PIEDILUCO (TR) - Rocca Albornoz
In un documento del 1028 si citano il Castello de Luco
(sulla sommità del monte della Rocca, dal latino lucus, bosco sacro) e
la curtem de Postro (in riva al lago), come un possedimento di tale
Bernardo D'Arrone, feudatario del luogo, che lo concesse ai monaci dell'Abbazia
di Farfa. La Rocca era caratterizzata da un mastio con torre quadrangolare, di
cui ora rimangono solo i resti. In basso sorgeva un piccolo villaggio, nella
zona chiamata il Colle. Nel 1244 Federico II passò questi luoghi ai
Brancaleoni, che fortificarono il castello. Nel 1330, Rieti e Spoleto si
allearono per distruggere la rocca (una roccaforte ghibellina), ma furono
fermati in questo intento da papa Benedetto XII. Nel 1333 fu
occupata dalle truppe papali di Roberto D'Angiò. Nel 1364, Blasco
Fernando di Belviso, rettore del ducato di Spoleto e cugino del Cardinale
Albornoz, acquistò dai Brancaleoni la
Rocca e la ingrandì, nell'ambito del rafforzamento del potere papale che
l'Albornoz portò avanti in tutta l'Umbria. È inevitabile, quindi, mettere la
rocca in relazione con quelle di Assisi, Narni, Orvieto e Spoleto, anche se la
planimetria si presenta profonda mente diversa. Infatti mentre gli altri
edifici presentano un impianto quadrangolare, con al centro una piazza d’armi,
ai lati un fabbricato residenziale, agli angoli un mastio e torri minori, tutte
a pianta quadrata, nella rocca di Piediluco, il mastio, il cortile e il palazzo
residenziale si succedono linearmente. Nel 1368 Blasco e il
figlio Garcia vennero uccisi dagli abitanti di Piediluco. Tremenda la reazione
di Spoleto e della Chiesa, che misero a ferro e fuoco la rocca e il paese,
impiccando tutti i responsabili. Piediluco tentò ripetutamente di sottrarsi al
potere papale, favorendo le mire espansionistiche di Terni e di Spoleto. Dal
1393 al 1439 fu dominio dei Trinci di Foligno, che lo dotarono di un nuovo
statuto (Statuta Castri Pedisluci). Successivamente, Papa Eugenio IV lo
sottomise alla potestà pontificia ed in seguito, nel 1453, Papa Nicola V lo
rese signoria del capitano di ventura reatino Matteo Poiani. Nel 1578 il feudo
fu diviso tra i Poiani e i Farrattini-Poiani di Amelia. In seguito tutti i beni
feudali passarono ai conti Pianciani, che li cedettero ai baroni Franchetti
alla fine del XIX sec. La rocca, che è allo stato di rudere dal XVIII secolo,
presenta due parti distinte. Nella zona sud-est si trova il palazzo fatto
costruire nel corso del XIII secolo da Oddone e Matteo Brancaleoni,
ristrutturato poi da Blasco. Ancora oggi è possibile individuarne la sala di
rappresentanza con il portale di accesso, le stanze residenziali e i vani
accessori. Con la chiesa di San Francesco esso costituisce un esempio di
prim’ordine della stagione del gotico a Piediluco. L’emergenza più
significativa è rappresentata dal mastio, a pianta pentagonale, che si articola
su cinque livelli, collegati da una scala ottagonale sostenuta da archi rampanti.
Il livello inferiore veniva utilizzato come serbatoio d’acqua. La forma
pentagonale, determinata da uno sperone, serviva, con buona probabilità, ad
amplificare l’effetto di imponenza del mastio, diminuendo il rischio di assalti
esterni. Il cortile d’armi presentava al centro una cisterna dove venivano
raccolte, depurate, le acque piovane poi riutilizzate all’interno del
complesso. La residenza del castellano era articolata su tre livelli.
All’interno delle sue murature, in pietra calcarea, sono individuabili i resti
del castello di Luco, tra cui la vecchia torre. La porta d’ingresso alla rocca
si apriva sul lato nord-est ed era difesa da una torretta i cui resti sono
ancora visibili. L’esistenza di due parti separate, corrispondenti a due
distinte funzioni, militare e residenziale, rendevano questo complesso non
pienamente omologabile ad altri dello stesso tipo. Ad ogni modo l’intera
struttura era tenuta insieme e protetta da un sistema di fortificazioni che si
prolungava sino al borgo sottostante, chiudendolo ad est e a nord. Oggi quel
poco che rimane di queste mura è coperto da una fitta pineta impiantata alla
fine degli anni trenta del XX secolo. Al tempo di Blasco, invece, lo spazio,
per ragioni di difesa, era stato liberato da ogni vegetazione.
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