sabato 1 febbraio 2014

Il castello di sabato 1 febbraio






PIZZO CALABRO (VV) – Castello aragonese (o Castello Murat)

La sua costruzione è legata agli eventi storici del periodo aragonese della Calabria. Venne infatti edificato nel XV secolo per volere del re Ferdinando I d'Aragona, giunto nella regione per sedare la sanguinosa congiura dei baroni, ordita contro di lui da alcuni feudatari locali, come Carlo Sanseverino, conte di Mileto e feudatario di Pizzo. Dopo aver sopraffatto in modo sanguinoso i cospiratori, il re aragonese fece potenziare buona parte del sistema difensivo del suo regno rimaneggiando i castelli dei feudi rivoltosi come Belvedere Marittimo, Castrovillari e Corigliano. Nel 1487 ordinò il nuovo castello di Pizzo nell'ottica di aumentare la forza difensiva del versante tirrenico. L'antico maniero, completato nel 1492 (anno in cui Ferdinando sposò Isabella di Castiglia unificando sotto di sé tutta la Penisola Iberica) dopo oltre quattro anni di lavori, conserva ancora oggi i suoi volumi compatti, costituiti da un massiccio corpo quadrangolare affiancato da due torri a tronco conico che danno verso l'abitato. La torre grande, detta torre maestra, è di origine Angioina (1380 circa). Una strada ha oggi preso il posto del preesistente fossato che circondava la fortezza e sul quale un ponte lavatoio ed una porta, ne consentivano l'accesso. La parte trapezoidale del castello è invece a picco sul mare anche se la muratura appare un po degradata ed intaccata dalla vegetazione. All'esterno è decorato da un redondone in pietra che divide la base scarpata dalla parte superiore. Il portone d'ingresso del castello è fornito di ponte levatoio e sul portale c'è una lapide a memoria di Gioacchino Murat, che qui venne fucilato nel 1815. Verso la fine del XV secolo, "la terra del Pizzo", e quindi il suo castello, passò dalla casa d'Aragona a quella dei Sansaverino. Successivamente nel 1505 Ferdinando il Cattolico lo cedette a Diego De Mendoza, generale delle Galee, per l'aiuto dato da questi alla Corona di Spagna e da lui, per successione, detti beni passarono alla casa dei Silva, alla quale apparteneva il Duca dell'Infantado che lo tenne sino al 1806 anno in cui, per Decreto del Re Giuseppe Napoleone, fu abolita la feudalità. In seguito, il castello sollevò spesso questioni di diritto di proprietà fra il Comune ed il genio Militare. Fu occupato dal Governo, che lo adibì a caserma e a prigione. Passò poi al Comune di Pizzo, cui lo cedette il Governo Italiano, conservando solamente la parte che - con Decreto del 3 giugno 1892 - fu dichiarata "Monumento Nazionale". Fu danneggiato dal terremoto del 1783, che ne distrusse le camere superiori; esse furono riedificate nel 1790 a cura e spese dell’Amministrazione Ducale. Secondo una descrizione cinquecentesca, oltrepassata la porta si giungeva ad un piccolo cortile, alla cui destra, si trovava la zona carceraria costituita da quattro camere ed a sinistra, le casematte con le vettovaglie. Dal cortile, attraverso una scala, si saliva alla parte superiore ove erano dislocate otto stanze. La fortezza era altresì dotata di pianterreni è camminamenti interni che portavano anche fuori città. Essendo stata costruita allo scopo di difendere la costa dai barbareschi, durante l'occupazione Francese, gli fu aggiunta una batteria a mare, a difesa della spiaggia, detta Monacella. Oltre a pochi elementi decorativi in pietra, le mensole residue nel torrione di nord-ovest e le piccole feritoie delle archibugiere, è presente sulla chiave di volta, che, sormonta il portone d'ingresso, lo stemma marmoreo della casa Infantado ed una lapide dedicata al Murat. Le antiche carceri cinquecentesche sono costituite da cinque vani ricoperti a volta, con aperture verso il mare e verso il centro abitato. Qui vennero rinchiusi personaggi illustri quali il filosofo Tommaso Campanella, l’alchimista Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, il filosofo Pasquale Galluppi e Ricciotti Garibaldi, figlio di Giuseppe ed Anita. Ma il castello divenne famoso soprattutto perché vi fu prima rinchiuso e poi fucilato, il 13 ottobre 1815, Gioacchino Murat. Fedelissimo di Napoleone, egli era riuscito a conquistare il Regno di Napoli, e il suo governo aveva portato buoni esiti sia in campo amministrativo che nel miglioramento dell'istruzione. Ma dopo la disfatta di Waterloo, il declino di Napoleone travolse anche lui, che domenica 8 ottobre 1815 tentò di riconquistare il Regno con uno sbarco sulle coste della Calabria. Arrestato insieme al suo drappello dai soldati di Ferdinando IV di Borbone, Murat fu rinchiuso nel castello di Pizzo e poi fucilato cinque giorni dopo, a seguito di un precesso sommario in cui fu decisa la sua condanna a morte dalla Commissione Militare disposta per forza di legge dal Governo Borbonico. Il castello divenne noto per queste vicende e fu meta di vari viaggiatori tra i quali Alexandre Dumas, che nell'autunno del 1835, durante il suo tour dell'Italia meridionale, volle visitare la prigione e il luogo dove Gioacchino Murat aveva vissuto i suoi ultimi giorni. Rimane, di quegli ultimi istanti, la nobilissima lettera da lui scritta alla moglie e il ricordo della fierezza con cui volle comandare il plotone di esecuzione. E poiché i fucili dei soldati, intimiditi e commossi, lo avevano la prima volta risparmiato, dovette ordinare il fuoco per ben due volte, prima di cadere, fulminato da sette proiettili. Il suo corpo, trasportato nella chiesa Matrice di S.Giorgio Martire, fu sepolto in una fossa comune, al centro della chiesa, dove una pietra tombale ricorda in perpetuo il nome e la memoria d’un Re, che, come scrisse in un’epigrafe il Conte di Mosbourg, "seppe vincere, seppe regnare, seppe morire". All'interno del castello vi sono alcune ricostruzioni storiche e testimonianze di quei tragici avvenimenti: documenti storici, tra cui una Biblioteca Tematica Murattiana e Napoleonica, stampe e piante sulle origini aragonesi del castello, copie e riproduzioni di cimeli murattiani, una collezione originale di monete ottimamente conservate che va dal 578 al 1860, una mostra permanente di manichini in costume e a grandezza naturale che ricostruiscono scenograficamente gli ultimi momenti di vita di Murat, dalla prigionia, al processo fino alla fucilazione. Nella sala grande del è esposta una collezione originale di monete (“Monete e Popoli”), ottimamente conservate. La selezione accurata del piccolo tesoro numismatico, stimola il viaggio nell’Italia meridionale, raccontando il succedersi di popoli e famiglie, di scontri bellici e di rivoluzioni per 14 secoli di storia. Dal Follis di Tiberio II (578 – 582) ai 10 Tornesi di Francesco II (1859-1860). Inoltre è custodito un residuo di una scultura di Antonio Canova (l'originale fu distrutta durante il passaggio di Giuseppe Garibaldi, ne è rimasta intatta solo una parte rappresentante un elmo). Il fabbricato del castello Aragonese si sviluppa su quattro piani di cui il primo sotterraneo, il secondo sconosciuto e di cui si era persa ogni traccia a memoria d'uomo, il terzo al livello dell'ex ponte levatoio d'ingresso al Castello dove attualmente è collocata  la Rappresentazione scenica Murattiana ed il quarto al livello più alto dove è collocato il Museo Provinciale Murattiano e dove si svolse tutta la tragedia murattiana. Circa il piano sotterraneo vi si accede attraverso una scala a chiocciola che collega i tre livelli della Torre Maestra più antica. Giunti al livello più basso della Torre Angioina si prosegue attraverso una ripida scala buia che conduce in un ambiente senza luce. Questo piano sotterraneo si configura come un corridoio di collegamento diretto tra le due torri del Castello lungo un percorso sul lato nord. Si aprono sul lato sinistro del sotterraneo nuovi corridoi che terminano alcuni verso bocche di fuoco di cui è possibile trovare riscontro alla osservazione esterna, altri si esauriscono in ambienti senza senso ricoperti di terra ed altri ancora in muri di sbarramento oltre i quali non si conosce che cosa ci sia. Circa le bocche di fuoco stranamente sono tutte al livello del pavimento come se si utilizzassero cannoni senza ruote e gli uomini dell'artiglieria operassero distesi per terra. Evidentemente è logico ipotizzare un livello del pavimento più basso di quello attualmente calpestato. Un altro spezzone di sotterraneo s'inoltra verso il corpo rettangolare del castello dapprima in linea retta per poi girare a destra e sprofondare ad un livello ancora più basso di almeno due-tre metri che termina con una porta di legno. Ai quesiti su dove conducesse questa porta e sul perchè di questo nuovo dislivello è difficile oggi dare una risposta se non dopo che saranno condotti approfonditi studi sulla materia. Certo è che a Pizzo si è sempre creduto nell'esistenza di sotterranei di collegamento con i castelli di Vibo e di Rocca Angitola anche se poco probabili, mentre è certamente più attendibile l'esistenza di un sotterraneo di collegamento con il Palazzo di Corte attualmente chiamato Palazzo Gagliardi anche se per il momento  non è dato conoscerlo. Link consigliati: http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/pizzo_calabro.htm


Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.witaly.it/it/porzionicremona/un-toscano-pizzo-calabro

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