E' una fortificazione medievale che sorge sul colle di San Teodoro, il rione più antico di Nicastro, ora facente parte della città di Lamezia Terme. Lo storico Vincenzo Villella ritiene che, ad oggi, non siamo in possesso della data esatta della costruzione del castello. Indubbia è, inoltre, la paternità dell'edificio: secondo alcune fonti spetterebbe ai Bizantini, secondo altre, più documentate, ai Normanni. Il nucleo iniziale sorse sull'altura del centro abitato su una precedente fortezza innalzata tra il VIII e il IX secolo. I Normanni, nella seconda metà dell'XI secolo, ripristinarono la struttura precedente proprio perché con la sua posizione, a strapiombo sul colle roccioso, rappresentava un'efficace strategia di difesa e consentiva anche di controllare la pianura circostante fino al mare. Federico II, in epoca successiva, avviò l'ampliamento degli interni, munendo il castello di caserme e carceri. Sempre Federico II fece costruire un mastio pentagonale e una cinta muraria verso la zona bassa. In quel periodo il castello non possedeva cinta muraria ma affidava la sua inespugnabilità, alle difficoltà di accesso al sito garantita dalle asperità della rocca. Anche durante la dominazione angioina il castello fu sottoposto a lavori di restauro. Ampliamenti e ristrutturazioni furono ordinate da Carlo V di Spagna, che lo trasformò in un'imponente fortificazione militare. Nella parte più alta del maniero, si trovava un nucleo fortificato da cui si elevava il maschio esagonale collegato all'ala residenziale da una piazza d'armi, posta in leggera pendenza. L'accesso principale, collocato verso est, era definito dalle forme circolari di tre torri, appositamente innalzate per difendere l'ingresso del castello. Nel periodo feudale il maniero si trasformò in residenza nobiliare, ospitando la famiglia Caracciolo e successivamente la famiglia D'Aquino. La storia del castello di Nicastro si intreccia, soprattutto, con la tragica fine del figlio ribelle di Federico II, Enrico VII, tenuto rinchiuso nel castello nicastrese per due anni a partire dal 1240. Una versione racconta che Enrico VII finì i suoi giorni suicida a soli 31 anni, il 12 aprile 1242. Un giorno, percorrendo una tortuosa strada di montagna con la scorta, mentre veniva trasferito da Nicastro alla volta del castello di Martirano, scappato alla vigilanza, si gettò da cavallo sfracellandosi in un dirupo. Qualcuno ha anche sostenuto che fu proprio Federico II a farlo uccidere. Una versione, più recente e sostenuta da valida documentazione, sostiene che Enrico VII sia deceduto per morte naturale a causa di una malattia contratta in carcere. Il corpo del re fu in seguito trasportato nel duomo di Cosenza dal vescovo di Martirano Leone Filippo De Matera (1218-1237), patrizio cosentino e cancelliere del Regno di Sicilia. All'inizio del '600, il castello fu trasformato in carcere. Con l'azione devastatrice dei numerosi terremoti che si sono abbattuti in questi luoghi, il castello si avviò verso un lento processo di decadenza e abbandono. Nel 1609, in seguito ad un sisma, cadde un torrione. Il terremoto del 1638 causò ingenti danni alla struttura del castello (seppellendo sotto le macerie il feudatario principe Cesare d’Aquino), i cui bastioni caddero sull'abitato e l'intero edificio fu sgombrato. Fu definitivamente abbandonato, invece, in seguito al sisma del 1783. Del castello ci pervengono solo i resti di quattro torri cilindriche, i bastioni, le mura e un contrafforte con loggetta cieca. Lo scrittore e viaggiatore Henry Swinburne (1743-1803), nel 1778, scrive che, a chiunque visitasse il castello, questo appariva come “un romantico rudere in posizione pericolante sul letto di un fragoroso torrente che scorre giù in una valle buia e boscosa”. Storia e mito, attrattiva e paura si sono sempre mescolate intorno a questo maniero, avvolgendolo in un alone di mistero, infatti sono sorte tante suggestive leggende ad esso legate, come quella della tana delle fate, quella della chioccia e i pulcini d’oro e, soprattutto, quella del paggio e della principessa, raccolte da don Pietro Bonacci nel suo volume su S. Teodoro, antico rione di Nicastro. Secondo la tradizione, quando cala la notte e tutto l’antico quartiere di S. Teodoro si addormenta, le fate escono dalle loro grotte di cui sono piene le sponde del torrente Canne e si aggirano intorno ai ruderi del castello e tra gli stretti vicoli, percorrendo poi il corso del torrente per raccogliere fiori, bacche e miele. Ogni notte poi, all’interno del castello, una chioccia e dodici pulcini d’oro si aggirano in cerca di cibo, sorvegliati da una terribile maga che impedisce a chiunque di avvicinarsi. C’è poi chi racconta di un cavaliere che di notte si aggira intorno ai ruderi del castello e tanti giurano di sentire distintamente lo scalpiccio degli zoccoli del cavallo. Sarebbe lo spirito di Gerlando. Il tutto è collegato al racconto riguardante Federico II che nel 1245 abitava nel castello con tutta la sua famiglia. Dall’imperatore in persona fu adottata una trovatella che era stata accolta nella corte e alla quale fu imposto il nome germanico di Ingrid. Tra i tanti paggi che prestavano servizio nel castello ce n’era uno di nome Gerlando che fu assegnato al servizio della principessa Ingrid e finì per innamorarsene. Venutolo a sapere, l’imperatore minacciò di morte il paggio che, avvisato da Ingrid, in piena notte saltò in groppa ad un cavallo e fuggì dalla porta principale del castello che era fortunosamente aperta, rifugiandosi nella boscaglia sovrastante. L’imperatore diede ordine ai soldati di inseguirlo e riportarlo al castello. Ma fu tutto inutile e nessuno seppe dare notizie di Gerlando. Allora l’imperatore diresse la sua ira contro la principessa Ingrid facendola rinchiudere nella stessa stanza dove nel 1240 aveva tenuto prigioniero il figlio ribelle Enrico, re di Germania, accusato di aver favorito le mire autonomistiche dei Comuni dell’Italia settentrionale. In questa conclusione la leggenda si lega alla storia vera. In effetti Enrico restò prigioniero per qualche tempo nel castello di Nicastro da dove poi fu trasferito a Martirano. La storia del castello ha altri importanti punti di riferimento con Federico II (che, tra l’altro, era anche terziario dell’ordine cistercense). Infatti, fu proprio lui che, avendo ereditato per via della madre Costanza d’Altavilla tutti i beni dei Normanni, provvide subito a riscattare la città di Nicastro dalla feudalità benedettina (che possedeva la metà della città, incluso il castello) dando in cambio all’abate dell’abbazia di S. Eufemia la terra di Nocera e il casale di Aprigliano. Al vescovo, che possedeva l’altra metà della città, diede in cambio la contea di Rocca Falluca. Inoltre, da una lettera del 1239, riportata nella Historia diplomatica di Federico II, risulta che in quell’anno questo re fece restaurare la rocca del castello e il tetto del grande palazzo che possedeva in contrada Carrà, proprio in mezzo alla omonima grande foresta che costituiva una grande riserva di caccia e che ospitata anche il grande monastero basiliano di S. Maria del Carrà. Almeno altri due eventi riguardanti il castello meritano di essere menzionati. Infatti è certo che nel 1122 vi fu ospitato per due settimane il papa Callisto II mentre sembra che nel 1535 vi abbia sostato Carlo V di ritorno da Tunisi. Ridotto a poco più di un rudere, il Castello di Lamezia Terme si trova sotto la tutela della Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria ed è stato oggetto di una serie di campagne di scavo che hanno portato alla luce diverse sezioni dell’edificio ancora non indagate, oltre a reperti di varia natura, quali ceramiche e vasellame di uso quotidiano (rimando a http://www.comune.lamezia-terme.cz.it/node/115). Nel 1992 venne avviato un intervento di restauro di tipo conservativo, allo scopo di preservare i resti dell'antico castello, attraverso opere di consolidamento strutturale e monumentale. Il complesso conta 16 corpi di fabbrica differenti, distribuiti su due livelli. In alto si trova un nucleo fortificato da cui si eleva il donjon esagonale fiancheggiato da un bastione merlato. Un leggero pendio dotato di cisterna e una piazza d’armi collegano il donjon all’ala residenziale, detta Palazzo Federiciano, in onore di Federico II di Svevia. In diversi periodi dell’anno, all’interno del castello si tengono eventi che attirano una partecipazione sempre più attiva, come i cineforum d’estate oppure il presepe vivente che viene allestito nel monumento e per le vie del borgo ai suoi piedi. Di sera il maniero illuminato dalle luci della città sottostante offre una veduta spettacolare. Altri link suggeriti: http://www.lameziastorica.it/castello.html, https://www.youtube.com/watch?v=8-gpZBpYjYI (video aereo di Sacilo), https://www.youtube.com/watch?v=QcmMwSHIAv8 (video di Saverio Stranges), http://www.lametino.it/Ultimora/lamezia-castello-normanno-svevo-chiuso-al-pubblico-lanciata-petizione-per-la-riapertura.html, https://www.youtube.com/watch?v=8cSS2Ludtuc (video di Symposium202), https://www.youtube.com/watch?v=gw9YP_nhuVE (video di Emmeppi Produzioni Televisive).
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_normanno-svevo_di_Nicastro, http://www.lameziastorica.it/castello-mito.html, https://www.calabriadascoprire.it/visita-al-castello-normanno-svevo-di-lamezia-terme/, https://www.vaghis.it/arte-e-cultura/lamezia-terme.html, https://italiagustus.it/attrattore/146/castello-normanno-svevo, http://atlante.beniculturalicalabria.it/luoghi_della_cultura.php?id=25573
Foto: la prima è presa da http://www.lameziastorica.it/castello-mito.html, la seconda è presa da https://www.calabrianews.it/lamezia-mastroianni-pd-mozione-consiliare-salvaguardia-valorizzazione-del-castello-normanno-svevo/
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