sabato 16 aprile 2011

Il castello di sabato 16 aprile



COLONNA (RM) - Palazzo Baronale Colonna

Sorge sulle fondamenta del castello medievale del secolo XI, appartenuto alla potente famiglia dei Colonna e distrutto dalle armate di papa Bonifacio VIII alla fine del 1200. Edificato tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo il palazzo domina dall'alto tutto il paese. Di grande rilevanza è il portale bugnato, sormontato da una torretta con orologio, che ha avuto per secoli la fondamentale importanza di scandire i tempi della vita del paese. Nell'ingresso del palazzo si apre il cortile da cui è possibile vedere la facciata posteriore cinquecentesca del palazzo, con portico (secolo XVI) a cinque fornici e loggia. Nella seconda metà del 1500 l'edificio divenne sede carceraria per detenuti condannati o in attesa di giudizio; da qui il motivo per cui l'edificio fu anche detto "palazzaccio" . Una parte del palazzo principesco fu modificata nel lato sud-occidentale con la realizzazione della Chiesa di San Nicola di Bari nel secolo XVIII voluta dai Pallavicini. Nel 1815 al Comune di Colonna fu dato dal principe Luigi Pallavicini il salone principale del palazzo, utilizzato come sede del consiglio comunale. Negli anni fra il 1953 ed il 1956, in posizione di contiguità con quanto rimasto della corte interna del Palazzo, è stato costruito un serbatoio idrico, detto amichevolmente "il dindarolo" dagli abitanti di Colonna, che rende caratteristica l'immagine di questo paese da qualunque strada vi si arrivi. L’ immagine complessiva del palazzo doveva essere stupenda prima che l’ incuria, la burocrazia e le guerre ne facessero crollare i lati minori (rimangono a testimonianza di ciò frammenti delle arcate laterali ).I locali dell’ antico maniero sono ora frazionati in svariate cantine, rimesse ed abitazioni private; la bella scala che porta al loggiato superiore ed i locali comunali del Centro Anziani sito al piano terra del palazzo sono l’unica porzione che è possibile ammirare completamente e forse e meglio così, almeno finché un restauro radicale dell’ opera non la riporti agli antichi splendori.

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