PIZZO CALABRO (VV) – Castello aragonese (o Castello Murat)
La sua costruzione è legata agli eventi storici del periodo
aragonese della Calabria. Venne infatti edificato nel XV secolo per volere del
re Ferdinando I d'Aragona, giunto nella regione per sedare la sanguinosa
congiura dei baroni, ordita contro di lui da alcuni feudatari locali, come
Carlo Sanseverino, conte di Mileto e feudatario di Pizzo. Dopo aver sopraffatto
in modo sanguinoso i cospiratori, il re aragonese fece potenziare buona parte del
sistema difensivo del suo regno rimaneggiando i castelli dei feudi rivoltosi
come Belvedere Marittimo, Castrovillari e Corigliano. Nel 1487 ordinò il nuovo
castello di Pizzo nell'ottica di aumentare la forza difensiva del versante
tirrenico. L'antico maniero, completato nel 1492 (anno in cui Ferdinando sposò
Isabella di Castiglia unificando sotto di sé tutta la Penisola Iberica) dopo
oltre quattro anni di lavori, conserva ancora oggi i suoi volumi compatti,
costituiti da un massiccio corpo quadrangolare affiancato da due torri a tronco
conico che danno verso l'abitato. La torre grande, detta torre maestra, è di
origine Angioina (1380 circa). Una strada ha oggi preso il posto del
preesistente fossato che circondava la fortezza e sul quale un ponte lavatoio
ed una porta, ne consentivano l'accesso. La parte trapezoidale del castello è
invece a picco sul mare anche se la muratura appare un po degradata ed
intaccata dalla vegetazione. All'esterno è decorato da un redondone in pietra
che divide la base scarpata dalla parte superiore. Il portone d'ingresso del
castello è fornito di ponte levatoio e sul portale c'è una lapide a memoria di
Gioacchino Murat, che qui venne fucilato nel 1815. Verso la fine del XV secolo,
"la terra del Pizzo", e quindi il suo castello, passò dalla casa
d'Aragona a quella dei Sansaverino. Successivamente nel 1505 Ferdinando il
Cattolico lo cedette a Diego De Mendoza, generale delle Galee, per l'aiuto dato
da questi alla Corona di Spagna e da lui, per successione, detti beni passarono
alla casa dei Silva, alla quale apparteneva il Duca dell'Infantado che lo tenne
sino al 1806 anno in cui, per Decreto del Re Giuseppe Napoleone, fu abolita la
feudalità. In seguito, il castello sollevò spesso questioni di diritto di
proprietà fra il Comune ed il genio Militare. Fu occupato dal Governo, che lo
adibì a caserma e a prigione. Passò poi al Comune di Pizzo, cui lo cedette il
Governo Italiano, conservando solamente la parte che - con Decreto del 3 giugno
1892 - fu dichiarata "Monumento Nazionale". Fu danneggiato dal
terremoto del 1783, che ne distrusse le camere superiori; esse furono riedificate
nel 1790 a cura e spese dell’Amministrazione Ducale. Secondo una descrizione
cinquecentesca, oltrepassata la porta si giungeva ad un piccolo cortile, alla
cui destra, si trovava la zona carceraria costituita da quattro camere ed a
sinistra, le casematte con le vettovaglie. Dal cortile, attraverso una scala,
si saliva alla parte superiore ove erano dislocate otto stanze. La fortezza era
altresì dotata di pianterreni è camminamenti interni che portavano anche fuori
città. Essendo stata costruita allo scopo di difendere la costa dai
barbareschi, durante l'occupazione Francese, gli fu aggiunta una batteria a
mare, a difesa della spiaggia, detta Monacella. Oltre a pochi elementi decorativi
in pietra, le mensole residue nel torrione di nord-ovest e le piccole feritoie
delle archibugiere, è presente sulla chiave di volta, che, sormonta il portone
d'ingresso, lo stemma marmoreo della casa Infantado ed una lapide dedicata al Murat.
Le antiche carceri cinquecentesche sono costituite da cinque vani ricoperti a
volta, con aperture verso il mare e verso il centro abitato. Qui vennero
rinchiusi personaggi illustri quali il filosofo Tommaso Campanella,
l’alchimista Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, il filosofo Pasquale
Galluppi e Ricciotti Garibaldi, figlio di Giuseppe ed Anita. Ma il castello
divenne famoso soprattutto perché vi fu prima rinchiuso e poi fucilato, il 13
ottobre 1815, Gioacchino Murat. Fedelissimo di Napoleone, egli era riuscito a
conquistare il Regno di Napoli, e il suo governo aveva portato buoni esiti sia
in campo amministrativo che nel miglioramento dell'istruzione. Ma dopo la
disfatta di Waterloo, il declino di Napoleone travolse anche lui, che domenica
8 ottobre 1815 tentò di riconquistare il Regno con uno sbarco sulle coste della
Calabria. Arrestato insieme al suo drappello dai soldati di Ferdinando IV di
Borbone, Murat fu rinchiuso nel castello di Pizzo e poi fucilato cinque giorni
dopo, a seguito di un precesso sommario in cui fu decisa la sua condanna a
morte dalla Commissione Militare disposta per forza di legge dal Governo
Borbonico. Il castello divenne noto per queste vicende e fu meta di vari
viaggiatori tra i quali Alexandre Dumas, che nell'autunno del 1835, durante il
suo tour dell'Italia meridionale, volle visitare la prigione e il luogo dove
Gioacchino Murat aveva vissuto i suoi ultimi giorni. Rimane, di quegli ultimi
istanti, la nobilissima lettera da lui scritta alla moglie e il ricordo della
fierezza con cui volle comandare il plotone di esecuzione. E poiché i fucili
dei soldati, intimiditi e commossi, lo avevano la prima volta risparmiato, dovette
ordinare il fuoco per ben due volte, prima di cadere, fulminato da sette
proiettili. Il suo corpo, trasportato nella chiesa Matrice di S.Giorgio
Martire, fu sepolto in una fossa comune, al centro della chiesa, dove una
pietra tombale ricorda in perpetuo il nome e la memoria d’un Re, che, come
scrisse in un’epigrafe il Conte di Mosbourg, "seppe vincere, seppe
regnare, seppe morire". All'interno del castello vi sono alcune
ricostruzioni storiche e testimonianze di quei tragici avvenimenti: documenti
storici, tra cui una Biblioteca Tematica Murattiana e Napoleonica, stampe e
piante sulle origini aragonesi del castello, copie e riproduzioni di cimeli
murattiani, una collezione originale di monete ottimamente conservate che va
dal 578 al 1860, una mostra permanente di manichini in costume e a grandezza
naturale che ricostruiscono scenograficamente gli ultimi momenti di vita di
Murat, dalla prigionia, al processo fino alla fucilazione. Nella sala grande
del è esposta una collezione originale di monete (“Monete
e Popoli”), ottimamente conservate. La selezione accurata
del piccolo tesoro numismatico, stimola il viaggio nell’Italia meridionale,
raccontando il succedersi di popoli e famiglie, di scontri bellici e di
rivoluzioni per 14 secoli di storia. Dal Follis di Tiberio II (578 – 582) ai 10
Tornesi di Francesco II (1859-1860). Inoltre è custodito un residuo di una
scultura di Antonio Canova (l'originale fu distrutta durante il passaggio di Giuseppe
Garibaldi, ne è rimasta intatta solo una parte rappresentante un elmo). Il fabbricato
del castello Aragonese si sviluppa su quattro piani di cui il primo sotterraneo,
il secondo sconosciuto e di cui si era persa ogni traccia a memoria
d'uomo, il terzo al livello dell'ex ponte levatoio d'ingresso al Castello
dove attualmente è collocata la Rappresentazione scenica Murattiana ed
il quarto al livello più alto dove è collocato il Museo Provinciale
Murattiano e dove si svolse tutta la tragedia murattiana. Circa il piano
sotterraneo vi si accede attraverso una scala a chiocciola che collega i
tre livelli della Torre Maestra più antica. Giunti al livello più basso della
Torre Angioina si prosegue attraverso una ripida scala buia che conduce in un
ambiente senza luce. Questo piano sotterraneo si configura come un corridoio di
collegamento diretto tra le due torri del Castello lungo un percorso sul lato
nord. Si aprono sul lato sinistro del sotterraneo nuovi corridoi che terminano
alcuni verso bocche di fuoco di cui è possibile trovare riscontro
alla osservazione esterna, altri si esauriscono in ambienti senza senso
ricoperti di terra ed altri ancora in muri di sbarramento oltre i quali
non si conosce che cosa ci sia. Circa le bocche di fuoco stranamente sono tutte
al livello del pavimento come se si utilizzassero cannoni senza ruote e gli
uomini dell'artiglieria operassero distesi per terra. Evidentemente è logico
ipotizzare un livello del pavimento più basso di quello attualmente
calpestato. Un altro spezzone di sotterraneo s'inoltra verso il corpo
rettangolare del castello dapprima in linea retta per poi girare a destra e
sprofondare ad un livello ancora più basso di almeno due-tre metri che
termina con una porta di legno. Ai quesiti su dove conducesse questa porta e sul
perchè di questo nuovo dislivello è difficile oggi dare una risposta se non
dopo che saranno condotti approfonditi studi sulla materia. Certo è che a Pizzo
si è sempre creduto nell'esistenza di sotterranei di collegamento con i castelli
di Vibo e di Rocca Angitola anche se poco probabili, mentre è certamente più
attendibile l'esistenza di un sotterraneo di collegamento con il Palazzo di
Corte attualmente chiamato Palazzo Gagliardi anche se per il momento non
è dato conoscerlo. Link consigliati: http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/pizzo_calabro.htm
Fonti: http://www.calabriatours.org/castelli/castello_pizzo.htm,
http://www.jblasa.com/pizzo-calabro/castello-murat.htm,
http://it.wikipedia.org, http://www.pizzocalabro.it/castello/castello.htm,
http://www.mobitaly.it, http://www.calabriarelations.it,
http://www.pizzo.biz
Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la
seconda è presa da http://www.witaly.it/it/porzionicremona/un-toscano-pizzo-calabro
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