venerdì 6 luglio 2012

Il castello di sabato 7 luglio




SANTA MARIA COGHINAS (SS) – Castello Doria

Il misterioso maniero fu edificato dai Doria intorno al 1102, quando i Genovesi fortificarono tutti i loro possedimenti al nord dell'isola, e specialmente l'attuale Castelsardo. Ma le più antiche attestazioni sulla presenza del castello si riferiscono al 1282 quando sono riportati una serie di passaggi di proprietà, probabilmente per nascondere alcuni prestiti ad usura, tra i Doria e i Malaspina. In quella data Brancaleone I Doria acquisì i territori della curatorìa di Anglona, con i castelli di Castel Genovese e Casteldoria da Corrado Malaspina. Nel 1321 Brancaleone I Doria approvò le concessioni agli abitanti del borgo compiute alcuni anni prima dal castellano Pietro de Barra. L’atto è di estremo interesse non solo per l’attestazione del villaggio e delle sue strutture interne (mura di cinta, loggia, orti), ma soprattutto per la comprensione delle modalità di gestione da parte del potere signorile nell’insediamento fortificato. Altri elementi sulla presenza di un borgo a Casteldoria sono noti attraverso la lettura di un documento del 1361, nel quale è possibile cogliere come le vicende, narrate in occasione di un processo a carico di un castellano aragonese colpevole di aver consegnato la fortificazione ai Giudici di Arborea senza combattere e con l’inganno, si svolgano tra il castello e il borgo. In questo modo è possibile dedurre l’articolazione delle case, distribuite su più livelli secondo la canonica disposizione dei villaggi di montagna, la presenza di una porta di accesso a tutto l’insediamento fortificato e la presenza di un edificio di culto dedicato a S. Nicola. Nel 1370 il castello risulta ancora in efficienza, coinvolto nelle vicende della guerra tra il Giudicato d'Arborea e la Corona d'Aragona. Già dal XV secolo dovette subire però un lento declino. Della fortificazione rimangono solo un torrione, alcuni tratti di paramento murario e una grande cisterna. L’elemento saliente della fortificazione, al momento in attesa di auspicabili e attente ricerche archeologiche, è la torre con la sua particolare forma pentagonale. La struttura mostra un unico accesso lungo il lato nord orientale, mentre in altezza sempre sullo stesso lato sono presenti due aperture non allineate. Nel lato nord occidentale si trova un ampio finestrone in corrispondenza del primo piano. All’interno la torre è suddivisa in tre livelli più la copertura finale. La separazione tra il piano terra e il primo piano è realizzata da una volta a botte con un passaggio ad est per la scala di accesso. Il terzo piano, prima del terrazzo superiore, era ricavato attraverso un soppalco ligneo del quale si conservano ancora le tracce delle originarie travature portanti. All’esterno nelle cortine sono molto evidenti i segni degli antichi restauri. Le ulteriori annotazioni possibili riguardano la presenza negli alzati di questa struttura di differenti tecniche costruttive. La prima, osservabile nei paramenti esterni della torre, è costituita dall’uso di cortine in conci in pietra marmosa e sedimentaria e conci bugnati soprattutto in corrispondenza degli angolari settentrionali. All’interno il paramento è costituito da bozze della medesima pietra mentre il sacco è in scaglie di granito e scarti di lavorazione dei blocchi esterni. Tutto il corpo di fabbrica poggia su un basamento di forma circolare caratterizzato da una muratura in grandi bozze di granito senza alcun tipo di legante. Granito locale, ma con bozze di dimensioni decisamente più regolari e abbondante malta, è invece la caratteristica delle strutture di terrazzamento e degli ambienti localizzati nello spazio tra il vertice nord occidentale della torre e una cisterna. Elementi che permettono di comprendere come la torre fosse perfettamente inserita in un complesso impianto fortificato che occupa tutta la cima. Una imponente cinta muraria che rifila non solo il profilo esterno dell’emergenza rocciosa, ma anche l’area a contatto con il terrazzamento naturale occupato dal borgo. La presenza dei muretti a secco per la suddivisione dei poderi, che in più tratti ricalca le antiche strutture, non permette di individuare gli accessi originari. La copiosa dispersione di materiale sul terreno, dopo una prima analisi compiuta sul campo, mostra al momento solo la fase tardo medievale del sito. Dalla cima del colle dove sorge il castello si può contemplare uno splendido panorama che spazia dalla valle del Coghinas fino alla frastagliata costa di Castelsardo. Una leggenda narra di un condotto sotterraneo che conduceva dal castello alla chiesa di San Giovanni di Viddacuia, sita all'altra riva del Coghinas, fatto realizzare dai Doria semplicemente per recarsi alla messa nei giorni di festa. Un marciapiede conduce dalla torre alla Conca di la muneta, dove, si dice, i Doria nascondessero il loro tesoro. Questa Conca, pare sia una grande cisterna di una immensa profondità: nel fondo esisteva una campana d'oro, e i passanti gettavano una pietra, per farla suonare. Ora la cisterna è piena  di pietre, e la campana è invisibile. Il protagonista della famosa leggenda di Casteldoria, è conosciuto con il nome di Andrea Doria, il forte ammiraglio che nel 1527 riacquistò i possedimenti occupati dagli Spagnoli, quello che la leggenda fa morire in modo così strano. Mentre il principe passava l'inverno nel castello, una dama, moglie o figlia (non si sa bene di preciso) di un cavaliere al servizio dei Doria, e abitante nello stesso maniero, si innamorò perdutamente di Andrea. Ma per quante moine, per quante appassionate dichiarazioni ella gli facesse, egli non la volle sentire mai, anzi una volta, infastidito dall'amor suo, la respinse rudemente, minacciando di espellerla dal castello se non lo avesse lasciato  in pace. Invasa dallo spirito infernale la innamorata dama tentò ancora, in ogni modo, di procacciarsi l'amore di Andrea Doria: ma San Giovanni preservava il cavaliere dagli amori colpevoli, e vane riuscirono quindi le ultime lusinghe di lei. Allora l'amore si trasformò in odio e la dama si diede tutta al male e alla perversità. Un giorno fece cambiare il suo volto in quello di una vecchia, si vestì da maga e si introdusse nel sotterraneo che conduceva dal castello alla chiesa. Mentre Doria, si recava alla santa messa, la maga lo fermò e gli disse: «Nobile Messere, mi ha mandato a te San Giovanni di Viddacuia, per dirti; bada, ti sovrasta una grande disgrazia! Il giorno che vedrai i campi del Coghinas ricoperti di cavalli e cavalieri verdi, quel giorno il tuo castello sarà espugnato e tu con la tua corte sarete appiccati per la gola su gli spalti di Castel Doria!..». Ciò detto sparì! Non è a dire quale stupore e qual vaga paura invadesse l'animo dei cavalieri a tale arcana profezia. Andrea Doria, fu colto da una grande melanconia, ma si fece animo, fortificò il castello e attese, sicuro di non lasciarsi vincere. Per ogni caso mandò le chiavi del sotterraneo, che racchiudeva i tesori, ad una sua sorella abitante in Genova, e aspettò. Venuto il mese di maggio, i campi del Coghinas erano coperti di asfodelo e di fieno altissimo, e la perfida donna compì la sua magia. In una notte trasformò tutti i fusti dell'asfodelo e i flessuosi gambi del fieno fresco in tanti cavalli verdi, montati da guerrieri armati di scudi e di lance verdi, vestiti da tuniche e da corazze verdi! Quando all'alba Andrea Doria scese sui bastioni per aspirare la fresca brezza dell'aurora floreale, impallidì mortalmente. Egli  vedeva il suo castello assediato da quell'armata verde, immensa, che si perdeva nell'orizzonte, e sentiva che fra poco questo immane e misterioso nemico, venuto all'improvviso da terre ignote, avrebbe invaso e debellato il suo forte. La terribile profezia della maga gli tornava al pensiero: Sarai appiccato per la gola sugli spalti di CastelDoria! Mai! Mai! Mai! Prima sarebbe morto di mano sua! E infatti, vista la verde armata avanzarsi sempre più numerosa e minacciosa, il prode Doria si precipitò dal bastione e morì sfracellato sulle rocce sottostanti. L'esercito verde sparì, e tornò il fieno nei campi del Coghinas. Nella fresca serenità della azzurra mattina echeggiò un riso diabolico, un triste riso di anima dannata. Era la dama che dall'alto del suo ballatoio aveva veduto compiersi la vendetta. Saputa la morte del fratello, la sorella di Genova, che conservava le chiavi dei tesori e della zecca, si imbarcò per la Sardegna, onde aprire i sotterranei e trasportare i tesori al Continente, ma in mare fu colta da una terribile malattia. Prevedendo la sua morte si fece trasportare in coperta e all'entrare in agonia gettò le chiavi in mare, con gli occhi morenti fissi nella fatale e affascinante isola lontana ove dormiva l'ultimo sonno il suo beneamato e infelice fratello. Nessuno seppe più aprire la Conca di la muneta, e i tesori dei Doria splendono ancora laggiù, nell'ombra del sotterraneo... parte delle tre cinte murarie in blocchi di porfido rosso e granito. Ecco un video dedicato al castello che ho trovato in rete:

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