martedì 31 marzo 2020

Il castello di martedì 31 marzo




VOLTERRA (PI) - Fortezza Medici

La Fortezza Medicea di Volterra è stata costruita sul punto più elevato del colle dove sorge la città: dall'esterno si presenta con un aspetto veramente maestoso ed imponente. La struttura si compone di due corpi uniti tra loro da alte mura difensive: la Rocca Vecchia, detta anche Cassero, fatta edificare nel 1342 dal duca d'Atene Gualtieri VI di Brienne governatore di Firenze e modificata da Lorenzo il Magnifico e la Rocca Nuova, detta Il Mastio, costruita dallo stesso Lorenzo il Magnifico tra il 1472 e il 1474. Oggi la struttura è usata come prigione di stato di media sicurezza, non accessibile e non visitabile, se non in particolarissimi giorni, non ricorrenti, ed in piccole porzioni. La Rocca Vecchia, detta anche Cassero, include parti di più antica fortificazione resi visibili da recenti restauri, e la torre di forma semiellittica, detta volgarmente "la Femmina" in antitesi con il Mastio parte integrante della Rocca Nuova che verrà realizzata dal Magnifico. Fu eretta da Gualtieri di Brienne duca di Atene nel 1342: Volterra, nel tentativo di superare le lotte intestine tra le famiglie più importanti della città, in primis Belforti e Allegretti, per il controllo del governo cittadino, decise, sull'esempio di Firenze, di dare la signoria al Duca di Atene. Tuttavia, fu una signoria di breve durata in quanto Ottaviano Belforti riuscì a conquistare il potere nell'estate del 1343. L'origine dell'ammodernamento della vecchia fortezza e della costruzione della nuova sta nella scoperta delle miniere di allume in territorio volterrano e nella guerra che ne conseguì tra le città di Volterra e di Firenze, per il loro controllo e sfruttamento: per la città etrusca fu uno degli episodi più devastanti della sua storia. L'atto finale fu l'assedio condotto da Federico da Montefeltro, al soldo di Lorenzo de Medici, il quale espugnò e mise a sacco la città nel 1472: da questo momento in poi Volterra fu integrata nello stato fiorentino e la sua sottomissione fu totale. In poco più di un anno la Rocca Nuova venne costruita distruggendo due interi quartieri e il Palazzo del Vescovo. Pare sia stato lo stesso Federico da Montefeltro a suggerire la costruzione della nuova rocca: questa, infatti, grazie alle modifiche apportate, non doveva servire più a proteggere la città, ma a controllarla. È costituita da ampio quadrato di pietra panchina, i cui angoli terminano in baluardi circolari: al centro si innalza la Torre del Mastio, che si impersona e rende famosa la Fortezza, della quale è la parte più monumentale. L'imponente rocca sovrastava la città e si protendeva dentro di essa, in modo che la guarnigione fiorentina, qui ospitata, potesse agevolmente sorvegliare la situazione ed intervenire facilmente a sedare eventuali tentativi di ribellione. Le due lunghe cortine murarie (coronate da un ballatoio sorretto da archetti pensili o bertesche) costruite per collegare la Fortezza Vecchia con la Nuova servivano anche ad impedire un attacco ad entrambe le fortificazioni, creando una vera e propria cittadella: questo spazio interno serviva inoltre per manovre militari, come magazzino per le armi e anche come spazio protetto dove poter ricoverare la popolazione in caso di assedio. Edificata ad uso militare la Rocca Nuova fu, fin dall'inizio, utilizzata come carcere politico; nelle sue celle passarono sia gli oppositori dei Medici, sia i patrioti del nostro Risorgimento Nazionale. Franco Giovanni Costa, che ha vissuto suo malgrado lunghi anni come ospite della fortezza, descrisse la sua amara e nello stesso tempo ricca esperienza, nel bel libro "Volterra, un’isola sospesa tra cielo e terra", con accenti profondi ed una carica enorme d’umanità: “Nei piani più alti del Maschio c’erano varie celle, con finestre da cui entravano un poco d’aria e di luce, mentre sul fondo erano state ricavate tre cellette senza aria ne luce, praticamente tre loculi che rappresentavano l’anticamera della morte. Una morte lenta, in un ambiente immondo, ove l’odore nauseabondo degli escrementi si univa alla puzza della cancrena. L’umidità era tale che i vestiti dopo poco tempo marcivano e cadevano a brandelli e lo stesso Castellano della Fortezza nei messaggi ufficiali indicava il sito come il “Marcitoio”. Il freddo era tremendo e dovendo accendere il fuoco per riscaldarsi, il fumo senza sfogo rappresentava un ulteriore elemento di tortura. L’unico collegamento con i piani più alti era rappresentato da una corda che serviva per calare il cibo ed i panni agli sventurati. Mi ha fatto piacere sapere che alcuni di loro, pochi per la verità, proprio utilizzando quella corda, riuscirono a trovare una via di fuga attraverso il tetto ed a scomparire nel nulla. Ma per qualche fortunato che riuscì nell’impresa, centinaia di altri, nel corso dei secoli, fino al 22 giugno 1816, anno in cui la Fortezza diventa ufficialmente reclusorio per legge granducale, con regolamenti meno crudeli, perirono nell’orrido o impazzirono o portarono, ancorché liberati, per tutta la loro esistenza, i segni fisici dei patimenti subiti.”. Alle celle del Maschio si accedeva da un ponte levatoio che poggiava nel mezzo della torre contro un’apertura che vi è rimasta. Entrati appena dentro dalla porta praticata al pian terreno, si trovavano due celle a volta, lunghe due metri appena, larghe meno d’uno, senz’altra luce che quella che poteva penetrare per un piccolissimo spiraglio tondo. La cella a destra si ritiene sia stata per qualche tempo la prigione di Caterina Picchena. “Più truce è la prigione circolare, coperta da una grave volta, alta nel vertice appena due metri e mezzo, che giace completamente nelle tenebre, giacché lo spiraglio di luce che attraversa l’enorme sprone della torre non riesce a penetrarla, e solo apponendovi l’occhio mostra il disco esterno illuminato, come se si guardasse dentro ad un lunghissimo telescopio senza lenti. Segna il mezzo del pavimento in mattoni una lastra di macigno, non toccata forse mai da piede umano, mentre i mattoni appaiono solcati in giro, come la fossa di Maleo, da un perenne camminare. Narrano che i prigionieri girassero sempre all’intorno, sospettando che sotto quella lastra si celasse un agguato e ch’essa dovesse profondarsi in una fossa al primo contatto.” [C. Ricci]. Per mitigare in parte l’orridezza delle prigioni, il ponte levatoio fu infine tolto e praticata un’apertura dal piazzale. In quei tempi d’efferata crudeltà, i nomi delle infelici e spesso innocenti vittime, rimasero per lo più noti soltanto ai tiranni che ve li fecero racchiudere, né l’umana giustizia poté mai conoscere i pretesi delitti o le cause della barbara prigionia. Tra i più noti dei quali si conosce la storia, vi furono relegati a vita Vincenzo Martelli, per aver composto un sonetto in biasimo del governo del duca Alessandro; Pandolfo Ricasoli, reo di aver proferito parole non gradite al duca stesso e Girolamo Giugni per semplici e forse mal fondati sospetti; Galeotto e Giovanni dei Pazzi, i soli scampati al massacro della loro famiglia dopo la fallita congiura antimedicea del 1478; i fratelli Lorenzo e Stefano Lorenzini, il primo matematico insigne e l’altro medico, vi languirono dal 1681 al 1696 per ordine del granduca Cosimo III senza che mai alcuno abbia potuto conoscere le loro colpe, vere o presunte. Lo scrittore ed uomo politico Francesco Domenico Guerrazzi, incarcerato dopo il fallimento della repubblica democratica toscana del 1848, iniziò a scrivere in carcere il romanzo La figlia del senatore Curzio Picchena, ispirato alla tragica vita di Caterina che lo aveva preceduto in quelle celle. Bellissima e amante della vita, Caterina Picchena, figlia di Curzio, già Segretario di Stato del Granduca Cosimo II dei Medici nel 1613 e poi senatore nel 1621, pagò duramente le sue virtù e le sue debolezze. La madre morente aveva raccomandato al marito la sua educazione con queste parole: “La nostra figliola, angiolo di bellezza e d’ingegno, possiede nel seno un inferno di passioni terribili: vedo in lei una smisurata sete d’amore terreno e non divino, in chiesa le piace l’organo perché le fa vibrare i nervi, spingendola alla danza; dei fiori esposti davanti ai Santi preferisce le rose, per farsene ghirlande ai suoi capelli biondi; delle reliquie vagheggia l’oro e le gemme, per ridurli in monili intorno alle sue braccia”. Caterina ebbe una vita tempestosa e molti amanti, ma fu vittima innocente della cupidigia e della lussuria degli uomini. Fu imprigionata senza processo nel 1653, per ordine del Cardinale Carlo dei Medici, che aveva già tentato di possederla tendendole un tranello: respinto l’aveva fatta abbandonare nel bosco della villa in cui voleva darle i sacramenti, semisvestita, svenuta e quasi assiderata. L’occasione propizia per vendicarsi dell’affronto subìto, gli fu offerta dalle losche trame ordite dai parenti dell’ultimo marito di Caterina, i nobili Buondelmonti che volevano impadronirsi del suo patrimonio. Caterina, unica donna rinchiusa nel Maschio, vi morirà nel 1658, all’età di 50 anni, dimenticata da tutti, “senza poter rivedere nemmeno i figli”. [A. Baldisserotto]. Il conte Giuseppe Maria Felicini, passò oltre nove dei quarantatré anni di prigionia, dalla metà del XVII ai primi del XVIII secolo, nella cella più tetra. Autore d’innumerevoli delitti, era costui “una delle più losche, corrotte e feroci figure che sia possibile immaginare; dalla mente così torta e dal cuore così pervertito da mutare ogni sentimento buono – amore, religione, carità – in tante espressioni mostruose e delittuose” [E. Ricci]. Sembra che anche in carcere abbia ordito il delitto, cercando di strozzare il confessore con il cordone della sua tunica, dopo di che avrebbe tentato la fuga vestendone i panni. Fu il granduca Leopoldo, dopo una visita alla Fortezza, ad ordinare che le segrete “mai più fossero poste in uso ed a tal fine fossero demolite le ferree imposte che le chiudevano.” Dall’alto del Maschio si gode una visione da favola, uno dei più vasti e mirabili orizzonti d’Italia; ai suoi piedi il Parco Fiumi, la città, i borghi, più in là le dolci colline e i castelli che l’abbracciano a perdita d’occhio, i fumi delle ciminiere e del vapore di Larderello, i monti innevati degli appennini e il mare. Altri link suggeriti: http://www.lafortezzadivolterra.it/volterra/, https://www.cityzeum.com/vi/toscan-16320-fortezza-medicea-volterra (video), https://www.youtube.com/watch?v=HYLxUweUZFk (video di Unicoop Firenze)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Fortezza_Medicea_(Volterra), https://www.comune.volterra.pi.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/170, https://www.volterracity.com/volterra-fortezza-medicea/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è una cartolina presa da https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10152159935305345/10150715064995345/?type=3&theater, la terza è una foto di Sabastiano Minniti & Paola Mazzei su http://www.minniti.info/main/php/0622.php

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