venerdì 16 settembre 2016

Il castello di sabato 17 settembre






MISILMERI (PA) – Castello dell’Emiro

L'emiro Giafar II, che governò la Sicilia dal 996 al 1018, giunto a Misilmeri, fece costruire un grande castello dove dall'alto delle torri si ammirava uno splendido panorama: dalla vallata del fiume Eleuterio sino al mar Tirreno. In seguito, alle pendici del castello si formò un villaggio; da qui il nome Misilmeri che deriva dall'arabo Menzel-el-Emir e che significa appunto villaggio dell'Emiro. Nel 1068 Misilmeri fu teatro di una battaglia tra i Normanni di Ruggero d’Altavilla e gli Arabi, con la vittoria dei Normanni. La prima chiesa cristiana fu costruita prima del 1123 e intitolata a Sant’Apollonia, come citato in una bolla di papa Callisto II. La Misilmeri attuale venne fondata nel 1540 dal barone Francesco Del Bosco, il quale trasformò il paese in un cantiere edile; nel 1553 fece costruire la nuova parrocchia di San Giovanni Battista, la Madrice, nel 1575 aprì la strada di accesso al castello, la Strada Grande. La ricostruzione del paese proseguì con un'altra chiesa, quella di Santa Rosalia, la prima ad essere dedicata alla Santa eremita palermitana che dal 1625 al 1671 fu patrona di Misilmeri, conosciuta più comunemente come la chiesa di San Paolino. Nel 1692 con il supporto morale ed economico di Giuseppe del Bosco, principe della Cattolica, Francesco Cupani fondò a Misilmeri il più grande orto botanico d’Europa nel Giardino Grande, del quale oggi non rimane niente. Lo scopo di questo orto botanico era di coltivare erbe e piante per alleviare le sofferenze fisiche della povera gente di Misilmeri. Attirava molto l'attenzione del mondo civile di allora poiché questo tipo di istituzione umanitaria era davvero una cosa rara. Nel 1795, fondato l'Orto botanico di Palermo, più di 2000 piante di quello di Misilmeri vi furono trasferite. Nel 1896 venne collocata a Misilmeri una lastra marmorea incisa in memoria di questo primato scientifico. Re Vittorio Amedeo II di Savoia volle visitare per questo motivo il paese. La storia del Castello di Misilmeri è legata agli uomini che lo hanno abitato e posseduto, la sua bellezza al luogo verde e rigoglioso in cui sorse. Adagiato sullo sperone di Villalonga, il Castello di Misilmeri sovrasta solitario la valle dell'Eleuterio. Per la sua particolare posizione il castello fu in ogni epoca conteso, desiderato e rafforzato. Esistono diverse ipotesi sulla sua costruzione: la prima inquadra l'inizio della sua edificazione con la presenza del solo torrione nel periodo arabo, la seconda è che la costruzione sia avvenuta ad opera di Manfredi Chiaramonte intorno all'anno 1391. Attraverso diversi documenti ritrovati si può affermare che il castello non venne costruito interamente dagli arabi, ma ampliato in tempi diversi e a distanza di secoli. Il primo impianto è di origine araba, infatti si deve a loro il nome “Castello dell'Emiro”, Qasr al Amir. Inizialmente la sua struttura era composta solamente da una torre, detta Saracena, e da mura di cinta. A questa prima matrice spaziale si fusero altre aggiunte successive erette da coloro che lo hanno abitato, ed ognuno di essi ha impresso il proprio stile di appartenenza, trasformandolo, abbellendolo attraverso restauri e ampliamenti, rendendolo più forte e maestoso. Il primo restauro della fabbrica avvenne nel XIV sec. ad opera della famiglia Chiaramonte (in precedenza il complesso era stato donato da Ruggero Altavilla all’ammiraglio Giorgio d’Antiochia che a sua volta lo aveva donato alla diocesi di Palermo per poi finire in mano ai Chiaramonte a partire dal 1340). I primi interventi riguardarono la torre saracena, riadattata e ristrutturata; l'intera fabbrica, a differenza dei fortilizi dell'epoca, non si presentò mai come una struttura regolare circondata da mura e torre angolari a causa della topografia del luogo che fu sempre vincolo e causa dell'irregolarità dell'impianto. La torre più che un'abitazione divenne una fortezza e le mura esterne vicine alle zone più scoscese vennero spostate sull'orlo del promontorio in modo da avere una maggiore funzione strategica. Con l'avvicendarsi di diversi proprietari si susseguirono le trasformazioni. Nel 1486 Guglielmo Aiutamicristo, per abbellire le sue terre con maestosi edifici, chiamò alle sue dipendenze i migliori artisti dell'epoca tra cui il maestro Matteo Carnilivari, che diresse personalmente i lavori di restauro e abbellimento del castello. Ancora attualmente identificabile c'è la cappella del castello che si trovava a primo piano con una copertura ogivale sostenuta da robusti costoloni leggermente smussati e poggianti su colonnine angolari, delle quali solamente due sono rimaste ancora in sito. Le dimensioni della fortezza raggiunsero proporzioni imponenti tanto da poter accogliere il barone con tutta la sua famiglia e la schiera di servitù e soldati, che vivevano nelle ventitrè stanze. La pietra usata dal Carnilivari veniva estratta da Portella di mare e/o da Aspra, era di tufo calcareo compatto di color giallino, di origine marina. In seguito alle spese sostenute e alla vita lussuosa trascorsa tra i salotti nobiliari di Palermo e Napoli, la famiglia Aiutamicristo dovette indebitarsi, così i baroni di Misilmeri e Calatafimi, furono costretti ben presto a vendere entrambe le baronie a Francesco del Bosco. Alla morte di Giuseppe del Bosco, 1721, il ducato di Misilmeri con il suo castello passarono al nipote Francesco Bonanno, unico erede degli immensi beni del duca. Con la famiglia Bonanno si chiuse il capitolo del feudalesimo per il paese ma anche la fine del castello. La famiglia Del Bosco-Bonanno non seppe gestire e mantenere il potere e perse molte ricchezze. Il castello, durante questi anni, continuò ad essere utilizzato come carcere e agli inizi del 1800 il castello venne occupato da ufficiali borboni e i loro soldati lo trasformarono in polveriera. Nel 1812, il Parlamento di Sicilia, approvò la legge sull'abolizione dei diritti e dei privilegi baronali, sicché Giuseppe Antonio Bonanno-Branciforti, ultimo signore di Misilmeri, perse tutti i privilegi feudali sulle sue numerose baronie; di conseguenza venne meno la manutenzione ordinaria del castello, che abbandonato a se stesso fu preda di saccheggi degli stessi misilmeresi, che lo ridussero ad un cumulo di rovine. Dopo più di un secolo e mezzo di incuria e di abbandono, nel 1980, è stato dichiarato monumento nazionale. Il 27 marzo 2010, in occasione di una delle giornate di Primavera del Fai, si è tenuta l'inaugurazione del castello di epoca arabo-normanna dopo i lavori di restauro che hanno riportato all'antico splendore il maniero e la sua storia. Dopo più di 200 anni hanno rivisto la luce pavimenti, muri, decorazioni, graffiti che nemmeno i più ottimisti pensavano potessero riemergere da un passato secolare. Chi aveva memoria del castello, delle escursioni e degli aquiloni, dovrebbe fare un profondo reset e sintonizzarsi su un’altra frequenza, perché quello che finora hanno restituito gli scavi è tutt’altra cosa. Le foto possono dare solo una piccola idea. Quello che si incontra appena superata la rampa di accesso, è un ampio ingresso pavimentato con pietre sagomate che si chiude con un colonnato a 4 colonne. E poi, inaspettatamente, i graffiti risalenti al 1700, dentro una segreta dove erano reclusi delinquenti comuni e dissidenti: incisioni o scritte con carboncino che indicano date, cognomi, rudimentali calendari, messaggi lasciati ai posteri su fustigazioni e percosse, croci cristiane e palme. Una evidenza tutta da scoprire. Ciò che ha fatto venire in rilievo questa prima campagna di restauri è che occorreranno nuovi finanziamenti per portare alla luce l’immenso patrimonio che, paradossalmente, i crolli e le macerie accumulate hanno salvaguardato. La fantasia del misilmerese è stata sempre molto spigliata. Attraverso i secoli ha anche inventato leggende, spettri,streghe e fantasmi o “travatura”un po’ dappertutto, ma in particolare riguardo al Castello. Raccontano i vecchi ai piccoli di aver visto di notte passeggiare tra i ruderi del Castello dei fantasmi avvolti in bianche lenzuola,come dei truci volti degli Emiri, armati di scimitarra, seguiti da una schiera di donne del loro “harem” che in tono lamentevole invocavano ancora: “Allah”! “Allah”! e Maometto è il suo Profeta ! Altri dicono di aver visto i potenti Baroni che lo possedettero, che ancora severi e arcigni, guardano dall’alto in basso il paese di Misilmeri, che si estende ai loro piedi, minacciando severi castighi a tutti coloro che non ubbidivano e che non pagavano le continue tassazioni che i Baroni imponevano. Altre apparizioni vengono tramandate su conto di tutte le altre famiglie che hanno abitato il Castello, dai Chiaramonte agli Aiutamicristo, dai Del Bosco ai Bonanno. Più preziose sono invece le Leggende sul Castello. Secondo il Pitrè, sono  i famosi incantesimi dei Castelli o “truvaturi”. L’innato desiderio di arricchirsi, in una fantasia grandemente esaltata come quella del volgo ignorante e credulo, ha creato tesori in ogni più riposto angolo della Sicilia. Là dove dove sono presenti ruderi di antichità greche o avanzi di denominazione araba o resti di un vecchio Castello, si è certi di trovare tesori nascosti dai padroni che li possedettero e che non poterono trafugarli in un'altra terra o portarseli all’altro mondo. Nella fantasia popolare detti “truvaturi” sono pieni di monete d’oro,rubini, diamanti ,perle e pietre preziose.  Però ogni “travatura” è incantata e l’incanto fu operato nei tempi antichi, uccidendo su di essa un uomo , lo spirito del quale restò sulla “travatura” legato col sangue che la bagnò. Quindi essa resta e vaga intorno fino a quando il deposito non venga preso. Molte volte il custode di questi tesori incantati è un dragone o un diavolo, il Castello dell’Emiro di Misilmeri ha uno di questi famosi “truvaturi”, a guardia del quale, di tanto in tanto, compare un uomo vestito di bianco, come giurano in molti di aver visto. Per poter spezzare questo incantesimo ed impossessarsi della famosa pentola piena di marenghi d’oro e di brillanti, che vi è nel maniero, bisogna fare una cosa relativamente semplice: basta riempire un bicchiere d’acqua fino all’orlo alla Fontana Grande ch’è in Piazza Comitato, allo scoccare della mezzanotte, e poi di corsa salendo per la “strada grande” ossia per la via La Masa, arrivare al Castello, senza però far cadere una goccia d’acqua. L’avidità di denaro ha persuaso molti in passato a tentare la sorte, ma tutt’oggi sempre senza risultato, forse dicono alcuni, perché gli cadde qualche goccia d’acqua lungo il percorso, altri invece dicono, perché gli mancò il coraggio nel carpire al momento opportuno il tesoro che sta lì ad aspettare il fortunato possessore. Di certo in passato a tempo di guerre e di colera in Sicilia, molte volte la gente fuggendo da Misilmeri, nascondeva nelle mura delle case, nei sotterranei o nelle campagne le loro monete o quanto aveva di prezioso, nella speranza di prenderli al loro ritorno. Ma molte volte morivano e non ritornavano più, sicchè i tesori restavano nascosti fino ai nostri giorni. Tra le fantasticherie popolari dei misilmeresi va ancora oggi in giro la notizia che nel Castello vi sia un lunghissimo sotterraneo che di lì giunge sino in Piazza Comitato. Niente è impossibile su questa supposizione, dal momento che moltissimi antichi Castelli avevano di questi sotterranei, costruiti per mettere in salvo i Signori in caso d’assalto al castello in tempo di guerra. Ecco un interessante video, di Gasman0049, sul castello in questione: https://www.youtube.com/watch?v=llSmRZINUgI



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