lunedì 10 settembre 2012

Il castello di lunedì 10 settembre





DOZZA (BO) - Rocca Sforza

Le prime notizie documentate risalgono al 1126, e in quell'epoca il castello risultava soggetto al controllo della chiesa imolese. Conquistato e distrutto dai Guelfi Bolognesi nel 1198, fu ricostruito nel 1220 ad opera del legato papale Giovanni Re di Gerusalemme. Riconquistato dai Bolognesi nel 1222, gli stessi nel 1310 eseguirono, sotto Romeo Pepoli, importanti lavori di fortificazione, fra cui il torrione detto "dei Bolognesi". Seguirono anni di sanguinose contese fra Guelfi e Ghibellini, fino al 1412, anno in cui la rocca divenne feudo degli Alidosi ai quali succedettero i Riario. Nel 1488 alla morte di Girolamo Riario la rocca passò sotto il dominio della moglie, Caterina Sforza, Signora di Imola e di Dozza. L'aspetto attuale del maniero risale alla ristrutturazione effettuata alla fine del 1400 proprio sotto il dominio di quest'ultima, su progetto dell'ingegnere militare Giorgio Marchesi, per adattare l'originaria struttura alle nuove esigenze difensive dovute all'avvento delle armi da fuoco. Venne ricostruita una parte delle cortine e fu eretto il torrione maggiore, il Torresino, splendido esemplare di architettura militare. Proprio tali fortificazioni nel 1499 consentirono al castello di resistere per un intero mese agli assalti di Cesare Borgia, prima di capitolare tornando così sotto il dominio della Chiesa. Venduta nel 1529 da Papa Clemente VII al cardinale Lorenzo Campeggi per 4000 scudi d'oro, rimase sotto il controllo di questa famiglia che iniziò una parziale modifica del fabbricato da fortilizio a palazzo signorile, iniziata da Annibale, Baldassarre e Vincenzo Campeggi che occuparono l’edificio nel 1565 e terminata da Antonio Campeggi nel 1594. Estintasi nel 1728 la stirpe dei Campeggi, passò per eredità a Francesca Maria Campeggi, moglie di Matteo Malvezzi, trasferendo così i diritti a quest'ultima famiglia che assunse il doppio cognome Campeggi-Malvezzi. Il fabbricato restò di proprietà di questa casata fino al 1960, anno in cui fu acquistata dal comune di Dozza e venne aperta al pubblico. Il complesso è a pianta esagonale, con un perimetro di circa 200 metri, ed è caratterizzato da due torrioni angolari circolari innestati sul corpo centrale a pianta poligonale. L’accesso alla rocca avviene tramite un ponte che aggetta su un fossato, un tempo pieno d’acqua. Un portone ferrato immette nel palazzo, mentre un corridoio conduce a un cortile che presenta colonne con capitelli finemente decorati e due logge di gusto rinascimentale. Con accesso dal cortile interno, si aprono la lavanderia e la suggestiva cucina, tipico complesso di attrezzatura patriarcale emiliana con madie, casse, tavolo, pozzo, torchio e utensili d’uso quotidiano (databili al 1500). Vicino all’ingresso della rocca, un grosso torrione circolare, detto Torresino, di mt 16 di diametro e con uno spessore delle mura variabile dai 3 ai 6 metri, è posto a presidio della parte più importante dell’edificio. Di minori proporzioni è invece l’altro torrione, il cosiddetto Torrione dei Bolognesi, dal diametro di 11 metri e spesso dai 2 ai 4 metri. I muri perimetrali delle altre due facciate sono fortemente scarpati, toccano direttamente il terreno e comprendono due bastioni romboidali. Osservando la struttura attuale si possono notare alcuni elementi precedenti e tentare una possibile ricostruzione dell’antico edificio nel periodo del dominio degli Sforza. I torrioni, così come tutto il resto del fortilizio, erano scoperti, ed erano coronati da merli. Tale coronamento prevedeva, alternativamente, delle aperture al centro dei merli, attraverso le quali era possibile tirare le frecce e osservare, protetti, le mosse degli aggressori. Sotto, in corrispondenza di queste aperture, si possono vedere tuttora dei fori circolari, che servivano per fare passare le bocche dei lunghi fucili, detti spingarde. Sul pavimento, per il tiro verticale, erano realizzati ulteriori fori, le cosiddette caditoie, dalle quali si poteva attaccare il nemico che si fosse spinto fin sotto le mura della Rocca. Dalle caditoie, per ridurre le resistenze dell’avversario, spesso veniva gettata anche acqua o olio bollente. Le trasformazioni, che hanno fatto della Rocca una residenza signorile, hanno insistito proprio sull’eliminazione di questi elementi, perché erano di carattere principalmente militare. Tutta la struttura è stata coperta e i vuoti tra i merli hanno assunto la funzione di finestre. Sul lato sud-ovest inoltre la merlatura è stata abbattuta e sono rimasti solo gli archetti. Le modifiche maggiori sono tuttavia avvenute all’interno dell’edificio. Di notevole interesse il primo piano o piano nobile che corrisponde alla antica residenza dei Campeggi-Malvezzi. Sono visitabili la sala maggiore con pinacoteca di famiglia, la sala rossa con notevole specchiera dorata del XIX secolo e soffitto a cassettoni, la camera di Pio VII con mobilia del 1600, la sala d'armi contenente una raccolta di armi d'epoca e una piccola cappella intitolata alla Madonna immacolata. Da notare nei locali di fronte il pozzo a rasoio, antico trabocchetto militare di difesa interna, scoperto e riportato alla luce negli anni ’70 a seguito di interventi di restauro dell’edificio. Ulteriori due locali sono la camera da letto e la camera degli ospiti. Da quest'ultima si accede a un ingresso di servizio che presenta tracce di decorazioni del ’400, mentre sulla loggetta sulla corte lato nord si apre un locale con “bagno” realizzato in scagliola. Dall’appartamento del feudatario, una scala conduce al Torrione dei Bolognesi e, seguendo gli antichi camminamenti di ronda della cortina sud, alla sommità del Torresino. All’interno dei torrioni trova spazio la stanza della tortura, dalla quale si accede alla grande fossa dei supplizi alle antiche prigioni con le celle di segregazione, che conservano ancora le scritte dei detenuti graffite sui muri. In una cella è incisa la rozza sagoma di uno scheletro seguito da versi scritti da Bartolomeo Monti nel 1640: “O tu che guarda insu/io era come dici tu/tu serrai commo sono io/guarda in questo e spera in Dio”.

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