese spagnolo Innico d'Avalos che aveva sposato Antonella d'Aquino. Nel 1495 le truppe del re di Francia Carlo VIII scesero in Italia per conquistare il regno di Napoli. In febbraio, giunto quasi senza opposizione al castello di Monte San Giovanni, trovò invece una notevole resistenza e dovette conquistare il castello mediante l'uso delle artiglierie, piazzate sulla collina di fronte al maniero. Vinta la resistenza le truppe si abbandonarono al saccheggio, distruggendo l'intera città e massacrando non solo i difensori ma anche donne e bambini. La battaglia venne descritta e commentata da Francesco Guicciardini nel primo libro della "Storia d'Italia":
«Andò di poi l'esercito al Monte San Giovanni, terra del marchese di Pescara, posta in su i confini del regno nella medesima Campagna, la quale, forte di sito e di munizioni, non era meno munita di difensori perché vi erano dentro trecento fanti forestieri e cinquecento abitanti dispostissimi a ogni pericolo, in modo si giudicava non si dovesse espugnare se non in ispazio di molti dì. Ma i Franzesi, presente il Re, avendolo battuto con l'artiglieria, poche ore gli dettero con tanta ferocia la battaglia che, superate tutte le difficoltà, l'espugnarono per forza il dì medesimo; dove per il furore loro naturale e per indurre con questo esempio gli altri a non ardire di resistere, commessoro grandissima uccisione. E dopo aver esercitato ogn'altra specie di barbara ferità, incrudirono con gli edifici col fuoco. Il qual modo di guerreggiare, non usato per molti secoli in Italia, empiè tutto il Regno di grandissimo terrore». Nel 1595 il Papa Clemente VIII rientrò in possesso del castello, che da allora divenne Sede del Governatore Pontificio, alla diretta dipendenza di Roma. Un forte terremoto, nel 1703, causò gravi danni: le mura del castello, nella parte superiore, ne rimasero tanto indebolite che fu necessaria la demolizione dell'ultimo piano. Nel 1832 dalla Camera Apostolica il Castello passò ai Conti Lucernari. Dopo l'annessione all'Italia, nel 1870, con la scomparsa del Governatore Pontificio, fu sede della Pretura Mandamentale. Il terremoto del 13 gennaio 1915 portò alla demolizione di due piani del Palazzo. Nel 1942 fu acquistato da Luigi Mancini, che dette inizio ad importanti lavori di restauro. Alcuni anni dopo la sua morte fu acquistato nel 1990 dalla famiglia Mastrantoni, che intraprese nuovi restauri. Dall’analisi del complesso si desume che esso fosse diviso in due zone distinte: la prima, con funzioni militari, comprendeva due torrioni, uno quadrato e uno pentagonale (raro esempio architettonico) e, gli edifici per l’alloggiamento dei militari (pare che ne potesse ospitare ben 700); la seconda era adibita a residenza per la famiglia del castellano. Di questa imponente costruzione è rimasto, anche se fatiscente, un notevole complesso di strutture murarie sull’alto colle di Monte San Giovanni. La fortificazione aveva una doppia cinta di mura unite a 14 torrette tra quadrate e tonde. Restano ancora visibili i resti di queste mura dal lato sud-ovest. Cinque porte permettevano di entrare nel castello: la porta di Orione, della Scrima, di San Rocco, dei Codardi e della Valle. Delle difese esterne, rimangono i due torrioni semicircolari dimezzati, che dovevano essere a guardia dell’ingresso col ponte levatoio. Delle torri di vedetta, alcune ancora esistono, anche se trasformate in abitazioni. Gli elementi architettonici rimasti del palazzo baronale (alte feritoie a sesto acuto, portali e bifore strombate) testimoniano l’epoca di costruzione e la stessa mano d’opera proveniente, forse, dalla vicina Casamari, Delle bifore nella facciata sud, una porta, nel capitello della colonnina, una testa coronata forse rappresentante l’imperatore Federico II; altre due sono deteriorate, una quarta è stata murata. Del secondo piano, quello nobile, è rimasto solo il magnifico portale ad arco tondo che immette negli unici due ambienti rimasti coperti. Il palazzo ducale comprendeva originariamente cinque piani, risultando più alto della torre principale. I tre piani superiori furono demoliti in seguito ai danni subiti dai terremoti. Sulla facciata principale i muri, in pietra locale, presentano uno spessore di oltre 2 m alla base. Nei sotterranei si conservano le carceri, con scritte dei prigionieri sulle pareti. Al piano soprastante si conserva l'antico alloggio del carceriere, per il quale è previsto l'uso come biblioteca. Si conservano inoltre due stanze che ospitarono la prigionia di san Tommaso d'Aquino: quella più interna, dove il santo era rinchiuso, è stata trasformata nel XVI secolo in cappella. Gli ambienti si raggiungono salendo una ripida gradinata e vi si accede per mezzo di un portale. La cappella presenta un pavimento di quadrelli di maiolica turchini e bianchi fatti a scacchi. L'altare è sormontato da un trittico del XVI secolo di scuola napoletana, dipinto su tavola, che rappresenta episodi della vita del santo. Sul piazzale di Corte prospetta la torre maschia, a pianta quadrata e risalente al XII secolo, alta circa 20 m e con porta d'accesso posta quasi a metà altezza. I muri sono spessi 3,30 m alla base e la torre è circondata da un bastione a scarpata, databile in epoca posteriore per la presenza di aperture per bocche da fuoco. Il mastio era a loggia sporgente sostenuta da beccatelli, con la merlatura e la torricella superiore ora diruta. Rimane il suo ingresso caratterizzato da un grande monolite e da un'unica finestra. A nord-est del complesso si innalza la torre pentagonale, attribuita al XIII secolo, con grande finestra ad arco ogivale sul lato verso l'interno del castello. All'interno conserva due vani sovrapposti, collegati da una scala tutta in luce. Gli ambienti ospitano mobili antichi di stile e provenienza varia. Al di sotto della torre è presente un battistero. Fra le due torri esisteva una comunicazione sotterranea. Un passaggio sotterraneo conduceva dalla torre pentagonale ad una uscita a 400 m dall'edificio. A poca distanza dalla torre pentagonale, sorge un palazzo di stile rinascimentale, che si presenta come un corpo a sé stante, che conserva i saloni dei conviti, della musica, dei giochi e la taverna, con decorazioni, mobili e suppellettili. Dall'atrio, uno scalone marmoreo conduce agli appartamenti nobili. Davanti all'ingresso del palazzo si trova una fontana, con la statua di una donna con in mano la classica anfora ciociara; ricostruzione postuma fatta dalla famiglia Mancini. È da precisare che tutta la ricostruzione (non si può parlare di restauro) abbonda di cemento armato di pacchiana realizzazione e assolutamente non riconducibile al XII secolo che vede addirittura la presenza di una piscina. Le scale di accesso alla chiesetta di S. Tommaso presente nella struttura sono allo stesso modo realizzate in calcestruzzo come i particolari degli archi di accesso al Castello. Insomma una sorta di "restauro" fai da te che ha compromesso l'intera storicità del maniero. Consoni invece gli interventi alla "parte vecchia" che resta integra in tutta la sua fiera bellezza. Altri link consigliati: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Lazio/frosinone/montesangiovanni.htm, https://www.youtube.com/watch?v=sgtsjjD9eEI (video di Emanuele Caruso), https://www.youtube.com/watch?v=KqerpVFz5ok (video di Agnes Preszler

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Monte_San_Giovanni_Campano, https://it.wikipedia.org/wiki/Monte_San_Giovanni_Campano#Architetture_militari, http://www.comune.montesangiovannicampano.fr.it/msgc/zf/index.php/musei-monumenti/index/dettaglio-museo/museo/1, https://www.ciociariaturismo.it/it/la-ciociaria/i-91-comuni/tutti91comuni/863-attrattive-comuni/405-il-castello-dei-conti-daquino-monte-san-giovanni-campano.html

Foto: la prima è presa da https://montefree.blogspot.com/2016/05/, le altre tre sono state scattate da me durante la mia visita del 17/07/2020

giovedì 16 luglio 2020

Piccola pausa per il Castelliere

Amici del blog,

riparto per una nuova breve vacanza, questa volta non per castelli in modo specifico (ma spero di vederne uno.....poi ne parlerò). Non potrò pubblicare nulla di nuovo per alcuni giorni, ci rivediamo qui all'inizio della prossima settimana!

Valentino

Il castello di giovedì 16 luglio



BORGHETTO DI BORBERA (AL) - Castello di Torre Ratti

Si trova nella bassa val Borbera in Piemonte, a metà strada tra Alessandria e Genova. Questo territorio ha fatto parte per secoli del Ducato di Milano ed è stato infeudato dalla famiglia tortonese Rati-Opizzoni. Sicuramente il castello esisteva già intorno al 1000 quando arrivò Federico Barbarossa, ma è citato per la prima volta nel 1413 perché il duca di Milano Filippo Maria Visconti aveva richiesto dei lavori di ampliamento per controllare l'estremo confine meridionale del Ducato di Milano con la Repubblica di Genova e i Feudi Imperiali. L'attuale costruzione del castello si sviluppa su diversi periodi (prima del 1413, 1413-1629, 1560 e dopo il 1629. Nel 1629, alla struttura principale venne aggiunto il torrione quadrato e furono apportati alcuni cambiamenti interni. Successivo invece è l´ampliamento realizzato fra le due torri e la costruzione degli ambienti sul lato nord. Da ricordare che sul camino del castello campeggia il quadro del Doge della Repubblica di Genova Costantino Balbi dipinto da Enrico Weimer nel 1738 e nel "Salone delle specchiere" ci sono due specchiere seicentesche, una con relativa consolle, dello scultore architetto genovese Filippo Parodi. Alla fine dell'Ottocento, il cardinale Achille Ratti, poi papa Pio XI, chiese, data l'omonimia, ai Rati Opizzoni di poter usare il loro stemma che divenne così lo stemma di papa Ratti, che concesse in cambio alla famiglia il titolo ducale. Oggi l'edificio, soggetto in passato a numerosi rimaneggiamenti, si presenta come una ricca dimora residenziale fortificata con tratti architettonici tardo-rinascimentali e barocchi. I due corpi che formano il complesso sono strutturati con seminterrati, un tempo adibiti a cucina, piani nobili ad uso abitativo e piani sottotetto destinati ad uso militare. Il castello si collega all'adiacente borgo attraverso la antica chiesa abbaziale di san Bernardo. Il complesso è circondato da un parco, posto lungo il greto del torrente Borbera, in parte sistemato a giardino all’italiana, con una fontana barocca, zone a prato e siepi in bosso sapientemente potate. Tutto ciò che riguarda il Castello di Torre Ratti è tratto dal libello scritto da Roberto Allegri sul feudo dei Ratti-Opizzoni. Purtroppo all’epoca, quando lui scrisse, molte delle statue e molti dei soprammobili e mobili erano conservati all’interno del castello con molta cura. Il visitatore o chi potrà recarvisi purtroppo non vedrà più le suppellettili del tempo, ma potrà quanto meno immaginarsele. Infatti è stato portato via tutto, o quasi, dato che per diversi anni il castello è appartenuto a privati e quindi, con diritto, ciò che vi era dentro era ad uso privato e soggetto alla volontà dei padroni. Sulla consistenza del “castrum” della Torre abbiamo dati precisi attraverso la perizia del 2 Novembre 1629, sebbene essa riguardi una sola porzione di esso, quella abitata da Giò Batta Ratti. La perizia riferisce che la casa del fu Gio Battista Rati consisteva di quattro vani al piano terra (il primo comprendente una scala a chiocciola, un altro costituente una sala d’angolo, il terzo provvisto di una apertura verso l’esterno e comunicante con esso attraverso una scala semicircolare di dieci gradini e l’ultimo, che era una sala sul cui angolo fu poi edificata la torre nuova); ed inoltre di un andito con una scala «di vivo», al quale si accedeva dal vano comunicante con l’esterno e che serviva per il passaggio ai piani superiori. Più tardi, probabilmente a seguito dell’immissione nel possesso, venne prolungato questo andito e praticata una apertura sul lato verso levante, con la costruzione di una scalinata di accesso. La parte ora descritta, con i vani superiori, è quella migliorata dopo il 1413 ma costruita anteriormente e quindi, unitamente alla porzione di Gerolamo costituita da due grandi vani con incorporata la torre vecchia, è anteriore al 1413. Prima dunque che Giò Battista migliorasse la nuova porzione, l’unico ingresso al castello era attraverso la scala, mentre l’accesso alla Torre Vecchia avveniva soltanto tramite il passaggio che dalla”piazza” attraverso alcuni camminamenti coperti, consentiva di arrivare al vano della Torre. Attualmente quindi la costruzione si presenta al suo interno costituita come segue: l’ingresso alla porzione di Gerolamo (cui si accede oggi dal castello sulla destra) era ubicata più in alto rispetto al piano della piazza. Nel lato di levante, cioè quello fronteggiante la Torre Vecchia, esiste un’altra porta cinquecentesca, dove sul lato sinistro guardandola, un lavabo in marmo ed un pozzo coperto che peraltro consentiva la presa d’acqua soltanto dall’interno. L’atrio, il corridoio ed il vano scala al piano terreno, sono tutti costruiti con volta a vela, mentre la camera d’archivio è provvista di un soffitto cinquecentesco a cassettoni e le altre stanze (camera dei giochi, camera della biblioteca, e studiolo posto in quest’ultima) e l’atrio hanno invece la volta a padiglione. Dal primo pianerottolo della scala d’accesso ai piani superiori, costituito da due pavimenti a dislivello di un gradino, in malta di calce viva di colore rosso, si entra nella cucina vecchia, il cui soffitto è anch’esso a cassettoni come quello della camera d’archivio sottostante. La cucina sempre cinquecentesca è provvista di un forno incorporato nel muro, di un grosso camino e di un’apertura sulla scala a chiocciola (che oggi non esiste più perché è stata murata), ed infine di un ripostiglio cinquecentesco ricavato nel muro. Sempre nell’ammezzato, con un ulteriore dislivello di quattro gradini, si accede a due stanze opposte rispetto al pianerottolo, entrambe con pavimento in cotto, l’una con volta a padiglione e l’altra a padiglione incatenato. Al primo piano, dirimpetto alla scala, esiste l’ingresso del «Salone del Camino», così denominato per la presenza di un monumentale camino costruito dal Vasoldo, Gio Giacomo Pracca, dal disegno di G.B. Castello (sec. XVII). Questo salone sul cui ingresso principale sono dipinti gli stemmi delle famiglie Federici e RatiOpizzoni (ciò a ricordo del matrimonio celebrato fra Girolamo Rati e Maria Maddalena Federici), è provvisto di cinque grosse finestre con nicchie e busti soprastanti: nicchie e statue sono pure all’ingresso principale e tutte sono contornate da affreschi. (Purtroppo le statue sono state portate via e quindi sono solo rimaste le nicchie che le accoglievano). La volta è a padiglione; fra le finestre nel lato dirimpetto all’ingresso sono installate due grandi specchiere fine seicento; sul camino campeggia il quadro del doge Costantino Balbi dipinto da Enrico Weimer nel 1738. A fianco dell’ingresso principale esistono due porte; l’una a sinistra, conduce ad una camera studio, e quindi all’accesso della «Santa Barbara», di cui parleremo oltre; l’altra a destra, invece, conduce alla sala del Consiglio. Anche queste porte sono contornate da affreschi. La «Sala del Consiglio» (che due verbali redatti nel 1770 nello stesso luogo ma in orari diversi precisano che costituisce l’andito solito nel piano superiore; infatti da quest’aula si accede sia al ponte in legno verso la Torre e meno ampia) con volta a padiglione, nella destra è provvista di un grande camino cinquecentesco in pietra, sulla cui cappa spicca lo stemma del cardinale Angelo Opizzoni e alla cui destra è il ritratto seicentesco di un prelato della famiglia. Nelle pareti, sotto il cornicione, sono visibili gli stemmi dei Vescovi ed Abati benedettini e domenicani, che illustrarono la famiglia. Dalla sala del Consiglio si passa sulla sinistra ai vani del reparto «Santa Barbara», mentre sul fronte opposto all’ingresso una porta consente l’accesso, tramite un ponte in legno, alla Torre Vecchia. Ritornando al pianerottolo del primo piano ci si immette alla «Camera deposito delle Armi», con nicchia e feritoia. Il pavimento è in cotto e ha volte a vela. Vi è una torretta di avvistamento nello spigolo nord-est provvista di numerose feritoie. L’andito che immette alla torretta ha due piccoli vani con volta a botte e finti cornicioni del cinquecento. Vi è anche un deposito delle polveri con tre nicchie, una per i fucili carichi. Sotto il pavimento esiste una canna fumaria a serpentina che parte da un fornello nell’esterno e per mezzo della quale è possibile riscaldare l’ambiente per non far inumidire le polveri. Uno sfiatatoio fa si che l’ambiente non si surriscaldi. Subito di fianco vi sono tre stanze, due con volta a cassettone e una con tavelle rustiche, accoglievano i dormitori per le truppe.La « Santa Barbara» che accoglie queste stanze è interamente cinquecentesca. Dal piano terra si raggiungono i fondi, comprendenti la cantina molto vasta, con una larghezza di circa dieci metri e si estende dall’uno altro muro esterno. La Torre Vecchia consta di sei vani, l’uno sovrastante l’altro. I primi due sono le prigioni alle quali si accede tramite una scala di pietra esterna, e dal piano terra. Il tetto è rivestito di legno e coperto di coppi e sovrasta un ripiano circondato da merlature ghibelline. La torre ha finestre e feritoie. L’altro corpo, che chiamiamo la porzione di Giò Battista, si protende verso levante. Si può accedere sia da levante, che dai lati nord e sud. A levante appare la facciata principale con gli stemmi affrescati dei Visconti e dei Rati – Opizzoni e una scalinata d’accesso all’ingresso principale; sulla facciata appaiono pure i gigli in ferro battuto, usati come porta-stendardi. Si entra in un andito e a circa tre quarti dall’ingresso appare un arco con lesene che denota il punto in cui iniziava la vecchia costruzione alla quale, dopo il 1629, furono aggiunti altri vani, uno sulla destra dell’andito e uno sulla sinistra, il vano a sinistra è la sala da pranzo da cui si accede alla cappella privata e al Salone delle specchiere. Alla cappella si giunge sia attraverso un corridoio dalla Sala da Pranzo che attraverso un piccolo andito dal salone. La cappella, a forma quadrata, presenta nel centro della volta a padiglione un affresco fine seicento rappresentante gli Angeli musicanti; su un lato è l’altare ricavato nello spessore del muro e contenuto in un armadio seicentesco, nella cui cimasa è scolpito lo stemma dei Rati- Opizzoni. L’interno dell’armadio contiene affreschi, pure seicenteschi, raffiguranti al centro la deposizione con San Carlo e San Francesco; al lato sinistro San Pietro con il gallo, al lato destro la Maddalena in un paesaggio. Sugli altri due lati vi sono una «Via Crucis» in incisioni settecentesche, quattro incisioni raffiguranti alcuni momenti della vicenda tra Pio VII e Napoleone (in una quella che rappresenta il ritorno a Roma, il Papa è raffigurato mentre, a Bologna, riceve l’omaggio di alcuni dignitari, fra cui il cardinale Opizzoni, Arcivescovo della Città). Un dipinto di Camillo Gagliardi, romano, del 1701, illustra l’Abbazia di San Bernardo annessa al Castello. Un altro dipinto rappresenta un prelato della famiglia. (Dalle foto si può vedere che fortunatamente sono rimasti gli affreschi della crocifissione, di S.Pietro e della Maddalena. Il resto è andato perduto). Il primo vano, passati la cappella, è il «Salone delle specchiere» in cui infatti vi sono due specchiere, una con relativa consolle, dello scultore architetto genovese Filippo Parodi (Genova 1630-1702). La volta è a padiglione con lunette, il ricco camino marmoreo settecentesco è sormontato da un paliotto ricamato genovese, e da uno stemma decorativo, tutti di fattura settecentesca. Vi sono molti dipinti. Un ritratto di un magistrato opera di Leardo Bassano (Ponte Leandro detto Bassano – Bassano 1557-1622); il ritratto del tesoriere Filippo II di Spagna di Antonio Morr Van Dashorts (Utrecht 1519-Anversa 1575), pittore fiammingo vissuto alla corte del Re di Spagna. Nel quadro è evidente la posizione originaria, che rappresenta il personaggio a metà busto; sopra due porte i quadri di antenati della famiglia, opere firmate da Francesco Parodi, affiancano un grande dipinto di Luca Giordano (Napoli 1632- 1704) rappresentante un’allegoria con la dea Minerva. (Nulla è più rimasto). Attraverso una porta nello sfondo si accede alla camera da letto del «Cavaliere di Malta» con volta a padiglione e di qui ad una seconda camera da letto con volta a padiglione con vela. Dipinto molto importante e La scorticazione di San Bernardo di Giovan Battista Paggi (Genova 1554- 1627).(E’ andato perduto). La scala di accesso ai piani superiori è il termine di confine della porzione di Gerolamo. Al primo piano, la «Camera del Cardinale», con volta a padiglione, e qui il letto in cui dormì Pio VII al ritorno da Fontanebleau. La stanza attigua è «La sala delle Balaustre» che immette in un corridoio sfociante nella «Sala della Loggetta». Stanza seicentesca con camino in marmo rosso,volta a padiglione con lunette. La stanza successiva è la «Sala della cornice» vi era una vetrina infatti fasciata da una cornice seicentesca. Dal Salone si accede alla «Sala della Chiocciola». Al secondo piano vi sono le stanze della servitù. L’ingresso principale è, dall’inizio del 1900, quello che immette sulla provinciale. Ma nei secoli l’ingresso è sempre stato esistente sotto la «Torre di Guardia». Uscendo dal portone della chiesa di San Bernardo e procedendo verso la Torre di Guardia, si notano sulla destra e sulla sinistra varie costruzioni, oggi però modificate ma, in fondo alla via sulla sinistra, esiste La casa del fante, costruzione trecentesca, con soffitti in legno e travature, e due finestre una all’altra soprastante, con stipite in pietra ad arco. La Torre di Guardia, attraverso due archi di pietra, all’esterno del recinto, nel punto in cui un tempo esisteva il pinte lavatoio, di cui appaiono le feritoie, esterne per il passaggi delle funi. A lato dell’arco, a sinistra entrando, vi è la cappella del presidio, con volta a padiglione con torretta. Altri link suggeriti: https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_AL_Torre_Ratti.htm, http://www.castelloratti.com/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Borghetto_di_Borbera, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Torre_Ratti, http://castellipiemontesi.it/pagine/ita/castelli/torre_ratti.lasso, https://www.piemonteitalia.eu/it/cultura/castelli/castello-di-torre-ratti, https://luoghi.italianbotanicalheritage.com/castello-di-torre-ratti/, testo su https://www.comune.borghettodiborbera.al.it/it-it/download/descrizione-del-castello-519-37-352-7c064d28cfc441ff6d856b2085025886

Foto: la prima è presa da https://ceppogasmtb.wordpress.com/tag/capanne-di-cosola/, la seconda è di Andre86 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Torre_Ratti#/media/File:Castello_Torre_Ratti.JPG