ARQUA’ POLESINE (RO) – Castello estense
E'
il monumento medioevale più rilevante e meglio conservato nel Polesine, sopravvissuto
a tutte le fortezze costruite lungo il Canalbianco, che in quel tempo era la
via d'accesso principale. Il complesso si compone di una torre merlata
medioevale (suddivisa in tre piani), di un corpo di fabbrica che si apre verso
il cortile con tredici arcate seicentesche, del granaio e delle scuderie.
Conserva ancora il fossato tutto intorno e per accedervi occorre superare un
ponte, non più levatoio, ma sufficiente a richiamare l'originaria sensazione di
accesso al castello. Risale al 938 il primo documento che cita Arquà in una
donazione alla chiesa di Adria da parte del feudatario Marchese Almerico. Già a
quei tempi il centro era importante per la posizione di controllo sulla
Pestrina, chiamata pure Fosse Filistine. Guglielmo III dei Marchesella, signore
di Ferrara, vi fece costruire nel 1146 un castello per difendersi dagli
Estensi, che già miravano alle terre polesane. Nel 1187 un figlio di Obizzo
d'Este, sposando l'unica figlia ed erede di Adelardo, reggitore di Ferrara,
venne in possesso del castello: ebbe così inizio la dominazione estense. Nel
1308 il castello fu centro della lotta tra due fratelli di casa d'Este che si
contendevano il dominio di Ferrara. Per tutto il perdurare della dominazione
estense il castello assunse la funzione di fortificazione e la sua struttura
rispecchiò questo carattere difensivo attraverso una tripartizione degli spazi:
una torre alta, - con basamento a tronco di piramide coronato da una cornice tre
piani di ordini diversi di finestre binate ad arco a tutto sesto disposte lungo
un asse verticale con copertura a sezione triangolare e tetto a quattro falde
privo di coronamento merlato. Alla destra una torre di dimensioni inferiori alla
precedente con basamento a tronco di piramide, un ordine di finestre binate ad
arco a tutto sesto e una porta di ingresso alla torre; tra le due torri un
corpo di fabbrica principale a “ponte” dotato di finestre disposte lungo un
asse orizzontale. Nel 1395 il Marchese Nicolò d'Este cedette il Polesine ai Veneziani,
in cambio di un prestito di 50 mila ducati. Arquà, passata sotto il nuovo dominio,
acquisì importanza strategica per la sua posizione di transito tra Venezia e
Ferrara. Il castello rimase nelle mani dei Veneziani fino al 1438, anni in cui venne
ceduto nuovamente agli Estensi, per evitare l'alleanza di costoro con il duca
di Milano. Ma già nel 1482 i Veneziani si riappropriarono del castello, in
seguito alla "guerra del sale", scoppiata contro gli Estensi. Il maniero
fu in seguito comprato dalla nobile famiglia veneta Diedo che lo abbellì con
affreschi e lo trasformò in residenza con adiacenze per conservare i prodotti
agricoli. Nel 1621 l’ultima erede Elena Diedo contrasse matrimonio con Girolamo da Mula e alla sua morte il
castello andò ai figli Da Mula. Dal
’600 all’800, parte del castello fu adibita a edificio ad uso scolastico Nel
1811 la fortezza passò alla famiglia Treves;
attualmente è di proprietà del comune di Arquà ed è interessata ogni anno dalle
manifestazioni del “Maggio Arquatese”. La
metamorfosi strutturale cui l’edificio andò incontro a metà del ’500, si
tradusse in un cambiamento funzionale: la torre andò incontro all’apertura di
quattro ordini di finestre ad arco a tutto sesto disposte lungo un piano
verticale su aperture già preesistenti, nuova forometria, innalzamento della
quota di calpestio del terzo piano ed inserimento di una doppia cornice
marcapiano orizzontale tra il secondo e il terzo piano ai lati sud, est ed
ovest, allo scopo di ingentilire le facciate della torre prospicienti il
cortile interno. All'interno del maniero spiccano tre sale: la Stanza di
Fetonte, sulle quatto pareti della quale è rappresentato in un affresco
cinquecentesco, il mito di Fetonte, figlio del Sole, che drammaticamente finì
la sua vita sulle rive del fiume Po, un tempo Eridano; la Stanza Centrale, dove
è utile menzionare l’affresco presente nel soffitto raffigurante il Po, che
dona rami d’olivo e palme alla vicina Venezia (l’affresco ricorda un’opera
presente nella sala delle udienze del Palazzo Ducale di Venezia eseguita da
Paolo Veronese) e gli affreschi alle pareti raffiguranti scene allusive alle
virtù teologali, Fede, Speranza e Carità e alle virtù cardinali della Giustizia
e della Fortezza; la Stanza del Camino, caratterizzata da affreschi in cui
compaiono delle iscrizioni in appositi cartigli: ad esempio, l’iscrizione “Deum
time” (timore di Dio).
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