venerdì 25 maggio 2012

Il castello di giovedì 24 maggio




CEFALA’ DIANA (PA) – Castello Chiaramonte

Edificato tra il XIII e XIV secolo in cima ad una rupe arenaria, a 657 metri sul livello del mare, il castrum ha sostituito il vecchio castellum normanno di cui giunse notizia attraverso un documento del 1121 in cui, tra i confini di un podere nel territorio di Vicari, compare «...viam castelli cognomento Cephalas». Innalzato solo per questioni strategiche e militari, dalla sua posizione particolare garantiva infatti un controllo generale riguardo la viabilità fra Palermo e l'interno cerealicolo della Val di Mazara. Ben visibile dalla fotografia aerea, un'altra via secondaria scende in linea retta dal castello al celebre impianto termale conosciuto come bagni di Cefalà, cui, a partire almeno dal XIV secolo, era annesso un fondaco con la funzione di albergo rurale. Queste notissime terme (sottoposte nel 2000 a scavi archeologici con progetto di allestimento museale), il castello trecentesco (già oggetto di interventi di restauro) nonchè il sito normanno di monte Chiarastella (ancora da scavare) danno al territorio dell'antica baronia di Cefalà un interesse eccezionale sotto il profilo storico, archeologico, monumentale e paesaggistico. Nel XIV secolo la zona si spopolò a causa di una epidemia di peste. Intorno al 1329 il maniero divenne, assieme al castello d' Icla su monte Ciarastella e alla rocca di Sant'Angelo, parte della triade di fortezze che la famiglia Chiaramonte realizzò per controllare i suoi possedimenti, guadagnandosi presto la fama di "rocca imprendibile". Vent'anni dopo, esso venne attaccato dai palermitani come reazione contro un gruppo di predoni catalani, lì rifugiatisi, che taglieggiavano e depredavano la città di Palermo dei viveri. Venuta meno l’aristocrazia militare, in seguito alla restaurazione del potere monarchico, il castello divenne magazzino per le masserie, prigione rurale e occasionalmente dimora temporanea dei nuovi baroni che vi si avvicendarono (gli Abbate, gli Ulezinellis, i del Bosco, i de Apilia, i de Falgar). Il suo aspetto rude, senza alcun particolare decorativo, lascia immaginare una fabbrica priva di ogni confort abitativo. In effetti di rado esso servì come abitazione ai baroni che si trovavano a passare di lì e trascorrervi un ristrettissimo periodo di tempo. Nel 1406 la baronia venne concessa agli Abbatellis, mercanti toscani, cui venne confiscata nel 1503 dopo la ribellione degli ultimi membri della famiglia. Cefalà venne donata al Gran Cancelliere di Carlo V, Mercurino Gattinara; nel 1525 fu venduta al barone di Capaci Francesco Bologna. Prima di giungere a Nicolò Diana la baronia appartenne all’Opera Pia delle Anime del Purgatorio. Nel XVIII secolo i Diana, divenuti duchi di Cefalà nel 1684, fondarono il villaggio di Cefalà Diana. Il castello è costituito da una cinta interna che riproduce la configurazione del terreno, delimitando quindi una corte di pianta triangolare. L'ingresso al maniero avveniva originariamente attraverso una torre, situata a sud, con due vani porta, uno solo dei quali (chiuso da battenti di legno sprangabili mediante una sbarra che scorreva in apposito alloggiamento nello spessore del muro) è giunto fino a oggi. Nel punto più alto del sito sorge la torre mastra di pianta rettangolare (lughezza 12,60 metri, larghezza 8,40 metri ed altezza 20 metri), ancora in buone condizioni, costituita da tre livelli con una terrazza coronata da merli ghibellini. Originariamente la porta d'ingresso alla torre si apriva nel muro nord del primo piano, a 5 metri di altezza. Vi si accedeva tramite una scala esterna in pietra, ancora in parte visibile. Il piano più basso, coperto da due volte a botte, fungeva da magazzino e cisterna e comunicava col piano superiore attraverso una botola. Altre aperture erano due strette feritoie strombate. Entrambi i piani superiori sono ognuno di un vano, coperti da volte con mattoni disposti a spina di pesce. Al piano nobile della torre si arrivava attraverso un sistema di scale che, partendo dalla corte centrale, giungeva all’unica porta del mastio sul lato nord. Quattro monofore strombate all’interno e con ghiere di mattoni, due lungo i lati più lunghi del vano, illuminavano l’ambiente, mentre una strettissima saettiera serviva per tenere sotto tiro l’ingresso al castello. Nella volta si aprivano due stretti vani: il primo, mediante una scale in legno, immetteva in una terrazza coronata da una merlatura; il secondo permetteva lo sfogo al fumo del camino che illuminava e riscaldava il locale sottostante.

Nessun commento: