MOTTA D'AFFERMO (ME) - Castello
Dopo la dominazione araba (827-1091),
Ruggero gran Conte, tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo ripopolò
numerosi insediamenti con coloni lombardi, e con coloni pugliesi e calabresi
provenienti dai territori già sotto il dominio e l'influenza normanna. In
questa ricolonizzazione fu coinvolto anche il vecchio casale di Sparto, intanto
entrato sotto il dominio di uno dei 136 cavalieri che accompagnavano il
normanno. Il primo esponente feudale di cui si abbia notizia fu Roberto de
Sparto che nel 1266, per sostenere la causa legittima di Manfredi, venne
sconfitto con altri cavalieri a Benevento da Carlo d'Angiò e venne espropriato
del dominio del casale. Sparto, nel 1270, veniva affidato a Hugues de Brusa, un
soldato mercenario francese. Nel 1272 il maestro delle regie difese Dreuv de
Lazabard (Zavaterius) viene nominato signore di Sparto. Nel 1278 il monaco basiliano
Pafnuzio del cenobio di Santa Maria di Sparto è nominato da papa Niccolò III, egumeno
di Santa Maria della Grotta di Palermo. Nel 1282, nella colletta di Pietro
d'Aragona, Sparto figura come località in grado di fornire 5 arcieri. Nel 1296 Giovanna
Chiaramonte è titolata come signora del casale nel catalogo dei baroni di re
Giacomo. Nel 1344 Costanza Chiaramonte vende il casale a Blasco D'Alagona.
L'atto di vendita costituisce il primo documento descrittivo del territorio.
Nel 1375 il casale è ceduto da Artale D'Alagona a Raimondo Ripa, che ne
ratifica il possesso solo sulla carta. Intorno al 1380 un cavaliere, Muchius
Albamonte alias de Fermo, ripopola il casale, ristruttura il castello e si
proclama signore e barone della Motta
di Sparto. Nel 1392 Muchius viene ucciso durante alcuni scontri e la
moglie Margherita Ventimiglia rivendica il possesso del feudo. Nel 1397 durante
il riparto delle tasse re Martino fa cambiare il nome in Motta di Fermo. Il nome Motta accomuna
molti altri paesi italiani anche se i motivi di queste omonimie sono certamente
molto diversi. A livello etimologico il vocabolo può derivare dall'antico
provenzale mota, opera di difesa di un castello o anche dal francese mote,
altura munita di castello, collina, diga. Nomi simili sono presenti anche in
altre lingue romanze come lo spagnolo o il portoghese o in quelle germaniche
sia antiche che moderne. È probabile che nel nostro caso si faccia riferimento
alla parte superiore dell'abitato (in dialetto chiamato fascieuddu) che
si caratterizza per una disposizione fusiforme delle abitazioni e che era
circondato da spesse mura in difesa della fortezza che si trova in una
posizione strategica ed era utilizzata per il controllo di un vasto territorio.
Nel 1452 Giovanni Albamonte viene nominato barone di Motta de Firmo. Uno dei
suoi figli, Guglielmo Albamonte, figura fra i tredici campioni italiani che
parteciparono alla eroica Disfida di Barletta. Nel 1380 tra le prime iniziative
si deve ricordare la costruzione della chiesa di Maria SS. degli Angeli.
Questa, essendo la Matrice, era costruita a spese della universitas ed
era luogo di culto e di riunione per il popolo soprattutto quando si dovevano
prendere delle decisioni importanti. Uno di questi eventi fondamentali fu la
stipula dei Capitoli tra il consiglio civico ed il barone Giovanni Elia
Minaguerra de Albamonte celebrata nel 1544 all'interno della stessa chiesa. A
quel tempo Motta era già una realtà importante con la sua fortezza, le sue
chiese, i suoi edifici pubblici, le case dei borghesi e dei popolani. Ma fu
negli edifici di culto e nei loro arredi che la comunità espresse il meglio
delle sue possibilità, anche perché tali edifici erano luoghi sacralizzati
dalla sepoltura dei cittadini che, intanto, distinguendosi nelle varie attività
dell'artigianato e dell'agricoltura, si erano organizzati in piccole società di
mutuo soccorso e confraternite. Tra le chiese che furono frutto dell'iniziativa
di queste associazioni ricordiamo la grande chiesa di San Rocco (1575) e le
chiese di San Sebastiano e San Luca (XVI secolo), queste ultime due non più
esistenti. Nel 1557 il feudo passa a Vincenzo Bonaiuto. Nel 1607 il re Filippo
III addirittura elegge marchesato, in favore di Modesto Gambacurta, la baronia
di Motta di Fermo. Nel 1632 il feudo risulta proprietà del Monte dei Pegni di
Palermo. Nel 1633 Gregorio Castelli acquista il Marchesato di Motta, che
diventa prerogativa del suo Casato per più di tre secoli con il titolo di
Principe di Torremuzza, Signore e Marchese di Motta. Tra i suoi successori da
ricordare Mons. Gioacchino Castelli, vescovo di Cefalù, e Gabriele Lancillotto
Castelli (1727-1792), grande archeologo, mecenate e direttore e ispiratore
della Real Accademia degli Studi di Palermo (Università). Nel frattempo nel 1812
la feudalità veniva abolita e il paese si organizzava in comune autonomo. Il
castello è esistente sin dal 1260. Si ritiene che la fortezza presidiasse
visivamente tutta la fiumara di Alesa, naturale e storica via di penetrazione
verso l’interno della Sicilia. Evidenti sono le rispondenze con la “Croce” di
Santo Stefano Camastra e con i castelli di Caronia, Castelluccio, Migaido,
Pettineo, Tusa e Pollina, mentre sul litorale tirrenico, nei giorni tersi, si
spazia da Capo Gallo a Capo d’Orlando e, più abitualmente, da San Marco
d’Alunzio alla rocca di Cefalù. Relazioni chiare si colgono con le torri
costiere di Raisi-gerbi, di Scillichenti, di Torremuzza e con i castelli della
Marina di Tusa e di Serravalle. Fu ampliato nel 1380 e poi modificato dal 1652
al 1668. Rinnovato nella distribuzione e rivestito di stucchi dal 1738 al 1815.
Parzialmente demolito e ricostruito dal 1954 ad oggi, si colgono all’esterno
ancora i possenti bastioni. Molto interessanti sono gli ambienti al pianterreno
dell’originario torrione, odiernamente trasformati in una cappella e
nell’attigua sagrestia. Durante l’ultimo conflitto mondiale venne bersagliato
dall’artiglieria alleata in quanto sede di una postazione radio trasmittente. La
ristrutturazione compiuta dal 1955 al 1965 ha cancellato gran parte delle
pristine fabbriche attorno alla corte centrale. Il nuovo edificio è stato
impostato sull’originario terrapieno e se, da una parte, ha ribadito il sistema
distributivo e la configurazione volumetrica unitaria del vecchio castello,
dall’altra ha sostituito ai poderosi muraglioni ciechi moderne facciate
intonacate e finestrate; immuni dalle trasformazioni restano i due bastioni
dislocati alle estremità del fronte settentrionale e, soprattutto, i due
ambienti voltati a botte, convertiti in cappella e sacrestia, su cui un tempo
sorgeva il dongione; nell’intradosso delle volte, poggianti su murature spesse
mediamente 2 m, longilinei conci di tufo e pomice denunciano la loro
importazione, data l’irreperibilità di tali materiali sul posto; il bastione
giustapposto alla parete rocciosa est si eleva per 12 m e nella sua parte più
massiccia ha uno spessore di ben 6,70 x 5 m. La maggior parte delle murature è
occultata da intonaci recenti, mentre quelle ancora scoperte sono in pietrame
d’arenaria legato con malta di calce. Lo stato di conservazione delle parti
superstiti è discreto.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Motta_d%27Affermo, http://www.comune.mottadaffermo.me.it/monumenti/castello-xii-xiii-secolo/,
http://www.icastelli.it/it/sicilia/messina/motta-daffermo/castello-di-motta-daffermo
Foto è presa da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/messina/mottadafferm01.jpg
(fonte www.vivasicilia.com)
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