VILLA LAGARINA (TN) – Castello in frazione Castellano
Sorge alla periferia dell'omonimo paese, posto a 789 m s.l.m. e dotato
di una suggestiva vista sulla Val Lagarina e su Rovereto. E' una costruzione
molto antica, probabilmente dell'XI secolo, con torre a pianta quadrata (ora
abbassata in altezza in seguito a crolli ed incendi e quindi oggi ha un aspetto
differente rispetto alla sua edificazione originaria) alla quale è addossato il
palazzo residenziale. E’ documentato dalla fine del XII secolo e sede di gastaldia
vescovile, sotto il governo di Gerardo, signore di Castellano. Nel 1207, con
l’istituzione del Principato Vescovile di Trento, inizia il periodo feudale che
porta alla costituzione delle giurisdizioni di Castelnuovo e Castellano. Nel
febbraio del 1456 i due fratelli Giorgio e Pietro, sobillati da Giorgio Hack,
vescovo di Trento, con un colpo di mano si impadronirono dei 4 castelli di
Giovanni Castelbarco: il Castelnuovo di Noarna, di Castellano, di Castel Corno
ed il castello di Nomi. Come da accordi con il vescovo di Trento, i due
fratelli Lodron, già proprietari di alcuni castelli aviti nelle Giudicarie, si
tennero i due feudi di Castelnuovo e di Castellano di cui furono investiti
nell'aprile 1456 nel castello del Buonconsiglio e consegnarono al vescovo i due
feudi di Castelcorno e di Nomi. Successivamente i due feudi lagarini assieme a
Castel Romano nelle Giudicarie furono di proprietà del solo Pietro Lodron e poi
dei suoi discendenti. I discendenti di Pietro portarono avanti la linea Lodron
di Castel Romano nelle Giudicarie, loro terra d'origine, e fecero nascere la
linea lagarina dei Lodron successivamente divisa in Lodron di Castelnuovo e
Lodron di Castellano. Nel 1615 morì don Antonio Lodron ultimo dei Lodron detti
di Castellano, nel possesso del feudo di Castellano subentrò Nicolò Lodron di
Castelnuovo (Noarna), questi e ancor più il suo famoso figlio Paride fecero
molti lavori al castello di Castellano a loro è attribuito parte del ciclo di
affreschi della "Sala Granda" ed altre pitture, il portale
seicentesco verso la
piazza del Barc ed il tetto in rame su palazzo e
mastio (unico castello in zona) sostituiti poi nel corso dell'800. Il prof. C.
Adami che più volte visitò l'antico maniero scrisse nel 1928: "Perdoniamo
Nicolò Lodron (1549+1621) e ancor di più il suo illustre figliolo Paride (1586
+1653) arcivescovo di Salisburgo di aver deturpato il castello di Castellano
coprendo con nuovi affreschi altri molto vecchi e di più pregevole fattura
perché ci hanno lasciato la bellissima chiesa di villa Lagarina uno dei più bei
esempi di Barocco in Trentino". Tra i visitatori di fine '800 e primi '900
che poterono vedere il castello prima della sua distruzione, vi fu chi attribuì
il palazzo al medioevo e precedente al possesso Lodron, cioè al 1456. A questi
ultimi attribuirono il caseggiato a tre piani (ora totalmente scomparso)
addossato al lato meridionale del palazzo. Sempre i visitatori di cent'anni fa
consideravano il vero ingresso al castello un locale al primo piano a cui si
accedeva dal broglio del castello dopo aver superate 3 ordini di porte oltre a
quella detta "dei Paneti". Con l'attuale accesso dalla piazza del
Barc superato il portone si accedeva ad un cortile e da questo si poteva
entrare nel palazzo al secondo piano e per mezzo di una scala parte in pietra,
parte in legno, al terzo piano. Entrambi i passaggi, tuttora esistenti, sono
ricavati nello spessore della muraglia del palazzo e sono di modeste
dimensioni, non adatti ad essere un vero ingresso. Il castello fu utilizzato
per un periodo dalle truppe dell'Imperiale e regio Esercito austro-ungarico;
infatti presso l’edificio esisteva una funivia militare per il trasporto di
armi e munizioni dal fondo valle. Parzialmente lesionato durante la grande
guerra dagli spostamenti d'aria provocato dai cannoni utilizzati nel fondo
valle, specie dai grossi obici da 420 mm ed anche colpito da una granata
sparata dal Monte Zugna, fu successivamente spogliato di quanto rimaneva
all'interno, furono asportati perfino i caminetti e poi, nel 1924, messo all'asta
assieme alle altre adiacenti proprietà Lodron: la casa delle Decime ed il Camp
Grant (su parte di esso ora si trova l'anfiteatro). Il castello con il vasto
broglio dentro le mura e bosco sottostante lo acquistarono i Miorandi, una
famiglia contadina del luogo per 12.300 lire. La casa delle Decime fu venduta
per 24.000 lire ed
el Camp Grant per 40.000 lire. I crolli del '900
distrussero per intero la parte abitativa del maniero e misero in risalto come
la torre fosse una delle parti vecchie del castello a cui successivamente venne
addossato il palazzo. Nella notte di Capodanno tra il 1931/32 un disastroso
incendio distrusse ciò che restava del maniero. Nel 1944 dopo un temporale
crollò un alto muro del vecchio castello, che fino ad allora era rimasto in
piedi solitario e superstite testimone del castello che fu. Si racconta che al
crollo abbiano contribuito le vibrazioni dei bombardieri alleati che colpivano
quasi giornalmente la ferrovia del Brennero. Nel 1953 il castello venne
parzialmente ricostruito utilizzando il perimetro della sola Sala Granda.
Nonostante il maniero ora sia assai ridimensionato, conserva ancora le tracce
dell'antica grandezza: la lunga cinta muraria che termina alla cosiddetta
"torre di guardia" è ancora intatta e visibile. Il mastio è romanico
ha i cantonali in pietra bugnata ed è ora, in altezza, circa la metà della
vecchia torre. Il mastio fu costruito sulla cima dello sperone di roccia su cui
nacque il castello, la base della torre è in corrispondenza del 3º piano del
vecchio palazzo. Verso l'esterno è evidente lo sperone di roccia su cui giace,
all'opposto, verso l'interno del vecchio palazzo (ora giardino), la torre
poggia su un più grande zoccolo in muratura che ingombrava in piccola parte il
secondo piano del palazzo. Da qui la leggenda che dentro questo
"ingombro" vi fosse una camera del tesoro protetta da congegni pronti
a far scoppiare terribili mortaretti nel caso qualcuno vi fosse penetrato.
L'esser costruita così in alto consentiva alla torre, allora molto elevata, di
sovrastare di parecchio il vecchio palazzo. Il muro addossato al mastio con il
campanile a vela ed alcuni superstiti merli è quanto rimane di uno dei lati
dell'antico palazzo che sviluppandosi con 5 lati irregolari andava ancora ad
addossarsi al mastio (così inserito nello spigolo nord del palazzo) formando
una grande costruzione a sezione pentagonale di quattro piani più cantina ed
ampio solaio, il palazzo racchiudeva un piccolo cortile interno e numerava più
di 35 stanze tra le quali un mulino mosso a forza animale, un granaio, la sala
d'ingresso con nel centro il pozzo da cui si pescava l'acqua dalla sottostante
cisterna raccogliente l'acqua piovana del tetto. Per la raccolta delle acque e
per motivi difensivi le cinque falde del tetto del palazzo erano rivolte verso
l'interno, il perimetro esterno del caseggiato si presentava così con un alto
muro di ben più di 20 metri nei 3 lati a meridione. Dall'esterno il castello
poteva assomigliare ad un vaso o "mastela" (il palazzo) con sul
perimetro un lungo manico (la torre) da qui il nomignolo di Castel Bazzom dato
nel passato al castello di Castellano. "El Bazzom" è un recipiente
usato nella lavorazione del vino, è fatto da doghe in legno con una più lunga a
fungere da manico. Il terzo e quarto piano, del palazzo, erano detti i piani
nobili e le loro stanze erano in gran parte affrescate. Al solo terzo piano
oltre ad altre stanze vi era la Sala Granda, la Stua Granda la Loggia con la
trifora che dava sul cortile interno e la cappella di San Giuseppe. Quest'ultima,
molto piccola, era separata dalla Loggia da un cancello in noce intagliato con
sopra un vetusto affresco rappresentante l'Annunciazione, all'interno pochi
banchi, un altare ligneo con sopra una pala di San Giuseppe di antica data. Per
farsi un'idea l'attuale abitazione è ricostruita utilizzando il perimetro della
solo
Sala Granda ed è molto più bassa del vecchio palazzo. Palazzo e
mastio costituivano lo spigolo nord di una piccola cortina di mura racchiudente
un piccolo dosso di roccia sporgente dal terreno. Da questo nucleo partiva
un'altra cerchia di mura che sviluppandosi su due direttrici verso il
sottostante dirupo andava a chiudere un più ampio spazio di terreno, poco più
di un ettaro, sul quale ora si trova il cimitero del paese. Queste due cerchie
di mura sono in gran parte ancora esistenti. Verso nord, o verso il paese,
palazzo e mastio sono separate da un'altra cortina di mura a semicerchio con
nel mezzo il portale seicentesco. Quest'ultimo congiunto attraverso una rampa
di accesso (un tempo con ponte levatoio) alla piazza del Barc e paese. Sempre
in questa cortina v'è una torre di controllo alla rampa d'accesso con nella
parte sommitale la vecchia colombaia. Queste mura, probabilmente aggiunte
successivamente per proteggere ulteriormente la fortezza, sono a scarpata atte
a sopportare i tiri delle prime rudimentali artiglierie e dove
iniziano/finiscono sono addossate al castello. Una serie di affreschi risalenti
all'inizio XVII sec. raffiguranti paesaggi lagarini e stemmi araldici sono oggi
conservati presso il Museo civico di Rovereto. Furono staccati negli anni
trenta del Novecento dopo il rovinoso incendio del 31 dicembre 1931. Il
castello conteneva cannoni, alcune bombarde da fortezza, armi bianche come
spade e spadoni e ben 170 archibugi. Alcune di queste armi vennero requisite
nel 1796 per la difesa di Rovereto dall'avanzata dei francesi di Napoleone e le
restanti furono prese dai francesi vincitori. Oggi il castello è visitabile
solo per gruppi, previo accordo con il proprietario.
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