venerdì 30 maggio 2014

Il castello di venerdì 30 maggio






POLCENIGO (PN) – Castello

Sorge in cima ad una collina che, in posizione strategica, domina tutta la vallata. Una leggenda sostiene che nell'875 Carlo il Calvo assegnò, con incarico militare, questo prezioso posto di avvistamento ad un luogotenente del seguito, il conte di Blois di Francia. Nel 973 il Vescovo di Belluno, a cui era stato ceduto il territorio da Ottone I, riconfermò l'investitura militare conferendo il titolo di Conte di Polcenigo al capitano d'arme Fantuccio, il primo di un lungo e nobile casato. I Conti di Polcenigo diventarono poi vassalli del Patriarca di Aquileia e presero parte al Parlamento della Patria con la prerogativa di "nobili liberi". Da allora la fortezza diventò un vero e proprio castello medioevale con cinta merlate, torri e camminamenti; in seguito sorse il borgo, la cui prima menzione storica si trova in un atto del 1200 con il quale i Signori Aldrigo e Guarnerio di Polcenigo concedevano il permesso a chiunque di fabbricare una casa entro le mura del castello. Negli anni successivi il maniero fu spesso oggetto di contesa a causa della sua eccellente posizione sul corso del Livenza e poiché fu da sempre considerato punto nevralgico fra le principali vie di comunicazione. Il borgo si sviluppò sempre di più e si affermò anche economicamente, soprattutto dopo l'avvento della Repubblica di Venezia (1420). Forse distrutto da un incendio nel XVII secolo, il castello venne ricostruito nel sec. XVIII, nelle forme di una villa veneta, pare su progetto dell'architetto veneziano Matteo Lucchesi. La grandiosa costruzione, come ci informa il Nono, aveva dal lato ovest una impronta asimetrica alternandosi a varie altezze finestre centinate con altre rettangolari. Il portale centinato volto all'abitato sottostante è rigorosamente simmetrico. A piano terreno una teoria di otto finestre rettangolari è sovrastata dal piano nobile portante nove alte aperture centinate tre delle quali riunite al centro a mò di trifora con poggiolo e piccolo timpano centrale. Altre nove finestrelle ovate coronano in alto la costruzione. Larghe fasce bianche scandiscono orizzontalmente i piani e i davanzali e, verticalmente, a prolungamento degli stipiti delle aperture quasi disegnano una bianca scacchiera. Tutto è luminosamente monumentale nella chiarità della sua impostazione. Il fianco nord-est ripeteva nella sua regolarità su quattro aperture il motivo della facciata. Vi era addossata una piccola dipendenza. Ora, purtroppo, dell'antico splendore non restano che le pareti: sono scomparsi l'adiacente cappella di S. Pietro e le dipendenze, il tetto, il salone da ballo, i caminetti e la scalinata di 365 gradini che scendeva fino al borgo, ma la facciata del castello domina ancor oggi la piazza, come un tempo. Lavori di restauro ne hanno comunque conservato le mura perimetrali e tutto il suo fascino. Sono ora in corso lavori per il consolidamento dei muri di terrazzamento della collina al fine di renderla un parco pubblico. Molte sono le leggende che hanno come oggetto il castello; una di queste racconta che, alla fine del Quattrocento, in un periodo di lotte sociali che coinvolgevano da un lato contadini e dall’altro nobili e feudatari, un contadino trovò un tesoro costituito da pietre preziose e gioielli e lo nascose in una profonda buca scavata sulla sommità del colle, al di sopra della quale, secoli più tardi, fu costruito il castello. L’uomo morì e nel corso dei secoli, intorno al probabile bottino, nacquero numerosi racconti. Uno di questi narra come il tesoro sia stato ritrovato, durante i lavori di costruzione del maniero, da un operaio che divenne improvvisamente ricco e che, in seguito, si trasferì a Venezia, dove iniziò il commercio di legnami. Ancora oggi, secondo la leggenda, chi si trova nelle vicinanze del castello, può sentire un forte tintinnio di monete e se decide di mettersi a scavare, sarà investito da un forte vento, sentirà rumori cupi e vedrà la figura di un uomo che, a gesti, tenterà di allontanarlo. Un’altra leggenda riguarda gli antichi abitanti del castello: un cavaliere e sua moglie. Il cavaliere era molto innamorato della moglie, ma, allo stesso tempo era molto triste perché lei non ricambiava il suo amore. Un giorno, durante una battuta di caccia, fu sorpreso da un temporale e cercò rifugio nella casa di un boscaiolo. Questi aveva una bellissima figlia, dai capelli color dell’oro, di nome Mafalda di cui il cavaliere presto s’innamorò e da cui ebbe un bambino. La moglie del cavaliere, venuta a conoscenza della storia d’amore fra i due, decise di vendicarsi e chiese aiuto alla maga di Cercivento. Quest’ultima, diede alla castellana uno spillo d’oro e un unguento molto velenoso che lei stessa aveva preparato. La castellana entrata di soppiatto nella casa di Mafalda, punse il neonato con lo spillone infettato. Mafalda, rientrata in casa, trovò il bambino morto e il cavaliere, intuito chi fosse il colpevole, andò al castello e spinse la castellana lungo il colle dicendole: "Serpente che sei, che tu sia maledetta". La castellana, divenuta serpente, da quel momento, striscia fra l’erba del castello e fissate al collo ha un mazzo di chiavi, le chiavi dei forzieri che contengono i tesori murati da qualche parte nel castello. Su una delle chiavi vi è l’indicazione del luogo di sepoltura del tesoro. Ecco un video che si trova sul web: http://www.youtube.com/watch?v=XvYhqgR25g0


Foto: di pierangelo zaghet su http://www.panoramio.com e da www.castellipordenone.it

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