TORRE PALLAVICINA (BG) – Torre di Tristano e Palazzo Barbò
Prima del XIV secolo l'abitato si denominava Fiorano (Floranum), un toponimo
che denuncia chiaramente la sua origine romana poiché deriva dal nome del
colono romano Florus, che qui si costruì la sua fattoria in seguito all'operazione
di centuriazione della pianura bergamasca avvenuta in epoca imperiale. Il vicus
et fundus Floranum è citato in un documento dell'anno 840; in un altro
dell'anno 948 è nominato il villaggio di Valsorda, oggi ridotto a cascinale. Nell'alto
medioevo il territorio di Fiorano fu proprietà del monastero femminile di Santa
Giulia di Brescia e poi di quello maschile benedettino di San Lorenzo di
Cremona. Al XII secolo risale l'origine della chiesa romanica dei Santi Nazario
e Celso, dipendente dalla pieve di Calcio. La pianura orientale bergamasca e la
Calciana nei primi decenni del XIV secolo risultavano quasi del tutto spopolate
a causa delle guerre, prima tra Papato e Impero, e poi tra Guelfi e Ghibellini;
lotte che coinvolsero soprattutto quest'area di confine tra i territori di
Bergamo, Cremona e Brescia. Nel 1366 le terre di Calcio, Pumenengo e Fiorano
furono acquistati da Regina della Scala, moglie del duca Bernabò Visconti, che
tentò in ogni modo di ripopolarli grazie ai vantaggiosi privilegi concessi dal
marito alle sue proprietà. Nel 1380 la duchessa rivendette il suo feudo a vari
proprietari: Calcio ai Secco, Pumenengo ai Barbò e Fiorano ai Covi e Cropelli.
Tutti i nuovi proprietari si alternavano nel governo del feudo (il cosiddetto
Condominio della Calciana), che continuò a godere privilegi, esenzioni fiscali
e ampie autonomie dallo stato centrale. A seguito della
Pace di Lodi del 1453
tra il Ducato di Milano e la Repubblica Veneta, Francesco Sforza commissionò al
figlio naturale Tristano la costruzione di una torre di guardia del confine che
avrebbe dovuto seguire, come stabilito dal trattato, il corso del fiume Oglio
tra Soncino e Pumenengo. La torre, detta
di Tristano, venne così eretta sulle
terre dei
Conti
Barbò, feudatari dei luoghi sin dal 1070, in contrapposizione a
Roccafranca, posta sul lato veneto del fiume. Il primo insediamento sorto
presso la torre si denominò Torre di Tristano e quando la sua unica figlia
Elisabetta portò in dote l'intera proprietà al marito Galeazzo Pallavicino
(1484), il villaggiò mutò nome in Torre Pallavicina, nome che conserva tuttora.
Nei primi anni del Cinquecento Adalberto Pallavicino fece erigere presso la
torre medievale lo splendido palazzo, probabilmente da architetti che allora
operavano in Mantova, e fece scavare il Naviglio Pallavicino che ancor oggi
irriga gran parte dell'alta pianura cremonese. Egli decise di costruire una
sontuosa dimora
"… per non voler più seguire principi ingrati…" e
quale "… sede di ozio di pace per sé e per i suoi amici (SIBI ET
AMICIS)", proposito che si può leggere
scolpito con un fregio,
sulla pietra che corre sopra i portici della facciata. Il nome Pallavicino pare
derivi da Pelavicini (deruba i vicini). Si dice infatti che i Pelavicini, poi
Pallavicini, si chiamassero con quel soprannome perché erano facili ad
impadronirsi dei beni altrui. Galeazzo Pallavicino dei marchesi di Busseto fu
un abilissimo guerriero: venne nominato cavaliere nel 1478 ed eletto
consigliere ducale nel 1483 da Gian Galeazzo Maria Sforza per essersi distinto
in molte battaglie. Combattè con gli Sforza contro i francesi e poi con i
francesi contro gli Sforza. Morì nel 1520 senza vedere il ritorno degli Sforza
a Milano. I discendenti fecero costruire anche due oratori: uno fu fondato dal
figlio Adalberto nel 1568 e fu dedicato a S.Lucia, l'altro, ultimato nel 1638,
dal nipote Alessandro Galeazzo che lo dedicò alla Vergine di Loreto e lo dotò
di un legato per i bisogni del culto. La linea maschile della dinastia terminò
verso il 1850 con Giuseppe, il quale non ebbe discendenti: l'intero patrimonio
passò così alla sorella che aveva sposato Gerolamo Barbò. Dai Pallavicino
ebbero origine anche le famiglie degli Estensi, degli Obizzo, dei Massa e dei
Malaspina.
Essendo zona spartiacque
anche tra la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano, Torre Pallavicina venne
inserita in una vera e propria zona franca, chiamata Calciana, senza tasse da
versare e con una propria amministrazione. E come in tutte le zone di confine,
notevole era il contrabbando praticato nonostante le rigide leggi che lo
vietavano, pena dure sanzioni, anche se per gli abitanti stessi questa era una
delle principali fonti di sostentamento. La conquista napoleonica del 1796 mise
fine al feudo dei Condòmini; la Calciana e la Gera d'Adda furono aggregate a
Bergamo. La torre, realizzata interamente in mattoni, è munita sui quattro lati
di beccatelli sporgenti e piombatoi che ne garantivano la difesa dall'alto. La
merlatura è stata inglobata dal sopralzo realizzato in epoca rinascimentale.
Una passerella, originale nella sua struttura, mette in comunicazione l'antica
torre di difesa con lo splendido palazzo residenziale fatto costruire nel 1550.
Il fronte principale della costruzione è caratterizzato da un portico sorretto
da archi sopra i quali spiccano, scolpiti nella pietra, stemmi nobiliari,
mentre sotto i portici sono affrescati quelli delle famiglie che si
succedettero nel possesso della costruzione. Tutte le finestre e le porte d'accesso
portano la scritta "AD.MA.PA" (Adalberto Marchese Pallavicino) a
ricordo perenne del nome dell'edificatore. I locali situati nella parte
originaria della roccaforte non vantano decorazioni di alcun genere mentre
nelle sale del sopralzo i soffitti sono intagliati. All'interno del palazzo, al
piano terreno, c'è un grande salone con la volta tutta affrescata con motivi
mitologici. Al primo piano vi è invece una sala con un camino adornato con
sculture di pregevole fattura. Le altre sale sono completamente affrescate e i
soffitti in legno intarsiato sono di grande effetto. Alcune opere risalgono
all'inizio del 1500, altre alla fine del 1700. Si tramanda che truci vicende
siano avvenute tra queste mura e anche se la fantasia popolare, con il passare
del tempo, ha aggiunto molto, se pur degli avvenimenti erano realmente
avvenuti. Al termine della scala che porta ai sotterranei si apriva un profondo
pozzo sul fondo e sulle pareti del quale erano infisse delle lame taglienti
rivolte verso l'alto. Lì dentro si poteva facilmente cadere semplicemente
ponendo i piedi al di fuori di un tracciato prestabilito; un passo incauto
poteva infatti rompere l'equilibrio del coperchio della botola che ruotava
sopra un perno centrale. L'apertura di questo pozzo è stata chiusa soltanto
durante l'ultimo conflitto mondiale. Ogni anno, la prima domenica di settembre,
ricorre la tradizionale festa della Sacra spina, la famosa reliquia che fu
donata al marchese Galeazzo Pallavicino, il 30 maggio del 1476,
dall'Arcivescovo di Bologna Francesco Cotogni con il permesso di esporla alla
venerazione dei fedeli. Dal 1952 la reliquia appartiene alla chiesa
parrocchiale di Santa Maria in Campagna, nel comune di Torre Pallavicino. Il
palazzo è tuttora proprietà della famiglia Barbò.
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