VALLE CASTELLANA (TE) – Castel Manfrino
Si elevava in
località Macchia da Sole, nel territorio comunale di Valle Castellana
(TE), nell'area della comunità Montana della Laga, zona M. Costruito in epoca bassomedievale
tra il XII ed il XIII secolo, come abitato rurale, sorgeva a picco sulla
sommità dei dirupi che dominano il corso del fiume Salinello. I resti
dell'antico castello sono ormai solo intuibili poiché fortemente danneggiati
dal tempo. Si trovano situati tra la montagna dei Fiori e la Montagna di Campli,
a quasi 1.000 metri di altitudine, raggiungibili seguendo due sentieri di
montagna: la mulattiera che si origina dalla località Macchia e dal percorso che
si dirama dalla strada di Macchia da Sole Canavine. Il fortino servì come punto
di osservazione ed avvistamento per controllare il tracciato della strada che
risaliva dal versante sud della montagna dei Fiori e che dalla località di Civitella
del Tronto giunge fino al monte da cui era possibile osservare il versante nord
dove si trova la città di Ascoli Piceno. Insieme a Castel Trosino, al convento
di San Giorgio di Rosara e alla Rocca di Montecalvo rappresentò uno dei luoghi
votati al controllo del sistema difensivo della contea Ascolana voluta in
precedenza da Carlo Magno. Deve il suo nome a Manfredi di Svevia figlio di Federico
II, che ne volle la costruzione (su preesistenti fortificazioni di epoca
romana), allo scopo di controllare,
insieme con la fortezza di Civitella del Tronto, le sole strade che
attraversavano le montagne e che collegavano Ascoli a Teramo, meglio conosciute
come i "percorsi dell’Abruzzo Ascolano". Manfredi operò tale
rafforzamento in previsione di un invasione degli Stati Ecclesiastici (la zona
ha segnato sino all’unità d’Italia il confine tra Regno di Napoli e Stato
Pontificio) e della creazione di uno stato italiano sotto il suo comando. Lo stesso
re Manfredi avrebbe visitato Castel Manfrino nel 1263, poco prima della sua
morte, avvenuta in battaglia nei pressi di Benevento il 12 Febbraio 1266. Il
fiume Castellano, che scorre ai piedi della montagna, sarebbe il “Fiume Verde”
cui fa riferimento Dante e presso il quale furono depositati i resti del Re,
fatti disseppellire da Benevento e portati fuori dal Regno per ordine di Papa
Clemente IV. La leggenda vuole che nelle vicinanze vi sia un’enorme porta
metallica a chiusura di un cunicolo che conterrebbe il favoloso tesoro di Re
Manfredi. Durante il XII secolo, a seguito della sua scomparsa, il fortino
passò ad Armellino di Macchia di Giacomo, in seguito scacciato e considerato
ribelle. A questi si avvicendò Pietro d’Isola, angioino, che fu ucciso durante
l’attacco che gli ascolani posero in essere ai suoi danni comandati dal suo
predecessore Armellino. Gli ascolani sferrarono l’attacco a seguito degli
innumerevoli contrasti che si generarono con Carlo d’Angiò ed il castello fu
per lunghi periodi oggetto di aspre contese per vantare "gli antichi
diritti". Nel 1273 fu dato in feudo a Riccardo di Agello. Nel 1280, Carlo
I commissionò al Maestro Pierre d’Angicourt, lo stesso architetto che disegnò il
castello di Barletta, la progettazione di una torre da difesa da realizzare
all'interno del Castro di Macchia e lo studio di opportune opere di restauro.
La torre avrebbe dovuto avere funzioni di guardia ed essere elevata in
prossimità dell’ingresso al recinto. Al suo interno dovevano essere previste, a
piano terra, una cisterna per la raccolta delle acque piovane, al piano
superiore una camera d'aria e gli ultimi due piani sovrastanti fruibili per uso
abitativo. La porta di accesso alla torre angioina doveva essere prevista sul
lato sud ad un'altezza di sicurezza rispetto al piano del calpestio. Dal 1361,
dopo la sconfitta di Manfredi e Corradino di Svevia e la scomparsa per
tradimento del dinasta ghibellino Cola di Macchia, Castel Manfrino non appartenne
più alla soggezione ascolana e passò sotto la giurisdizione della casa regnante
di Napoli. Con l'introduzione della polvere da sparo, l'inadeguatezza ormai del
castello e i duri colpi degli assedi precedenti, il complesso fu abbandonato
pian piano dagli Aragonesi fondatori poi di Macchia da Sole nel 1400. Le mura esterne dell’opera
fortificata sono state edificate sfruttando al meglio la naturale difendibilità
del luogo e seguendo il profilo dello sperone roccioso che le ospita. Non
presentano altre aperture oltre il solo ingresso al recinto. Realizzate con pietre
di fiume cementate e levigate solo verso la parte esterna, si allungano per
circa 120 metri e l’interno dell'area contenuta sviluppa una larghezza
variabile da 8 a 20 metri. Lo spessore delle mura è compreso tra i 50 cm ed il
metro. La struttura non presenta bastioni, forse originariamente presenti solo
in prossimità dell’ingresso. Diametralmente opposta all’ingresso, ancora
parzialmente conservata e visibile, la torre che non aveva aperture di accesso
alla base, articolata su più piani suddivisi con ballatoi di legno e che
fungeva da residenza del
castello nonché da ultimo “baluardo” del
forte nel caso le difese esterne cedessero. Di questa, a base quadrangolare con
lato di circa 10 metri, restano il primo piano e la cisterna, la parte
superiore si compone solo di qualche moncone murario, sui lati est ed ovest, ed
una parete esposta ovest. Si allungano oltre la sua base anche sagome di altre
stanze che raggiungono la base di una seconda torre, quella centrale alta circa
una decina di metri. L’esterno di questa torre mostra una cappa fuligginosa,
che sarebbe stato il luogo dove si bolliva l'olio da versare sui nemici. Ad
avvalorare questa ipotesi si aggiunge il ritrovamento di due caldaie nel
sottostante torrente Rivolta. All’interno del recinto murario si trovano i
resti di una piccola cappella a pianta quadrangolare, decorata di pregevoli
affreschi, vicino al maschio della torre. I ruderi del castello sono accessibili al
pubblico attraverso passerelle in legno e acciaio. La costruzione di Castel
Manfrino ricorda i recinti fortificati
dell'Aquilano, come quelli di San Pio delle Camere, di Fossa, Di
Roccacasale, tutti, purtroppo di
cronologia incerta. La storia del maniero è raccontata all’interno del Museo di
Macchia da Sole, allestito dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga con pannelli ed un’esposizione dei reperti provenienti dagli scavi archeologici. All'epoca normanno-sveva
risale una delle scoperte archeologiche più rilevanti, nell'area sud del
castello sono infatti state scavate le strutture di una importante officina in
cui si lavoravano metalli, in particolar modo leghe di rame, e in cui si
producevano anche tondelli monetali, forse da riferirsi ad una zecca fuori dal
diretto controllo dell'autorità centrale. Racconta la tradizione popolare che, per
permettere il rifornimento di viveri e uomini, il castello fosse collegato da
un lunghissimo tunnel sotterraneo con la fortezza di Civitella che, da qui, è
visibile in tutta la sua imponenza. Nello scorso decennio Castel Manfrino è
stato oggetto di molti anni di restauro e scavi archeologici da parte
dell'Università di Chieti grazie agli sforzi del Consigliere di maggioranza con
delega ai Beni Architettonici e Culturali del Comune di Valle Castellana Italo
De Remigis, negli scavi sono stati riportati alla luce numerosi reperti
archeologici. Il 14 luglio 2010 sono riprese le indagini archeologiche presso
la fortificazione per l'eventuale proseguimento del restauro e degli scavi. Altre
notizie di questo maniero su http://www.castelmanfrino.it/
e anche su http://www.antika.it/001949_castel-manfrino-te.html
Fonti: http://it.wikipedia.org,
http://turismo.provincia.teramo.it,
http://www.gransassolagapark.it,
http://conoscere.abruzzoturismo.it,
http://www.labachecadabruzzo.it,
articolo di Achille Forlini su www.focus.it
Foto da http://www.labachecadabruzzo.it
e di Fabrizio su http://abruzzomolisenatura.forumfree.it/?t=55533683
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